Capitolo Quattordici

Capitolo 14

Alice

Alzai lo sguardo e due grandi occhi blu mi stavano fissando da dietro l'armadio.

- Lascia la mia roba- disse la voce della ragazza senza uscire dall'ombra.

- Ehm ok- risposi poggiando lentamente il diario sul materasso. - Io sono Alice-

Pensai che presentarsi fosse la cosa più prudente da fare.

- Lo so chi sei- disse freddamente. - Tutti parlano di te e di tuo marito dall'istante in cui avete messo piede nel campo-

- Lui non è mio- - Mi bloccai appena in tempo. - Lui sarebbe felice di conoscerti-

- Ah si?- chiese lei sarcasticamente. Stava tamburellando con le dita sull'anta dell'armadio.

- Ne sono certa- risposi senza esitazione.

La ragazza uscì dall'ombra a passi incerti, come se avesse paura che le potessi fare del male. Aveva i capelli biondi tagliati cortissimi, come quelli di un ragazzo, e sembrava che non venissero lavati da settimane. Indossava degli abiti logori e sformati, sporchi di terra per il lavoro nei campi. Ad una prima occhiata veloce, poteva addirittura essere scambiata per un ragazzo, nonostante il suo volto fosse indubbiamente femminile. La fuliggine che gli oscurava le gote non faceva altro che ricalcare il blu profondo dei suoi occhi e le sue grandi labbra rosse. Qualcosa nella sua espressione severa mi ricordava Nicholas quando era arrabbiato, ed a tratti riuscivo a vedere la bambina della foto.

- Qui non ci sono bambini- disse distogliendomi dai miei pensieri. - Puoi anche andartene-

Alzai un sopracciglio perplessa.

- E tu non saresti una bambina?-

- Ho quindici anni- disse lei come se questo rispondesse alla mia domanda. - Avrò si e no un paio di anni in meno di te-

Effettivamente ci separavano solo pochi centimetri in altezza e sotto quel fagotto che indossava probabilmente aveva anche più forme di me.

- Io ne ho quasi diciannove!- protestai offesa. - E tu non mi hai detto come ti chiami. Pensavo che la vostra badante vi avesse insegnato l'educazione-

La ragazza alzò gli occhi al cielo ed incrociò le braccia in segno di sfida.

- K- disse. - Mi chiamano tutti così qui-

- K come...?- la incoraggiai a proseguire.

- K come Ke ti frega- rispose. Stava riponendo il suo diario sotto il cuscino di paia. - Ci sono decine di bambini che muoiono dalla voglia di stringerti per mano lì fuori, farai meglio a sbrigarti se vuoi sceglierne uno-

- E tu invece?- Non mi guardava nemmeno mentre stavo parlando.

- Io non ho bisogno della tua pietà- disse schiva. - E sono grande ormai. Un altro paio di anni e potrò lavorare in qualche fabbrica e trovarmi un posto tutto mio-

- Non vorresti una famiglia?- A dispetto di quello che Katherine mi aveva detto, non era pietà quella che provavo per lei, ma rabbia. Rabbia verso tutti coloro che erano stati responsabili di quella situazione. Ora capivo perché Nicholas non era stato così incline a perdonare Richard per quello che aveva fatto, anche se la colpa era sua solo in minima parte.

- Ne ho già una- rispose lei lasciandosi scappare uno sguardo triste verso il cuscino. - Non me me serve una nuova-

Se una cosa era certa, era che Katherine non aveva dimenticato il volto di Nicholas. Probabilmente aveva passato intere giornate a fissare quella foto ed a imprimere nella sua mente le fattezze del fratello, della madre e del padre morti. Il ragazzo non si sarebbe dovuto far vedere se non in momenti di estrema crisi.

- Hai intenzione di rimanere qui a fissarmi per altro tempo?- chiese lei irritata.

- Perchè ti sei tagliata i capelli così corti?- le domandai la prima cosa che mi era venuta in mente. Più riuscivo a scoprire sulla ragazza, e più avrei avuto da riferire a Nicholas non appena l'avessi rivisto.

- Sono più comodi- si giustificò. Tanto per evidenziare la sua affermazione si passò una mano nei capelli. - E girano i pidocchi in questo luogo-

- Hai amici qui?-

- Conoscenti- rispose vaga. Spostava il peso da una gamba all'altra, come se fosse indecisa se aggiungere altro. - Sono cresciuta con un ragazzo, si chiamava Geremia, ma era cinque anni più grande di me, ed ora è andato a lavorare ed ha una famiglia-

Continuai a guardarla.

