.27 - La Madama
Il viaggio su Pharon non era stato poi così traumatico.
Di certo non per Arlo.
Ovviamente.
Per Maximilian era stata tutta un'altra storia.
Decisamente un'altra storia.
Quando infatti quel siparietto volante era terminato e i ragazzi rimisero piede a terra, Maximilian quasi volle baciare i ciottoli bianchi su cui Pharon aveva appoggiato gli artigli appuntiti. Per fortuna però gli era rimasto ancora un briciolo di dignità ed amor proprio e si trattenne dal farlo, anche perché, altrimenti, avrebbe dovuto avere una spiegazione più che plausibile alle tre donne che vennero loro incontro, senza apparire un completo demente.
L'isolotto di pietra scalfita dal mare su cui Madama Theodora si era arroccata sembrava ancora più piccolo e angusto di quanto Maximilian se lo fosse aspettato. In realtà non si era aspettato granché, ma nemmeno che tre donzelle messe in tiro con trucchi e gioielli gli dessero un benvenuto così caloroso ed effusivo. Non vedeva ragazze conciate in quel modo dai tempi del Rubino. Certo erano passati solo una decina di giorni, ma il peso di quella settimana aveva già iniziato a pesargli come se in realtà fosse una decida d'anni. Aveva forse iniziato ad invecchiare senza rendersene conto?
«Dovrete aver fatto davvero un lungo viaggio per arrivare fin qui» disse una delle tre, arricciandosi una ciocca di capelli neri tra le dita e strizzando l'occhio a Maximilian. «Immagino vorrete fare un bagno caldo, o ristorarvi prima di incontrare madama vossignoria»
Non ci volle molto che si intromise anche la seconda, stretta in un vestito corto fino sopra al ginocchio e nascosta sotto una sorta di pelliccia che le copriva le spalle pallide. «Possiamo aiutarvi noi» disse questa, allungando un dito verso Maximilian rimasto allibito da quella scena. «Sarà necessario che qualcuno si prenda cura di voi prima dell'arrivo del re»
«Puzzate di selvatico» disse la terza, avvicinandosi furtiva ad Arlo. «E i vostri vestiti sono sgualciti»
«Permetteteci di coccolarvi»
«E di togliervi quelli stracci di dosso»
«Lasciatevi andare» continuò l'altra. «Ve lo meritate»
Arlo, rimasto fisso contro il corpo di Pharon, non sembrava né a suo agio né a disagio. Rimaneva con la sua solita postura eretta e statutaria nascondendo quanto fosse esausto e stanco con un'espressione grigia e svogliata. La mano nascosta tra le piume del rapace si muoveva ritmicamente su e giù coccolando l'animale come se fosse il suo.
Maximilian, nonostante non si sarebbe mai lontanamente sognato di reagire il quello modo, strabuzzò gli occhi quando una delle ragazze gli infilò una mano sotto la camicia. «Sono lusingato» rispose schiarendosi la voce e avvicinandosi ad Arlo per spingerlo via. «Ma non credo sia il caso»
«Che c'è?» domandò la prima con aria maliziosa. «Ora si scopre che il barone di Vaska è pudico?»
La sua compagna ridacchiò. «Forse non è poi così dotato come si dice»
La terza si intromise di nuovo. «Magari non gli piaci» strillò.
«Dovrei provare con il biondino?»
L'amica si voltò a guardare Arlo e lo squadrò dalla testa ai piedi. «Tesoro mi sa che cui lui non hai proprio speranza» disse. «Nessuna di noi potrebbe infilarsi nel suo letto senza trovare una completa delusione»
«Lo dici come se avessi mai trovato un uomo che non sia stato un fallimento»
«Perché invece tu saresti stata con un uomo?»
Dietro di loro, incastonato nel muro di pietra a strapiombo, un piccolo e nascosto portone era rimasto semiaperto dopo l'arrivo delle tre ragazze. Maximilian prese di sfuggita per mano Arlo e se lo trascinò dietro per sfuggire alle grinfie delle galline che li avevano sequestrati subito dopo il loro approdo frettoloso. Nonostante ci fosse la speranza che non li seguissero, il desiderio fu alquanto vano.
«Dove scappate?» li richiamarono, correndogli alle calcagna. «Non potete presentarvi da madama signoria in quel modo!»
Maximilian si nascose in un angolo buio. «Dove si va?» sussurrò all'orecchio di Arlo. «La sai la strada?»
