V. It's something you created
Ora come ora, Harry non sa se essere felice del terreno di gioco a lui capitato, o solo deluso. Causerebbe danni maggiori in casa, no? È un bene che quella sia toccata a Niall, no? Non riesce a dare a se stesso un risposta che suoni abbastanza convincente.
Può solo accettare a testa bassa e procedere.
Si è allenato così tante volte nel loro immenso giardino da ricordare ogni singolo danno che ha causato. Lo definirebbe più come un campo da calcio – dotato di telecamere e di rilevatori di movimento, attività termica ed energie sovrannaturali; di armi nascoste che reagiscono tempestivamente alle presenze estranee e di altre cose abbastanza forti riguardo il riconoscimento facciale o chicchessia. Ma dettagli. Ricorda alla perfezione l'albero che ha sradicato e poi rimesso a posto al contrario; il masso con cui ha quasi ucciso Niall; il punto esatto in cui ha spostato il terreno e rischiato di finire sotterrato vivo; la collinetta da lui stesso creata mentre tentava di staccare uno stelo d'erba. E molto altro.
Ricorda ogni suo fallimento.
Harry segue Louis, strisciando i piedi sul prato e sperando che il suo stato emotivo venga percepito dal maggiore. Ma quello continua spedito, incurante, fino a fermarsi in un punto che non sembra avere nulla di speciale e voltarsi verso di lui. Ha i capelli scompigliati, il ciuffo che gli ricade sugli occhi, quel suo sguardo furbo e tremendamente stronzo e il sorrisino... Il sorrisino che Harry odia e ama.
La Leggenda non dice nulla, resta solo a osservarlo con interesse. Poi gli volta le spalle e riprende a camminare.
Harry sta per seguirlo, ma l'altro alza una mano e lui si arresta, confuso.
Quando Louis si ferma e si volta di nuovo, c'è una notevole distanza tra di loro. «Visualizza il tuo potere.» Non urla: il suo tono è fermo e controllato.
Il minore sta per farfugliare degli interrogativi, quando l'altro ricomincia a muoversi, senza perderlo di vista. E allora capisce che sta camminando in cerchio, intorno a lui, sempre mantenendo lo stesso raggio.
Liam non ha mai fatto una cosa del genere; Liam gli sta sempre accanto, pronto a intervenire.
«Visualizza il tuo potere, matricola» Louis ripete, sottolineando il nomignolo.
Non smette di girare; si trova a circa dieci metri di distanza – Harry non sa dire di preciso se sia casuale, o se dovuto al timore di essere centrato in pieno dalla sua incapacità.
Tomlinson è un esperto del mestiere, un maestro, quindi non è possibile che si tratti della seconda opzione.
«Harry.»
Il suo nome risuona per tutto il vasto campo, in una nota più forte, irritata, colpendolo con la perfezione della voce di Louis.
Potrebbe ascoltarlo in eterno. Se solo non si trovassero nella situazione in cui sfortunatamente si trovano, pensa che implorerebbe Louis di cantargli qualcosa, o di parlargli; pensa si inginocchierebbe, rendendosi ridicolo, al solo scopo di sentire il ragazzo rivolgersi a lui, solo ed esclusivamente a lui. Anche ora lo sta facendo, ma non è la stessa cosa: Harry avverte il fastidio dato dal fatto che Louis lo sta solo allenando perché qualcun altro gliel'ha chiesto. Non c'è niente di intimo, o romantico, o sufficientemente carico di trasporto da fargli girare la testa. Ok, la sua testa sembra una trottola impazzita e sente le farfalle nello stomaco, ma sono cose che gli capitano sempre, anche mentre si ferma ad ammirare un Louis intrappolato nello schermo della televisione o nel rettangolo del computer. Lui riesce a fargli sempre un certo effetto, quindi non sa se ci tiene davvero a sperimentare cosa succederebbe nel caso in cui, il loro, diventasse altro oltre a un rapporto maestro–allievo.
Di sicuro non si lamenterebbe.
«Styles. Concentrati.»
E Harry torna alla realtá.
«Immagina che sia un'estensione del tuo corpo» Louis dice, fermandosi un solo istante per guardarlo e poi riprendendo a camminare.
Il riccio smette di inseguire pensieri che contribuiscono solo a distrarlo – si impone di abbandonarli, perché sa di star innervosendo l'altro ragazzo – e chiude gli occhi. L'ansia di non poter controllare gli spostamenti dei Louis gli fa mancare il fiato.