- Era simpatico- aggiunse dopo un pò.

Rimanemmo a fissarci in silenzio per qualche secondo.

- Forse dovrei andare- dissi mio malgrado. Rimanere in quella stanza troppo tempo sarebbe stato sospetto. - E' stato un piacere conoscerti Katherine-

Mi allontanai verso la porta. Potevo sentire i bambini gridare mentre si accalcavano verso la maniglia.

- Non ti ho mai detto il mio nome- disse la ragazza prima che mettessi piede fuori dalla stanza. I suoi grandi occhi blu sembravano essere tornati quelli di una bambina mentre mi guardava.

Prima che potessi giustificarmi, sentii una voce provenire dall'esterno.

- ALICE TUTTO BENE?- gridò Nicholas per sovrastare le urla dei bambini.

"Oh mio Dio" pensai. Se Katherine l'avesse visto, non avevo idea di cosa sarebbe potuto accadere.

- SI, N- TESORO- risposi mettendomi davanti alla porta. - NON ENTRARE!-

- COSA?- Sentii una forte pressione della maniglia e capii che avrei dovuto bloccare il suo passaggio di peso.

- NON SPINGERE LA FOTT- DELIZIOSA PORTA, DOLCEZZA-

La maniglia smise di piegarsi verso il basso ed intuii che il ragazzo mi avesse finalmente sentito. Avevo stampato in faccia un sorriso palesemente finto, che doveva sembrare alquanto inquietante perché Katherine mi stava fissando a bocca aperta.

Un'improvvisa spinta da dietro mi fece cadere a faccia in giù sul pavimento. Quell'idiota doveva aver sfondato la porta con una spallata.

- Alice per l'amor del cielo che diavolo- - la sua frase si bloccò a mezz'aria mentre si accorse dell'altra persona nella stanza. La sua bocca era spalancata ed i suoi occhi neri immobili in quelli di Katherine.

Prima che potesse dire nulla, mi alzai e lo strattonai via da quella posizione.

- FAREMO TARDI ALLA STAZIONE- dissi la prima cosa che mi era venuta in mente per giustificare la nostra fuga improvvisa. Katherine aveva allungato una mano nella nostra direzione, come se volesse toccare quello che credeva essere uno scherzo della sua immaginazione.

Lui mi seguì senza opporre resistenza, ma rimase in uno stato di trance finché non uscimmo dai confini del campo.

- Era-era...- continuava a ripetere.

- Si era lei Nicholas- dissi cercando di moderare la calma. - E se non ti avesse visto sarebbe andato tutto per il meglio, ma ora chissà cosa starà facendo! E se avessimo GIA' modificato la storia con la nostra irruzione?!-

Gli diedi una gomitata sullo stomaco per la frustrazione.

- AHI!- protestò. - Pensavo che ti fosse successo qualcosa! Potevi essere prigioniera dei tedeschi per quel che ne sapevo io!-

- POTEVO DIFENDERMI BENISSIMO DA SOLA- protestai.

- ALLORA LA PROSSIMA VOLTA CHE TI SENTO URLARE MI PRENDO UN CAFFE' PIUTTOSTO CHE VENIRTI INCONTRO- gridò.

- DUBITO CHE RIUSCIRESTI A TROVARNE UNO IN UNA STUPIDA CITTA' DOVE LA GENTE BEVE SOLO THE' -

- Fa bene alla salute- protestò.

- NON MI INTERESSA. E' DISGUSTOSO.-

- BENE-

- BENE.-

Cominciai a camminare nella direzione opposta alla sua, non avendo idea di dove stessi andando. Probabilmente incontro a qualche altro pericolo nella Londra del 1926 vista la mia fortuna.

Mi fermai dopo pochi metri sapendo che quello che stavo facendo non aveva senso. Mi voltai imbronciata verso Nicholas che mi stava aspettando a braccia incrociate con un sorriso ebete in volto.

- Finiamo questa cosa e basta- borbottai. Sapevo che ormai era l'ansia a parlare, ed il ragazzo non aveva fatto nulla di sbagliato, ma no lo avrei mai ammesso davanti a lui.

Nicholas alzò gli occhi al cielo.

- Rimaniamo in prossimità della casa, e se vediamo qualcosa di sospetto agiamo- disse.

Io annuii.

Era ormai il crepuscolo e persino le voci schiamazzanti dei bambini erano cessate. Forse avevano finito la loro giornata di lavoro ed ora di cena.