Arlo deglutì a vuoto. «Ilyan...» sospirò. «Ti rallento»
Maximilian scosse il capo e quando le tre ragazze li superarono lo spinse contro la pietra fredda per non farsi vedere. «Pensavo che ti fosse entrato in testa il fatto che non ti lascio indietro» cantilenò. «Dimmi dove andare»
«La torre più alta»
Maximilian non se lo fece ripetere due volte. Chiuse la porta da cui erano entrati dietro di loro e prese a correre a perdifiato senza rendersi conto che sarebbe cambiato tutto nel giro di un paio di respiri affaticati. Arlo era attaccato al suo braccio in tensione e si era messo a seguirlo come se, tutto d'un tratto, avesse deciso di fidarsi per davvero. Maximilian era diventato i suoi occhi e, per la prima volta da ormai anni, il principe di Phioras si sentì come se la sua vita non fosse completamente finita. La sensazione perenne di essere sotterrato sotto un cumulo di macerie gli si era scivolata via di dosso come se si fosse fatto una doccia gelida nel bel mezzo di una estate torrida.
«Andiamo!» lo riscosse Maximilian con il fiatone. «Seguimi!»
E Arlo lo fece.
Lo seguì per davvero.
Questa volta senza protestare.
Lasciato indietro Pharon, i due ragazzi si erano intrufolati nel covo di Madama Theodora come ladri. Forse era proprio quello il divertimento, nonostante quella felicità infantile durò decisamente poco. In qualsiasi angolo buio Maximilian guardasse, vedeva una e una sola cosa: specchi, c'erano dannatissimi specchi ovunque. Specchi alti, specchi bassi, piccoli, tondi, quadrati, dappertutto. Le scale, gli atri e i corridoi erano ricoperti di superfici riflettenti di tutte le misure e le forme. Per un istante a Maximilian sembrò di riconoscere la figura di suo padre in uno di quelli posizionati più in basso e Alexandra in uno grande quanto un pungo.
La sua figura e quella di Arlo scorrevano veloci da una superficie e l'altra come fotogrammi sbiaditi dal tempo.
Quando entrarono in un corridoio in cui anche i soffitti avevano specchi da un angolo all'altro, Maximilian dovette combattere contro sé stesso per andare avanti. La figura di sua madre lo fissava ad ogni passo e quella di Alexandra la seguiva a ruota. Gli occhi di entrambe si muovevano ritmici e scrutavano ogni suo movimento con fare indignato, come se la sua sola presenza in quel luogo rappresentasse un sacrilegio. Vide il Rubino, un mucchio di serpenti strisciargli sotto le suole delle scarpe e l'uomo che lo aveva pregato di sbarazzarsi di Arlo il prima possibile che gli sorrideva maligno. Vide due pargoli in fasce e l'uovo di grifone di cui aveva parlato Coriolano. Vide Aren morente sulla scogliera di Ladyr e la sua compagna Theufel, Sireya.
Per un momento il suo cuore smise di battere.
Fissò il suo riflesso in uno specchio tondo posizionato all'altezza del suo volto dove veniva raffigurato con le mani sporche di sangue. Ai suoi piedi giacevano i corpi esanimi di Marisa e Aldair. Arlo era a poco meno di un soffio di distanza da lui e respirava appena, sconfitto e sul punto di cedere. Il coltello, la fiamma di Vanthor che ancora portava con sé da quando quell'uomo gliela aveva data, era conficcata nel suo cuore fino all'elsa. Maximilian aveva un'aria compiaciuta e fissava Arlo con la consapevolezza bruciante di ciò che aveva appena fatto. L'uomo, alla sua destra, si stava congratulando con lui. Gli aveva appoggiato una mano sulla spalla e lo stava costringendo a lasciare andare il corpo di Arlo per seguirlo nella penombra che celava una laguna dalle acque scure come la morte.
Nella realtà, Maximilian aveva ancora le dita intrecciate con quelle del suo compagno di viaggio. Per un attimo, il terrore di poter davvero compiere un gesto del genere si impadronì di lui e lasciò andare la presa. La sua mano tornò fredda, sola.
Quando riconobbe le risate delle tre ragazze che li avevano accolti sbatté gli occhi come se si fosse ridestato da un sogno ad occhi aperti. Quando si voltò nuovamente per guardare all'interno dello specchio non trovò più nulla, se non il suo riflesso stanco e il suo corpo provato dal viaggio.
I due si mossero nuovamente, spinti nel cuore della fortezza dal vociare delle donne che li stavano seguendo.
