2: You're part of the M-Fighters
''Le scelte si fanno in pochi secondi, e si scontano per il tempo restante''
-Paolo Giordano
♪Song to listen: The river - Davin Herbrüggen
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Tre giorni prima dell'inevitabile
Quella mattina, Leon non aspettava visite. Come d'abitudine, alle prime luci dell'alba si alzò dal letto. Si rese conto che l'altra sera non aveva neanche più aperto il regalo di Alyssa, ma l'aveva appoggiato con cura su una piccola scrivania. Spero che Charity, sua sorella minore, non fosse andata a ficcanasare, rovinando la sorpresa.
Leon avrebbe voluto aprirlo insieme ad Alyssa, e giurò che avrebbe atteso la prossima volta che si sarebbero visti. Guardò oltre il ciglio della porta: sua madre non era ancora tornata dal turno di lavoro notturno, e sperava non l'avessero trattenuta più del dovuto, considerando che la paga era già oltraggiosa.
Lei era una vera e propria forza della natura. Aveva cresciuto due ragazzi da sola, organizzandosi come meglio poteva tra orari di lavoro improponibili e stipendi che non sempre colmavano tutti i bisogni. Ma ai figli non importava. L'unica cosa che avevano sempre ritenuto essenziale era l'amore racchiuso in quelle mura. Il riunirsi la sera per raccontarsi le avventure passate e condividere risate. E a loro bastava. Trovavano la felicità in quei piccoli attimi.
Ma Leon notava spesso la stanchezza negli occhi della madre e le occhiaie sempre più scure e scavate. Ma con quel sorriso forzato sulle labbra, lei tentava di non far preoccupare i suoi ragazzi. I lavoretti che il ragazzo aveva trovato non erano sufficienti ad aiutarla. E più le spese aumentavano, più lui non trovava una via d'uscita. Avrebbe voluto frequentare l'università, diventare un ingegnere elettro-quantistico, ma ogni sua speranza era morta nel momento in cui aveva saputo le rette che avrebbe dovuto affrontare. Sua madre non glielo avrebbe negato, ma per lui era un peso troppo alto da sopportare.
Leon sistemò un po' i capelli ricci, si stiracchiò, mugolò uno sbadiglio e infine aprì completamente gli occhi.
«Leo, Leo! C'è un uomo in cucina, dice che è venuto per vederti!» la voce squillante di sua sorella gli vibrò nelle orecchie. La piccola saltellò allegramente verso la camera del fratello e i suoi esili capelli caramellati ondeggiarono da una parte all'altra.
«Io non aspettavo nessuno, ma chi diamine è?» borbottò, mentre trovò al volo una maglia da indossare. Sua sorella, a pochi passi dal suo letto, si chinò verso di lui e gli sussurrò la sua ipotesi.
«Credo sia un M-Fighters. Incute un po' di timore.»
Leon balzò in piedi in un secondo. I muscoli delle spalle si irrigidirono, il cuore martellò più forte.
Pensò ad Alyssa. Era risaputo che gli M-Fighters erano gli acerrimi nemici dei Magician, le persone come la sua piccola peste. Nessuno sapeva come fosse nato questo astio, se non che all'invidia dell'uomo non c'era limite. Alla scoperta dei poteri dei Magician, fu il forte e incontrollato risentimento a dare vita alla fazione loro opposta, composta da uomini comuni e senza poteri, che tentavano in ogni modo possibile di frenare e controllare ciò che non potevano ottenere naturalmente.
Gli M-Fighters erano la forza della difesa della città, e il loro Comandante faceva parte del Consiglio d'Amministrazione. I loro scopi erano il controllo e l'autarchia, e nascondevano dietro regole e divieti un disprezzo per gli Esseri Magici.
«Resta qui, Char. E non aprire il mio regalo, vediamo cosa vuole questo stronzo.»
Charity non si scompose, si buttò distrattamente sul letto di Leon e fece spallucce. Con il fratello si passava cinque anni, e per molti versi erano cresciuti praticamente insieme, facendosi forza l'un l'altro e senza mai voltarsi le spalle.
