III
2121.
L'acqua del lago era un terso specchio circolare. Se avessi dovuto dirla tutta era probabilmente la cosa più pura che fosse rimasta lì al villaggio e, immaginavo, in tutto il mondo. Era gennaio e il freddo pungeva, spirava un vento leggero, ma gelido. Eravamo in pieno inverno eppure indossavo solo la sottoveste di cotone che mi aveva regalato zia Jo quando, a undici anni, ero diventata una donna. Zia Jo mi aveva detto che avevo bisogno di un indumento consono alla mia nuova condizione, che mi rendesse più adulta, matura. Così mi donò la cosa più preziosa che possedesse, o almeno, fu quanto mi disse. Non avevo mai avuto un rapporto materno con zia Jo: mi aveva accolto in casa sua quando ero solo un fagotto che piangeva, crescendomi come una figlia, anche se non c'era alcun legame di sangue fra noi due. Quando crebbi mi raccontò la storia di mia madre, di come fosse stata stuprata, una notte d'inverno, da un uomo con un mantello nero, e di come poi io fossi venuta alla luce. Uno stupro, fu quello che mi venne raccontato. Ma poi la gente cominciò a sparlare, a inventare cose. Cose alle quali, naturalmente, non ho mai creduto. A quel punto la versione cambiò e nessuno si ricordò più della presunta violenza fisica a cui mia madre era stata sottoposta: la voce che iniziò a circolare nel villaggio, in seguito, fu che l'uomo che aveva sedotto mia madre non fosse qualcuno di umano. Dicevano si trattasse di un mostro, un demone, una creatura dell'ombra, perché nessuno lo aveva mai visto in faccia. Passarono alcuni anni e la versione cambiò di nuovo: adesso, ciò che insinuavano con pura e disperata cattiveria, era che mia madre avesse fornicato con Satana in persona. Non fui l'unica persona alla quale capitarono cose del genere. Sophie Bennett, anche, e Clara Davidson, rispettivamente di quindici e diciassette anni, subirono le stesse accuse.
Le loro madri vennero condannate al rogo e bruciate l'anno prima, in piazza, davanti agli occhi delle loro figlie. Sophie era mia amica. L'avevo osservata, tra la folla inferocita, mentre guardava sua madre bruciare viva tra le fiamme, e realizzai che se fosse toccata a me non sarei stata in grado di sopportarlo. Per fortuna o no, mia madre era morta dandomi alla luce, così non aveva dovuto subire una fine simile. Non avevo idea di quale fosse stato il suo aspetto, anche se mi sarebbe piaciuto saperlo. Zia Jo aveva detto che io le assomigliavo molto, per i capelli rossi, forse, la carnagione lattea e il carattere deciso. L'unica cosa che mi differenziasse da lei erano gli occhi: diceva che avevo gli stessi occhi di mia nonna, occhi del colore dell'ametista. Una pietra che non avevo mai visto e che, probabilmente, non avrei visto mai.
Nonostante si congelasse e le temperature stessero sfiorando gli zero gradi, ero a piedi nudi. Non mi definivo una persona scaramantica, ma zia Jo diceva sempre che se avessi camminato contro la terra nuda avrei acquisito la sua forza, perciò avevo preso l'abitudine di farlo, tutti i giorni, da dieci anni. Derek, il mio fratellastro, mi considerava una stupida. Forse un po' lo ero, ma il suo parere non mi aveva mai interessato più di tanto.
Sospirando, il respiro mi uscì dalla bocca condensato in una nuvoletta. Avevo il naso e le orecchie congelate, ma amavo quel clima e tutto ciò che concerneva. Anche la terra, sotto i miei piedi, era gelida, ricoperta da un leggero strato di brina. Lentamente, allungai una gamba e con la punta delle dita saggiai la temperatura dell'acqua. Anche quella era gelida. Ma dovevo lavarmi, ormai era una routine quotidiana. Lo facevo talmente spesso da esser diventata immune al freddo. Mi spostai la massa di capelli rossi, lunghi fino alla vita, dietro al collo, lasciando scivolare indietro la sottoveste. Rimasi nuda, completamente nuda, la pelle attraversata dai brividi e il cuore che palpitava rapido contro la cassa toracica. Il mio senso del pudore era minimo in questi momenti. Anche se lo avessi avuto, comunque, lì non veniva mai nessuno. E nessuno mi avrebbe vista.
