La verità
Michael si svegliò di soprassalto. Era la terza notte consecutiva che faceva lo stesso sogno. C'era Kathy in una stanza scura dalle pareti spoglie e le sbarre alla finestra. La luce della luna filtrava disegnando ombre suadenti che si muovevano a ritmo col vento forte. Riusciva a distinguere le pareti di roccia viva e scivolosa e la porta di metallo rivestita con uno strano materiale gommoso. Kathy era sdraiata a terra su un materassino da ginnastica in posizione fetale, all'improvviso si trasformava in una torcia elettrica. Fulmini viola scattavano in ogni direzione senza controllo, le sue urla erano qualcosa di agghiacciante e di animale. Riusciva a sentire con vividezza quella scossa profonda che le penetrava fino alle ossa. Si passò una mano sulla fronte sudata. Di fianco a lui Josephine dormiva tranquilla.L'HyperLoop procedeva nella notte sbalzando leggermente di tanto. Si erano nuovamente inoltrati nelle tundra canadese.
Michael le accarezzò i capelli facendo attenzione al punto in cui li avevano rasati per metterle i punti: quella piccola mutante blu fuori controllo le aveva fatto un bel trauma cranico e un taglio profondo. Il fattore positivo di tutto ciò era che Josephine e lui ora potevano starsene liberamente in giro per il treno tutto il giorno. Si alzò dal letto e andò a lavarsi la faccia. Respirava a fondo per calmarsi. Quei sogni lo torturavano, lo torturava l'idea di non sapere se Kathy era viva o morta. Si ricordava le urla di Jacob Finnegan quando quelle onde elettriche si scatenavano la notte, non riusciva a pensare Kathy nella stessa situazione. Era stata una pazza ad iniettarsi il siero. Lo odiava talmente tanto da preferire mutarsi da sola pur di non seguirlo? Era questo a fargli così male. Prese un paio di pasticche e tornò in camera mettendosi seduto sul letto e aspettando che facessero effetto. Josephine spalancò gli occhi mugugnando: probabilmente la luce fredda del led del bagno l'aveva svegliata.
- che succede? - disse con la voce impastata, alzandosi lentamente e mettendosi una mano sulla testa. Si appoggiò seduta alla sponda del letto e lo guardò preoccupata. Michael si morse la lingua, ma fece segno con la testa che non ne voleva parlare.
- E dai! Devi dirmi qualcosa... A Kathy scommetto che lo diresti - insistette Josephine. Il confronto con la sua passata relazione (nemmeno iniziata per altro) veniva fuori sempre più spesso nei loro discorsi e finivano sempre per litigare. Era incomprensibile per Michael che Josephine fosse gelosa di Kathy. Lui e Josephine stavano insieme tutto il giorno, mangiavano insieme, dormivano insieme. Kathy invece l'aveva abbracciata una volta soltanto. Erano diverse, quello che provava per loro non era comparabile; eppure, Josephine sembrava sempre in gara col fantasma di Kathy. Non si può vincere coi fantasmi.
- Ti ho già detto che non devi dire il suo nome - sussurrò Michael.
- Perché? Che mi fai altrimenti? Sai una cosa? Siete proprio uguali voi due, pensate che tutto il mondo giri sempre attorno a voi, ma non è così che funziona. Anche lei era sempre li a fare la vittima: la povera ragazzina mutata, la povera ragazzina tradita, la povera ragazzina che vuole tornare a casa. Ho pregato Liv di starle lontano, di fregarsene di quello che Kathy diceva o faceva, ma lei era sempre lì a svilirsi e a preoccuparsi. Kathy non faceva più nulla per lei, se ne fregava tutto il tempo, sempre in giro con Tom ad amoreggiare, veniva a cercarla solo quando lui era impegnato. Era un'egoista. È colpa sua se siamo qui, anzi colpa vostra. Se tu e lei ve ne foste stati semplicemente buoni a scuola e tranquilli, non sarebbe successo nulla. Ma no... non potevate! E ora guardaci: mio fratello è morto, la scuola è distrutta e noi siamo stati mutati e ora siamo bloccati su questo folle treno diretti chissà dove! Non siete voi il centro del mondo! - replicò irritata Josephine.
- E chi sarebbe il centro del mondo? Saresti tu? - disse piccato Michael.
- Non sto dicendo questo. Sto dicendo che non puoi pretendere di essere l'unico con una storia travagliata e un futuro incerto. La maggior parte dei ragazzi su questo treno ha più diritto lamentarsi di te o di Kathy - intervenne Josephine.
- Hai del coraggio ragazzina a rivolgerti a me con questo tono - disse lui scostante.
