.19 - L'arpa (parte uno)
«Dai, muoviti» gli aveva ripetuto Arlo, dopo aver allungato il sigaro a Maximilian ed essersi tolto di dosso i vestiti fradici. La sua pelle chiara rifletteva la poca luce proveniente dal camino, rendendo i suoi lineamenti sofisticati un miscuglio di luci e ombre. «Quando saremo da madama Theodora non potremo più svignarcela in questo modo. Se hai voglia di bere o passare del tempo con qualcuno, siamo nel momento giusto al posto giusto. Coriolano non si accorgerà della nostra assenza, sempre se ci ritrova qui prima dell'alba e in uno stato presentabile»
Maximilian lo fissava leggermente imbambolato. Non sapeva se era colpa dell'astinenza o della botta in testa ad averlo reso così, ma, tutto d'un tratto, gli era presa una voglia matta di portarselo a letto. In realtà non voleva proprio farlo, dato che Arlo rimaneva comunque uno stronzo patologico, ma essere davanti al suo basso ventre tonico e a delle spalle perfettamente delineate lo avevano distratto dall'obiettivo. «Dove vuoi andare?» decise infatti di rispondere, togliendosi la giacca nera e ricacciando indietro qualsiasi istinto sessuale fosse sorto. «Che cosa hai intenzione di fare?»
«Divertirmi un po'» replicò Arlo, secco. Senza pensarci, si levò anche il resto dei vestiti di dosso e si mise a scaldarsi vicino al fuoco. Sulla sua schiena bianca era comparsa la pelle d'oca e i suoi capelli, dopo l'acquazzone, erano tornati ricci e gonfi. «Facciamo finta di essere del continente e prendiamo per il culo tutti i Brylast che ci avvicinano. Tu potrai portarti a letto chi vuoi e io mi distrarrò un po' da tutta questa monotonia, facendo finta di essere chi non sono. Non ti sembra una idea allettante?»
Maximilian ci pensò su un attimo, ma poi lasciò perdere qualsiasi tipo di istinto ragionevole ed acconsentì. «Ve bene» rispose, voltandosi a guardare la porta chiusa della stanza di Coriolano e poi tornando a fissare Arlo. «Ma tralasciando il fatto che sto morendo dalla voglia di ubriacarmi e dimenticare quest'ultima settimana allucinante, mi sento in dovere di chiederti se ti senti bene»
Arlo si bloccò e poi si appoggiò al muro accanto al camino con tutto il corpo. Incrociò le braccia al petto e prese un respiro profondo. «In dovere?» domandò, scettico. «Che cosa te ne importa se sto bene? Se non vuoi venire con me puoi startene tranquillamente qui, non ripeterò la mia offerta»
Ad essere sincero, Maximilian si aspettava quella risposta, dato che alla fine, e tutto sommato, le parole di Arlo rientravano pienamente nella norma, almeno per i suoi standard. Quello che decisamente però non non tornava era la strana richiesta che gli era stata fatta. Era improbabile che lo volesse lì, con lui, dunque doveva per forza esserci qualcosa che non andava, o, perlomeno, che non quadrava.
«Come vuoi» rispose dunque, sfilandosi le scarpe ma tenendo addosso la sua camicia, come se, anche lì, qualcuno potesse vedere la sua cicatrice sulla clavicola sinistra. «Ma se ti ritroverai nel bel mezzo di un'altra rissa non aspettarti che venga in tuo aiuto...»
Gli occhi azzurri di Arlo erano leggermente socchiusi, arrossati come sempre e di poco gonfi. I riccioli color del grano scompigliati gli coprivano il volto e gli donavano un'aria da fanciullo. «Non ce ne sarà bisogno» replicò, tastando le sedie alla ricerca di qualcosa di diverso da mettersi addosso. Quando trovò un mantello con le maniche lo infilò e tirò su il cappuccio. Dato che però apparteneva ad un nano, non era poi così tanto lungo come si sarebbe aspettato. «Pensa a te stesso piuttosto e trova qualcosa da metterti addosso che non sia la tua tenuta Theufel»
Nonostante non c'entrasse nulla, a Maximilian era da un po' che ronzava in testa una domanda.