«Dovresti avvisare Lysa.»
«Non ce n'è bisogno, non sarà nulla di grave.» mormorò lui, ma in realtà fu più una preghiera silenziosa che rivolse a se stesso.
Leon chiuse la porta alle sue spalle e si avviò verso il salone. Prima si sarebbe tolto di mezzo quella scocciatura, meglio sarebbe stato per tutti. Gli ideali degli M-Fighters non li condivideva. Per lui erano stupidi e fuori di ogni logica. Temere i Magician era sbagliato, e tentare di sopprimerli lo era ancora di più.
Quando fece capolinea nella sala da pranzo, Leon vide un uomo stretto in una scura giacca blu, camicia bianca e dei pantaloni alquanto larghi e neri. Sedeva tranquillamente a capotavola, come se l'ambiente gli fosse familiare, poi si passò spavaldo una mano tra i capelli corti corvini e avvertì la presenza del ragazzo ancor prima che si presentasse a lui. Teneva tutto sotto controllo come una vecchia e astuta volpe.
«Sono costernato di aver disturbato a quest'ora. Leon Cobalt, giusto?» l'uomo gli sorrise compiaciuto, allungò una mano verso di lui amichevolmente e fece riflettere i suoi occhi cristallini come il mare in quelli di Leon. Il filo di barba scura gli conferiva un'aria ancor più masochista.
Leon decise di non provocarlo più del dovuto. Stette al suo stesso gioco, senza sbilanciarsi più di tanto.
«Sì, lei sarebbe?» domandò curioso.
«Edwin Kolth, Comandante degli M-Fighters.»
Edwin non era un uomo che amava perdersi in troppe chiacchiere. Andò subito al nocciolo della questione, senza troppi giri di parole.
«Sono qui per proporti un lavoro che potrebbe cambiarti la vita.»
E fu proprio quando l'offerta di diventare un M-Fighters gli si presentò davanti agli occhi che Leon capì di non poter rifiutare. Non quando in gioco c'era la possibilità di ribaltare le sorti della sua famiglia. Sentì di poter far ritornare a splendere il volto di sua madre, che per troppo tempo aveva patito le sofferenze di un mondo così ingiusto. La madre aveva sacrificato ogni cosa per la loro felicità. Amava veder sorridere i figli nei giorni di Natale, e perfino nel comprargli un gelato la domenica, mentre passeggiavano allegri tra le vie di Fengaris. Leon comprese che avrebbe potuto finalmente ricambiare il favore, pur dovendo rinunciare a colei che faceva battere quel suo povero cuore dolente.
Leon indugiò sulla proposta di Edwin per circa un giorno. Per ventiquattro ore decise di isolarsi da tutti e tutto, spegnendo il cellulare e ogni cosa tecnologica che potesse metterlo in contatto con il mondo. Le condizioni per Leon erano chiare: nessun contatto interpersonale con i Magician, nessun favoritismo verso di loro, nessuna relazione.
E il suo rapporto con Alyssa le trasgrediva tutte.
Lei era stata il suo primo amore. Il suo unico punto di luce quando tutto intorno a lui era buio e tetro. E rinunciare a qualcuno di così importante diventò straziante.
Leon pensò a tutto quello che avevano condiviso: ogni conversazione, ogni bacio rubato, ogni istante in cui erano stati felici. E quella notte, Leon pianse come non faceva da anni, dalla scomparsa di suo padre. I singhiozzi diventarono l'unico suono nella stanza, e buttò fuori tutta la collera e il dolore che covava dentro. Si concesse un ultimo momento di debolezza, un fugace istante in cui poteva mostrarsi come un ragazzo, e non come uno che stava rinunciando a tutto. Allontanare la sua gioia in cambio della tranquillità di sua madre.
E fu all'alba del giorno dopo che decise di accettare la proposta, seppur con il cuore spezzato.
Leon si alzò dal letto dopo una notte passata a combattere con i suoi demoni, costrinse le sue braccia e gambe a collaborare e recuperò dall'armadio le sue cose: i suoi maglioni preferiti, i pantaloni e ogni suo altro oggetto personale. Poi, sistemò tutto in un borsone di pelle nera.