Iniziarono nuovamente a correre a perdifiato. Passarono in fretta e furia di fianco a gente di tutte le età. Bambini, bambine, giovani adulti e anziani. Tutti erano accumunati dalla stessa cosa. Chiunque, nessuno escluso, vestiva abiti del continente. Non abiti qualunque, ma abiti regali, pregiati, di tessitura fine e ricami raffinati. Persino gli animali, dai gatti ai cani, venivano trattati molto meglio dei figli di Vaska. Vassoi stracolmi di pietanze e bevande giravano tra quei corridoi pieni di specchi come se quella gente non mangiasse da secoli e stessero tutti morendo di fame.
I due ragazzi gli sfilavano accanto come se non li vedessero. Erano sporchi, puzzolenti e, in qualche modo, talmente diversi da quelle persone che a loro confronto li avrebbero potuti scambiare per dei ratti in cerca di cibo. Una bambina vestita di azzurro li indicò distrattamente, ma nessuno dei genitori si prese la briga di girarsi per guardare in faccia i due stranieri che avevano interrotto qualsiasi attività fantomatica con cui stavano riempiendo il loro tempo. Erano come due fantasmi che vagavano alla disperata ricerca di una tomba che recitasse il loro nome.
Si infilarono in un'altra sala e poi un altro corridoio per poi salire due, tre, quattro rampe di scale fino a ritrovarsi davanti ad altri specchi e ad altre persone tanto indaffarate quanto incoscienti di ciò che li circondava. I tappeti, rossi come quelli del Rubino, ricoprivano le pareti di quella che aveva tutta l'aria di essere l'ultima tappa del loro girovagare.
A Maximilian era venuto mal di testa.
Gli sembrava tutto così irreale e irrealistico che quel luogo, in confronto al Rubino, gli sembrava l'inferno.
Arlo richiamò la sua attenzione con il suo fiato corto dalla corsa. «É gente del continente» disse. «Vivono sulle spalle del re»
«Non ci hanno nemmeno degnato di uno sguardo»
«Tutto ciò che vedono e apprendono su Icarys devono riferirlo solamente a re Chiaros, pena la morte»
Maximilian si passò un mano sul volto. «Riferiranno di noi?»
«Contando che verrà qui apposta per te immagino saremmo già l'argomento preferito del secolo»
«Per me?»
«Per ciò che rappresenti» tagliò corto Arlo.
Una risatina stridula li interruppe. «Sono andati da quella parte, ne sono sicura!»
Le ragazze sbucarono da dietro l'angolo come se nulla fosse.«Eccoli!»
Maximilian e Arlo salirono l'ultima rampa di scale lasciandole indietro ancora una volta.
La porta che si trovarono davanti era a specchio anch'essa, nonostante non riflettesse le immagini dei due ragazzi se non quelle dei gradini che avevano appena percorso. Non aveva maniglia né toppa per inserire una chiave e la sua superficie sembrava talmente liquida da poterci passare attraverso.
Arlo andò addosso a Maximilian. «Che diavolo fai?»
«Cosa dovrei fare? Buttarmi addosso ad un muro? Non ci sono porte qui!»
Arlo sbuffò. «Ti devo sempre spiegare tutto?» lo canzonò, per poi spingerlo contro lo specchio che si erano trovati davanti.
Maximilian trattenne inconsciamente il respiro. La sua guancia fu la prima parte del corpo a colpire la superficie di quello specchio fantasma e poi fu il turno della spalla e la gamba destra. Gli venne caldo, poi freddo ed infine si ritrovò in piedi all'interno di una stanza con una luce talmente soffusa da sembrare completamente buia. Sbatté gli occhi per mettere a fuoco ma non ci riuscì. Gli ci volle un momento per rendersi conto di che cosa avevano appena fatto.
L'ambiente in cui era stato catapultato non aveva nulla a che fare con il resto dell'isolotto su cui erano approdati poco più di un'ora prima. Non c'erano né tavoli né sedie. Tutto ciò che componeva la stanza era un tappeto e dei candelabri appesi al soffitto. Una donna si trovava di spalle all'angolo destro di un caminetto in pietra chiara e tra le mani teneva un uccello con in bocca una piccola pergamena arrotolata. Portava una gonna lunga fino a terra e numerosi bracciali dorati ai polsi. I capelli ricci le ricadevano sulle spalle come una massa incolta e alla vita portava una cintura stretta tanto da non farla respirare.
«In principio arrivò dunque la fine» proruppe la donna, lasciando che il volatile si librasse in aria e si andasse ad appollaiare sul candelabro. «Non ti aspettavo così presto. Come al solito hai fatto di testa tua»
Maximilian cercò Arlo invano.
Non sentiva più il calore del suo corpo affianco a lui.
In quella stanza ci era arrivato da solo.