Aveva iniziato a chiedersi se Arlo fosse mai stato toccato da qualcuno nello stesso modo in cui avrebbe potuto fare lui. Avevano sì la stessa età, ma il divario tra loro gli sembrava talmente marcato da non poter far altro che immaginare come sarebbe potuto essere starci assieme, nello stesso modo in cui lui era stato con tutti gli altri che aveva desiderato avere. Forse era solamente in astinenza, o forse qualcuno aveva messo le mani sulle rotelle del suo cervello, ma Maximilian non poteva comunque non fare a meno che ammettere a sé stesso che Arlo fosse un bel bocconcino, tralasciando ovviamente il pessimo caratteraccio che a quanto pare lo cottraddistingueva.
Ma era sempre stato così...spezzato? Arrabbiato?
Comunque fosse, alla fine, Maximilian trovò, lasciata alla rinfusa sul letto, una giacca di velluto marrone che si infilò subito addosso. Si sistemò la camicia bianca nei pantaloni e si diede una sistemata ai capelli, come se ce ne fosse assolutamente bisogno. Non aveva idea di che cosa avesse intenzione di fare Arlo, ma decise comunque di portare con sé un coltello e anche tutte le sue cose, per ovvie preoccupazioni che aveva sul conto di quel tale Coriolano. Se non si fidava addirittura di sé stesso, figuriamoci di un nano appena conosciuto che sembrava leggere Arlo come un libro aperto e parlava di suo fratello morto come se fosse un vecchio amico di bevute.
Dopo Riain, Alexandra e quell'uomo dal volto conosciuto, Maximilian sembrava finalmente aver imparato la lezione.
Quando il fuoco nel caminetto si fece solo una piccola fiammella di luce tra la cenere, Maximilian fu di ritorno dalla stanza del figlio di Coriolano e trovò Arlo ad aspettarlo accanto alle scale che avevano percorso scendendo. Era voltato di spalle, ma nonostante ciò si era tirato indietro i capelli, rendendo le cicatrici ben visibili a chiunque gli fosse passato accanto. «Sei pronto?» gli domandò, richiamando la sua attenzione toccandolo per la spalla sinistra. «Dove andiamo?»
Arlo trasalì, ma si ricompose subito dopo, incrociando le braccia al petto e deglutendo a vuoto. Si voltò poi come se volesse osservare Maximilian in faccia ma si bloccò, prima che il suo volto fosse completamente visibile. «C'è una taverna qui vicino» rispose solamente, attaccandosi al muro e tenendo le spalle basse. «Se ti indico la strada mi ci puoi accompagnare? Non sono sicuro di poterci arrivare da solo...»
Maximilian fece un passo indietro. D'un tratto ebbe l'impressione che Arlo si sentisse come in trappola: la sua aura da strafottente so - tutto - io sembrava essere completamente scomparsa ed era come se l'incontro con Coriolano, alla fine dei conti, non fosse stato poi così tanto gradito come aveva fatto dare a vedere. «Si» rispose quindi, con il tono più caldo che gli potesse uscire dalla sua voce roca e osservando i nervi tesi dell'altro ragazzo far capolino dalla sua mandibola serrata. «Va bene»
Arlo annuì e si infilò nel vano delle scale lì accanto. Maximilian prese la sacca con le sue cose e lo seguì a ruota, con il timore crescente che avesse in mente di compiere una qualche tremenda sorta di pazzia per nulla calcolata. Quando tornarono in superficie e si ritrovarono nuovamente all'aria aperta, sulla cima della Merkal, il temporale era passato. L'aria era fresca e pizzicava sulla pelle come una infinità di piccoli aghi appuntiti. Un chiacchiericcio generale riempiva l'atmosfera già carica di odore di incenso e carne allo spiedo. Un formicolare di persone ostacolava il passaggio di cui, invece, all'inizio della giornata non c'era stato da preoccuparsi.
