XII. I need your help

Harry è finalmente solo, nel buio e nel silenzio della sua camera, l'unico posto in cui al momento si sente di essere al sicuro e libero di poter esternare l'universo di devastazione che sente dentro di sé. Se ne sono andati con la promessa di lasciarlo riposare e di tornare in seguito a parlargli, magari insieme, per affrontare la situazione – e fargli quasi certamente comprendere che sta facendo di un piccolo malinteso un problema enorme, gigantesco, perché loro non capiscono e non possono capire.

Gli è grato, davvero; li ha ringraziati e in modo piú che sincero, perché hanno passato la giornata a cercare di risollevargli il morale, prima Liam e poi Niall, ma è più felice del fatto di essere solo... Anche se la solitudine può essere letale, di questo Harry è al corrente.

Liam è entrato in camera sua verso mezzogiorno, allarmato dal fatto che non si fosse fatto vedere. A dirla tutta, nessuno si era ancora fatto vivo, a quell'ora, perché sono andati tutti a dormire all'alba o poco prima, ma il maggiore covava dentro di sé fin troppa ansia nei confronti di ciò che fosse successo a Harry, dopo averlo visto raggiungere Louis e non tornare più in cucina da loro. Gli ha lasciato la sua privacy e il suo libero arbitrio, ma Liam ci tiene ai suoi ragazzi e non ha potuto evitare un tentativo... Che si è rivelato sensato, perché ha trovato Harry appallottolato sul pavimento, con le guance rosse e gli occhi gonfi. Uno spettacolo deprimente.

Niall ha invece aspettato che l'altro se ne fosse andato per apparire sul suo letto, in pieno pomeriggio, visibilmente rincoglionito dalle strane ore di sonno. E il suo stupido sorriso ha lasciato il posto a uno sguardo allarmato subito dopo aver visto quello devastato dal pianto di Harry. Un po' come Harry è rimasto sconvolto dall'interesse che Niall ha dimostrato nei confronti del suo stato d'animo, proprio come un vero amico, ecco.

Inutile ricordare ciò che gli hanno chiesto, detto e consigliato; le parole gli sono entrate da un orecchio e uscite dall'altro. Ha apprezzato ogni lettera e ogni loro suono, ma niente di più.

Nulla da parte di Zayn, né tantomendo da Louis.

Ora Harry sta dondolando avanti e indietro, le gambe raccolte contro il corpo e il mento poggiato sulle ginocchia, da una decina di minuti buoni. È sul confine della pazzia: ha voglia di dondolare, di continuare a farlo, perché è sicuro che così facendo tutto verrá spazzato via, allontanato dal suo corpo dal ritmico movimento che si ostina a compiere da troppo tempo. Ha cominciato anche a girargli la testa, ma non gli importa. Può sopportarlo, se gli assicurerà un po' di pace, anche giusto un assaggio.

Il suo cervello è uno schedario senza più un ordine, in cui tutte le cartelle sono state gettate alla rinfusa, stropicciate e abbandonate a loro stesse; le lacrime che non ha mai veramente smesso di versare, riprendono a scorgare dai suoi occhi e a scivolargli sulle guance, inarrestabili e divertite dalla sua sofferenza. Sente di aver bisogno di piangere, in quel modo intenso e reale, pieno di singhiozzi, versi soffocati e grida di dolore... Ma non ci riesce, perché c'è qualcosa di cattivo che glielo impedisce. Lo sta facendo sin dall'inizio, guardandolo con occhi torvi e scuotendo la testa, perché non può davvero permettergli di abbassarsi a tanto, di arrivare a piangere disperato per Louis Tomlinson e per l'ennesimo colpo nella schiena subito.

È possibile che questo faccia più male del resto? Harry ha sopportato dolori inimmaginabili, ma gli sembra di non aver mai sofferto veramente come sta facendo ora. Perché questo è un male interiore, quasi spirituale, che gli ha afferrato il cuore e glielo ha strappato perfettamente a metà, lasciandoglielo nella cassa toracica così che potesse essere cosciente di possederlo ancora, anche se rotto, sanguinante e inservibile.

È un dolore acuto, che parte dalle parti più profonde del suo corpo e che a breve lo ucciderà.

Era finalmente arrivato a sorridere, a essere quantomeno fiero e soddisfatto di se stesso, dopo aver combattuto con Niall... Si era incastrato un pezzo, dopo quello scontro, e la felicità era arrivata a colmargli il cuore.

Ma Louis non gli ha lasciato scampo e l'ha ricacciato a forza nel suo buco buio, in una condizione più patetica e dolorosa della precedente.

Harry non crede di potersi risollevare, questa volta.

Non da solo.

Un ragazzino come lui segue i propri sentimenti, giusto? Ed ecco dove l'hanno portato. Ma nella sua poca esperienza e con i suoi ragionamenti infantili, arriva in qualche modo alla conclusione di aver commesso un errore e di poter rimediare, facendo la stessa cosa in maniera leggermente diversa. Alzando il capo e ostentando fiducia.

Harry non alza il capo e non ostenta nulla, perché avviene tutto dentro di lui.

«Devi aiutarmi» sussurra, con la fronte premuta contro il ginocchio destro, che colpisce con forza, quasi il lieve dolore del colpo potesse aiutarlo a sentire nella confusione attuale della sua esistenza.

Invoca un aiuto pericoloso, certo di non avere altra scelta se non questa.

Non voglio più soffrire... Non posso più soffrire, né a causa tua, né sua. Harry tira un'altra testata a se stesso. Aiutami.

