20. - L'arpa (parte due)
Arlo si era fatto prendere sotto braccio per scendere la scale che portavano ad una locanda che in realtà era più una terrazza di forma esagonale che altro. Le persone si erano accalcate attorno ad una giovane donna che suonava elegantemente un'arpa dorata, su cui erano intarsiati degli uccelli con in bocca dei rami d'alloro e delle bacche. La ragazza portava una veste rossa e aveva il volto coperto da un velo dello stesso colore. Le lunghe dita inanellate suonavano lo strumento con maestria ed eleganza estrema: sembrava come se stesse conversando con un amante, o ne stesse piangendo la perdita.
Tra tutti quanti vestiti di blu, Maximilian e Arlo erano gli unici che davano nell'occhio, nonostante nessuno, molto stranamente, li stesse in realtà degnando di uno sguardo. Gli occhi di ogni singolo presente erano infatti rapiti dalla ragazza coperta da una cascata di rosso e gli unici che occupavano i tavoli a disposizione erano i Brylast più anziani: una coppia sulla trentina che parlava a bassa voce per non disturbare e un terzetto che andava per i quaranta. Arlo sembrava spaesato, ma allo stesso tempo emanava una determinazione tanto preponderante da sembrare rabbia a stento repressa. Qualsiasi cosa lo avesse portato fin lì, quasi sicuramente, avrebbe dato libero sfogo nel giro di poco tempo
Con grande stupore, dopo aver percorso le scale per scendere sulla terrazza, Maximilian si accorse di non trovarsi affatto verso il lato nord di Icarys, come si sarebbe aspettato, ma bensì su quello sud. La città di Phioras non si scorgeva più ma, nonostante il sole fosse già scomparso dall'orizzonte, le invalicabili montagne Coriolis avevano lasciato il passo a docili colline e a pascoli erbosi. Nonostante non fosse più a Vaska già da parecchi giorni, non si era ancora abituato all'aria pulita e all'atmosfera di tranquillità e pace che il settentrione aveva da offrire. Se avesse voluto essere completamente sincero con sé stesso, Maximilian avrebbe piantato in asso qualsiasi cosa per inoltrarsi nei boschetti di ulivi delle provincie per poi non tornare più indietro.
Purtroppo però, almeno per ora, quel desiderio sarebbe rimasto tale.
Si sarebbe mai lasciato alle spalle il suo passato per ricominciare da capo?
Nonostante il Rubino e la sua vita gli mancasse, e parecchio, c'era sempre stato qualcosa, dentro di lui, che aveva cercato di urlargli addosso tutto ciò che di sbagliato aveva sempre fatto finta non ci fosse. Era come un fiato sul collo, un insetto che sussurrava al suo orecchio, un costante malessere e malinconia di qualcosa che non aveva, che non era. Con il tempo ci si era abituato, ma ora come ora sembrava essere tornato più preponderante di prima. Lo sfiancava, lo stancava, lo stremava.
Iniziava davvero a pensare di essere arrivato al suo capolinea.
Nella sua borsa giacevano ancora il libro di Nives e lo strano coltello che quell'uomo gli aveva rifilato, nella speranza che uccidesse il suo compagno di viaggio, quello strano ragazzo a cui Maximilian iniziava, in qualche strano modo contorto, a sentirsi legato, o forse incatenato a vita. Non era certo se le parole di Alexandra, quelle di Marisa o quelle di chiunque altro gli avesse rifilato una storiella sul passato e sui rischi di essere sé stesso avessero attecchito. C'era una cosa su cui però non avrebbe potuto mentire a sé stesso: non sarebbe tornato ad essere quello che era prima. Quella persona rancorosa, arrabbiata e delusa che era stata costruita per sopravvivere in un luogo tanto corrotto quanto immorale lo aveva allontanato da tutto ciò che un tempo, da bambino, avrebbe voluto essere.
Forse era davvero giunto il momento di non voltare più le spalle a sé stesso.
