.7 - La fuga ha un sapore amaro

Le ombre create da sole al crepuscolo erano talmente lunghe da sembrare infinite e lo stesso si poteva dire del numero di Brylast che erano stati lì radunati, sotto le altissime ed imponenti mura della Merkal. Almeno cinquecento persone, provenienti esclusivamente dal lato nord di Icarys, si erano ammassate, lasciate indietro le carrozze, per oltrepassare una enorme e ben massiccia porta di legno scuro. Il vociare era alto, ma Maximilian, ormai troppo lontani da Vaska, non sentiva più alcuna lamentela, ma bensì curiosità e impazienza.

Il ragazzo aveva visto la linea solamente di sfuggita, durante una fuga d'amore con un certo Philip, qualche anno prima. I due avevano cavalcato verso una piccola cittadina vicino le montagne Coriolis, per poi fermarsi a Porto Chiosco per ben tre settimane. A quell'epoca Maximilian non era ancora il barone di Vaska, ma vedeva lo stesso le alte mure della Merkal come qualcosa da evitare completamente e senza indugio. Aveva infatti costretto il suo amante ed allungare il viaggio di due giorni, solo per non passarci proprio accanto, evitando dunque anche di visitare la famosissima porta di passaggio dei Brylast.

Adesso che ci si trovava davanti, a Maximilian pareva un semplice ed innocuo portone usurato dal tempo, ma per i suoi compagni di viaggio, Marisa e Aldair, faceva tutto un altro effetto. I due parlavano tra loro e avevano alzato il mento per guardare fino dove le mura si estendessero in altezza, e poi in lunghezza. L'uomo indicava qualcosa con un braccio, mentre la sorella allungava il collo per capire quanto tempo ci avrebbero messo per arrivare davanti al portone che li avrebbe condotti alla loro nuova vita. L'unica cosa degna di nota, e che Maximilian riconosceva alle leggende che aveva sentito, era che, per davvero, la Merkal era infinitamente lunga e alta.

Era qualcosa di spettacolare e allo stesso tempo impressionante.

Da quando erano arrivati, il ragazzo aveva riconosciuto solamente due volti famigliari. C'era un suo cliente abituale del Rubino, il figlio dell contrabbandiere più influente della città, e una ragazza che Maximilian aveva frequentato da bambino, quando ancora non aveva quel brutto segno biancastro sulla clavicola. Dopo un brutto incidente con il marito che era stato scelto per lei dalla madre, aveva smesso totalmente di parlare e, per comunicare, scriveva su una tavoletta di legno su cui era sempre incollato o agganciato uno spesso foglio di carta brunastra. Tutti gli altri Brylast, ad esclusione di Marisa ed Aldair, gli erano allo stesso tempo sconosciuti ed indifferenti.

Le guardie erano diminuite in numero e la maggior parte di loro si trovava proprio accanto alla porta. Avevano iniziato a chiamare i ragazzi uno alla volta, facendoli mettere in fila, mentre altri uomini in divisa stavano invece aprendo l'alto portone, facendo muovere le assi di legno con uno strano cigolio. Il chiacchiericcio generale avrebbe permesso di coprire qualsiasi cosa, forse anche un assassino o una fuga inaspettata: alla fine tutti gli occhi erano puntati verso sud e nessuno si sarebbe accorto se qualcuno avesse fatto retro front per dirigersi invece verso l'estremo nord, dove Maximilian avrebbe anche potuto iniziare da capo la sua vita senza essere disturbato da stupide cerimonie.

Alla fine non ci pensò su molto: le sue gambe si erano messe in moto senza che il cervello ne fosse pienamente d'accordo. Tutto sommato però, Maximilian era ben consapevole che la sua scelta - non scelta di andarsene era qualcosa che non avrebbe voluto fare fino in fondo. La sua mente gli stava dicendo di scappare, di tornare ad essere il suo vecchio e conosciuto io: essere un Theufel gli era sempre risultato facile, ma la verità era che aveva sempre e solo finto, davanti agli altri e anche allo specchio. Forse era troppo abituato a recitare che iniziare a vivere per davvero lo spaventava talmente tanto da negare anche l'evidenza.

Probabilmente era meno forte di quello che aveva sempre pensato.

Quando la sua schiena si rivolse alla Merkal, e i suoi occhi non furono più sulle teste voltate di Marisa e Aldair, il ragazzo iniziò a muoversi come un automa. Non guardò più in faccia nessuno e, districandosi tra l'ammasso di corpi accaldati, si decise a camminare nella direzione opposta da quella in cui sarebbe dovuto andare. Fortunatamente e straordinariamente, le guardie del continente, che li avevano scortati con tanta cura e dedizione, non gli stavano più rivolgendo uno sguardo. Fuggire sarebbe stato un gioco da ragazzi e, nonostante fosse ancora ammanettato, una volta trovato un cavallo, sarebbe potuto fuggire e raggiungere le paludi settentrionali in una settimana.