E il suo innocente e disperato richiamo viene ascoltato.

Non può ricevere una risposta concreta, lo sa, ma spera almeno di poterla avvertire nel corpo, perché lei non gli ha mai negato delle sensazioni, belle o brutte che fossero. È ciò che gli serve adesso e spera che non lo deluda.

La telecinesi non ha voce, questo Harry lo sa, ma ha orecchie e mani e determinazione; ha una forma simile a quella di un infido serpente che striscia dentro di lui, invisibile, capace di passare attraverso ossa e organi. Lo afferra per come le è possibile e cattura la sua attenzione, schiaffeggiandolo con forza e ricordandogli che sono sempre stati lui e lei, loro due da soli contro le avversità. È colpa della sua parte umana se stanno soffrendo; ha scelto di allontanare il potere per potersi godere un momento di insulsi sentimenti umani con Louis. Glielo rinfaccia e lo colpevolizza, ma Harry sa che è ciò che si merita e ascolta, sempre con la testa abbassata e dondolando; ascolta le sue parole sibilate nel buio e si ritrova ad annuire impercettibilmente, sicuro che abbia ragione e che non resti altro da fare. Per quanto possa spaventarlo e intimorirlo, non deve temere, perché lei sarà con lui, lei è parte di lui, e lei non lo farà mai più soffrire, né gli farà provare un dolore come quello che sta provando ora.

Sono promesse che sente rimbombare nel petto e che potrebbe essersi fatto da solo, ma non ha davvero importanza.

Ci crede. Ci crede ciecamente e, nel farlo, si dimentica di tutti... Quasi non ricorda più nemmeno i loro nomi.

Harry alza di scatto la testa dalle proprie ginocchia e dallo scudo delle sue braccia e smette di dondolare, come se fosse stato appena premuto il pulsante di STOP. Cala un silenzio assordante, innaturale; gli fischia nelle orecchie e gli annebbia la vista, ma lui sembra non accorgersene.

Lo sai. Lo sai, amico mio.

Sa qual è il posto giusto per lui.

Non può dire di averlo sempre saputo, perché il mormorio è appena cominciato, ma adesso si sente così bene, con se stesso e con lei, da non avere dubbi al riguardo. Non sa nemmeno dove deve andare. Non concretamente, nel senso che non conosce la strada, ma sa – in qualche strano modo – che una volta fuori comincerà a muoversi e percorrerà la strada senza pensare nemmeno per un momento al fatto di non sapere dove si sta dirigendo.

Harry, l'adorabile e impaurito Harry Styles, rivolge uno sguardo allo specchio appeso alla parete e il mormorio aumenta. Abbandona la presa sulle proprie gambe e scende dal letto, con una lentezza inquietante. Arriva di fronte al suo stesso riflesso muovendosi come una fantasma, senza che i suoi passi emettano un suono. E guarda se stesso, con un sorriso che va colorandogli le labbra, imprigionato nella cornice di legno; solleva appena il mento, inclina la testa da una parte e dall'altra, ammirandosi e lasciandosi sfuggire l'accenno di una risata. Le sue iridi si colorano lentamente di un verde più scuro, nota affascinato, fino a raggiungere un tono cupo, e buio... E nero. Quando i suoi occhi diventano completamente neri, Harry ammira il proprio cambiamento con curiosità, domandandosi se non sia fin troppo terrificante.

A me piace. Ti dona.

Non gli dispiace. Non c'è il minimo tocco di colore nel suo sguardo ed è abbastanza affascinante. È buio, e cattivo, e pensa di essersi già abituato al cambiamento.

«Mi piace. Devo ammettere che mi piace molto.»

Harry spalanca improvvisamente la finestra con uno scatto della mano destra, lasciando che le imposte sbattano contro il muro esterno. Non ha rivolto uno sguardo di troppo all'azione, né ci ha davvero pensato. Ed è fantastico, vero? È meraviglioso.

Si porta di fronte alla corrente fresca. Si è alzato un leggero venticello, abbastanza freddo perché il suo corpo venga scosso da un brivido per l'improvviso cambio di temperatura. Osserva la luna alta nel cielo, una lampadina nel buio puntellato di stelle; le luci si riflettono nei cerchi neri che ha ora al posto dei suoi bellissimi occhi verdi. Sale sul traverso inferiore della finestra, mantenendo l'equilibrio aggrappandosi a quello superiore; si sporge leggermente in avanti, chiudendo gli occhi a un'altra ventata di aria gelida e, in una parte ancora razionale della sua mente, si chiede se non sia lui la causa di queste improvvise correnti d'aria.

Guarda il giardino, dondolandosi nel vuoto e sorridendo.

L'hai già fatto una volta. Usami su te stesso e vola... Non riusciresti ad andartene se dovessi farlo a piedi. E gli allarmi non suoneranno, perché tu sei registrato. Ricordati—

«Lo so. Lo so.»

Nel cuore della notte, Harry salta dalla propria finestra. Durante un terrificante secondo, prova la sensazione di precipitare verso il terreno, ma riesce ad acquistare il controllo del suo stesso corpo. Traballa, guardando dubbioso l'erba scura sotto di lui, e prende un profondo respiro nel tentativo di sollevarsi di qualche centimetro nell'aria. Ci riesce, come riesce senza problemi a spingersi in avanti, sempre più forte e sempre più veloce.

Abbandona casa sua senza niente che gli faccia provare il desiderio di tornare indietro, lasciandosi finalmente scappare la risata che teneva bloccata nel fondo della gola.

Solo che sa di non essere lui a ridere, ma la sua telecinesi.

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