🌹Crudele realtà-Parte1🌹
Goccia dopo goccia il ticchettio dell'acqua che si infrangeva al suolo martellava la testa di Rebecca, rimbombando con dolore acuto e confusione.
Il giovane dai capelli bruni e gli occhi da cervo sovrastava i presenti con la sua altezza notevole e, per la prima volta da quando lo aveva incontrato in quel salotto, la sua schiena era dritta e non curvata in segno di disagio. Richard White, il piccolo lord dall'aria innocua e il viso dolce, si proclamava colpevole di aver tentato di abusare di una donna. Rebecca non riuscì a dire nulla, mormorava a bassa voce parole insensate dettate dalla confusione del momento e dal dispiacere per aver trattato in tal modo un innocente.
"Cosa dite voi, voi non potete... Perché?!"
La ragazza si portò le mani tra i capelli e Catherine l'affiancò velocemente cingendole la vita.
L'ispettore, vicino a Duncan, si precipitò su Richard per controllare il corpo slanciato del ragazzo. Alzò i calzari blu notte fino al polpaccio di entrambe le gambe e, sotto gli occhi di tutti, le ferite dettarono la sua sentenza: uno squarcio verticale nella gamba sinistra deturpava la pelle olivastra.
Fu attorniato e senza avere il tempo di dire alcunché trascinato fuori dalla sala piena di sguardi indignati e stupiti.
Tra tutti, lo sguardo maggiormente pieno di dolore era quello di Duncan che non smise di osservare la schiena di quel fanciullo goffo finché non sparì, assorbito dal cielo primaverile che con la sua limpidezza sembrava l'unico capace di non giudicarlo. "La volta azzurra, la sola a conoscere la verità" pensò tra sé mentre chiudeva gli occhi per colpa di un raggio di luce che gli colpì le iridi chiare.
Rebecca sentiva il suo equilibrio precario, tutto ciò sembrava mancare di un senso logico, di un filo conduttore. Se pur avrebbe potuto trovare nel suo essere stata arrogante un alibi per la violenza di Duncan, alla verità di Richard non trovava alcuna spiegazione. Lei però non si sarebbe accontentata di una misera confessione, esigeva delle risposte e le avrebbe ottenute.
Con ritrovato coraggio si alzò in piedi e a grandi falcate provò a raggiungere Beliah dall'altro lato del salotto.
Catherine la chiamò a bassa voce,
"Dove stai andando?"- chiese in un filo di voce.
"Devo parlare con lord Lawrence".
La madre ispirò profondamente,
"Cara, verrò con te, confido nella buona fede di Beliah ma non voglio che ti succeda qualcos'altro di spiacevole. Sono stata fin troppo... Distante".
Rebecca sentì un nodo stringerle la gola, sua madre era davvero preoccupata per lei e non per ciò che gli altri avrebbero detto nel vederla passeggiare con un uomo dopo il tramonto.
Le prese le mani tra le sue,
"Devo parlare con lui, non temete non farò nulla di sconsiderato e nessuno avrà da ridire".
"Rebecca ti prego!"
"Perdonate questa mia ulteriore trasgressione, tornerò in tempo per il cambio d'abito prima di cena".
La signora non riuscì a trattenerla oltre, rimase con una mano a mezz'aria che ritraé lentamente. Da quando sua figlia era rientrata si era addossata continuamente colpe che non possedeva, se solo fosse stata più attenta ai bisogni di Rebecca e meno alle sue feste!
Un tepore familiare le riscaldò la spalla destra e una mano grande teneva stretto un bicchiere pieno d'acqua che le veniva gentilmente offerto.
"Ti preoccupi troppo Cat, tua figlia sa badare a sé stessa".
Conosceva fin troppo bene quella voce gioviale che non aveva perso il timbro gaio nonostante il tempo passato.
"Tu invece ti preoccupi sempre troppo poco, non è così Dorian?"
I due si guardarono con complicità,
" È passato tanto tempo mia cara amica, l'ultima volta eri poco più grande di Rebecca"
"E tu eri un poeta così sognatore, nutrivi così tanti ideali sciocchi".
"Li nutro ancora, ma Cordelia sa sempre come ricordarmi di soffocarli".
"Quella donna, non dovevi sposarla tu e Cris-"
"Fai silenzio Cat, potrebbero ascoltarci".
La donna si zittì immediatamente, sorseggiò l'acqua e schiarì la voce.
"Avete ragione perdonatemi. Le condizioni di vostra figlia come sono?"
"Non buone, lei sta bene ma ha perso qualcosa che, purtroppo, le costerà caro. Ma conosco la mia piccola Georgiana è una donna intelligente e saprà come affrontare tutto questo".
Catherine sorrise amichevolmente,
"Vorrei che anche Rebecca fosse intelligente, ma lei scambia l'essere caparbia e avere una lingua tagliente con l'essere forte."