Quando non sente altro che agitazione, in ogni minuscolo angolo del corpo, «Non ci riesco» piagnucola, vergognandosene subito dopo.
Per un po', Louis non parla. Il silenzio è peggiore di tutto il resto, ma Harry resiste all'impulso di alzare le palpebre.
«Perché?»
Quasi cade: la voce di Louis è spaventosamente vicina. È tentato di affermare che il ragazzo si trova a neanche un metro da lui.
«Perché, a u-un certo punto, non lo sento p-più» Harry balbetta. «Ne perdo il controllo. Scompare e... N-Non so che cosa devo fare.»
Uno spostamento d'aria.
La curiosità gli fa formicolare le dita dei piedi.
Sta per chiamarlo, per accertarsi di non essere rimasto solo come un coglione, quando qualcosa gli sfiora una spalla e Harry balza in aria. A quel punto, apre gli occhi e smette di respirare non appena vede quelli di Louis a un niente dai suoi. E sono belli. Sono così maledettamente azzurri e la vita è uno schifo, decisamente.
Ma poi, «Tu sei felice di non essere umano?» Louis se ne esce con questa domanda, di punto in bianco.
A Harry ci vuole qualche istante per capire l'interrogativo. «Cosa?» Ma non lo capisce comunque.
«Rispondi.»
«Cosa c'entra questo?»
«Harry.»
Il riccio fissa il maggiore in cagnesco. Cercare di farsi piccolo piccolo, sarebbe dovuta essere la sua scontata reazione. Invece, lì, al centro di un cerchio immaginario creato dalla Leggenda, riesce solo a guardarlo e a provare un sentimento strano e nuovo nei suoi confronti, qualcosa che definirebbe come fastidio. Perché Louis si sta comportando da antipatico e a Harry importa davvero poco di avere a che fare con la sua più grande fissazione sessuale se, la suddetta, sembra fare di tutto per farsi detestare. Ok, glielo concede: lui è impegnativo, inesperto e ama piangersi addosso, quando si tocca l'argomento superpoteri; è emotivo e riesce ad apprezzare solo ed esclusivamente Liam, perché è l'unico che lo compatisce e che non insiste mai troppo. Ma Louis ha alle spalle oltre cent'anni di esperienza! Che cavolo pretende da lui? Che sposti la casa dalle sue fondamenta e che poi ce la rimetta come se niente fosse?
Harry inspira profondamente. Sente quella tensione così familiare scorrergli in ogni angolo del corpo, pronta a fare danni. Strizza le palpebre e stringe le mani a pugno, per poi distendere le dita nel tentativo di rilassarsi, di controllare se stesso. L'ultima cosa che vuole fare, è una scenata, specie in presenza di Louis Tomlinson.
Espira, poi apre gli occhi, guardando l'erba verde sotto i suoi piedi. «No» sussurra. «Non ho mai voluto essere come voi.» Deve essere la prima volta in cui riesce ad ammetterlo ad alta voce; non può dire che sia liberatorio o simili, perché non cambia nulla. Assolutamente nulla. «Non mi piace l'idea di non poter crescere, o di essere diverso. Vedo tutte le responsabilità che gravano sulle spalle di Liam... E mi spaventano.»
Silenzio, per i successivi due minuti. Un silenzio che pesa sulle spalle di Harry come un masso, mentre prova un improvviso senso di vergogna per ciò che ha appena detto. È come se avesse mancato di rispetto a ciò che fa Louis, a ciò che fanno tutte le persone come Louis. A ciò che lui stesso dovrà un giorno fare. Sa benissimo che c'è del bene, in tutto quello, ma ancora non riesce a vederlo. Gli risulta semplice pensare solo agli aspetti negativi, al fatto che gli è stata strappata via l'adolescenza, al fatto che non pensa rivedrà più la sua famiglia e alla paura che prova quando—
«Lo immaginavo.»
Harry alza di scatto la testa e guarda Louis. «Come?» chiede, confuso, non certo di aver capito bene.
«Avevo il tuo stesso problema, all'inizio» Louis dice, alzando leggermente il capo e lasciando correre lo sguardo. «Ho pensato anche di suicidarmi, pensa... L'avrei fatto, piuttosto che vivere così.»
Adesso Harry è completamente senza parole.
Louis è il ritratto del supereroe: è sempre così a suo agio, in qualsiasi cosa faccia, ed è ovunque serva il suo aiuto. Non potrebbe essere più perfetto di quanto non lo sia nei momenti in cui è impegnato a salvare il Mondo, in compagnia della sua meravigliosa compagna d'armi: l'acqua. Gli è impossibile credere che sia esistito un tempo in cui Louis è stato avverso al suo stesso dono. O in cui pensava addirittura di uccidersi a causa di quello.