Se non lo avesse voluto fare per gli altri, lo avrebbe almeno fatto per quel bambino marchiato a sangue nelle strade di Vaska, indifeso e tradito dalla sua stessa famiglia.
«Sediamoci da qualche parte» pretese Arlo, senza tanti giri di parole e riportando Maximilian, violentemente, alla realtà. La presa sul suo braccio si era fatta più forte, quasi il ragazzo volesse sistemarsi il più in fretta possibile. «Ordiniamo da bere»
Maximilian, seppur controvoglia, distolse lo sguardo dalle pianure e i suoi abitanti per adocchiare due posti liberi. Quando li trovò, vi ci si avvicinò di soppiatto, segnandosi mentalmente dove fosse l'uscita, nell'ipotetico, o forse ormai scontato, caso di un qualche tipo di intoppo durante la serata.
Arlo lo seguì a ruota, rimanendogli accanto e usando il suo braccio come guida discreta.
Nessuno rivolse loro la parola finché un ragazzo, poco più che ventenne, non gli fu accanto per prendere le ordinazioni.
«Buonasera!» disse infatti quest'ultimo, con un'aria da bambino nonostante la barba nera sulle sue guance. Aveva le braccia di chi aveva sollevato pesi per metà della sua vita. Probabilmente, prima di arrivare nella Merkal, doveva essere stato un Theufel. «Che cosa desiderate?»
Arlo si lasciò andare pesantemente contro lo schienale della sedia. «Per me Arphosis» pretese, senza lasciarlo finire. «Possibilmente freddo e in fretta»
Maximilian lo guardò di striscio, stupefatto come sempre dalla sua totale incapacità di tatto. «Per favore» aggiunse al posto suo, cercando in qualche modo di arginare la sfacciataggine del suo compagno di sventure.
In realtà, anche lui, nel corso degli anni, aveva abbandonato qualsiasi norma di comportamento sociale positiva avesse mai potuto desiderare di avere. Era vero, si era trasformato nell'arida e prepotente persona che suo padre aveva sempre voluto che fosse, seguendo il suo esempio da buon Theufel. Aveva soppresso qualsiasi sentimento di empatia, di fratellanza e di amicizia per diventare simile ad un pezzo di ghiaccio: era diventato intoccabile certo, ma era sempre rimasto solo con sé stesso. Da quando si era presentato alle porte della Merkal, però, sembrava come se quel lato di lui stesse lentamente scemando, lasciando spazio ad un sentimentalismo tanto scontato quanto infantile.
«Non credo di essere in grado di soddisfare la vostra richiesta...» provò a scusarsi il Brylast, portandosi una mano dietro alla nuca in un goffo tentativo di mascherare il suo disagio. Nonostante fosse grande e grosso, la sua goffaggine era l'unica cosa che, agli occhi degli altri, doveva averlo definito. «Mi dispiace»
Arlo si tirò su e appoggiò i gomiti sul tavolo. Aveva iniziato a sudare, come se sapesse di star andando incontro ad un completo e preannunciato disastro. «Per caso in questo posto non siete soliti assecondare le richieste dei soldati del continente?» domandò, retorico. «Non abbiamo forse fatto abbastanza per voi?»
Il giovane Brylast sembrò ancora più a disagio. Fissò il suo sguardo in quello di Maximilian come a chiedere un silenzioso aiuto, che purtroppo non ricevette. «Siete del continente?» domandò, iniziando ad intuire che qualcosa non andava. «Non vorrei essere scortese, ma non avreste già dovuto essere lontani in questo momento?»
«Che c'è? Non mi credi?» continuò Arlo, costruendo artificiosamente la sua finta aria da persona prepotente e intimando Maximilian di starne fuori. «Devo forse mettermi qui a raccontarti come ho perso gli occhi?»
Il ragazzo scosse la testa. «No» disse. «Ma sono certo conoscerete le regole...»
Maximilian iniziò veramente a pensare che Arlo volesse, di sua spontanea volontà, iniziare una discussione e alzare un polverone. Il motivo di quella scenata gli era ancora, però, completamente sconosciuto. «Che cos'altro avete da offrire?» domandò quindi, cercando di mettersi in mezzo e raffreddare gli spiriti. «Vino? Succo di sidro? Liquori?»