- Scommetto che Kathy invece ti dava sempre ragione...- cantilenò Josephine. Michael prese d'istinto la lampada del comodino e la scagliò contro Josephine che riuscì ad evitarla per un pelo. Guardò terrorizzata il vetro temperato infrangersi sulla parete della carrozza ed esplodere in mille pezzi. Michael si guardò le mani tremanti e indietreggiò finendo giù dal letto sul pavimento freddo, si alzò in piedi e prese la porta, scappando nel corridoio. Josephine sbuffò e si perse a guardare i frammenti della lampada sparsi sul pavimento. Non era sopravvissuta per fare la donna delle pulizie. Si voltò dall'altra parte del letto e chiuse gli occhi cercando di calmarsi e di dormire.
Quando Liv vide Michael comparire dal buio quella notte nascose le mani tramanti nelle tasche della tuta e rimase a fissarlo. Quell'impudente ragazzo aveva distrutto la sua amicizia con Kathy, ora anche Josephine la detestava. Le aveva portato via anche l'ultima parvenza di vita che le rimaneva: meritava di soffrire, di piangere, di sentirsi quello che in realtà già sapeva di essere, uno scarto della specie umana.
- Susanna, dormi? - fece il ragazzo sedendosi accanto alla cella e cercando i suoi occhi nel buio. Susanna scoppiò a piangere. Si ritraeva al suo contatto come se avesse paura di lui. Incredibilmente lui sembrava soffrirne. Non veniva tutte le sere, ma veniva sempre quando era turbato. Quasi sembrava che volesse lui farsi consolare da Susanna: il che non aveva alcun senso.
- Susanna. Ti prego! Giuro, non voglio farti del male, voglio solo sapere come stai...- disse Michael. La sua voce si spense nel buio come una candela che lascia solo il fumo nella stanza. Liv guardò Jason che scuoteva la testa. Michael sembrava già molto teso, ma non voleva rimandare di nuovo. Lui poteva ucciderla, questo Liv lo sapeva. Forse anche lei poteva ucciderlo, in effetti. Forse la morte non le sembrava, in quel momento, la peggiori delle sorti dopo dieci giorni in una gabbia con sbarre che avrebbero trattenuto un elefante. Forse non era più umana, ormai: mutata, cambiata, resa pericolosa, come Michael. Scacciò il pensiero e le lacrime in gola. Non voleva pensare quello che aveva fatto a Josephine o alle sue compagne di prigionia. Tutto quello che era diventata, era colpa sua. Lui non aveva avuto pietà di Kathy, perché lei doveva averne ora con lui?
La verità è più tagliante di una lama, più dolorosa di un frammento di vetro, più velenosa di un serpente e intendeva usarla per strangolare quel bastardo, togliendogli l'aria pian piano, tirando quella corda centimetro dopo centimetro.
- Ha solo paura di essere diventata un mostro come te... o come me - disse Liv nel buio fissando terra.
- Tu non osare parlare, non ti perdonerò quello che hai fatto a Josephine! - disse Michael scattando verso di lei.
- Non è molto diverso da quello che hai fatto tu a Kathy - disse Liv. Vide la sua mascella irrigidirsi.
- Due volte...- le sembrava di tenere in mano quel pugnale e di spingere la lama dentro al suo cuore lentamente e una parte di lei non voleva fermarsi. Per la prima volta nella sua vita, sentiva il potere fluire nelle sue vene. Non aveva più paura di parlare, non aveva più paura di lui o di fargli male.
- Non dovete dire quel nome...- sussurrò Michael trattenendo a stento la rabbia tra i denti: tremava come una foglia.
- Un giorno, Josephine capirà di essere solo un ripiego e allora ti rifiuterà anche lei, come Kathy... come fanno tutte, come ha fatto tuo padre ... - sibilò Liv. Non voleva lasciare quella lama, sentiva di aver teso il cappio attorno al suo collo e ora non voleva ripensarci per mancanza di coraggio. Fosse anche quello l'ultimo istante della sua vita, lo doveva a Kathy, a Roxy, a Tom. E non ultimo, doveva salvare Josephine dalle spire di quel lurido serpente.
- Taci! Tu non sai nulla di me! - tuonò Michael strattonando le sbarre. Jason scattò in piedi. Liv era ancora immobile, seduta a terra. Sorrise col volto parzialmente coperto dal cappuccio.
- Oh, certo, io non ti conosco, ma ho sentito diverse chiacchiere su di te... su tuo padre... provenivano dalla bocca della tua amata dottoressa - disse Liv alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui. Jason cercò di trattenerla sporgendosi dalle sbarre, ma senza arrivarci. Susanna si era drizzata a sedere e li guardava entrambi trattenendo il fiato. Liv sciolse i capelli togliendosi quel cappuccio di dosso e rivelando il suo volto contratto.
- Il povero piccolo LWF malato... e suo padre che cerca di salvarlo per lenire il senso di colpa, di non avergli potuto dare la vita - disse Liv quasi sussurrando. Lo sentì fremere sfidandola. Liv non aveva paura di guardarlo negli occhi. La sorpresa disegnata sul suo viso voleva dire soltanto che il suo piano era buono e che non poteva fallire.
- Tu menti! - disse deciso Michael. Liv scoppiò a ridere. Un'onda di Michael squassò la cabina. A 400 km/h avrebbe fatto deragliare il treno. Jason lo sapeva bene, ma Liv era inarrestabile. Ormai non poteva più tornare indietro.