«Davvero?» Harry riesce finalmente a domandare, la voce intrisa di stupore.
E Louis gli rivolge un sorriso sarcastico. «Ho visto la mia famiglia invecchiare e morire, Harry. Non ti dirò che la tua paura è stupida e infondata, perché nessuno dovrebbe vivere nulla del genere fingendo gratitudine.»
«Io non—La mia non è paura» bisbiglia Harry, più a se stesso che all'altro ragazzo, scuotendo appena la testa.
«Sicuro?»
«Sì.»
La paura è altro. Non è paura, ciò che prova lui. Harry prova tantissime emozioni, soprattutto quando sente la telecinesi scorrergli nelle vene alla massima potenza, ma non c'entra assolutamente niente la paura.
Sostiene lo sguardo di Louis senza alcun segno di incertezza, sicuro di non avere niente da nascondere.
«Bene, allora!» esclama all'improvviso il maggiore. «Sposta questa massa d'acqua.»
Harry vorrebbe chiedergli di che accidenti sta parlando, quando nota il luccichio nelle pupille di Louis.
È come se la sentisse – scorrere attraverso Louis, impadronirsi di lui, sfruttarlo per prendere vita, generandosi dalla sua stessa capacità di chiedere che lei arrivi. Da dove, non sa dirlo. Come, nemmeno. Ma lo fa: una bolla d'acqua, perfettamente circolare, si sprigiona a cinque centimetri di distanza dalle mani del castano, fluttuante nell'aria, schizzando appena gocce cristalline.
E non è nulla, assolutamente nulla, ma Harry sbarra gli occhi e resta incantato a guardarla.
Louis alza lo sguardo e la massa liquida non si muove; lei resta lì, ubbidiente, quasi fosse in attesa di qualcosa.
Harry è sconvolto. «Io—E come faccio?»
«Con la tua stessa capacità.»
«Ma—»
«Cosa.»
Sa di star facendo spazientire Louis... Ma no. Assolutamente e totalmente no. Non ha intenzione di cercare un contatto con qualcosa creato da lui, di tentare di muoverlo nello spazio e chinarlo al suo volere.
«Non è un oggetto. È qualcosa che hai creato tu.»
Se Louis cova nel profondo il desiderio di strozzarlo, non lo dà a vedere. Pazienta e chiude di scatto la mano sinistra, distruggendo la perfezione della sua piccola bolla e lasciando che l'acqua cada a terra, schizzando le loro scarpe. Il tutto, senza staccare gli occhi da Harry.
«Ok, allora sposta questo sasso.»
Harry spera che non stia facendo tutto ciò per farlo sentire ancora di più una nullità.
Sempre senza staccargli gli occhi di dosso, Louis compie un gesto con la mano destra, agitandola appena in un movimento semicircolare. Un piccolo getto d'acqua sbuca dal terreno e, un sasso più o meno delle dimensioni del suo pugno, arriva all'altezza del volto di Harry, trasportato dall'ubbidiente alleata della Leggenda.
Dio. Ma mi prendi in giro?
«M-Ma... Io non—Finirei col fare qualcosa di sbagliato, Louis.»
«Se non provi, non lo saprai mai» sibila l'altro. «Pensi che mi farebbe male essere colpito da un sasso? Mi sono capitate cose molto peggiori, Harry. E, se vogliamo evitare di tirare in ballo le stronzate che ho dovuto subire sul campo, posso benissimo dirti che il mio culo ha preso fuoco più di una volta nel periodo in cui Zayn e io eravamo sotto allenamento.» È il discorso più lungo che Harry abbia sentito fare da Louis. «Non credere che sia fatto di porcellana, matricola: questo maledetto sasso mi farebbe solo crescere un bel livido... Sempre che riesca a colpirmi prima che possa farlo io.»
«C-Come?»
«Prova a muovere questo fottuto sasso.»
L'acqua che regge la pietra continua a schizzare fuori dalla terra come se fosse un geyser in miniatura – il geyser personale di Louis. Harry la guarda con timore, quasi potesse muoversi improvvisamente e colpirlo alla testa con tutta la forza a sua disposizione. Vede anche gli occhi di Louis, in uno sguardo freddo e determinato che non ammette più repliche.