In men che non si dica, la calca di persone si diradò e la brezza di un Febbraio più fresco del solito, nonostante su Icarys facesse sempre troppo caldo, lo invitò a scendere un sentiero tra gli alti steli d'erba rinsecchiti dalla calura del meridione. I passi di Maximilian risuonavano sul terriccio come se stesse avanzando su un tamburo di pelle di bisonte. Gli uccelli erano ormai andati a dormire da una buona mezz'ora ma il vento che gli scompigliava i capelli sembrava sussurrargli lo stesso qualcosa. Pareva come se i cespugli sempreverdi delle campagne stessero suonando una melodia aggraziata e a tratti malinconica. A una certa, al ragazzo pare davvero di sentire qualcuno cantare.

Voltatosi a guardarsi indietro, come se un banco di nubi fosse calato sulla natura, Maximilian non riuscì più a scorgere la Merkal, nonostante avesse camminato solamente per mezzo minuto. I rumori della notte si attenuarono tutti in un sol momento e le sue gambe sembrarono tornare molli quasi quanto lo erano state davanti a Lea, alla cerimonia di quella mattina. Quando il ragazzo sentì una voce chiamarlo, capì subito che qualcosa non andava.

«Dunque sei davvero la feccia che tutti hanno sempre pensato che fossi» disse suo padre, morto tempo prima, apparso dal nulla alla sue spalle. «Alle fine avrei dovuto aspettarmelo: non sei mai stato buono nemmeno a vendicare un torto e tua madre ha fatto bene ad allontanarsi da te»

Maximilian inspirò ed espirò prima di fronteggiare quella che aveva tutta l'aria di essere una minaccia, o forse una strana prova che avrebbe dovuto superare prima di ricevere la sua agognata libertà. Facendo due conti, non si era né drogato né aveva bevuto, quindi, a meno che si trattasse di un brutto scherzo architettato da chissà chi, doveva esserci lo zampillo della Merkal in tutta quella situazione improbabile. Suo padre era stato sepolto ormai anni prima ed era impossibile che fosse davanti a lui, in quel momento. «Buonasera padre» rispose dunque, tastando il terreno. «Non dovreste ormai essere nel regno ultraterreno? Che cattivo vento vi porta qui?»

L'uomo dal colorito grigiastro e le membra ormai fragili proruppe in un ghigno. «Sono le azioni di un figlio senza valori che mi strappano dal mio sonno» replicò, mostrando le sue guance scavate e sedendosi con fatica su una pietra porosa. «Non è certo il mio volere che mi ha trascinato fin qui»

«Se non è il vostro volere che vi porta qui, non lo è nemmeno quello del figlio che tanto disdegnate» disse Maximilian, avanzando di qualche passo e venendo subito dopo richiamato dalla risposta del padre. «Potete anche andarvene»

«Mio figlio è morto nel momento stesso in cui è stato marchiato a sangue» replicò l'uomo, portandosi le dita alle labbra e mangiucchiandosi le unghie. Le sue gambe erano talmente magre da sembrare inesistenti. «Se solo si fosse tenuto stretto quel bordello di lusso chiamato Rubino avrei anche potuto perdonarlo, ma ora...»

Maximilian sorrise tra sé e sé. Da suo padre non si sarebbe aspettato altro che quello: disdegno e rancore. «Niente è ancora definitivo» disse il ragazzo. «Mi costruirò una nuova vita nelle paludi del Nord e voi sapete bene che ne sarò in grado»

Suo padre scoppiò in una risata quasi isterica. «Vuoi rovinare la vita anche di tua madre?» chiese, puntando gli occhi dietro il figlio e osservando una terza figura eterea avvicinarsi. «Non ti è bastato rovinare una famiglia? Vuoi distruggere anche l'ultimo legame di sangue che ti resta?»

Maximilian tentò invano di non sentire la morsa che gli strinse il cuore. Nonostante sapeva bene che il padre avesse sempre detto un sacco di cattiverie gratuite a tutti, sentirsele ripetere continuamente lo avevano sempre lasciato con l'amaro in bocca. «Le vostre parole non hanno ormai più valore» disse dunque, chiudendo gli occhi per un momento appena, prima di sentire una fiato caldo sul collo. «Voi siete morto e i morti non parlano»

«Illudi te stesso ragazzo» disse una voce femminile che fece gelare il sangue nelle vene di Maximilian. Il fiato caldo sul collo apparteneva ad una giovane dai lunghissimi capelli corvini intrecciati in modo impeccabile. Le labbra sottili avrebbero catturato lo sguardo di chiunque, nonostante non avesse occhi in cui potersi perdere. I suoi piedi scalzi erano di poco coperti dalla lunga tunica bianca. «Lui non è affatto morto...»

