9. - Mi ha rubato i vestiti

Maximilian non aveva mai dormito così bene in vita sua. La notte precedente, nonostante il trambusto causato dal suo compagno di stanza, si era assopito come un bambino, non appena la sua testa aveva toccato il cuscino. Non sapeva bene se lo avessero drogato, oppure fosse semplicemente sfiancato dalla giornata trascorsa, ma comunque aveva riposato come un ghiro e i segni sulla sua pelle causati dalle lenzuola appallottolate su sé stesso lasciavano intuire che il suo non fosse stato solamente lungo, ma anche piuttosto profondo e tranquillo. Non si doveva essere mosso di un millimetro nel giro di otto ore e le sue occhiaie erano completamente sparite.

Alla fine, nonostante non avesse la più pallida idea di che cosa fosse la campana di Shyr, al suo risveglio traumatico non potè far altro che intuirlo. Un suono ripetitivo e acuto, infatti, si era propagato per tutta la Merkal e, senza alcun tipo di preavviso, aveva dato il via alla giornata che li attendeva. Nel corridoio che avevano percorso appena la sera prima, si sentiva un vociare crescente e quasi tutte le porte venivano aperte e poi sbattute per essere richiuse. Nel cortile su cui dava la piccola finestrella della sua stanza vagavano indaffarati ragazze e ragazzi di qualche anno più grandi e davano ordini ai novizi, vestiti di tutto punto con completi raffinati e ricamati, bianchi o neri.

Anche Maximilian aveva dei vestiti puliti a disposizione, caduti però per terra durante la nottata.

Alzando lo sguardo e facendo vagare gli occhi per la piccola camera, il suo compagno di stanza era già in piedi e pronto per uscire. Si teneva in piedi con un bastone dorato e le sue mani tremavano leggermente alla ricerca del pomello della porta. Nonostante Maximilian non avesse creduto per un istante che quel ragazzo fosse cieco per davvero, dovette ricredersi non appena lo guardò in faccia. I suoi boccoli biondo cenere, infatti, gli coprivano quasi completamente gli occhi, che però erano serrati e contornati da cicatrici e abrasioni rosse non ancora del tutto rimarginate. Le sue labbra dello stesso colore erano sottili e candide come il resto della sua pelle. Il suo copro snello era in forma, ma tradiva una sicurezza che probabilmente si era dovuto cucire addosso per ovvie ragioni.

In tutto quello che era successo, non sapeva ancora nemmeno il suo nome.

«Sei nuovamente in ritardo» gli disse, voltandosi leggermente verso Maximilian ancora sdraiato sul letto. Aveva uno sorrisetto stampato in volto e una delle sue sopracciglia bionde si era curvata in modo innaturale. Sembrava divertirsi a fargli notare l'ovvio e ad essere un passo avanti a lui. «Probabilmente passerai dei guai seri»

Maximilian appoggiò i piedi a terra e si passò una mano sul volto per cercare di svegliarsi. Quella maledetta campana di Shyr continuava a suonare e sembrava volergli fracassare i timpani. «Mi sembrava fossimo d'accordo di non rivolgerci più la parola» rispose lui, abbassandosi e raccogliendo i vestiti che erano caduti a terra. «Hai già cambiato idea?»

Il ragazzo appoggiò il bastone al muro e chiuse gli ultimi bottoni rimasti aperti del suo completo scuro su cui erano state intarsiate piccole pietruzze nere lucide. «La mia era una affermazione» disse semplicemente, riprendendo il bastone e spalancando la porta, stranamente non più chiusa a chiave. «Non ti ho mica posto una domanda»

«Sei simpatico come una zecca sotto pelle» rispose Maximilian, iniziando a rendersi conto che i vestiti bianchi che stava indossando non fossero davvero per lui. Il suo compagno di stanza, che a quanto pareva era cieco per davvero, non si era accorto di essersi messo addosso i colori di un Theufel. «Per quanto tu possa domandarti da dove tu l'abbia presa, non lo portai mai sapere»

«A Phioras non ci sono le zecche quindi il tuo paragone regge ben poco» rispose nuovamente lui, voltandosi, uscendo dalla stanza ed avanzando a tentoni con il suo bastone. «Ora sbrigati che altrimenti ci andrò di mezzo anche io. Non voglio ritrovarmi a passare più tempo con te di quanto già non ne passeremo assieme»

Maximilian cercò di richiamarlo nel tentativo di fargli capire che si erano scambiati gli abiti ma tutto quello che ricevette furono altre parole scontrose e alquanto fastidiose. «Vai a blaterare del tuo vestiario con qualcun altro» disse infatti il ragazzo. «Non mi interessa quello che hai da ridire»

Maximilian gli lanciò una occhiataccia e scosse la spalle: alla fine non gli interessava molto di ciò che quello sconosciuto pensava di lui o di quanto fosse dannatamente fastidioso. C'erano solo due cose che non riusciva a farsi andare giù: la prima era come una bellezza sfiorita come la sua potesse appartenere ad un animo così contorto e la seconda era che la sua lingua tagliente era un'arma con cui non aveva mai dovuto fare i conti. A Vaska le questioni e i dissidi si risolvevano o con i pungi o con le spade, non di certo usando l'astuzia e le parole. Maximilian aveva si una mente pianificatrice, ma non era di certo in grado di combattere senza alzare le mani.