- Non sono io che ti sto mentendo e tu lo sai da molto tempo. Stanno analizzando il tuo DNA, la dottoressa Wolfe e Feltman, pensano che tu sia figlio di questo soggetto zero, un oro completo. Pensano che Susanna sia tua sorella e che tutti gli oro della scuola siano tuoi fratelli e siano stati generati dallo stesso seme. È questione di tempo. Molto presto sapremo se ho ragione, forse la risposta c'è già ... - aggiunse Liv voltandogli le spalle.
- Forse Kathy era tua sorella, da non credere, vero?! Peccato che tu l'abbia uccisa, troppo tardi per fare quel confronto. - sibilò Liv voltandosi verso di lui. I suoi occhi azzurri rilucevano di rabbia nella notte.
- ... però hai sempre Susanna! Per un genio come te, che ha inventato quella polvere magica, che ha fatto di me questo... Un confronto tra DNA dovrebbe essere una passeggiata. A meno che, in effetti, contando che di fatto non hai un solo gene di tuo padre, forse sei stato generato da un'imbecille, perché solo un'imbecille butterebbe all'aria tutta la sua vita per un capriccio - terminò Liv sicura. Kathy le aveva sempre parlato di lui come un genio della chimica, sperava di stuzzicare il suo orgoglio.
- Taci, ti ho detto! - tuonò Michael. Susanna si era alzata in piedi e indietreggiava nella sua cella.
- Perché vieni qui notte dopo notte? - disse invece Liv. Michael voltò il viso per mascherare le lacrime.
- Perché Susanna, comunque sia, ti ricorda Kathy più di quanto Josephine non te la ricorderà mai. In fondo tu lo sai che ho ragione, tu lo senti... sono le tue sorelle...- sussurrò Liv perdendosi a guardare la luna. Kathy sarebbe stata fiera di lei, di vederla affrontare le proprie paure, occhi negli occhi, lei che si vergognava anche solo a scrivere sul forum. Sarebbe stata fiera di sapere che non si era fatta piegare, che aveva fatto di tutto per ostacolare il piano della Wolfe e di Feltman. Sospirò, si ricompose e fissò Michael. Non era più vicino alla sua cella. Era appeso alle sbarre della cella di Susanna come se stesse per crollare da un momento all'altro. Quando si lasciò andare a terra, piangendo come un bambino, Susanna trovò infine il coraggio di avvicinarsi a lui e gli mise una mano sulla sua. Michael alzò gli occhi da terra.
- Io l'ho scoperto qualche mese dopo l'esame del DNA. Mio padre ha avuto un attacco di cuore. In ospedale mia madre mi ha lasciato in sala d'aspetto con la sua cartella per prendere una boccata d'aria. C'era scritto LWF: negativo. Non conosco la tua storia, ma conosco la mia. Mia madre ha confessato di essere andata in una clinica per la fertilità di Boston. Ero così arrabbiata! Sono scappata dall'ospedale. Quella sera, mentre ero a casa da sola, è venuta Roxy. Forse ho accettato di scappare perché mi è sembrata la cosa più semplice, non affrontare mia madre quando sarebbe tornata, ma così non so nemmeno se l'operazione di mio padre sia riuscita. Spero solo il dolore non l'abbia ucciso. Se ti può far sentire meglio farmi quell'esame, fallo. - disse infine Susanna strappandosi un capello rosso e riccio e passandoglielo attraverso le sbarre. Erano le prime parole che diceva da quasi due settimane. Liv pensò che Michael non lo meritasse. Quelle parole di Susanna avevano spazzato via la sua rabbia. Tutto il suo coraggio era svanito nel nulla. Si nascose dietro il cappuccio in un angolo, giocando con la sua palla blu. Nel vedere la luce blu, Micheal si voltò verso di lei, gli occhi scuri di rabbia.
- Se mi hai mentito, tornò qui e ti ammazzo - aggiunse Michael puntando l'indice. Liv non poté trattenere un sorriso. Dopo aver sentito la storia di Susanna, non aveva più alcun timore. Quella storia era vera e Michael non poteva più salvarsi.
- Ti aspetto - sibilò Liv. Jason sbatté contro le sbarre per lamentarsi con Liv, ma lei lo ignorò.Rimasero tutti e tre a guardare la porta dello scompatimento chiudersi. Il ronzio della serratura era l'unico rumore della stanza.
- Non tornerà, fidati - aggiunse Liv lasciandosi andare a sedere contro la parete fredda del vagone. Quindi si asciugò gli occhi e si mise a fissare il pavimento.
- Ho sempre voluto un fratello - disse solo Susanna quasi con malinconia.
- Io no. Sto benissimo così! - tagliò Liv. Preferiva di gran lunga vivere sola tutta la vita che dover sopportare un individuo del genere di Michael Lorenz, sempre se si poteva ancora azzardare a portare quel cognome.
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