.24 - Ora andiamo d'accordo?
Maximilian era un po' perplesso.
Iniziare a sentirsi parte di qualcosa non era mai stato veramente nei suoi programmi. Era stato sempre e solamente qualcuno lasciato da solo a combattere le proprie battaglie, nascosto dagli occhi indiscreti della vita. Iniziare a capire che, oltre a ciò che aveva a Vaska, c'era qualcos'altro era stato tanto inaspettato quanto tanto desiderato.
Non era più la stessa persona che era una volta e probabilmente non lo sarebbe più stato.
Ma chi era adesso? Si sentiva in pace a non saperlo.
Era come essere una tela bianca da poter dipingere come meglio credeva. Aveva dimenticato tra quanti colori avrebbe potuto scegliere per tingere sé stesso. Da sempre era stato o il bianco o il nero a tirare le fila della sua esistenza. Vedere la tavolozza ingrandirsi gli aveva donato una serenità che aveva da molto dimenticato.
Quella mattina aveva preso la prima vera boccata d'aria da quando, da piccolo, la pelle sopra la sua clavicola era ancora rossa e dolente. In quella stradina sudicia, lasciato sanguinante per terra, aveva guardato il cielo costellato di stelle e il pensiero di ciò che sarebbe stata la sua vita, da quel momento in poi, era rimasto sempre e solamente uno. Quel marchio gli aveva cambiato l'esistenza e aveva fatto terra bruciata di tutto ciò che, altrimenti, sarebbe potuto essere.
Mentre guardava la schiena di Arlo, davanti a lui seduto sul cavallo, non faceva altro che pensare a tutte le piccole cose che lo avevano condotto fin lì. Come era arrivato a condividere le giornate con uno degli Heiliges che, da sempre, avrebbe voluto incontrare, mentre si dirigeva da una donna che, stando alle parole di Marisa e due dei suoi, da quanto aveva capito dodici fratelli, gli avrebbe rivelato il suo vero scopo nella vita? Ancora non se ne rendeva conto ma gli piaceva quello che stava facendo, qualsiasi cosa fosse.
Il vento del primo pomeriggio gli solleticava il volto e il canto assopito delle cicale copriva il rumore delle ruote del carretto dentro il quale Aldair aveva rinchiuso Coriolano e i suoi due, veri, scagnozzi. Il fratellino più piccolo era in sella con la sorella ed entrambi ridacchiavano di qualcosa che Maximilian non riusciva a capire. Avevano superato le montagne Coriolis da una buona mezz'ora e il sapore dell'aria di mare aveva iniziato a muovere gli steli d'erba alta fino alle ginocchia del cavallo. La sensazione del sale e delle onde che si infrangevano sulle spiagge era un traguardo ormai agognato dalla piccola compagnia che si era formata.
In quella, che seppur non partita serenamente, giornata si respirava quella che a Maximilian aveva tutta l'aria di sembrare la libertà fatta ad emozione. Non era più legato a chi era e ciò che aveva davanti aveva tutta l'aria di avere il profumo di una avventura unica nel suo genere: era inebriante, quasi esaltante, anche se non era certo che ciò che stava percependo fosse effettivamente reale. In realtà era Arlo a sapere in quel modo. La sua pelle aveva il profumo di primavera, di rinascita, di una nuova possibilità, di una seconda possibilità, quella da cogliere al volo perché un treno può passare, se si è fortunati, al massimo due volte, di certo non tre.
Nonostante Maximilian fosse ormai impaziente di arrivare da madama Theodora, avrebbe barattato tutto il tempo del mondo per far durare quella cavalcata anche solo qualche momento in più. Avrebbe voluto assaporare fino all'ultima goccia ciò che stava provando in quel momento e, se fosse valsa come moneta di scambio, avrebbe rifatto tutto da capo solo per sentirsi nuovamente in quel modo: in pace, sereno, sicuro di ciò che era e di ciò che avrebbe fatto per essere chi aveva sempre voluto essere.