Ed è lì. La sua telecinesi è lì, nascosta in un punto indefinito del suo cervello, in attesa che lui la chiami, la inviti a esplodere con tutta l'energia che nasconde dentro di sé. Perché Harry non è stupido, ok? Lo sa che c'è una riserva indefinita, dentro di lui, una forza che aspetta solo di uscire ed eseguire i suoi ordini. Solo che non la sa controllare e finirebbe solo col lanciarla verso le prime cose che gli capiterebbero a tiro, senza una logica e senza delle minime regole per evitare i disastri che già conosce e che già sa accadrebbero.
Ma non crede che Louis lo asseconderà oltre.
Harry inspira a pieni polmoni, espirando subito dopo; focalizza il proprio respiro come se fosse una massa di tensione in procinto di abbandonare il suo corpo. Cerca di fare come gli ha spiegato Liam, di lasciare che tutti i sentimenti negativi e fuorvianti se ne vadano e lo lascino in pace, per essere in grado di agire con una mente sgombra. Avverte il tremolio nelle gambe e i pensieri che tentano di fuggire in tutte le direzioni; ferma il primo e zittisce i secondi, tappando loro la bocca e trattenendoli nella gabbia che, sempre Liam, gli ha detto di creare per loro. Deve immaginare che siano lì dentro, intrappolati, incapaci di disturbarlo.
Strizza gli occhi e li riapre, puntandoli sul sasso perfettamente levigato di fronte a lui; l'acqua che lo tiene sollevato da terra continua a scorrere, in un flusso regolare che gli impedisce di cascare a terra. E ondeggia, in su e in giù. Su e giù. Harry si concentra su quel movimento, mentre la chiama; le permette di avanzare, con molta calma, prima di decidersi a lasciarla uscire. Crea un collegamento con l'oggetto, immaginandolo, fluttuante nell'aria, totalmente schiavo del suo volere e legato alla sua mente – da un filo invisibile che deve riuscire a focalizzare, per permettere a se stesso di controllarlo, di non lasciarlo scappare in una direzione indesiderata.
E Harry lo fa.
Contemporaneamente al momento in cui decide che il sasso può sollevarsi senza problemi e ubbidirgli, quello inizia a tremare, schizzando gocce d'acqua tutt'intorno. Gli occhi del ragazzo si fissano, due iridi verdi luminose e determinate a controllare tutto con la loro forza; seguono il lento ascendere della pietra, il suo staccarsi dal piccolo flusso d'acqua che, come soddisfatto, si interrompe all'improvviso, sparendo nel terreno umido.
Harry non vede più Louis, fermo di fronte a lui, in religioso silenzio di fronte al potere della telecinesi che agisce su un'innocua pietra. Harry non vede più niente che non sia quell'oggetto inanimato che tanto gli sta costando. Il sudore comincia a colargli sulla fronte; il caldo sale dalle gambe e si impadronisce del suo corpo; la concentrazione è alle stelle, occupa ogni millimetro del suo essere e lo tiene ancorato a un sasso che potrebbe schizzare via, fuori controllo, a una sua minima distrazione.
Ma non succede.
Harry non perde la concentrazione. Riesce a trasportare l'oggetto a molti metri di distanza dal suolo, prima di stendere il braccio destro, il palmo della mano sollevato, e condurre la pietra nuovamente in basso, in una delicata discesa che non registra nessun tentennamento. La lascia cadere nella sua mano e richiama i fili invisibili del suo potere a sé, come tante piccole corde strattonate all'indietro. Le sente strisciare all'interno del suo corpo e raffreddarsi, calmare il calore che si era acceso fin nelle sue ossa. Harry percepisce le proprie orecchie ritornare a sentire, come se prima non ne fossero state in grado e avessero impedito a qualsiasi suono di oltrepassare i loro muri. Il respiro riprende; le gambe abbandonano la loro dolorosa rigidità; le braccia gli cadono lungo i fianchi; e Harry sbatte insistentemente le palpebre, cercando di ragionare, certo di sentirsi come se avesse compiuto qualcosa di straordinario, di nuovo.
Ha già provato a spostare i più svariati oggetti... Ma, questa volta, è stato diverso. Più intenso, più preciso e più consapevole di cosa fare e non fare.
Continua a inspirare ed espirare con urgenza, come se gli mancasse l'aria. Lascia cadere il sasso a terra e, finalmente, alza gli occhi lucidi su Louis, un Louis che lo sta osservando a braccia incrociate, mento leggermente sollevato e sorrisino soddisfatto.