L'allegria era palpabile e tutti sembravano essere a proprio agio, ovviamente tutti a parte Arlo.
Il ragazzo era poco davanti a lui, occupato nel disperato tentativo di provare a sé stesso di non aver bisogno di qualcuno che lo guidasse attraverso la massa di gente che barcollava, irrimediabilmente ubriaca, intorno a lui. I muscoli delle braccia, nascosti sotto il corto mantello, guizzavano al contatto con l'aria fredda come impauriti di poter essere scorti alla ricerca di un appiglio stabile a cui aggrapparsi. I boccoli biondi cenere erano gonfiati dalla brezza notturna e ricordavano Maximilian il fieno morbido in cui era solito dormire, prima che il Rubino passasse nelle sue mani.
Tutto in lui chiedeva una sola cosa: aiuto.
Lo avrebbe accettato, se offerto?
Una ragazza alta quasi due volte Arlo, evidentemente non abbastanza lucida da reggersi in piedi normalmente, se ne stava andando in giro a braccetto con un'altra giovane donna, anch'ella vestita di blu. Tra un tavolo di legno sistemato male e una bandiera del continente piazzata storta, senza accorgersene, gli furono addosso, travolgendolo completamente nelle loro vesti color del mare. «Dannazione!» si infastidì una, tirando poi dritta, per i fatti propri, con l'amica e continuando a ridere sguaiata. «Stai attento a dove metti i piedi!»
«Parla per te!» replicò Arlo, ritrovatosi a terra dopo una spallata tutt'altro che gentile. «Idiota!»
Maximilian si voltò indietro solo per vedere le due giovani sparire dietro la bandiera del continente, alta quasi quanto loro, e intrufolarsi in una delle taverne scorte all'andata, quando il loro cavallo non era ancora talmente stremato da collassare, esausto. Si inginocchiò a terra accanto ad Arlo e gli offrì un appiglio. «Concederti il mio aiuto non è abbastanza per te?» gli domandò, leggermente sarcastico e aspettandosi di tirare Arlo su di morale. «Sono d'accordo che tu non abbia bisogno di una badante, ma una spalla su cui appoggiarti non ti porterebbe altro che giovamento. Non sono qui per questo? Se stiamo alle parole di Coriolano dovresti fidarti di me, non ho mica intenzione di...»
Arlo tornò in piedi. La sua espressione severa e le rughe che gli erano apparse tra le sopracciglia stonavano con il suo viso angelico e le labbra rosee. «Coriolano è un infame» disse infatti, con tono duro e sistemandosi poi il mantello che gli arrivava solamente ai fianchi. «Non dare ascolto a quello che dice. Lavora solo per il suo tornaconto personale e ti venderebbe al primo offerente se gli potessi tornare utile. Le persone del continente non sono poi così tanto diverse da noi e chiunque sia diretto da madama Theodora ha una taglia sopra la sua testa, mettitelo bene in testa»
Maximilian si accigliò ed affrettò il passo per potergli stare accanto. «É per questo che sei voluto scappare dal suo laboratorio tanto in fretta?» domandò, prendendolo a tempo dalle spalle e spostandolo prima che inciampasse in una mattonella sistemata male, sul pavimento ancora scivoloso a causa della pioggia. «Perché accettare il suo aiuto allora? Non potevamo continuare per conto nostro senza chiedergli riparo?»