La donna si girò per guardarlo in faccia.
Gli occhi vitrei di Madama Theodora si fissarono in quelli del ragazzo. «So che cosa stai pensando, ma non ti devi preoccupare» disse. La sua voce era languida e molto bassa. Assomigliava al sibilo di un serpente. «Al principe non verrà torto un capello»
«Dove si trova? Perché non è qui con me?»
La donna sorrise. Aveva qualche dente d'oro e le labbra sottili. «Ti importa davvero?»
«È così» rispose lui.
«Vieni a vedere tu stesso allora» replicò la donna, aggiustandosi i bracciali che portava ai polsi.
Una piccola finestrella apriva la visuale sul mare. Arlo, racchiuso nel colore rossastro della sera che calava su Icarys, si trovava, insieme alle tre giovani donne che li avevano accolti, in un cortile stretto tra le mura della roccaforte. «Le mie figlie si stanno prendendo cura di lui» disse la donna, schiarendosi la voce e chiudendo il discorso. «Come faranno con te»
«Le sue figlie?» domandò circospetto Maximilian.
«Le figlie del continente» si corresse. «Le figlie del re»
Maximilian fissò per un attimo le onde del mare che riempivano l'atmosfera del loro inconfondibile odore salmastro. «Madama Theodora, anche lei è figlia del continente?» chiese, nascondendo il suo tono accusatorio.
La donna sorrise tra sé e sé. «Siamo tutti figli di qualcuno Ilyan» replicò, richiamando l'uccello che tornò ad appollaiarsi sul suo braccio. «Come tutti io esisto solo finché avrò una utilità per questa terra. Vedimi come uno strumento: se la richiesta che mi viene posta è abbastanza ragguardevole saprò come risponderti»
«Immagino che anche il re abbia avanzato delle richieste» rispose Maximilian, studiando attentamente i lineamenti spigolosi della donna. «Magari una delle quali è davvero degna d'attenzione»
Madama Theodora accarezzò il suo uccello. «Se sei qui, vuol dire che anche tu ne hai una» disse, sembrando alquanto annoiata dalla piega che stava prendendo la discussione. «O sbaglio?»
Maximilian rimase in silenzio.
La donna si sistemò i capelli e fece scorrere il suo sguardo sul corpo del ragazzo. Gli scostò di poco il bavero della camicia per mettere in luce il suo marchio. La cicatrice frastagliata svettava sulla sua clavicola in modo talmente evidente che anche volendola ignorare sarebbe stato impossibile.
«Gli specchi» disse Maximilian. «Mostrano il futuro?»
«Mostrano il destino» replicò la Madama, lasciando andare la camicia. «Ma ciò che è stato scritto non detta legge su una vita. Non pensi che si abbia sempre la possibilità di scegliere?»
Maximilian si passò una mano sulla sua cicatrice. «E lei ha già scelto?»
«Io sono di chi mi cerca» rispose, lasciando che le parole aleggiassero tese tra loro.
«Dunque è qui per me?» domandò. «Chi è lei in realtà?»
Madama Theodora sembrò compiaciuta dalla domanda. «Sono solo una vecchia signora» rispose, lasciando libero il suo uccello dalla piccola finestrella da cui stava calando il sole. «Stanca di rimanere imbrigliata nei fili delle vite altrui. Come recita il mio nome, io non sono altro che un dono forgiato per gli uomini e le donne che mi necessitano»
«E se il suo dono non fosse gradito?» chiese Maximilian, che con lo sguardo tentava di sbirciare al di fuori della stanza per scorgere Arlo. In quel momento, l'unica cosa che voleva era che lui fosse lì, a dirgli tutto ciò che Madama Theodora non gli stava dicendo.
La donna fece una smorfia camuffata da soddisfazione. «Ho paura che tu non abbia scelta» rispose, compiaciuta che quel gioco di parole, che Arlo sarebbe stato più in grado di condurre, non stesse funzionando. «Il sangue è sangue»
«Se servisse a qualcosa sarei disposto a tradire me stesso»
«Ma non Arlo vero?» chiese la donna. La sua statura gli permetteva di guardare Maximilian dall'alto. «Quel ragazzo che tanto ti disprezza ti ha aperto gli occhi come nessuno ha mai fatto. Con lui ti senti una persona diversa. È come se il Rubino, Vaska, tuo padre non fossero mai esistiti»
«Che cosa vuole da me?»