È un sorrisino chiaramente soddisfatto, quello.
Nessuno dei due apre bocca per minuti interminabili.
Poi, la Leggenda parla. «Facciamo due passi.» Non è una domanda, ma un'affermazione.
Harry può solo seguirlo, ancora scosso dall'esercizio appena svolto.
Il Sole si intravede ancora splendente all'orizzonte. Il bello della stagione estiva, è che quella chiara, calda e piacevole luce persiste fino a sera, modificando la percezione dell'ora corrente. Nessuno dei due è consapevole del fatto che siano quasi le 20:00; i pensieri impediscono loro di concentrarsi sulla fame.
«Ascoltami bene, Harry.» Stanno camminando senza una direzione precisa. Forse Louis sta seguendo il contorno degli alberi, oppure no – non è davvero importante. «Tu hai un potere mentale incredibilmente forte, di cui conosci solo le minime potenzialità» il ragazzo comincia, le suole delle scarpe che calpestano l'erba e che si muovono senza fretta. «Credi che io abbia cominciato creando onde alte dieci metri? O spostando e controllando masse d'acqua a mio piacimento? No, certo che no. Ero appena in grado di deviare un corso, all'inizio. Pensa che mi allenavo rovesciando bicchieri e cercando di modificare il tragitto dell'acqua.» Louis ride al ricordo, rivolgendo a Harry un'espressione amichevole... Sì, proprio uno di quei sorrisi allegri e spensierati che si ricevono normalmente dai propri migliori amici, quando questi cercano di riparare orgogli frantumati, sollevare umori e cancellare torti subiti.
«Davvero?»
«Già. Ci passavo le giornate. Era noioso, e snervante, e mi demoralizzava. Ma ho cominciato in quel modo. E adesso sono qui.»
Ad addestrare un novellino incapace.
Harry si chiede se l'altro stia provando l'odio che immagina si possa provare nei suoi confronti, nei confronti di qualcuno che ti distrae dai tuoi doveri per correggere mancanze che non dovrebbero esistere.
«Hai mai osservato che i nostri poteri sono molto simili?»
«No... Insomma—No.» Harry scalcia un sassolino con la punta della scarpa e nota che sono arrivati quasi al lato Sud Est del giardino. Sono vicini alla siepe perfettamente curata che circonda la casa, la terza delle loro tre recinzioni: una siepe di un bel verde scuro, del filo spinato e poi un perimetro in ferro battuto, alto non pochi metri. Ecco cosa si è ritenuto opportuno installare per mettere in sicurezza la casa.
«Ti informo che è così, invece» Louis afferma, avanzando lungo la striscia verde. «Entrambe le nostre capacità fanno parte di un gruppo molto più vasto, la psicocinesi. Siamo dotati di un potere paranormale che ci permette di agire sull'ambiente intorno a noi, manipolando attraverso la mente.»
Come a volerlo dimostrare, Louis chiude di scatto la mano destra e, le gocce evidentemente rimaste sulle foglie dopo l'ultimo ciclo di irrigazione, schizzano fuori dalla siepe e li investono, in un'ammirevole e improvvisa doccia fredda. Harry non sa se imprecare o permettersi di esclamare la sua ammirazione per ciò che Louis ha appena fatto. Nel dubbio, decide di scuotere i propri ricci, per levare di torno l'acqua in eccesso.
Louis ridacchia e prosegue. «Il concetto generale è questo, solo che poi dobbiamo chiarire che la tua è un'attività su larga scala, conosciuta come telecinesi, per cui puoi fare tutto quello che vuoi agli oggetti intorno a te. Ma non solo.» Louis sottolinea, usando un tono di voce più serio e cupo. «Harry, potresti prendere questa casa e metterla gambe all'aria, se lo volessi. Come potresti prendere il controllo del mio corpo, o di qualsiasi corpo vivente a tua scelta, e farne ciò che preferisci... Anche spezzarlo.»
Harry sgrana gli occhi. «Oh, no... Io—No, non penso proprio che ne sarei capace. Io—»
«Oh, credimi: ne sarai capace» il maggiore dice, inclinando appena il capo e assottigliando lo sguardo.
Harry si rende improvvisamente conto che è passato troppo tempo dall'ultima volta in cui si è fermato a pensare a quanto Louis sia bello. Ok, è stato distratto da altro – poteri e sassi e mente e quant'altro –, ma non può permettersi di trattare la cosa come se fosse normale amministrazione, come se trovarsi a mezzo metro da Louis Tomlinson sia normale amministrazione.