In fondo in fondo, il suo desiderio era sempre stato quello di diventare una brava persona, nonostante una parte di sé stesso sarebbe rimasta, sempre e per sempre, oscura e sporca. Quella che aveva sigillato tra le pareti del Rubino e quelle di casa sua lo avrebbe per sempre perseguitato, come un'ombra segue il proprio padrone o come un cane cerca la mano che lo nutre.
Comunque fosse andata quella storia, colto dal sapore di quelle emozioni, Maximilian strinse la gambe attorno al cavallo e si sporse verso Arlo, a sussurrargli qualcosa all'orecchio. «Lo sai che conoscere un Heiliges era il mio desiderio più profondo da piccolo?» gli chiese, rimanendogli fin troppo vicino per cogliere il suo volto cambiare espressione. «Avrei fatto qualsiasi cosa anche solo per scorgerti da uno spiraglio di una porta»
Si tirò indietro, bilanciando il peso sull'animale.
Arlo nascose il fugace moto delle labbra che avrebbe dato vita ad un sorriso.
Maximilian lo notò e sorrise a sua volta. «Ero convinto che foste tutti dei principi e delle principesse e che i vostri capelli fossero tessuti con i raggi del sole» continuò, giocando con le briglie del cavallo tra le sue dita. «Credevo che conosceste i segreti delle stelle e che custodiste la magia tra i vostri palazzi di marmo bianchi»
Arlo questa volta sorrise per davvero.
«Ho visto Phioras solo qualche ora fa e il mio desiderio di sapere tutto su di voi si è riacceso come se non se ne fosse mai andato» provò a spiegare, mentre i riccioli d'oro del suo compagno erano tutto ciò a cui riusciva ad aggrapparsi per non cedere completamente ai ricordi. «Vaska è sempre stata buia e sporca. Sembra di trascorrere le proprie giornate in una enorme stalla nauseabonda. All'odore dopo un po' ci fai l'abitudine, ma il prezzo della vita è talmente alto che i bambini muoiono di fame per strada e tu non puoi fare assolutamente nulla per impedire che i topi se li mangino»
La risata di Marisa fece voltare Maximilian che quasi non si ruppe il collo.
Li stava fissando e confabulava con i fratelli come se non potessero sentirli.
Arlo finalmente si lasciò andare, anche se solo di quanto bastava per richiamare l'attenzione dell'altro ragazzo. «Si staranno chiedendo come mai ora andiamo d'accordo» disse, prendendo un respiro profondo e aspettando che Maximilian dicesse qualcosa per rompere l'imbarazzo creatosi. «O del perché io continui a stare sul tuo cavallo nonostante ce ne sia un altro ben più comodo di questo»
«Questo non ha nulla che non va» replicò Maximilian, notando solo in quel momento lo stallone nero rimasto senza cavaliere. «E poi lo hai detto tu, abbiamo raggiunto una tregua. No?»
Arlo annuì e tornò con il torso dritto, stiracchiandosi. «A Phioras, per lo meno quella che ho conosciuto io, non c'è molto spazio per i sogni» spiegò, con la sua dannata voce che non era né rotta né autoritaria, ma più una supplica silenziosa per farsi ascoltare. «Per noi Vaska ha sempre rappresentato tutto ciò che di proibito la vita ha da offrire, tutto ciò di cui ci si deve vergognare, tutto ciò che si deve nascondere sotto pire e pire di bugie»
Maximilian osservò le mani di Arlo stringersi a pungo. «Da che cosa dovresti nasconderti?»
Arlo sospirò. «Dalla mia natura umana» spiegò, voltandosi di poco verso di lui. «Da tutto ciò che ci distingue da un oggetto inanimato. Io ho imparato a tenera a bada quella parte di me stesso e, per tutti noi, troppo stretti nei nostri vestiti pregiati e i nastri d'orati, sapere che qualcuno invece era governato dai propri sentimenti e dalle sue emozioni era una cosa inconcepibile»
«É questo che vi insegnano di noi?» chiese Maximilian, spronando il cavallo a procedere spedito sopra una piccola altura.
«E a voi?» lo imboccò Arlo. «Che cosa raccontano di noi?»