Ma prima di uscire dalla camera, salutando sua madre e Charity, Leon posò lo sguardo sul pacchetto ancora incartato regalato da Alyssa. E capì che non ci sarebbe stata una prossima volta. Il tempo era scaduto, e il destino aveva deciso per loro. Se avesse saputo quanto velocemente sarebbero mutate le cose, forse l'avrebbe stretta un po' più forte, l'avrebbe baciata ancora una volta, e le avrebbe detto tutto ciò che ancora doveva dirle, tutti i sogni e le speranze che nutriva per il loro futuro.
Prima di uscir fuori dalla stanza, Leon prese quella scatolina tra le mani. Quando la aprì, una fitta pressante al cuore lo pervase, e le gambe iniziarono a tremargli. Era una piccola collana, con una targhetta come ciondolo, sulla quale c'era inciso:
''Leon Cobalt. Mhei bet del mio cuore.''
In quel momento, Leon avrebbe voluto correre da lei, raccontarle tutto e darle il giusto addio. Ma Leon ormai sapeva che tutto ciò sarebbe potuto accadere solo nei propri sogni, quelli in cui lui e Alyssa potevano vivere la loro vita tranquillamente, senza la pressione di un mondo in cui dovevano schierarsi come nemici. Se le avesse confessato tutto, lei l'avrebbe convinto a lasciar perdere e ad attendere un'opportunità migliore. Un'occasione più giusta.
E lui sapeva bene che non sarebbe mai arrivata.
Con l'anima pesante e il cuore che gli martellava in petto, Leon si costrinse a lasciarsi tutto alle spalle. Ma non prima di aver messo al collo quella piccola catenella, pronto ad abbracciare la sua nuova vita alla fortezza degli M-Fighters.
Quest'ultima si trovava nel cuore della città, il centro pulsante di Fengaris. Non esisteva palazzo più alto e grande di quello. Le sue mura erano imponenti e inespugnabili, pitturate di un grigio pietra, sulla cui cima si dispiegava un filo spinato meccanico, costruito con lo scopo di tener lontano ogni forma di potere magico. Il portone d'entrata era invece nero e dorato, e sopra vi era inciso lo stemma della fazione: due spade bronzate che si incrociavano sullo sfondo di una luna piena biancastra. Lo stemma si apriva soltanto con un apposito cartellino d'entrata, dopo che ci si era annunciati al citofono. Proprio per questo, prima di congedarsi, Edwin aveva dato un cartellino da visitatore a Leon, spiegandogli che sarebbe rimasto attivo per trentacinque ore, dopodiché la proposta sarebbe stata automaticamente ritirata.
Leon alzò lo sguardo verso l'imponente edificio, ed ebbe ancora dubbi sulla sua decisione. Poi, gli bastò pensare alla gioia negli occhi di sua madre quando gli aveva accennato alla possibilità di un nuovo lavoro. Sapeva che non sarebbe stata la cosa giusta da fare, ma era l'unica possibile.
Leon si presentò al citofono e attese l'apertura del grande portone. Dopo una manciata di secondi, il portone si aprì e rivelò il mondo che si celava al suo interno.
Era davvero immenso come raccontavano tutti, forse anche di più delle sue aspettative. C'erano due campi di allenamento, posti agli estremi della fortezza, dove si trovavano armi di ultima generazione, lastre di ferro e qualsiasi altro arnese che potesse contrastare gli esseri magici, mentre l'altro era riservato al libero allenamento, e vi si poteva scorgere qualche cadetto che correva lungo tutto il percorso segnato da alcune linee bianche.
E proprio al centro di questi due campi si apriva il quartier generale, un palazzo grigio alto almeno quattro piani, dove dalla facciata si intravedevano tutte le finestre delle stanze che lo caratterizzavano: sei stanze per ogni piano, divise in tre finestre sulla destra, e altre tre sulla sinistra. Una realtà diversa dalla città che si era lasciato alle spalle, quasi più dinamica e irrefrenabile.