«Ti svelo un segreto che ti farà piacere sapere: parte del mio potere, l'idrocinesi, deriva direttamente dalla tua telecinesi.»
Bene. Magnifico. Svolta interessante.
«Non mi azzardo nel dire che l'idrocinesi ne sia dipendente. Ti sto facendo un discorso che deve sempre tenere presente le singole personalità. Se avessimo in esame qualcuno in grado soltanto di spingere l'acqua contenuta in un bicchiere a schizzarne fuori, si tratterebbe di un potere minore, quasi ridicolo, che verrebbe classificato come pura branchia della telecinesi. Io, dal canto mio, potrei decidere di servirmi dell'Oceano Atlantico per spazzare via mezzo pianeta, perché come te sono dotato di un potere enorme.» Gli piace il modo in cui Louis parla, rapito dalle sue stesse parole, per nulla arrogante e pratico degli argomenti di cui sta trattando. «Non so dirti se la differenza è data dall'allenamento, o da noi come esseri sovrannaturali. Il punto è che l'una deriva dall'altra, ma, nel mio singolo caso, non ho molto da invidiare all'amica telecinesi. Idrocinesi a parte, l'acqua è la mia stessa essenza e posso crearla in quantità smisurata solo pensandoci, consapevole che lei scorre nelle mie vene.»
Louis distende entrambe le braccia in avanti e, piccoli rivoletti d'acqua cristallina, cominciano a scorrere lungo la sua pelle, creando una fitta rete molto simile al sistema sanguigno del corpo umano. Harry è stupefatto; non saprebbe dire da dove nasca l'acqua, ma potrebbe essere pronto a scommettere che la fonte sia davvero Louis. Si crea e scorre sulla sua pelle, seguendo un percorso che il ragazzo stesso le sta indicando, per poi cadere a terra, sparendo nel terreno.
Così semplice e allo stesso tempo impensabile... Qualcosa di straordinario.
Louis non arresta il continuo flusso sulle sue braccia, quando riprende il discorso e fissa Harry con maggiore intensità. «Potresti controllarla. Non credo tu sia in grado di crearla, ma di muoverla sì, ecco perché volevo che spostassi la massa d'acqua creata da me: per confermare questa ipotesi.»
Cosa?
«La tua capacità di agire sugli elementi che ti circondano, con la sola forza della mente, fa sforare il tuo stesso potere nell'idrocinesi, come nella geocinesi. O addirittura nell'aerocinesi e nella levitazione.» Louis scrolla le braccia e l'acqua si arresta, ubbidiente. «Sono certo che sei consapevole della tua capacità di agire su te stesso» dice, complice.
«Qui stiamo correndo un po' troppo, L-Louis.»
«Nah. Ti sto mettendo davanti a tutte le tue possibilità. Sei giovane e ancora devi capire se puoi fare questo o quello, ma non limitarti mai, Harry. Se c'è una cosa che devi imparare come superessere, è di non sottovalutarti mai.»
No, sul serio: si sta andando troppo oltre.
«Credo che tu mi stia sopravvalutando» sussurra Harry, più a se stesso che all'altro ragazzo. «Sono certo che Niall abbia fatto sparire Zayn, creato campi di forza e fatto cose sensazionali, nel tempo che io ho impiegato per sollevare un maledetto sasso.» Louis apre bocca per ribattere, ma Harry lo interrompe. «No. No, ok: ho capito il discorso e ti ringrazio per questo tuo tentativo di farmi sentire forte e speciale e pieno di poteri repressi, ma no. Ho fatto solo buchi nell'acqua, da quando sono qui, se non si considerano le uniche maledette volte in cui io sia stato in grado di fare qualcosa di quantomeno apprezzabile. E tutte hanno incluso urla, pianti e litigi deliranti tra Niall e me.» Harry si concede un attimo per riprendere fiato, poi prosegue. «Non sono portato per questa roba e non credo che lo sarò mai. Nemmeno tu, tu che sei la mia sacrosanta fissazione e un buon motivo per impegnarmi, penso saresti in grado di trasformarmi in una macchina telecinetica ad alta capacità esecutiva.» Ora il tono di Harry è al limite delle urla. «E non so nemmeno che cavolo sto dicendo, ma fa così caldo e mi sento così stanco di fallire e così stupido, perché Liam ha dovuto chiedere aiuto per aiutarmi. Lo so che tu sei qui per me, soprattutto per me, perché sono un dannatissimo problema che necessita di essere risolto!»