Arlo alzò, di un tono, la voce. «Tu stanne fuori Herderic» lo rimproverò, tagliandolo completamente fuori dalla discussione. «É stata una giornata lunga e se voglio un bicchiere di arphosis ho il sacrosanto diritto di ordinarlo. Questa dannata taverna ha il dovere di servirmelo non appena lo richiedo!»
Maximilian alzò le mani. «Va bene, fai come ti pare» disse, iniziando a sospettare che i loro ruoli, ad un certo punto del loro viaggio, dovessero essersi, in qualche modo, invertiti. Qualche tempo prima, infatti, si sarebbe comportato nello stesso esatto modo in cui si stava comportando ora Arlo. Al Rubino, ma anche in ogni altro luogo di Vaska, se avesse domandato qualcosa, avrebbe preteso che gli fosse servita nel giro di un istante. Non erano stati pochi quelli che avevano deluso le sue aspettative: per uno come lui, l'unica risposta possibile era un sì.
«Mi dispiace...» provò ancora il Brylast. «Io...»
Arlo sbuffò e alzò ulteriormente la voce, come a volersi far sentire da tutti e disturbando la piacevole serata appena iniziata. «Perfetto!» si lamentò infatti, tornando contro lo schienale della sedia e accavallando le gambe. «L'ennesimo idiota che non sa fare il suo lavoro»
Maximilian aveva davvero iniziato a riconoscere in Arlo tutto ciò che un tempo era stato anche lui.
Il sopracciglio destro curvato, le spalle larghe distese e il gomito appoggiato al bracciolo della sedia.
Il movimento ritmico della caviglia e il modo in cui il suo dito indice tamburellava sul tavolo, irrequieto.
La piega che avevano preso le labbra e la leggera ruga in mezzo alle sopracciglia.
Se si fosse alzato e avesse fatto cacciare via tutti dal locale sarebbe stato il colmo: Maximilian era solito sgomberare il Rubino al minimo disturbo percepibile. Non era raro che la gente venisse cacciata fuori a calci per aver detto una parola di troppo o per non aver pagato quanto dovuto. La lista nera degli ospiti era lunga tanto quanto quella degli invitati e questo, almeno un po', aveva sempre fatto accrescere il suo ego già smisurato.
Quella sera, era come trovarsi davanti ad un deja - vu. Di certo non era uno di quelli in cui appariva suo padre o quella strana bambina che diceva di conoscerlo, ma uno più vivido, più reale. Era come se Arlo avesse rubato la coscienza a Maximilian e Maximilian l'avesse rubata ad Arlo.
"Quello che non è lui sei tu e quello che ha lui tu non lo hai" aveva detto Coriolano, appena qualche ora prima.
"Siete uno l'altra faccia della medaglia dell'altro" aveva continuato. "Vi completate e vi colmate a vicenda"
Era forse questo che stava succedendo?
«C'è qualche problema qui?» si intromise qualcuno, alla fine nel monologo interiore di Maximilian.
Quest'ultimo alzò lo sguardo dalle sue mani.
Un terribile presentimento aveva iniziato ad arrovellarsi tra i suoi pensieri.
La ragazza vestita interamente di rosso aveva abbandonato la sua arpa, lasciando i presenti insoddisfatti, e si era avvicinata, senza farsi sentire, alla piccola discussione che stava nascendo. «Meylo?» richiamò questa il Brylast. «Che succede?»
Il ragazzo scosse la spalle e indicò, silenziosamente, Arlo e Maximilian ancora comodamente seduti sulle sedie del locale. «Vogliono che gli serva dell'Arphosis, Sireya» replicò, lisciandosi il grembiule legato all'altezza del busto che nascondeva la sua divisa blu. «Ho già ricordato ai signori le regole ma...»
Sireya?
Per poco Maximilian non si ingozzò con la sua stessa saliva.