«La sua purezza ti ricorda ciò che hai perso, ciò che forse non hai mai avuto. Forse ti senti una persona migliore, una persona che finalmente può combinare qualcosa di buono con quel poco che la vita gli ha fornito. Nonostante ciò che provi per lui c'è comunque una parte di te che si sente soffocata, pronta ad esplodere da un momento all'altro. Tu hai paura che tutto il marcio che ti porti dentro possa far appassire tutto ciò che tocchi» continuò lei imperterrita, soddisfatta di vedere la maschera di Maximilian distorcersi sotto le sue parole che, seppure vere, nessuno aveva mai detto dal alta voce. «Cosa hai visto nello specchio?»
«Ho visto me stesso»
La madama gli si avvicinò torva. «E lui ti ha già parlato?»
Maximilian si voltò, nascondendo il volto dallo sguardo indagatore della donna. «Non so a chi si stia riferendo»
«Ti ho voluto qui perché la graziosa Nives ha visto qualcosa in te. Così come la depositaria alla cerimonia dell'Eunhoia, entrambe hanno riconosciuto in te la scia» spiegò, piegando la testa di lato e osservando quanto Maximilian fosse fuori luogo. «Sa da quanto tempo ne si era persa la traccia?»
Maximilian tornò a guardarla.
«Ti ha già chiesto di uccidere il principe?» lo spronò la donna.
Il ragazzo non rispose.
«Certo che si, altrimenti non te ne staresti qui a guardarmi con quell'aria da martire»
Maximilian respirò a fondo prima di prendere parola. «La scia è il mio sangue?»
«Ne si sente la puzza da chilometri di distanza. Il sangue degli Antares scorre forte in te.» disse Madama Theodora, facendo tintinnare i bracciali dorati che portava al polso. «Metà di Icarys si è già accorta che qualcosa è cambiato e metà del continente, in questo esatto momento, sta già decidendo le tue sorti come se fosse realmente in mano loro la possibilità di ucciderti o salvarti»
«Mio padre era un poveraccio qualunque» rispose Maximilian, tenendo a bada il respiro.
«Credi che questo cambi qualcosa? Il tuo sangue è lo stesso sangue dell'usurpatore, che tu lo voglia o meno» lo rimproverò la donna. «Su di te gravano secoli di storia e la stessa cosa vale per il tuo principino Phineria»
«Non è possibile che io lo venga a sapere solo adesso»
Madama Theodora sembrò aspettarsi quella a domanda camuffata da timida affermazione. «Ce ne sono stati altri come te, nel corso degli anni, ma in nessuno la scia era così forte, così prepotente» replicò, quasi svogliata. «Il fatto che ci sia qualcuno dall'altra parte che ti sta aiutando ti rende un facile bersaglio per chi ti vuole fuori dai giochi»
Maximilian guardò l'uccello della donna tornare e appollaiarsi sulla sua spalla. «In molti temono che farai più danni di quanto non ne siano già stati fatti e altri non vogliono che le cose cambino affatto» spiegò, srotolando la piccola pergamena che il volatile portava legata alla zampa. «Per alcuni, che Dixtr venga liberato o sconfitto definitivamente, la partita viene persa comunque»
Maximilian guardò come gli occhi di Madama Theodora cambiarono aspetto dopo aver letto il contenuto della pergamena.
«Dovresti capire che non tutti sono disposti a tornare alla Icarys di centocinquanta anni fa. I doni degli dei hanno reso l'isola del sole un paradiso in confronto al resto del globo» continuò, sporgendosi dalla piccola apertura per vedere il borgo immerso nel tramonto ridestarsi, come in preda ad una frenesia momentanea. «Non tutti hanno giovato dell'abbondanza elargita al popolo devoto e non tutti ne sono rimasti contenti»
«Nè i Thefuel né gli Heiliges giovano più di quei doni» protestò.
Madama Theodora si voltò di scatto, colta alla sprovvista da ciò che stava per accadere. «Ci sono sempre dei vincitori, anche se questo significa lodare chi perde meno di altri» rispose, avvicinandosi allo specchio da cui Maximilian e facendogli segno di andarsene. «C'è chi ha goduto delle sventure di Icarys come c'è chi ne ha sofferto»
Maximilian venne spinto via. «Cosa devo fare?» domandò, alla disperata ricerca di un obiettivo o di una qualche sorta di riposta. «Mi ha fatto venire qui senza darmi alcuna spiegazione»
Gli occhi della donna saettarono nei suoi, fulminei. «Sei stato condotto qui per presentarti al mondo, nonostante questo non significhi che io sia d'accordo con il trattamento che ti verrà riservato da esso» disse secca, liberandosi della presenza di Maximilian. «Re Chiaros è arrivato, è ora che tu vada»
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