Immersi lentamente il piede nell'acqua e mi morsi il labbro inferiore quando percepii il contatto con l'acqua fredda. Eppure, nonostante il gelo, la consideravo una delle sensazioni più belle che avessi mai provato. Era come una liberazione, uno sfogo, come se riuscissi ad essere me stessa solo attraverso l'acqua di quel lago.
Lasciai cadere indietro la testa, chiudendo gli occhi, mentre bagnavo anche l'altro piede.
Riaprii gli occhi all'improvviso, attirata da un rumore alle mie spalle. Terra calpestata, passi pesanti. Rabbrividendo, mi voltai di scatto, svelta a coprire le mie nudità con le mani. Poi, allibita, sgranai gli occhi, ansimando.
«Finalmente ho scoperto dove te ne vai tutti i giorni al tramonto, sorellina.»
Davanti a me, con una candela in mano, c'era Derek. Ammutolii. Doveva avermi seguita, per scoprire dove fossi andata. Ed era strano, non era mai capitato prima.
«Derek.»
Cercaidi scacciare l'imbarazzo schiarendomi la gola, ma mi sentivo le guance accaldate più che mai. «Che cosa ci fai qui?»
Lui mi fissò, il volto illuminato dalla luce della candela, nella penombra del tramonto.
«Mi stavo preoccupando, dal momento che stavi tardando più del solito.»
«Tu mi hai seguita.»
Lui sorrise. Era il suo solito sorriso cinico, sornione, uno di quei sorrisi che mi avevano sempre fatto venir voglia di schiaffeggiarlo. «Può darsi.»
I suoi occhi scuri mi scrutarono da cima a fondo, soffermandosi sulle nudità superiori che la mia mano nascondeva a stento.
«Che diavolo hai da guardare?» sbottai, incenerendolo con lo sguardo.
«Hai perso anche quel minimo di decoro che ti rimaneva, a quanto vedo.»
Di nuovo, sorrise.
Serrai le labbra in una linea dura. Non era la prima volta che Derek mi trattava in quel modo, come una bambina, ma l'avevo sempre ignorato, considerandolo un idiota immaturo, nonostante avesse svariati anni più di me. In un altro mondo sarebbe stato il tipico ragazzo che vive a spese dei genitori, senza voglia di lavorare, dedito solo a vino e prostitute.
«Lasciami in pace, Derek. Vattene a casa.»
«No, Maisie.» replicò lui, avvicinandosi. «Non ti lascio qui a quest'ora, oltretutto completamente nuda. Rivestiti.»
Avrei voluto indietreggiare ma sapevo per certo che, senza il sostegno delle mani, sarei caduta all'indietro, nell'acqua.
«Non ho bisogno che tu mi dica cosa devo fare.» Rimasi immobile, sostenendo il suo sguardo al massimo delle mie capacità.
«Oh, a quanto pare c'è proprio bisogno che qualcuno ti dica come comportarti, sorellina.»
Con uno slancio sorprendente mi afferrò il braccio, attirandomi contro di sé. Finii dritta contro il suo petto, sentendo la vergogna incendiarmi ogni centimetro di pelle. «Derek, lasciami andare» gli imposi a fior di labbra. Le sue braccia mi stringevano forte, tenendomi imprigionata. All'improvviso cominciai ad avvertire il freddo, pungente e affilato, come decine di lame che mi attraversassero la pelle. Sollevai la testa e incontrai il suo sguardo, immergendomi nei suoi occhi neri come la pece.
«Derek.»
Il nome mi uscì in un sibilo, tra i denti. «Devo rivestirmi.»
Tentai di divincolarmi ma lui mi teneva in una presa salda. E poi, senza che avessi il tempo di rendermene conto, le sue labbra si avvicinarono alle mie e premettero, ripetutamente e insistentemente. Soffocai un gemito, mentre facevo leva con i palmi contro il suo petto per farlo staccare. E quando ci riuscii, rossa d'imbarazzo, lui mi lasciò andare, indietreggiando.
«Rivestiti, Maisie» sussurrò senza guardarmi. «Ti riporto a casa.»
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