Anche gli animali si sono zittiti; il dolce cinguettare degli uccellini ha lasciato spazio a un silenzio pesante, di quelli che penetrano nelle ossa e provocano solo inquietudine. L'unico suono, appena percepibile, è quello del respiro di Harry, che scivola fuori dalle sue labbra senza sosta, traducendo il folle movimento del suo petto.
Louis lo sta guardando con curiosità – con un'espressione che non tradisce i suoi pensieri, a dire il vero, come se fosse maledettamente attratto da ciò che ha davanti e intrigato da esso. Si porta addirittura la mano destra al mento, accarezzandolo con pollice e indice, pensando, riflettendo su ciò che il minore gli ha appena sputato contro. Quindi sorride, abbassando il braccio e muovendo quello sinistro quasi in un gesto di invito, chinando appena il capo.
Harry lo fissa, confuso, poi l'occhio gli scappa su un foglia. È una foglia piccola e ancora di un bel verde accesso; deve essersi staccata dalla siepe, o da un albero. Non è davvero importante. Ciò che importa, è che la foglia sta fluttuando a pochi centimetri dalla sua guancia, così come stanno facendo tante altre, intorno a lui, insieme a sassi, rametti secchi, insetti e addirittura un piccolo pettirosso che il riccio fissa con gli occhi sbarrati. L'animaletto ha le ali spalancate, immobili, e muove gli occhietti in modo frenetico, incapace di comprendere che cosa sta accadendo.
Harry gira su se stesso, fissando quel macabro spettacolo di esseri inanimati e non, sospesi dal terreno, consapevole di esserne la causa.
«Come vedi, questo problema presenta una soluzione già in fase di sviluppo.»
La voce di Louis fa breccia nella sua testa come un fulmine a ciel sereno e Harry sobbalza, perdendo il controllo – che non credeva nemmeno di avere – sugli elementi intorno a sé. Tutto comincia a precipitare verso il suolo e lui, quasi raggiunto da un suggerimento, muove di scatto le braccia, stendendole e aprendo le mani, agganciando nuovamente tutto a se stesso un istante prima che colpisca il terreno. L'unica cosa che Harry lascia andare, è l'uccellino, che si allontana quasi strillando dal terrore.
È troppo impegnato in ciò che sta facendo per rendesi conto di aver scelto cosa controllare... Decine di sassi, rami, insetti e foglie sono legati a lui, ma è comunque stato in grado di decidere di non riacciuffare il pettirosso con la sua presa mentale.
L'ha scelto.
«Rimettili a terra, Harry» la voce di Louis dice, da qualche parte lontana, molto lontana. «Puoi farlo.»
E Harry lo fa, come se ne fosse sempre stato in grado. Comincia ad accovacciarsi, abbassando le braccia. Tutti i piccoli elementi sembrano ubbidirgli e lo seguono, in una delicata discesa verso l'erba, su cui si adagiano con delicatezza, senza che lui perda la concentrazione e senza che li faccia schiantare.
Harry lo fa e, quando richiama a sé il potere e lascia andare tutto, tornando a sentire i suoni, compreso il battito martellante del suo cuore, è come se un enorme macigno smettesse di pesare sulla sua testa.
Ce l'ho fatta... Oh, Gesù. Ce l'ho fatta!
Armato di un sorriso a trentadue denti, comincia a saltellare sul posto, agitando i pugni chiusi al cielo. Smette solo quando torna di fronte a Louis e si ricorda della sua presenza; lascia cadere le braccia e tossicchia, in imbarazzo. «Io—Ehm... Scusa» dice, grattandosi il retro del collo. «Non—È la prima volta che riesco a fare qualcosa del genere.»
«Ma non mi dire» ribatte sarcastico Louis.
Le guance di Harry assumono un'esilarante tonalità di rosa.
«Direi che per oggi mi hai dimostrato abbastanza, anche più di quanto tu stesso pensavi che saresti riuscito a fare» la Leggenda dice. «Penso che sia ora di andare a mettere qualcosa sotto i denti.»
Harry si guarda intorno e nota che il Sole è ormai definitivamente tramontato; il cielo ha cominciato ad assumere quei toni cupi della notte e pensa siano ormai le dieci di sera.
Ha perso la cognizione del tempo.
«Oh, sì... Ho—Adesso che ci penso, ho proprio una fame da lupi.»