Sospirò pesantemente,
"Crescerà, abbi pazienza".
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Lawrence udì i passi della giovane venire nella sua direzione, mosse la testolina riccia verso di lei e con fare malamente controllato le rivolse la parola.
"Desiderate qualcosa my lady?"
Rebecca trovò quel suo modo di fare fuori contesto, avrebbe desiderato colpirlo e farlo smettere di fare il finto indifferente.
" Sì, lord Baeliah ho bisogno di parlarvi in privato".
Il ragazzo voleva davvero abbandonare tutti e seguirla, ma l'orgoglio di cui disponeva in abbondanza lo frenò.
"Non vedo in cosa potrei esservi d'aiuto, signorina". - Girò il capo nel tentativo di non far notare la delusione che covava dentro il cuore.- "Spero che qualcun altro sia all'altezza".
Hampton scosse il capo e cacciò indietro le lacrime che bramavano di unirsi alle sue ciglia lunghe.
"Ho bisogno di voi, per favore".
Si stava rendendo ridicola e ne era consapevole, ma sentiva la necessità della vicinanza di Lawrence. Aveva rifiutato la sua proposta e lui possedeva tutto il diritto di ignorarla, ma Rebecca nonostante la sua testa le urlasse che era in grado di farcela da sola non riusciva a ignorare quell'attrazione che come una calamita la trascinava da Beliah.
Lawrence era confuso, era un giovane che a primo impatto poteva sembrare troppo allegro e chiacchierone, ma odiava profondamente essere preso per un fantoccio a causa della sua natura buona. Per lui buono non era sinonimo di sciocco e al rifiuto di Rebecca si era sentito davvero un povero stolto. Eppure lei era lì, davanti i suoi occhi con un'espressione che esprimeva tutta la su voglia di andarsene ma ferma, immobile ad aspettarlo. Stava provando una forte riluttanza a chiedergli davanti a tutti, più volte, di aiutarla, ma nonostante tutto qualcosa le impediva di andarsene. Lawrence lo percepì e mantenendo una certa distanza fece segno di sì con il capo.
Un brusio si levò tra i presenti, " Ha rischiato di perdere la sua virtù ed eccola già a passeggiare con un altro uomo", "non ha ritegno!", "Svergognata!".
Voci, nient'altro che suoni vuoti.
Lawrence udì gran parte di essi e stringendo più forte il braccio della fanciulla le diede l'ennesimo segno di quanto si infastidisse nel sentirla additare così. Insieme attraversarono la soglia per raggiungere il viale aromatizzato dal forte odore di salvia che cresceva tutt'intorno.
Alla fine del viale ciottolato posto davanti il grande cancello in ferro battuto sostava una carrozza.
"Devo parlare con lord Richard".
Affermò di getto. Lawrence si fermò alquanto preoccupato senza però esternare tale sentimento.
"E perché volete il mio aiuto? Potevate chiedere a vostra madre o al padrone di casa".
"Perché sento che voi, oltre a lady Georgiana, siete l'unico che voglio al mio fianco in un momento così delicato".
Le labbra del ragazzo si inarcarono in un mezzo sorriso che si affievolì velocemente.
"Siete sicura di volere questo confronto?"
"Sì, lo desidero davvero".
Lawrence sospirò e ruotando il cilindro che teneva tra le mani si incamminò su per la stradina.
Ogni passo parve doloroso come se il terreno fosse cosparso di rovi pieni di spine appuntite. La chioma aranciata si muoveva fluttuando ad ogni passo incerto che tradiva la sua paura. Rebecca era spaventata e non voleva ammetterlo nemmeno a sé stessa, le pulsazioni del suo cuore le sembravano così forti da poter essere udite anche all'esterno del suo corpo.
In lontananza scorse l'esile figura di lord Duncan che si defilava dalla postazione del prigioniero, dai pugni chiusi che teneva lungo i fianchi e l'espressione truce con cui la guardò era chiaro il suo disappunto per qualcosa... Ma cosa?
Dopo quel tragitto che in mente sua soprannominò " il tratto delle pene infernali" la piccola Hampton trasse un sospiro di sollievo, finalmente erano davanti la carrozza che avrebbe trascinato White in carcere.
Osservò il tutto per bene, dai toni marroni e consunti del mezzo, alle sbarre della piccola finestrella da cui era possibile intravedere il corpo rannicchiato del suo aggressore. Istintivamente la fanciulla afferrò la maniglia di freddo ottone, ma un uomo la fermò.
Ai lati della porta vi erano due giovani posti di vedetta, l'uomo a sinistra le lanciò un'occhiata torva e lei di tutta risposta si ritrasse con foga.
"Perdonatemi lady, desiderate qualcosa?"