«A dire la verità non molto» spiegò Maximilian, ricordando tutte le volte in cui avrebbe voluto sapere ma non c'era mai riuscito. «Mio padre non ha mai voluto che conoscessi la verità e ogni volta che chiedevo spiegazioni rimaneva vago. Quando ho preso il posto di mia madre e ho iniziato a lavorare al bordello, ho imparato a tenere la bocca chiusa e a stare lontano da casa il più possibile. Con il tempo, il desiderio di sapere si è trasformato in rancore e ho iniziato ad evitare qualsiasi cosa potesse ricordarmi anche solo il desiderio di conoscenza per il quale venivo continuamente...punito»
«Per me è stato come smettere di respirare» rispose sorprendentemente Arlo, sembrando sul punto di sbattere la testa contro ad un muro o mordersi la lingua per la troppa audacia. Se essere ascoltato era quello che voleva, Maximilian lo avrebbe fatto. «Dopo un po' di tentativi, ciò che provavo è scomparso. Di punto in bianco è come se qualcuno mi fosse venuto a togliere dalle mani il mio stesso respiro e mi avesse piazzato addosso un abito non mio. Dall'ora non provo più nulla, ma forse è anche meglio così»
Maximilian rimase in silenzio e lo osservò di nascosto. Si chiedeva chi, quel ragazzo, fosse stato prima che tutto si fosse frantumato. Lui non ricordava chi era stato quanto bene avrebbe voluto, Arlo invece? Rimpiangeva il passato o era contento di esserselo lasciato alle spalle? Si rifaceva ad esso o guardava avanti?
La curiosità lo stava uccidendo.
«Raccontami del Rubino» proruppe a un certo punto l'Heiliges, rompendo il silenzio creatosi e cambiando discorso. Il suo tono di voce era tornato il solito, come se si fosse reso conto di aver rivelato già troppo in una volta sola. «È davvero come dicono?»
«Come?»
Arlo scrollò le spalle. «Rosso, chiassoso e non molto pudico» rispose come se fosse ovvio. «Un luogo dove i desideri più inconfessabili vengono esauditi su un piatto d'argento»
Maximilian si impettì, lusingato. «Per quanto mi faccia piacere sapere della notorietà del mio locale, sicuramente la concorrenza Heiliges non deve essere da meno. Immagino che anche voi sappiate divertirvi a dovere» replicò, serrando di poco le gambe sul cavallo al ricordo delle sconcerie accadute per quei corridoi color del sangue. «Dopotutto, parlando per ciò che conosco, di solito sono proprio i più rigidi a lasciarsi andare per primi»
Arlo ridacchiò. «Si, certo» replicò, passandosi una mano sul volto e, per la prima volta, scostandosi i capelli dagli occhi senza ripensamenti. «Non ho mai sentito di un Heiliges in grado di, come dici tu, lasciarsi andare»
Maximilian corrucciò le sopracciglia, sorpreso. «Immagino allora siate tutti molto nervosi»
Arlo rise di nuovo e continuò a parlare. «Immagini bene» replicò, mostrando i denti bianchi e accarezzando il collo del cavallo. «Non sarei affatto sorpreso di venire a sapere che il motivo per cui Phioras sta perdendo sempre più cittadini è causato dal fatto che i nobili non hanno più intenzione di più giacere tra loro»
Maximilian si voltò fugacemente indietro per vedere a che punto erano Marisa e gli altri. Evidentemente gli stavano dando dello spazio perché erano rimasti indietro di un bel pezzo. «Sei davvero un principe come dicono?» gli chiese quindi, tornando a prestare a sua attenzione ad Arlo. «O sei semplicemente...uno smorfioso?»
Il ragazzo inclinò la testa. «Secondo te?»
«Su di me non c'è molto da dire» rispose di getto. «Ma tu sembri riservare sorprese»
A quanto pareva Arlo sapeva anche essere simpatico, oltre che una testa dura.