Il ragazzo aveva l'impressione che i loro screzi si sarebbero protratti per molto, forse troppo, tempo.

Quando anche lui riuscì ad abbottonarsi gli abiti che sarebbero dovuti spettare al suo compagno di stanza, si precipitò fuori, non prima di essersi però guardato con leggera diffidenza, rendendosi conto di come era stato conciato. Dei pantaloni di lino lunghi terminavano all'interno di un paio di stivali lucidati con maestria. La camicia color ocra era legata ai polsi da dei nastrini d'oro e i bottoni erano dello stesso colore lucido. La casacca, lunga fino alle cosce era di un bianco talmente pulito da essere accecante e le pietruzzee che gli erano state ricamate sopra sembravano richiamare tutti i raggi di sole che penetravano dalla piccola finestrella della stanza. Il colletto, anch'esso d'orato era decorato con ghirigori ed era molto basso, alla maniera degli uomini del sud.

A differenza del vestiario più scuro e più pesante a cui era abituato, la sensazione di essere vestito alla maniera degli Heiliges gli provocava una strana sensazione. Maximilian non era certo che quel disguido sarebbe passato inosservato: molto probabilmente, contando che il suo compagno era effettivamente cieco e che camminava con l'aiuto di un bastone, la colpa sarebbe ricaduta quasi sicuramente su di lui. Alla fine rimaneva pur sempre un Theufel e nessuno avrebbe dubitato di un Heiliges bello come il sole a cui mancava la vista e che non avrebbe esitato un istante a condannarlo per un proprio tornaconto.

Maximilian si era davvero già cacciato in un bel guaio, anche se non ne era affatto sorpreso.

Scrollandosi di dosso i dubbi imboccò il corridoio su cui affacciavano tutte le stanze e prese a seguire il fiume dei ragazzi che si stava muovendo verso qualsiasi fosse stata la destinazione che stavano raggiungendo. Scesero le scale che avevano percorso la sera prima e svoltarono a sinistra, ritrovandosi nel cortile con la fontana che si scorgeva dai piani superiori. Nella confusione Maximilian riuscì a scorgere la testa bionda che lo aveva piantato in asso e poi qualcuno di leggermente più alto e robusto. Aldair era affiancato da sua sorella Marisa ed entrambi erano appoggiati ad un colonnato in marmo bianco, guardando sfilare la marea di gente che gli passava sotto gli occhi, senza muovere un dito.

La ragazza era vestita di nero come il fratello, ma portava una casacca che arrivava fino ai piedi, quasi a ricordare la forma di un lungo vestito da sera. Nonostante fosse ingombrante e sicuramente molto caldo, Marisa, come anche tutte le altre ragazze che lo indossavano, sembrava trovarsi a proprio agio.

Maximilian notò subito come ci fosse una netta differenza tra abiti bianchi e abiti neri. Nessun Theufel si mischiava con gli Heiliges e nessun Heiliges i mischiava con i Theufel. Lui, senza contare quell'odioso ragazzo di cui aveva già perso le tracce e che sembrava essersi volatilizzato, era l'unico puntino bianco in un fiume nero come la pece, e di certo aveva già richiamato su di lui l'attenzione di parecchi occhi indiscreti o semplicemente curiosi. Ad essere sincero, non gli era mai dispiaciuto essere al centro dell'attenzione ma era ovvio che, prima o poi, qualcuno avrebbe fatto notare quella macchia fuori posto a chi di dovere e che qualcuno avrebbe preso provvedimenti.

Avanzando con il mento leggermente alzato si diresse verso la sua nuova meta. Marisa e Aldair si accorsero quasi subito che qualcuno si stesse avvicinando a loro, ma fu solo quando Maximilian si fece riconoscere che la loro espressione si fece ancora più criptica, anche se non tanto inorridita quanto quella di tutti gli altri. «Vi eravate già dimenticati di me?» domandò il ragazzo, appoggiandosi anche lui al colonnato. Se chiunque in quella piazzetta lo stava fissando, tanto valeva ostentare quello che ad occhi esterni sembrava l'ovvio: un Heiliges che conversava, senza esserne costretto, con due Theufel. «Mi era sembrato di aver fatto una buona impressione ieri sera...»

Marisa guardò il fratello e poi si rivolese a Maximilian. «Pensavamo fossi morto già da un pezzo» disse, allungando una mano ed aspettando che lui gliela prendesse per salutarla a dovere. «Di solito non torna nessuno dalle pianure di Heben e chi lo fa impazzisce oppure si suicida»

Aldair annuì, confermando le parole della sorella.