Arlo sbuffò e si passò una mano tra i capelli arruffati. «I Phinnys hanno a che fare con lui e la sua famiglia da decenni» spiegò, fermandosi in mezzo alla strada per riprendere fiato e facendosi piccolo piccolo. «Purtroppo non posso fare quello che mi pare, quando mi pare. Quel nano è un gran chiacchierone e non voglio che vada a spifferare in giro i fatti miei solo perché ho offeso la sua ospitalità»
Maximilian iniziava ad essere decisamente incuriosito. «I fatti tuoi?» domandò infatti, rimettendosi in marcia e aprendo un varco per entrambi tra la calca che si stava creando, mano a mano che avanzavano tra i corpi della gente che facevano baldoria. «A cosa fai riferimento?»
Arlo sorrise, come se trovasse buffo che Maximilian non afferrasse quasi nulla di ciò che gli stava venendo lanciato addosso da giorni. «Faccio riferimento al fatto che sto andando da Madama Theodora, giusto un paio di giorni dopo l'arrivo dei nuovi Brylast, proprio con uno come te» spiegò, irrigidendosi al suono di un'arpa suonata in lontananza. «Come ti ho detto, chiunque si diriga al mare di Lochy ha una taglia sulla testa»
Prima che potesse sfuggirgli nuovamente, Maximilian lo fermò per un braccio e lo fece voltare verso di lui. «Proprio con uno come me?» domandò, cercando un briciolo di risposta nella tensione generale del corpo dell'altro ragazzo. «Io non capisco. Che cosa vuol dire?»
Arlo si staccò dal corpo di Maximilian e si passò una mano sul volto. «Io non mi fido di nessuno ormai da molto tempo e chiedere aiuto, lo avrai ormai capito, mi riesce molto difficile» iniziò. Le sue labbra si erano fatte talmente sottili da scomparire nella piega che avevano preso. «Il mio odio per quelli come te mi consuma e mi mangia da dentro da anni ormai. Il solo pensiero di doverti stare accanto mi disgusta tanto quanto pensare al ribrezzo che prova la gente nel vedermi in volto»
Maximilian vacillò. «É perché ho sangue Theufel?»
Arlo annuì. «Non ho nulla contro la tua persona» spiegò. «Ma il tuo retaggio parla per te»
«Questo non vale per Marisa?» domandò lui, accorgendosi che la massa di persone stava scomparendo nella locanda da cui proveniva il suono dell'arpa che tanto pareva turbare Arlo. «Questa mattina mi è parso chiaro che vi conosceste. Anche lei è una Theufel, che cosa la giustifica che per me non vale?»
«Lei non è legata a me per la vita da un contratto stipulato dal destino, per giunta a mia insaputa» spiegò, tendendo le orecchie verso la melodia suonata dall'arpa che sembrava aver ormai stregato tutti. «Non ha lo stesso potere che hai tu su di me. Non vedrà mai madama Theodora e non metterà mai piede nella biblioteca di Bytar per reclamare il suo posto nel mondo. Non vedrà mai le rovine di Babilos o le spiagge bianche di Cronopolis. Non avrà mai la possibilità di lottare contro gli ingranaggi del mondo per risolvere un conflitto tanto antico quanto gli dei. Non saprà mai se l'alba della civiltà reclamerà la sua anima come ha già reclamato le nostre...»
Tutto d'un tratto, Maximilian parve iniziare a capire ciò che effettivamente stava succedendo attorno a lui, senza esserne però ancora pienamente consapevole. Alexandra, Nives, la metà del medaglione che Lea gli aveva infilato in tasca erano solo l'inizio di una verità che ancora ignorava completamente. «Non sono il mostro che credi» replicò dunque, intuendo che tutto ciò che lo aveva portato a quel preciso istante doveva per forza far parte di qualcosa di decisamente più grande di lui.
Gli angoli della bocca di Arlo si curvarono in un ghigno che di sorriso aveva perso qualsiasi traccia. «Stai tranquillo» esordì, voltandosi e seguendo il suono dell'arpa. «Quello vero lo stai per incontrare di persona»
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