«É solo il modo in cui le persone mi vedono» spiegò, sistemandosi la casacca sulle spalle e chiudendosi meglio la camicia. «Discendere dal fratello bastardo dell'usurpatore porta vantaggi e svantaggi a cui noi Phinnys non possiamo sottrarci»
«Discendi dall'usurpatore?» chiese, sorpreso, Maximilian. «Questa non me la aspettavo! Allora sei davvero uno smorfioso!»
«Dal suo fratello bastardo» lo corresse Arlo, come se stesse conversando con l'amico di più lunga data che avesse mai avuto. «La mia famiglia non ha alcun rapporto di sangue con gli Antares, che invece discendono, per davvero, dall'usurpatore e, se vogliamo, per estensione, da Dixtr in persona»
A Maximilian prese un colpo.
Possibile che fosse tutto vero?
Le parole di Alexandra.
Il suo timore che in lui ci fosse qualcosa che effettivamente combaciava con la descrizione comune di 'male'.
Qualcosa che aveva sempre sentito, ma che aveva sempre sepolto in fondo a stesso come se non ci fosse mai stato.
Arlo dovette accorgersi che si era ammutolito e fu lui a continuare con il discorso, quasi come se la sua presenza lì fosse stata superflua e stesse, per l'appunto, parlando da solo, o forse con sé stesso. «I Phinnys o meglio i Phineria, all'epoca della guerra del cervo, vantavano di due baldi giovani per portare avanti il retaggio della famiglia. Il primo era Olson, il figlio legittimo dei forti in corpo e anima. Il secondo era Micah, figlio di un mercante del continente proveniente da un piccolo borgo di nome Even» spiegò il ragazzo, mentre Maximilian tentava di assorbire passivamente anche solo qualcuna delle parole che stava udendo. «Il secondo, benedetta l'anima sua, fu abbandonato dalla famiglia all'età di appena cinque anni e lasciato in balia delle onde del mare. Chiamiamolo destino o provvidenza, il piccolo arrivò in un cesto fino a Cronopolis. Là, uno dei servi dei Phineria, in villeggiatura presso le spiagge bianche, lo raccolse e lo riportò, di nascosto, fino a Babilos, città originaria della mia famiglia»
Maximilian ascoltava in silenzio, quasi come fosse colto in contropiede e non riuscisse più a favorire parola.
«Quando i miei antenati si accorsero della libertà che il servo si era preso, al posto di cacciarli via entrambi, decisero di allevare il bambino come se fosse della famiglia e gli diedero, a tutti gli effetti, il loro cognome» continuò Arlo, aspettando invano che Maximilian proferisse anche solo un lamento o che desse cenno di vita. «Tra i due fratelli non ci fu mai odio, anzi. Nonostante Olson fosse il figlio prediletto degli dei e ricco in fortezza, non fece mai sentire Micah inferiore a lui. Il maggiore istruì il minore come se condividessero lo stesso sangue e, per anni, pregò Salus affinché concedesse anche anche a Micah i doni che erano stati elargiti a tutta la famiglia»
Arlo fece una pausa. Il rumore delle onde del mare iniziava a sentirsi, dirompente e temerario. «Nonostante fosse Micah quello che tutti si aspettavano potesse cadere in tentazione, fu invece Olson quello che si gettò nell'oscurità, donando la sua fedeltà a Dixtr, quando lo tentò» continuò, mantenendo il volto rilassato e il tono di voce composto. «Il momento in cui il maggiore lasciò casa per seguire gli ideali corrotti del suo maestro fu anche il momento in cui i Phineria divennero i Phinnys e la dinastia degli Antares ebbe inizio»
Un lamento di Coriolano all'interno del carretto ridestò Maximilian. «Perché mi stai raccontando tutto questo?» domandò quindi, come se si fosse svegliato da un sonno tanto profondo da scordarsi la sua stessa identità. «Per me ha senso quanto una banana in bocca ad un asino»
Arlo aspettò un attimo e poi continuò. «Hai detto che non conosci la storia» replicò, cauto. «Ti sto raccontando la mia»
Maximilian si tirò su. «Mi stai raccontando quella della tua famiglia, non certo la tua» lo corresse, con un tono di voce tanto sottile quanto allusorio. «Perché non mi dici qualcosa di te? Qualcosa che mi sorprenda davvero...»