Maximilian cercò di giocarsela bene e far finta di sapere di che cosa i due stessero parlando. «Nessuno si libera così facilmente di me» rispose, incrociando le braccia al petto e cercando con lo sguardo il suo compagno di stanza che gli aveva rubato i vestiti. Per sfortuna o per fortuna non riuscì a trovarlo. «Qualche spirito non mi impedirà di certo di fare ciò che devo»

Marisa si sporse un po' in avanti e lanciò una occhiataccia ad un Heiliges che si era avvicinato per sentire che cose si stessero dicendo. «Perché ho l'impressione che tu non sappia nulla delle vecchie tradizioni?» domandò, sistemandosi le maniche alzate della sua lunga casacca nera. «Non mi aspettavo che il barone di Vaska, Maximilian Kastrov in persona, non sapesse nemmeno che darsela a gambe proprio davanti alla Merkal avrebbe potuto costargli la vita. O sei dannatamente stupido o qualcosa in te ti ha permesso di uscirne indenne...»

Maximilian sgranò gli occhi. «Chi diavolo vi ha detto chi sono?»

Aldair sospirò profondamente. «Chiunque non fa altro che parlare del famoso barone che ha voltato le spalle alla capitale» disse, guardando Maximilian dall'alto della sua possente statura. «Noi il sospetto lo avevamo che fossi tu ma ora ne siamo certi, anche se, contando tutto ciò che si racconta su di te, pensavamo fossi decisamente più sveglio»

«Che cosa avete intenzione di fare?» domandò Maximilian, avvicinandosi di più ai due e abbassando il tono di voce. Tra tutto ciò che era capitato, ci mancava anche un bel ricatto. «Che cosa diavolo volete?»

Marisa si portò dietro le spalle i lunghi capelli rossi. «Perché porti i colori degli Heiliges?»

«Non sono affari vostri» rispose lui, iniziando a maledire il momento in cui aveva deciso di tornare sui suoi passi.

«Dovresti fare un giro nella biblioteca di Bytar» disse Aldair, indicando con un dito una delle torri più alte che erano state costruite sulle alte mura della linea. «Potresti stupirti di scoprire che non tutti vogliono fregarti per un tornaconto personale. La storia ha sempre qualcosa da insegnare e tu mi sembri uno troppo concentrato sul futuro. Ogni tanto bisogna fermarsi e guardare ciò che ci circonda e ciò che ci ha preceduto per capire come affrontare i prossimi passi»

«Perché dovrei darvi ascolto?»

«Puoi anche non ascoltarci Ilyan ma ti consiglio vivamente di farlo» si intromise Marisa, guardando il flusso delle persone diradarsi, scomparendo dietro ad una porta sotto al colonnato in marmo bianco. «Qui non è come al nord e le influenze del sud sono ovunque. Credi che i depositari ti faranno rimanere qui dopo il solstizio se non dimostri equilibrio e conoscenza? Perché diavolo pensi che siamo stati portati qui?»

Maximilian si guardò attorno e non rispose, vedendo già negli occhi dei suoi compagni che, nonostante non avesse aperto bocca, le risposte le aveva già date tutte. Probabilmente aver trascorso tutta la sua vita nella capitale ed essere stato indottrinato in un pensiero così rigido e conservatore che tutto il mondo fosse come Vaska lo avevano in un certo senso fregato e rinchiuso in una prigione invisibile che suo padre gli aveva costruito attorno. Avrebbe davvero dovuto iniziare a guardare le cose in modo nuovo, se non altro per sopravvivere in una realtà così diversa da quella a cui era abituato. Se non avesse incominciato ad agire, gli altri lo avrebbero fatto al posto suo e non sarebbe di certo stati comprensivi come Marisa e Aldair.

«Il tuo ingegno ti ha portato fin qui ma non ti porter oltre» disse infine la ragazza, facendo cenno al fratello e anche a Maximilian di muoversi. «Certe battaglie non hanno bisogno di armi per essere combattute e se lo spirito non è abbastanza forte da sopportare lo scontro, esso perirà insieme al corpo. Le cose sono ormai cambiate e tu non sei più il barone di Vaska»

Maximilian si rimise in cammino seguendo gli altri ragazzi. La fontana nel centro della piccola piazza era in funzione e l'acqua rinfrescava l'atmosfera sempre calda di Icarys. «Perché state facendo tutto questo?» domandò lui, in cerca di una spiegazione plausibile e diversa da un ricatto che potesse interpretare tutta quella gentilezza e pazienza. Si sentiva come se fosse tornato bambino, senza protezioni e in balia degli eventi. «Perché mai vorreste aiutarmi?»

Marisa lo prese per un braccio e lo trascinò avanti, sotto gli occhi di tutti i presenti. «É la cosa giusta» rispose lei, prendendolo sotto braccio come se avesse capito che quel ragazzo tanto forte era in realtà un cucciolo impaurito. «Con il tempo saprai farla anche tu»

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