La giovane piegò leggermente la testa di lato, come se avesse inteso subito quale fosse il problema. Liquidò dunque il cameriere con un gesto disinvolto della mano e poi tirò a sé una delle sedie libere della terrazza. «Torna pure al lavoro» disse, accomodandosi e accavallando le gambe. «Qui me la sbrigo io»
Arlo aveva una strana espressione sul volto: sembrava teso, ma qualcosa stava dicendo a Maximilian che era più arrabbiato che agitato. Le labbra sottili schiuse e le piccole rughe di espressione agli angoli degli occhi gli ricordavano dannatamente una delle espressioni che era solito fare per intimidire i guardoni, quando ancora stava al Rubino. Forse era una sua impressione, ma Arlo sembrava sul punto di intavolare una discussione tutt'altro che piacevole, quasi come se lo avesse trascinato lì apposta, per farlo assistere ad una sceneggiata premeditata.
Voleva forse fargli capire qualcosa?
«Non pensavo che un piccolo capriccio di due soldati del continente avrebbe disturbato una musicista così abile» iniziò Arlo, tirando una discreta gomitata a Maximilian che guardava la scena allibito. «Ho paura che gli ospiti di questa sera siano rimasti parecchio delusi quando hai smesso di suonare con tanta grazia. Dove hai imparato a maneggiare uno strumento così bene per attirare anche l'attenzione di un cieco?»
La ragazza scostò il velo rosso che gli copriva il volto e incatenò i suoi occhi in quelli di Maximilian, come se avesse capito chi, dei due, fosse il più debole. Aveva lanciato una sola occhiata sfuggente ad Arlo e aveva concentrato tutta la sua attenzione su di lui. Nonostante non gli dispiacessero quei cinque minuti sotto i riflettori, stranamente aveva iniziato a sentirsi a disagio e troppo scoperto. Qualcosa, in lei, gli ricordava l'uomo delle sue visioni, con i suoi occhi profondi e la lingua tagliente.
Le labbra carnose tinte di rosso risaltavano l'incarnazione olivastra della giovane e due pendenti d'orati si nascondevano dietro una folta chioma liscia color mogano. Doveva avere almeno venticinque anni e una lunga esperienza in qualsiasi campo interpersonale richiedesse l'arte della seduzione. Il portamento regale e l'aria elegante che la contraddistingueva la rendevano il centro dell'attenzione di chiunque avesse posato gli occhi su di lei e questo non faceva altro che aumentare il potere che quella ragazza poteva vantare di avere. Se realmente era la donna di cui Coriolano aveva parlato, il fratello di Arlo era stato segnato a vita ancor prima di vederla in volto.
«Sono lusingata dalle vostre parole, ma sono sicura che i miei ospiti possano fare a meno di me per qualche istante» replicò infine questa, allungando una mano verso Maximilian e piegandosi leggermente in avanti per farsi più vicina. «Io sono Sireya, la proprietaria della terrazza. Che cosa posso fare per voi?»
Maximilian non disse nulla, aspettando di vedere che cosa avrebbe escogitato Arlo.
La ragazza li guardava curiosa, consapevole di essere incappata in qualcosa di insolito.
Sembrava non riconoscere il ragazzo biondo che aveva davanti.
O quella non era la donna di cui Coriolano aveva parlato.
Oppure era lei a non avere la minima idea di chi fosse Arlo e quindi, conseguentemente, chi fosse anche Maximilian.
«Penso non ci sia la necessità di ripetere la nostra richiesta, Sireya» rispose Arlo, mantenendo un tono di voce calmo e profondo. «Non credevo che voi Brylast avreste opposto così tanta resistenza per una semplice bevanda»
La ragazza si sistemò meglio il velo rosso ed iniziò a giocare con una ciocca dei suoi capelli, senza mai distogliere lo sguardo da Maximilian. Era come se stesse cercando una risposta ad una domanda non ancora posta. «L'aphrosis non è una semplice bevanda» replicò, inumidendosi le labbra rosse e voltandosi verso Arlo. «Se le persone del continente non ne risentono gli effetti, non vale lo stesso per i Brylast. Può essere pericoloso...»