«Suppongo che tu sia qui per accettare la proposta.»
Una voce familiare lo fece voltare. Edwin lo squadrò dalla testa ai piedi. Indossava quella che doveva essere la divisa dei M-Fighters, una giacca stretta e lunga fin sopra la vita, con alcune cinghie sul polso, di colore grigio argenteo; sul davanti, all'altezza dei pettorali, si posava lo stemma ricamato del loro simbolo, seguito dal cognome in questione; i pantaloni invece erano più attillati, fatti in un tessuto tecnologico liscio al tatto, antiurto e completamente termico, di solito di colore nero, con delle piccole venature d'argento che si estendevano lungo tutte le gambe.
«Non avrei altri motivi per essere qui. Non sono di certo venuto a prendere un caffè.» replicò Leon in fretta, leggermente infastidito.
Il generale alzò un sopracciglio e fece un'espressione alquanto sorpresa. Sorrise compiaciuto. Edwin sentiva di aver scelto un ottimo soldato, ma avrebbe dovuto distruggere i suoi legami con i Magician che era solito frequentare. Perché Edwin sapeva bene a chi fosse legato Leon.
«Complimenti, ragazzo. Sei un M-Fighters ora. Seguimi pure, ti mostrerò tutto ciò che ti è dato sapere. E oggi pomeriggio comincerai gli allenamenti.»
Leon si diede un ultimo sguardo intorno, poi i suoi pensieri andarono su Alyssa. Si domandò se stesse pensando di lui, e quanto lo stesse odiando. In fondo lo pensava lui stesso, tutte le volte che si guardava allo specchio.
Edwin lo condusse all'interno del palazzo e passò attraverso tre controlli di sicurezza. Questi ultimi si accertavano che il visitatore di turno non fosse un Magician, che non possedesse armi magiche e che la sua identità fosse registrata nel sistema. E una volta attraversata la sala principale, arrivarono ai dormitori, una sala dalle dimensioni stratosferiche, dove file di letti a castello erano dispiegati lungo tre file parallele. Tutto aveva un aspetto omogeneo e tetro come l'estetica del palazzo, e il grigio e il bianco facevano da padrone.
«Ti troverai bene, non ti preoccupare. Qui pensiamo e agiamo come uno, anche se siamo più di mille. Benvenuto in famiglia, Leon.»
Edwin non si dispiegò in altre presentazioni e chiacchiere. Non ne era il tipo. Lasciò il nuovo arrivato alle sue spalle, poi si allontanò e camminò a passo spedito nella direzione opposta.
Da quel pomeriggio in poi, cominciò la nuova vita di Leon. Allenamenti e simulazioni senza fine. Con ologrammi e proiezioni al limite del reale, Leon fu costretto a combattere contro ciò che fino a qualche giorno prima aveva stretto e protetto tra le sue stesse braccia. E per ogni sessione che finiva con successo, una parte di lui moriva, e si chiedeva se Alyssa sarebbe mai potuta tornare.
Leon pensò a lei ogni volta che poté, e la sua risata gli risuonò spesso nelle orecchie come una dolce melodia. Percepiva ancora il sapore dei suoi baci sulla punta delle labbra e sentiva ancora il suo profumo impresso sulla pelle. E quando la mancanza diventò insopportabile, Leon strinse più forte la sua collana, come se in qualche modo potesse sentirsi più vicino a lei.
«Ehi bel fusto, a cosa pensi?»
Una voce femminile lo riportò a galla. Leon si ritrovò due paia di occhi castani che lo scrutarono con insistenza.
«Niente di importante, acqua passata.» si sbrigò a dire lui.
Lei alzò un sopracciglio, poco convinta della risposta.
«Sarà meglio. Qui non c'è spazio per le situazioni irrisolte. Qualsiasi cosa ti tormenta devi risolverla, o qui dentro ti soffocherà.»
La ragazza aveva ragione, non poté negarlo. E proprio per questo Leon prese una decisione, e per lui fu la peggiore della sua vita. Avrebbe dovuto mettere un punto alla storia con Alyssa. Si sarebbe dovuto far odiare, avrebbe dovuto spezzarle il cuore, anche a costo di frantumare il suo.