Louis sogghigna e inizia a camminare in direzione della casa, tagliando il giardino diagonalmente. Harry resta un secondo di troppo a guardarlo, a osservare la sua esile figura avanzare nell'oscurità, la schiena dritta e le spalle larghe, di chi ha passato una vita a correre di qua e di là, salvando il Mondo.
Si rende conto che, nel suo osservare e pazientare, la Leggenda è stata in grado di insegnargli.
Ha compiuto qualcosa, questa sera, qualcosa che non era mai stato in grado di fare, a cui non aveva mai nemmeno pensato. Ma sa anche che è stata la rabbia ad accenderlo: la rabbia e le emozioni, quelle maledette che entrano sempre e immancabilmente in gioco quando litiga con Niall. Sono state le artefici del suo operato; si sono servite di lui per esplodere e prendere il controllo attraverso la telecinesi.
Loro sono la causa di tutto.
Vorrebbe chiedere a Louis se sia una cosa normale, se non sia motivo di preoccupazione questo suo essere accecato da sensazioni negative ogniqualvolta richiami il suo potere sovrannaturale a sé.
Ma pensa di averlo già impegnato a sufficienza, per oggi. Non è qualcosa di così importante da non poter aspettare qualche altro giorno per essere discusso, quandi tanto vale rimandare la cosa.
E fare finta di niente, nel frattempo.
Se sono le emozioni la chiave, il piccolo segreto, allora Harry deve imparare a servirsene e a controllare anche loro, così da non doversi nemmeno porre il problema di confrontarsi con altri.
Corre dietro a Louis e lo raggiunge. Ormai deve essersene fatto una ragione, della vicinanza, perché riesce a camminargli accanto senza lanciargli continue occhiate e senza tremare. Ok: qualche occhiata persiste, di tanto in tanto, e sente il proprio cuore sul punto di scoppiare, ma nessuno deve necessariamente saperlo.
Di certo non Louis.
Poi Harry si ricorda di quel Nemmeno tu, tu che sei la mia sacrosanta fissazione e un buon motivo per impegnarmi, che gli ha rivolto nel pieno di una crisi di nervi, e si tira mentalmente un colpo mortale in testa. Può solo pregare che Louis non ci abbia fatto caso.
Il minore tossisce nel pugno chiuso e infila poi le mani nelle tasche dei pantaloncini. «Louis?»
«Sì?» l'altro risponde.
«Prima hai usato il termine "superessere".» Harry conservava questa domanda in un cassetto leggermente socchiuso della sua testa. È un dettaglio che non si è lasciato sfuggire. «Perché? Insomma... Non ho mai sentito nessuno usare quella definizione.»
Non manca molto, a raggiungere la casa; la luce al pianterreno, quella della sala, è accesa, quindi Zayn e Niall devono aver finito a loro volta l'addestramento.
«Solo il tempo saprà dire da che parte starai, se la nostra, o la loro.» Il tono di voce della Leggenda assume una sfumatura cupa, quasi triste. «Io non giudico nessuno, Harry. Spesso i poteri hanno la meglio su lati di cui nemmeno sapevamo l'esistenza e, semplicemente, diventiamo cattivi» spiega, alludendo certamente a qualcosa – o qualcuno – di preciso. «Spero che non sarà il tuo caso, perché vedo grandi potenzialità in te.»
Harry volta il capo nella sua direzione e lo guarda – il profilo appena illuminato e gli occhi bassi, i pensieri rivolti a ciò che Harry deve aver involontariamente riportato a galla nella sua memoria, a eventi che Louis non sembra star ricordando con gioia.
Raggiungono il portico; salgono i pochi gradini e Louis ha già una mano sulla maniglia, quando Harry si schiarisce la voce e «Comunque... Ehm—Grazie» dice, con un filo di voce.
Il maggiore si volta.
L'ha guardato davvero poche volte, durante la giornata, con un vero sguardo che abbia implicato un collegamento tra i loro occhi, quindi Harry sente un tuffo al cuore, una sensazione che gli si irradia nel petto e che gli fa mancare il fiato. Anche nella quasi totale oscurità, gli occhi azzurri di Louis sembrano brillare, di una vitalità e di un'energia tutta loro, che ormai pensa di riuscire ad associare al ragazzo. Il suo sorrisino non è più quell'irritante distorsione delle labbra che si è visto rivolgere per tutto il giorno, ma qualcosa di vero, di sentito, che vuole farlo sorridere a sua volta.
E Harry lo fa, mordicchiandosi appena il labbro inferiore e ringraziando il buio per impedire a Louis di vedere il chiaro rossore sulle sue guance.
«È stato un piacere.»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top