«Come hai appena detto tu stessa» continuò Arlo, iniziando a sciogliersi un po'. «Per noi del continente è una semplice bevanda ed è interamente innocua. Dovresti rammentare al tuo cameriere che voi e noi non siamo divisi solamente del mare, ma anche da ben altro...»
Sireya annuì tra sé e sé. «Con chi ho il piacere di conversare?» domandò, accavallando le gambe e guardandosi velocemente attorno. «Converrete con me che prima di realizzare il vostro desiderio, due domande tra amici non possano fare altro che giovare all'umore. Dal mio ritorno alla Merkal mi sento così sola e sconsolata. Che notizie mi portate dal continente?»
«Sillas ci ha inviato per due anni consecutivi su Icarys per l'arrivo dei Brylast» la informò Arlo, completamente a suo agio nel raccontare bugie su bugie. «Come saprai il continente è stanco di non arrivare a dei risultati. Patros sta pensando di non concedere più soldati per l'Eunohia dell'anno prossimo e chiudere completamente qualsiasi contatto con la vostra isola»
«Di questi tempi non ci sono più certezze» replicò Sireya, sistemando le pieghe del suo lungo abito rosso per poi rivolgersi direttamente a Maximilian. «Credete che quello che si mormora in giro sia vero?»
Maximilian scrollò le spalle. «Non dò molto peso ai pettegolezzi» rispose, controllando che i suoi averi fossero tutti al proprio posto. «Ho delle riserve su qualsiasi cosa dica la gente, sopratutto negli ultimi tempi»
«Ho davanti a me un uomo tutto d'un pezzo» constatò la ragazza, impettendosi e raddrizzando la postura sulla sedia di legno. Da lontano il cameriere di nome Meylo li stava osservando silenziosamente. «Mi ricordi molto la mia metà, sai? Qual è il tuo nome, se posso saperlo?»
Maximilian mantenne lo sguardo fisso in quello della ragazza. A quanto pareva, Arlo sembrava fidarsi abbastanza per lasciarlo parlare liberamente. «Herderic, al tuo servizio» rispose, cercando di solleticare quanto possibile l'egocentrismo della giovane.
«Nome insolito, un po' come il mio» commentò lei. I lunghi capelli scuri erano leggermente spettinati dalla brezza notturna. «Sfortunatamente per me ci sono pochissimi Brylast che vengono da Noskov e la mia reputazione, precedendomi, mi lascia spesso completamente sola...»
Maximilian decise di incalzarla. «Le donne con un passato oscure mettono in soggezione solo gli uomini piccoli» provò, facendola sorridere lusingata. «Dimmi, che cosa si nasconde dietro tanta bellezza?»
Sireya sembrò riflettere sulla domanda, come se non fosse sicura se rispondere oppure no. «Il mio abito non ti ha dato alcun indizio?» chiese, tirando la cosa per le lunghe nel tentativo di esporre Maximilian. «Vuoi davvero che la verità esca dalle mie labbra?»
Maximilian si portò una mano sotto al mento e vi ci si appoggiò, sporgendosi verso la ragazza. «Sono un uomo tutto d'un pezzo» disse, afferrando il velo rosso di Sireya che stava per essere portato via dal vento. «Non mi piace sentire la storia da chiunque, se non da chi l'ha vissuta personalmente. Si perderebbe tutta la sua poesia altrimenti, non trovi?»
Sireya sembrò calibrare le parole prima di parlare. Le lunghe ciglia gli accarezzavano gli zigomi e la pelle liscia rifletteva la luce del fuoco appena accesso. «Ho perso la mia metà» disse infine, sottraendo la sua mano da quella di Maximilian. «Nonostante sia passato del tempo, la ferita sanguina ancora come se fosse successo solo ieri e il distacco mi ha segnata più di quanto io voglia ammettere. Per i Brylast la perdita del proprio compagno è la cosa più dolorosa che un essere umano possa sperimentare. Ci eravamo scambiati noi stessi davanti alla culla della luna e del sole quando mi è stato portato via. La parte di me stessa che viveva in lui è morta nel momento in cui Aren si è lasciato alle spalle questo mondo»
Maximilian dovette prendersi un momento per riflettere e mettere in ordine i suoi pensieri.