Leon la conosceva e aveva imparato a prevedere le sue mosse. E proprio per questo, Leon sapeva che in quel giorno grigio e cupo, con la pioggia che batteva forte sulla città, lei stava correndo in un'unica direzione. Verso un solo posto, il loro.
Si diresse lì anche lui. Il cuore fu pesante come un macigno, e i muscoli lottarono tra di loro, come se avessero voluto ribellarsi a ciò che stava fare.
Leon rimase ad aspettarla per un'ora o due. La tempesta bagnò i suoi ricci ribelli, li fece ricadere sulla fronte e coprì parte dei suoi occhi azzurri spenti, distrutti e affranti.
Poi Alyssa arrivò. Bella come un sogno, e letale come il demone più crudele dell'Inferno.
Il volto della donna era ferito, le lacrime si confondevano con la pioggia, gli occhi brillanti e luccicanti trasudavano delusione e sofferenza. Tutte quelle piccolezze lo trascinarono nell'oblio. E per un attimo, Leon fu tentato di mandare a rotoli tutto e di baciarla proprio lì, raccontandole ogni cosa, confidandosi come era solito fare. Ma Leon sapeva che non sarebbe stato possibile. Il suo istinto irrefrenabile gli suggerì che qualcuno stesse guardando, che lui stesse osservando, e dovette quindi sembrare il più freddo e scostante possibile.
Leon costrinse se stesso a inscenare la peggior finzione della sua vita.
«Sono un M-Fighters, adesso. Non ci è concesso fornicare con voi Magician.»
Quando la brutalità di quelle parole venne fuori, Leon non poté più sostenere lo sguardo di lei. Non ne fu capace. La lasciò lì, nel mezzo della tempesta. I singhiozzi di Alyssa superarono il rumore fitto della pioggia, e le sue ginocchia crollarono sul terreno.
''Ti amerò per sempre, Aly. Ti prego, non dimenticarmi. Odiami se vuoi, ma non scordare mai ciò che siamo stati. Perché io non lo farò.''
E anche quella notte, i demoni vennero a bussare alla porta di Leon, e gli resero impossibile chiudere un occhio. Leon restò a fissare il soffitto bianco della stanza in cui dormiva. I ricordi e i sentimenti lo soffocarono, senza alcun rimedio. Ma in quelle ore Leon non pianse. Costrinse le lacrime salate a tornare indietro, e calò di fronte a sé una maschera che non avrebbe più potuto togliere.
L'alba del giorno dopo non fu per niente tranquilla. Un altoparlante posto nel dormitorio comune comunicò a tutti i cadetti di presentarsi al campo entro mezz'ora.
''Bel risveglio del cazzo. Perfetto per un'altra giornata di merda.'' pensò Leon, infilandosi alla svelta la divisa lavata e stirata e messa sul suo comodino.
In una manciata di minuti, metà dello squadrone si organizzò in due file ordinate, con la schiena ritta e la testa alta. Osservarono il Comandante di fronte a loro. Aveva un'espressione quasi tagliente occhi ridotti a una fessura esile e la mascella serrata.
«Fighters! Con un peso sul cuore, devo comunicarvi questa notizia. La situazione sta degenerando, non c'è più tempo per le esitazioni. Il corpo di una M-Fighters è stato ritrovato inerme, oggi, sulle sponde del fiume Abyssu. La donna aveva un volto sfregiato e martoriato, segni di lotta e contusione su ogni centimetro di pelle. Bruciature che solo un essere magico avrebbe potuto fare. È stato sicuramente un Magician, e per questo la tregua con loro si è appena conclusa. Non ci sarà pietà, è una vera e propria dichiarazione di guerra.»
Era l'inizio della fine. Le parole fredde e rabbiose del Comandante anticiparono una sensazione di distruzione e devastazione, e la società si spaccò in due parti.
A Leon restò un ultimo quesito da farsi: alla fine, per cosa avrebbe combattuto?
E soprattutto, per chi?
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