Maximilian si passò una mano sul volto sudato. «Ho seppellito io il suo cadavere» disse, facendo vagare il suo sguardo dal padre alla ragazza e dalla ragazza al padre. Entrambi i due sembravano spiriti, nonostante la giovane sembrasse su una sponda totalmente diversa dell'aldilà rispetto a quella su cui giaceva l'uomo. «É stato trafitto da una lama d'oro. Io ero lì quando è successo, l'ho visto accasciarsi a terra ed espirare l'ultimo respiro»

Il padre di Maximilian sputò a terra. «Certo! É colpa tua se sono morto»

«No!» quasi urlò il ragazzo. Le parole dell'uomo avevano iniziato a fargli bruciare la gola, come se le lacrime avessero potuto uscire da un momento all'altro. Ovviamente, anche se ne avesse sentita la necessità, non avrebbe potuto permettersi di dargli quella soddisfazione. «Questo non è giusto padre. Ho sempre fatto tutto il necessario per rendervi felice, ma questo non potete farlo! Cercavo solo di proteggere mia madre, di proteggere la nostra famiglia. Che cosa avrei dovuto fare? Lasciare che Symones la...»

«Tua madre se l'era cercata!» replicò l'uomo, alzando la voce e tirandosi su dal sasso su cui si era abbandonato. «Symones aveva tutto il diritto di desiderarla e prendersela e tu non avresti dovuto immischiarti! Un debito è un debito!»

«Eravate voi a non avere il diritto di venderla in quel modo per saldare un conto di cui lei non faceva parte» replicò, cercando disperatamente di mantenere i nervi saldi. Quella conversazione si ripeteva nella sua testa ormai da parecchio tempo e averla per davvero gli stava facendo saltare le rotelle del suo cervello stanco. «Lo sapete bene, sangue chiama sangue»

«Se fossi stato un vero Theufel, e non una feccia di un Brylast, io sarei ancora vivo per potertele dare di santa ragione Maximilian» disse ancora, sfregandosi le mani nevroticamente, come se stesse morendo di freddo o dalla voglia di picchiare qualcuno fino ad ammazzarlo. «Niente di quello che hai ti è mai spettato. Sei solo stato fortunato di aver ereditato il mio cognome, altrimenti avresti vissuto sommerso dalla merda dei maiali dei ricchi!»

La donna dai capelli corvini rimaneva in disparte a guardare la scena, con le braccia sottili e dal color del latte abbandonate lungo i fianchi. In realtà, stava osservando Maximilian e non degnava di uno sguardo suo padre, come se fosse per davvero solamente un ombra del passato. «Pensi che abbia ragione?» gli chiese, rivolgendosi direttamente a lui e dandogli il tempo di prendere fiato. «Pensi che faccia bene a disprezzarti tanto?»

Maximilian strinse i pugni e poi i denti.

Sapeva che cosa avrebbero dovuto rispondere, ma non disse nulla.

Il ghigno malefico sul volto del padre gli ricordò, per l'ennesima volta, che forse, in fondo in fondo, l'uomo aveva ragione.

«Pensi davvero che raggiungere le paludi settentrionali ti darà le risposte che cerchi?» gli domandò ancora, mettendosi davanti a lui e coprendogli la vista che poco prima aveva su suo padre. «Tornare da dove sei venuto non cambierà il passato ma di certo cambierà il futuro»

«Qualsiasi scelta cambierà il futuro» rispose Maximilian, abbassando lo sguardo sulle sue mani tremanti ancora ammanettate. Odiava sentirsi così scoperto e vulnerabile. «Le risposte che desidero non le troverò mai. Forse non dovrei nemmeno cercarle ed è stato proprio questo il mio errore più grande, volere spiegazioni a domande inesistenti»

La donna dai lunghi capelli corvini gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle e con un gesto del capo fece sparire l'ombra di suo padre, lasciando una sensazione di vuoto incolmabile nel petto del ragazzo. «Nel momento in cui sarai sincero con te stesso quello che ti tormenta così tanto sparirà» disse questa, piegando di poco le labbra in una sorta di sorriso incerto. «Nessuno sa chi siamo se non noi stessi. Non ti è bastato vivere una bugia per ventuno anni, Ilyan? Vuoi che il resto della tua vita sia vissuta dall'ombra di te stesso?»

Il ragazzo scosse la testa. «Viviamo la vita che abbiamo, non quella che vogliamo» replicò, scettico e fissando le labbra della donna. «Quello che mi state dicendo è irrealizzabile. È come chiedere ad un contadino di comandare un esercito»

«Stai tralasciando un particolare, Ilyan» disse ancora lo spirito. «Tu non sei né un Theufel né un Heiliges. Sei un Brylast»

«Vale davvero qualcosa essere giudicato degno?» chiese ancora, sapendo nel profondo già al risposta alla sua domanda. «Non è come avere uno stallone che non si riesce a domare?»

La donna senza occhi e dai lungi capelli corvini lasciò libere le spalle di Maximilian. «Dovrai scoprirlo da solo» disse, voltandosi ed allontanandosi dal ragazzo. «É solo primavera, ma l'estate è vicina. Rinasci e seppellisci il passato»

«Ditemi di cosa si tratta, ve ne prego!»

«Tempo al tempo» disse ancora lei, facendo vibrare le sue parole insieme al vento che si stava nuovamente alzando. Come era venuta, trasportata dalla brezza di Febbraio, ora se ne stava andando, lasciando Maximilian, ancora una volta, con più domande che risposte. «La fiducia chiama fiducia. Accogli ciò che viene...»

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