Dunque era davvero lei.
Questa Sireya era quella Sireya.
Perché Arlo aveva voluto incontrarla?
Sopratutto, come faceva a non averlo riconosciuto?
Non si erano mai visti?
Come faceva lui a sapere di poterla trovare lì?
«Eravamo sulle coste nord occidentali di Ladyr quando è successo» continuò la ragazza, sfoggiando una tristezza che sembrava più sforzata che naturale. Arlo, impassibile, sembrava non starsi bevendo affatto quel teatrino. «Pioveva a dirotto e non ho visto bene. In quei giorni Aren era diverso da solito: era agitato, scontroso, sconsolato. Quando gli hanno tolto la vita su quella scogliera non sono riuscita ad arrivare in tempo. Il volto della ragazza che gli ha oltrepassato il cuore con la sua spada non me lo dimenticherò mai...»
Quale ragazza?
Un'altra ragazza?
Ancora?
«Mi dispiace molto per quello che ti è capitato» replicò Maximilian, cercando di non esporsi troppo e rimanere neutrale. «Non oso immaginare che cosa significhi per quelli come voi affrontare una dolore del genere»
Maximilian si morse la lingua. Alla fine dei conti, anche lui era un Brylast, proprio come lei.
Sireya si asciugò le lacrime. «Non esiste nulla di lontanamente paragonabile con il legame tra il Moyer e l'Oyer che si instaura tra due Brylast» spiegò ancora, cercando di ricomporsi e tornando in posizione eretta e composta. «Quella giovane che ha tolto la vita ad Aren evidentemente non credeva nei nostri ideali. Nono ho mai visto nessuno agire guidato da tanto odio. Non ha nemmeno esistano prima di portarlo via da me...»
Maximilian si voltò ad osservare Arlo, silenzioso e attento ad ogni parola stesse uscendo dalla bocca di Sireya. «Da quanto mi risulta non tutti i legami Brylast sono fruttuosi come dici» si intromise, rompendo il flusso di coscienza della ragazza. «La metà delle persone che si trova qui ora non lo sperimenterà mai. Nessuno di questi Brylast, a parte te a quanto pare, sa nemmeno che cosa vuol dire essere legati a vita ad una persona e agire per un bene superiore»
«Hai ragione» rispose lei, osservando Arlo con la coda dell'occhio e tornando a guardare la sua arpa, ora sola, senza musicista. «Ma forse è meglio così. Non tutti sono pronti ad affrontare una cosa del genere. Essere un Brylast a volte non basta nemmeno per sopravvivere. Ci sono tante cose che gli antichi non ci hanno detto...»
«Che cosa vuoi dire?» domandò Maximilian, trepidando sulla sedia alla disperata ricerca di qualche delucidazione.
Sireya tornò a guardarlo. «I Brylast continueranno a perire, non c'è nulla che nessuno possa fare» disse, richiamando da lontano l'attenzione di Meylo che si affrettò a chinare il capo e sparire dietro ad una porta chiusa a chiave. «Nessuno raggiungerà mai l'arcipelago dell'estremo nord senza la seconda parte del medaglione. Aren ne aveva una, ma non gli è servita a nulla. Non gli è nemmeno stata utile a salvargli la vita...»
«Il tuo compagno era il cavaliere di Even?» domandò Arlo, introducendosi nuovamente nella discussione. Non sembrava per nulla smosso da ciò che stava venendo rivelato, anzi, ne sembrava compiaciuto, quasi come se si aspettasse di sentire tutto ciò. «Apparteneva davvero alla famiglia fondatrice di Phioras? Non è solo una leggenda che il medaglione scelga a chi apparire?»