Io e Nicholas potemmo avvicinarci di più alla casa per avere una visuale più dettagliata della situazione.

I bambini avevano una ciotola in mano e stavano sui loro materassi nel caos più totale mentre aspettavano con ansia il loro turno per mangiare.

Katherine non si vedeva da nessuna parte e Nicholas cominciava a muoversi inquieto.

- E se le fosse successo qualcosa che non abbiamo notato?- disse improvvisamente. - E se ... fosse troppo tardi?-

- Nessuno è entrato o uscito da quella porta- obiettai indicando l'entrata. - Dubito che i tedeschi o tua sorella siano in grado di teletrasportarsi -

Nonostante le mie rassicurazioni, il ragazzo continuava a scrocchiarsi le mani per darsi qualcosa da fare.

- Forse abbiamo sbagliato giorno- proposi. - La datazione non è mai precisa in periodi di guerra-

- Forse..- acconsentì lui, ma dal tono della sua voce si intuiva che non fosse d'accordo.

Ripresi ad osservare i bambini all'interno mentre tiravano la gonna della padrona di casa, e risi mentre uno di loro si mise a saltare sul letto come un piccolo Tarzan. Con la pancia piena, i piccoli demoni saltellanti si assopirono velocemente uno sopra l'altro.

La scena era così rilassante che persino le mie stesse palpebre cominciavano a diventare pesanti.

Forse potevo chiudere gli occhi solo per un po'...

Un rumore dietro di noi mi risvegliò improvvisamente. Sembrava quello di un ramoscello spezzato.

- Cosa è stato?- mormorai guardando Nicholas. Lui scosse la testa facendomi capire che non aveva sentito nulla.

Forse era stato frutto della mia immaginazione? Stavo dormendo con gli occhi aperti, starebbe stata una spiegazione plausibile...

Appoggiai la testa fra le mani e cominciai a cantare sottovoce un motivetto inventato sul momento per rimanere attenta.

Un altro rumore alle mie spalle mi fece sobbalzare.

- Oh andiamo non dirmi che non l'hai sentito!- sbottai. Il ragazzo mi guardò come se fossi impazzita. Cosa che probabilmente era vera.

- Non muovetevi- disse una voce facendomi pietrificare all'istante nel punto in cui mi trovavo. Sentii la leggera pressione della fredda canna di una pistola dietro la mia schiena ed alzai istintivamente le mani. Nicholas era immobile, ed aveva anche lui le mani alzate.

- Katherine?- chiese lui con la bocca impastata.

Lei non rispose. Non potevo vedere la sua espressione, ma immaginavo fosse il riflesso di quella del fratello di fronte a me: spaventata e confusa.

- K?- dissi io. - Perchè ho una pistola puntata alla schiena?-

La sua mano tremò alla mia domanda. Era evidente che non avesse mai sparato a nessuno.

- Chi siete?- disse un'ottava più alta del normale anche per una bambina. Aveva paura.

- Amici- azzardai. - Siamo qui per aiutarti a.. ehm..- Cosa avrei potuto dire?

- Lui non è mio amico- rispose con voce tremante. - Lui è Nicholas. Ti ho sentito chiamarlo così non provare a mentirmi!-

- Katherine?- disse Nicholas lentamente. - Alice mi ha parlato di te, sei la ragazza della stanza non è vero?-

Katherine sembrò presa in contropiede. Si limitò ad annuire.

- Mi fa piacere conoscerti- continuò. - Perchè hai puntato una pistola alla schiena della mia amica?-

Sentii la pressione sulla mia schiena diminuire a poco a poco. Quando ebbi finalmente la possibilità di girarmi, Katherine aveva lasciato cadere la pistola dalle sue mani. Aveva gli occhi lucidi, come se avesse pianto di recente.

- Tu sei Nicholas?- chiese con un filo di voce.

- Nicholas Campbell, molto onorato- rispose lui porgendole la mano.

Avevo capito a che gioco stesse giocando. Voleva farle credere di essere un semplice sosia, un'altra persona che casualmente aveva lo stesso nome di battesimo di suo fratello. Inizialmente mi sembrò un'idea stupida, ma poi pensai che io stessa la avevo creduta possibile per un po' di tempo quando avevo rincontrato Nicholas e le circostanze erano molto diverse. In questo caso, anche se il Nicholas "fratello di Katy" fosse in qualche modo sopravvissuto alla battaglia delle Somme, avrebbe dovuto avere sui ventisette anni e non diciannove come la persona che la ragazza si ritrovava davanti. Katherine non poteva far altro che credere a quello che il ragazzo le stava dicendo.