Arlo si scostò da lui, come scottato.
«Ti basti questo» tagliò corto, coprendosi nuovamente il volto con i riccioli d'oro. «Non ti serve sapere altro»
Maximilian si fece nuovamente vicino. «Riuscirò a farti parlare» sussurrò, resistendo alla tentazione di scostare i capelli biondi di Arlo e guardarlo in faccia come se tutte quei segni non ci fossero mai stati. «Ma per ora mi accontenterò di sapere che luogo è quello in cui il sole bacia la vita, ma fa perire la giovinezza, dove gli occhi si chiudono e i morti ballano»
Arlo impallidì, come se quelle parole fossero state peggio di uno schiaffo. «Come diavolo fai a conoscere quel posto?» chiese, alzando di poco il tono di voce. «Solo io e...»
«Aren?» terminò Maximilian la frase al posto suo. «È stata una sorpresa anche per me, ma a quanto pare parlo con i morti»
«Menti» concluse Arlo, con tutta la semplicità del mondo.
Μaximilian sorrise, come consapevole di aver toccato un punto debole. Di certo non avrebbe voluto infierire, ma l'espressione tesa di Arlo lo faceva più divertire che arrabbiare. «Può darsi» rispose. «Ma Nives mi è sembrata abbastanza seria quando me lo ha rivelato nel bel mezzo di quella buia biblioteca e mi ha rifilato quel libro polveroso. Inoltre, il fantasma di tuo fratello mi è sembrato molto limpido quando mi è apparso in sogno»
«Che libro?»
«Una cosa tipo La genesi del dubbio»
«L'hai già letto?»
Maximilian non avrebbe voluto rispondere, ma le parole gli uscirono di bocca. «No»
«Per uno che vuole sapere la verità, mi sembri davvero poco motivato»
Istintivamente, portò una mano all'altezza del suo marchio, come se fosse stato lui la causa di tutto. «Non so leggere» rispose, silenzioso. «Purtroppo le mie capacità intellettuali sono molto limitate»
Arlo fece finta di niente e Maximilian gliene fu grato. «Quel volume è stato scritto da uno dei miei antenati. A Phioras ce ne è un'altra copia. Quella originale, che a quanto pare hai tu, è stata donata alla biblioteca di Bytar, e quindi alla linea, quando il mio tris nonno perse le tracce degli ultimi Antares» spiegò, inspirando profondamente l'aria ricca di salsedine. «Al suo intero è custodito l'albero genealogico nato a partire dall'unione tra Olson e Elizabeth Antares»
Elizabeth Antares.
E.A.
Maximilian deglutì a vuoto.
«Aren mi ha detto di aver nascosto la sua parte del medaglione per proteggerti, di averlo celato a tutti per te» disse, con un nascente senso di nausea alla bocca dello stomaco. «Dove hai nascosto il mio di pezzo?»
Arlo scrollò le spalle. «L'ho spedito a Vaska, nel tuo locale» rispose tranquillamente.
«Sei fuori di testa?»
«É il primo luogo che mi è venuto in mente» disse, forse troppo sereno.
Maximilian si passò una mano sul volto, spazientito. «Come hai fatto a sparire dalla mia borsa, proprio sotto gli occhi di Coriolano e degli altri due idioti?» chiese. «Non può essersi mica volatilizzato nel nulla»
Arlo ridacchiò tra sé e sé. Forse l'ingenuità del barone di Vaska lo divertiva a tal punto da renderlo più genuino. «Infatti sbagli» disse, cercando di mantenersi saldo sulla sella. «É un vecchio trucco che mi hanno insegnato le ancelle, quando ero bambino. Non è nulla di che, volendo potrei anche richiamare il medaglione indietro ma così perderei tutto il divertimento che mi porterebbe osservarti nel tuo habitat naturale»
«Vuoi venire davvero al Rubino?»