«L'unica leggenda, anzi bugia, che ci hanno rifilato è quella che le ancelle continuano a propinarci» disse ancora, lanciando uno sguardo a dove fosse finito Meylo. «Quelle due non hanno mai aperto un passaggio per la manica del dubbio e il pezzo del medaglione di Aren non è servito nemmeno a risvegliare l'uovo di grifone, come invece pensavano tutti. La verità è che quest'isola brulica di bugie. L'unico dono che ci hanno fatto gli antichi è essersene andati»
«Dov'è questo pezzo del medaglione?» chiese Maximilian, sperando di non aver oltrepassato la sottile linea che divideva i tre interlocutori e che, fino ad ora, sembrava essere rimasta intatta. «Lo hai tu?»
La ragazza sembrò colpita dalla domanda, ma lo mascherò bene da una finta indifferenza. «Rubato? Perso? Sparito? Chi lo sa!» disse, facendo cenno a Meylo di avvicinarsi una volta ricomparso da dietro la porta chiusa a chiave. «Comunque non importa. L'altra parte è stata distrutta dal re dopo la battaglia del cervo. Andare a Ladyr è ormai solo uno spreco di tempo ed energie se una delle due parti non esiste nemmeno più»
«Se la metti in questi termini, allora sono contento di essere un semplice soldato del continente» disse Arlo, incrociando le braccia al petto e sistemandosi il corto mantello rubato a Coriolano. Sembrava compiaciuto da ciò che aveva appena sentito, come se quelle parole fossero state una conferma di ciò che sospettava. «Essere un Brylast è più complicato di quello che sembra»
Quando il ragazzo che li aveva accolti tornò da loro, Sireya prese dalle sue mani una bottiglia di vetro sigillata da un tappo di sughero e cera. Se la girò un attimo tra le mani e poi la appoggiò sul tavolo davanti a loro. «Non sapete quanto darei per poter essere nata da qualsiasi altra parte del globo» replicò, spingendo la bottiglia, con un dito, lungo il piano di legno. «Ma non baratterei con nulla al mondo il profondo e indissolubile rapporto che ho avuto con Aren»
«Possiamo solo immaginarlo» disse, piatto Arlo.
«Già» replicò lei. «Ma con questo vi siete risparmiati anche un profondo dolore»
Sireya si voltò a guardare la sua arpa, come se, ormai, fosse la sua unica ragione di vita. «Comunque sia, da quanto ho perso Aren ho aperto gli occhi su molte cose» spiegò. «Stando alle regole potrei finire in guai seri se si venisse a sapere che ho servito dell'Arphosis dopo i giorni dell'Eunohia, ma non mi importa più. Godetevi pure la vostra bevanda sulla via del ritorno e se siete furbi, non mettete più piede su quest'isola, o ve ne pentirete amaramente...»
Maximilian prese tra le mani la bottiglia. A rigor di logica il contenuto sembrava solamente dell'acqua, ma dopo tutto quello che aveva sentito quella sera, molto probabilmente non lo era affatto. «Ti ringrazio» rispose, riponendo la bevanda nella sua sacca. «Siamo entrambi molto grati del tuo aiuto e per quanto vale, sentirti suonare è stato incantevole»
La ragazza sorrise. «Non sbilanciarti troppo, Herderic» disse, strizzando un occhio a Maximilian e facendo scorrere gli occhi sulla sua sacca ormai colma di oggetti di ambigua provenienza. «Non vorrai certo che io cambi idea e mi riprenda il regalo appena offertovi, dico bene?»
Maximilian scosse il capo e si alzò dopo Arlo, già diretto verso l'uscita a passo svelto. «Arrivederci Sireya» disse ancora lui, salutandola con un cenno fugace. «É stato un piacere conversare con te»
La ragazza si voltò, diretta verso la sua arpa. Il vestito rosso aveva già catturato nuovamente gli occhi dei presenti. «Arrivederci a te, Maximilian» disse lei, accarezzando con le sinuose dita il suo strumento e fulminando il ragazzo sul posto. «Ci rivedremo molto prima di quanto tu possa immaginare»
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