- Io... pensavo che....- non riuscì a concludere la frase. Cadde per terra in ginocchio con la testa bassa. - Mio fratello vi assomigliava molto, signore-

Nicholas si avvicinò e le peggio una mano sulla spalla in segno di rassicurazione. Lei non poteva vederlo da chinata, ma anche lui aveva gli occhi leggermente lucidi.

- Non vi preoccupate signorina- disse. - Nessun danno è stato fatto-

Katherine sembrò rassicurata dalle sue parole.

- Che facevate in mezzo al grano in piena notte?- alzò un sopracciglio perplessa.

- Sapete mantenere un segreto?- chiese lui sottovoce. Al suo segnale affermativo lui proseguì. - Siamo delle spie britanniche sotto copertura in cerca di indizi su un'eventuale attacco alla capitale-

Katherine lo guardò a bocca aperta con gli occhi dilatati.

Io soffocai una risata con con colpo di tosse, beccandomi l'ennesimo sguardo assassino di Nicholas. La scusa della "spia britannica" aveva funzionato con Melanie l'anno precedente, e lui sembrava essersene affezionato. In effetti, risultava molto più credibile subito dopo la guerra che nel ventunesimo secolo... sembrava fatta a pennello per questa situazione.

- Anche tu lo sei?- chiese rivolta a me. - E voi non siete sposati quindi?-

- Si alla prima domanda e assolutamente no alla seconda- risposi ridendo. - E' un'idiota-

- HEY!- esclamò Nicholas falsamente ferito. Poi si rivolse di nuovo alla sorella. - E' solo gelosa perché una cameriera alla locanda credeva che fossi carino e- -

- NON E' VERO!- protestai.

- Uhm uhm... Avresti dovuto vedere la sua faccia quando mi sono presentato senza maglietta in camera sua- riprese ignorandomi.

- Disgustata- risposi senza esitazione. - Per il poco ritegno dimostrato nei miei confronti!-

La nostra piccola lite aveva avuto un effetto esilarante su Katherine che ora stava ridendo. Chissà da quanto tempo non rideva.

- In ogni caso- continuò lui. - La nostra presenza qui deve rimanere un segreto, intesi?-

Katherine annuì solennemente.

- Ora devi andare, o si accorgeranno della tua assenza- dissi.

Katherine si alzò in piedi e fece per muoversi verso l'ingresso della casa. Si voltò verso di noi un'ultima volta.

- Credete che un giorno potrei diventare anche io una spia come voi?- chiese guardandosi i piedi. - Cioè lo so che non sono proprio l'ideale, ma imparo in fretta-

Nicholas prese qualcosa dalla sua tasca e glielo porse. Era un foglietto di casa con il suo indirizzo ed il suo numero di cellulare. Cioè non che io avessi imparato il suo numero di telefono, ma... COMUNQUE, ritornando alla storia.

- Se hai bisogno di contattarmi questo è il mio indirizzo- disse mentre lei prendeva il foglietto sorridente.

- Cos'è questo numero?- chiese perplessa.

La prima telefonata transatlantica fra Londra e New York era stata solo del Gennaio 1927, la ragazza non poteva avere idea di cosa fosse un cellulare.

- Solo un codice... capirai quando ti verrà chiesto- disse Nicholas rimanendo sul vago.

Katherine sorrise ed entrò nell'orfanotrofio.

Nicholas si voltò verso di me e lasciò andare un sospiro di sollievo.

- Potevamo dirle tutto e portarla via- dissi. - Quanto potrà mai mancare all'attacco ormai?-

- Non è il quando, ma il come che importa- rispose lui. - Le circostanze della sua morte potrebbero in qualche modo influenzare il futuro-

Ci sedemmo per terra ad aspettare. Katherine si era addormentata vicino uno dei bambini e stringeva al petto il foglietto che le aveva dato il ragazzo insieme al suo diario.

- Disgustata uhm?- chiese lui all'improvviso.

- Cosa?- Mi ero distratta guardando i bambini.

- Avevi una faccia disgustata mentre mi guardavi mezzo nudo?- ripeté con uno sguardo malizioso.

Uno schiaffo in faccia mi avrebbe fatto arrossire meno violentemente.

- Io non- - la mia frase venne interrotta da un grido femminile in lontananza.

Le luci dell'orfanotrofio si accesero all'improvviso, e la terra cominciò a tremare sotto i nostri piedi. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top