Arlo annuì. «Come ti ho detto, a Phioras non ci sono molte distrazioni» spiegò. «E dato che ormai sono qui e le possibilità che tu mi uccida e che qualcun altro tenti di farlo sono elevate, non ved0 perché io non possa godermi questa disperata parentesi della mia vita e, magari, visitare Vaska e qualche altro borghetto suggestivo»
Maximilian spalancò la bocca. «E se qualcuno trovasse la mia parte di medaglione prima di noi?»
«Impossibile. Appare solo agli occhi del proprietario o a quelli della persona che ha lanciato l'incantesimo» disse, interrompendolo prima che finisse la frase. «Dato che tu sei il legittimo erede e io sono cieco, non corri alcun rischio»
«Quindi vale anche per la parte di Aren?»
«No, la magia viene insegnata solo al secondo o alla seconda genita» rispose Arlo, mantenendo la schiena dritta e le spalle rilassate. «Aren è stato addestrato alla temperanza, alla resilienza e al combattimento. È stato cresciuto con le regole della religione dei sette dei originali e a lui è sempre stato proibito avvicinarsi alle arti magiche. Penso che abbia pagato qualcuno per nascondere il medaglione prima che venisse ucciso. Probabilmente era consapevole del suo destino e non voleva che tutti i suoi sforzi fossero vani...»
Maximilian si schiarì la voce. «Chi sono le ancelle?»
«Si racconta siano figlie della Terra, nate dal sacrificio di Elizabeth e dalla maledizione che ha decimato gli Antares. Altri racconti fanno riferimento a un dono fatto a Micah, dopo il tradimento di Olson. Altri ancora pensano che siano ninfe nate dal sangue versato dagli abitanti di Icarys» rispose Arlo, senza voltarsi indietro al richiamo di Aldair che faceva loro segno di rallentare. «Presiedono alla cerimonia Brylast che si tiene alla culla del sole e della luna»
Maximilian tirò le redini del cavallo. «Che cosa ti hanno insegnato?» domandò curioso, evitando completamente di chiedersi che cosa, le ancelle, c'entrassero con lui. «Hai qualche altro asso nella manica?»
Arlo non aspettò nemmeno che il cavallo si fermasse e saltò giù. «Tempo scaduto» disse, aspettando l'arrivo dei loro compagni di viaggio e dando le spalle a Maximilian. «Ti ho già detto abbastanza»
Maximilian smontò da cavallo subito dopo di lui e lasciò l'animale libero tra l'erba. «Quando vuoi sai essere irritante» constatò, caricandosi la sacca sulle spalle e beccandosi una occhiata complice da parte di Aldair. «Ma per stavolta terrò a bada la mia curiosità»
Marisa li raggiunse. I suoi capelli rossi sembravano ancora più lucenti sotto al sole del pomeriggio. «Siamo arrivati» disse. «Credo che sia ora di salutarci di nuovo»
Maximilian si guardò intorno: dietro all'ultima altura si stagliava il mare di Lochy e la fine della linea. «Voi che cosa farete?»
«Vedremo di fare parlare Coriolano e capire che cosa stia succedendo nei retroscena politici» rispose Aldair, appoggiando una mano sulla spalla di Maximilian. «Aeryn dice che il re Chiaros presenzierà al ballo di primavera tenuto da Madama Theodora ed è molto probabile che ci siano guai in vista»
«Non mi sorprende affatto ma, se Ilyan non si metterà nei guai, dovremo cavarcela e venire via prima che le cose si mettano male» replicò Arlo, sorridendo sotto i baffi al solo pensiero che non fosse lui quello di cui le persone dovevano preoccuparsi. «Ma prima di andare a Vaska dovremo fare una tappa intermedia alle spiagge bianche. Devo recuperare una cosa prima di salire al Nord»
«Va bene, ma state attenti» intervenne Marisa, abbassando il tono di voce per non farsi sentire. «Se dovesse succedere qualsiasi cosa, noi vi aspetteremo all'emporio delle spezie alle vecchie rovine Babilos»
Maximilian guardò un'ultima volta quella sconquassata compagnia prima di richiamare il cavallo. «A presto» disse, allungando una mano per far montare anche Arlo e risalire l'ultima china. «E buona fortuna»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top