Chiese l'altro guardando con famelicità le curve delicate di Rebecca. Lawrence si frappose tra lei e le due sentinelle, cercando di porre le giuste distanze.
"Lady Rebecca Hampton desidera avere un colloquio con l'imputato. È possibile?"
Parlò dinuovo quello più "garbato" e più giovane dell'altro di parecchi anni.
"Ritengo che non sia opportuno per una donna una situazione tanto estenuante."
La fanciulla stava per controbattere ma Lawrence l'anticipò.
"Ecco perché io entrerò con lei, adesso mettetevi da parte e fateci entrare o dovrò avvertire i vostri superiori che vi siete rifiutati di obbedire a gli ordini di persone di un rango più elevato del vostro".
Di malavoglia si fece da parte e fece segno al compare di fare lo stesso. La porta si aprì e l'interno buio avvolse la piccola Hampton mozzandole il respiro, non riuscì a comprendere esattamente cosa fosse quella sensazione di vuoto che si andava estendendo velocemente dentro il suo petto bloccandola di colpo. Iniziò ad ansimare pesantemente e istintivamente sentì il bisogno di piangere. Si sfogò più che poté e nonostante le suppliche di Lawrence e gli sguardi sgomenti dei due uomini, si rialzò e con forza si gettò a capofitto nell'oscurità della carrozza.
Richard fissava il vuoto, non si muoveva e non emise un minimo segno né di disappunto né di tristezza o pentimento, era come svuotato da ogni sensazione.
Davanti i suoi occhi vitrei prese posto la coppia e dentro lo spazio angusto calò un silenzio grave spezzato di tanto in tanto dal grachiare dei corvi che svolazzavano sopra la vettura.
"Non avete nulla da dirmi?"
Chiese la fanciulla con la voce rotta dal disagio.
L'unica risposta che ottenne fu un impercettibile segno del capo.
Quell'atmosfera così tesa, quel comportamento ostinato inclinò la poca pazienza di Rebecca che sensibile com'era si ritrovò un fascio di nervi, era come una spugna in grado di assorbire tutta la tensione che gravava sulle loro teste e che con cattiveria le si attaccava sul corpo.
"Parlatemi!"
Urlò infine esasperata. Lawrence le prese una mano e le intimò di calmarsi, al contrario della ragazza riusciva a fingere indifferenza nonostante sentisse le mani prudere per il desiderio di mettere fine a quell'espressione apatica che White ostentava. Beliah preferiva di gran lunga ragionare e parlare, non arrivava mai ad alzare le mani e la violenza non gli si addiceva, era un diplomatico in ogni occasione.
L'aggressore di riflesso si portò le mani davanti le labbra e soffocò una fragorosa risata.
"Non avete il diritto di trattarmi così"- sussurrò- "Non, avete, il diritto!" Scandì con tono deciso.
"Come osate dire questo? Comprendete ciò che stavate per fare? Non avete un briciolo di umanità per comprendere il dolore e l'umiliazione a cui mi avete sottoposto?! Siete una bestia!"
Rebecca si lanciò su di lui iniziando a colpire il petto ampio con straziante foga, fu bloccata da Lawrence che con dolcezza la prese tra le sue braccia.
"Parlate o sarò io a colpirvi e vi assicuro che sarà molto più doloroso".
Puntualizzò infine, sapeva che non lo avrebbe fatto, ma l'importante era che Richard ci credesse.
Una risata tonante, furibonda.
Un tangibile segno di rabbia e sfiducia uscì velenosa dalla bocca sporca di White. Voleva sputare tutto l'odio che covava dentro, quel misto felicità per aver salvato qualcuno che amava e quel disgusto per essere stato tanto vigliacco da proteggere chi amava nonostante le sue azioni fossero indifendibili.
Quel suono argentino provocò una scia di brividi lungo la pelle lattea di Rebecca, si stava burlando di lei. Lei che aveva sempre cercato di non sottomettersi e che con le unghia e con i denti aveva lottato per un briciolo di indipendenza, lei che nonostante ciò che faceva credere al mondo teneva alla sua virtù più di ogni altra nella speranza di concederla un giorno solo per amore e non per un matrimonio basato sul denaro.
Lui, mostro infimo che con le sue mani lascive voleva privarla della sua spensieratezza, del suo orgoglio, mettendola al pari di una giumenta da monta. Non era solo una rabbia cieca il sentimento predominante dentro di lei, ma una grande paura per ciò che Richard rappresentava: un covo di ignoranza e sessismo, nutrimento per una società malsana disposta a nutrirsi delle speranze e dei sogni, un guizzo di miseria che marchiava ciò che nascondeva una beltà senza pari, la vita.
"Parlate ho detto!" Lo intimò ulteriormente il ragazzo.
"Parlerò, ma esigo da entrambi un giuramento, qualcosa che vi constringerà al silenzio per sempre".
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