.16 - In marcia

Maximilian aveva incontrato Marisa alle stalle vicino alle cucine e, insieme, avevano spostato il cavallo fino alla cima della Merkal, dove il sole a picco avrebbe accecato anche le persone con gli occhi più scuri del mondo. Per spostarsi da una parte all'altra della linea, la sommità era stata, da sempre, utilizzata per muoversi da un lato all'altro di Icarys, dal Golfo dei viandanti al mare di Lochy, a piedi, in carrozza o a cavallo. Quel giorno, come se il destino si fosse messo in mezzo, sembrava che quel sentiero lastricato fosse stato sgomberato affinché Maximilian fosse l'unica anima presente nel raggio di chilometri.

Nonostante i numerosi Brylast presenti nella linea, sembrava che quel giorno nessuno avesse la minima intenzione di muoversi e, fino all'orizzonte, non si scorgeva nessuno.

Da un lato, verso Nord e in lontananza, si potevano scorgere le montagne Coriolis, ma non Vaska e neppure Porto Chiosco, entrambe troppo lontane e nascoste dalla nebbia sempre presente nelle pianure. Verso Sud invece, i pennoni di Phioras bianchi e d'orati riflettevano i raggi del sole come uno specchio scintillante. Maximilian non l'aveva mai vista, e nemmeno i boschi verdi accanto alla capitale assomigliavano a qualcosa che avesse mai avuto l'occasione di osservare. Il lato Heiliges dell'Isola del sole non aveva nulla a che fare con il lato Theufel e il fatto di aver visto con i suoi stessi occhi ciò che si estendeva al di là della Merkal era qualcosa che Maximilian aveva, fino a quel momento, solamente immaginato.

Forse era tutta una allucinazione, o chissà cosa, ma quella vista non la avrebbe, mai e poi mai, dimenticata.

Il sé stesso bambino avrebbe fatto i salti di gioia solo per poter scorgere quelle bandiere bianche in lontananza. Avere Phioras, e i suoi cittadini, così vicini, era qualcosa che, fino a quel momento, Maximilian aveva solamente immaginato. Nonostante sapesse, almeno a grandi linee, com'era fatta, vederla dal vivo era tutt'altra cosa.

A differenza di Vaska, una città costruita più in larghezza che in altezza, Phioras assomigliava più ad un fortino che ad una città vera e propria. Le alte mura ottagonali richiudevano al suo interno quasi la totalità degli edifici e, proprio ad esse addossate, c'erano solamente qualche stalla o fattoria che ospitava i contadini locali. Il palazzo più alto, quello da cui svettavano i pennoni, si trovava proprio al centro del perimetro e aveva le mura dello stesso colore dell'avorio. Non c'erano eguali: gli smerli d'orati e le finestre ovali donavano a quella città qualcosa che Vaska, sporca e brutta, non avrebbe mai potuto avere.

A dirla tutta, nessun Theufel si era mai preoccupato di rendere qualsiasi cosa in suo possesso bella o gradevole allo sguardo: tutto quello che importava era la funzionalità e il guadagno che si poteva trarne una volta messa in vendita. Questa etica del lavoro era sempre valsa per gli oggetti, ma anche, e forse sopratutto, per gli uomini. Nel suo piccolo, Maximilian aveva fatto il possibile, ma cambiare, da solo, uno stile di vita così radicato non era mai stato possibile, sopratutto non da quando era stato marchiato a sangue.

Con il senno di poi, un po' se ne vergognava: aver abbandonato qualsiasi iniziativa di cambiamento solo per essere accettato e preso in considerazione lo aveva reso un ipocrita e uno stolto. Nonostante avrebbe stentato a credere che le cose sarebbero mai potute cambiare, già il fatto di trovarsi lì era stato un passo avanti. Nonostante gli mancasse casa sua, o meglio il posto in cui era solamente cresciuto, Maximilian iniziava ad essere contento di aver accettato di seguire il suo istinto ed essere rimasto. Non sapeva ancora bene per cosa, ma almeno era rimasto.

Marisa lo fissava da lontano, appoggiata con una grazia disinvolta al parapetto, e ogni tanto gli chiedeva se avesse bisogno di qualcosa. Maximilian aveva negato per tre volte, ma alla quarta si decise a chiedere quello che gli ronzava in testa già da un paio d'ore. «Questa mattina hai detto che Arlo è un principe» si lasciò sfuggire. «Dicevi la verità?»

La ragazza sembrò sorpresa dal repentino cambio di rotta della discussione e si tirò su, avvicinandosi a Maximilian che ancora stava fissando Phioras come si guarda un dolce. «Perché avrei dovuto mentire?» chiese, posando anche lei gli occhi sui pennoni d'orati. «La considerazione che hai nei miei confronti è così bassa?»

Maximilian sbuffò, per poi passarsi una mano tra i capelli e lanciarsi uno sguardo alle spalle, come aspettandosi che Arlo comparisse da un momento all'altro e mettesse fine a quella sofferenza. «Rispondi semplicemente alla domanda» replicò, rendendosi conto che, molto probabilmente, il ragazzo non sarebbe mai venuto. «Sono stanco di tutti questi giochetti»

Marisa non sembrò particolarmente offesa ed indicò il palazzo circolare più alto della città con un dito. «La famiglia di Arlo ha fondato Phioras dopo la distruzione di Babilos» disse, guardando poi l'espressione di Maximilian. «Non avranno il sangue blu ma, a differenza tua, vivono nell'agio da centocinquant'anni»

Maximilian storse il naso e distolse lo sguardo dai mattoni d'avorio dell'edificio. «Icarys non è stata ricostruita dall'aiuto di Ramys III?» domandò, maledicendosi una volta per tutte di essere stato così testardo da aver ignorato la storia per così tanto tempo. «Gli dei hanno tolto le virtù a tutti, perché una famiglia ha prevalso sulle altre? Chi ha dato loro questa libertà?»

«Se ragioni in questo modo, chi pensi abbia fondato Vaska?» domandò Marisa, incalzandolo nel suo ragionamento, che a quanto pareva, era totalmente insensato. «Pensi che le città siano comparse da sole, nel giro di una notte? Ramys III ha costruito la linea, ma la riedificazione della civiltà è stata lasciata ai popoli»

«Credevo che dopo la battaglia del cervo nessuno fosse stato più in grado di distinguere il giusto dallo sbagliato» riflettè Maximilian a voce alta. Il sole a picco iniziava a farlo sudare e la cavalcata che lo stava aspettando sembrava sempre più invitante. «Per la famiglia di Arlo non si applica questa regola?»

Marisa sorrise e si portò una ciocca di capelli rossi dietro le orecchie. «Non si è applicata nemmeno alla famiglia fondatrice di Vaska» spiegò lei, coprendosi gli occhi con una mano guastata. «Per riedificare qualcosa servono sempre delle fondamenta, non trovi? In tempi di guerra, dove la distinzione tra le fazioni non è chiara e bisogna scegliere tra il meno peggio, ci sono poche strade da poter intraprendere. Di solito il più forte prevale sui più deboli e si va avanti in questo modo finché qualcuno di ancora più forte si fa strada»

Maximilian scrollò le spalle, perdendo un po' il filo del discorso e lasciandosi trascinare dalla foga del momento. «Se i Phinnys hanno fondato Phioras, chi ha fondato Vaska?» domandò, con una sana curiosità crescente e una nuova e strana voglia di conoscere la verità. «Perché noi non abbiamo mai avuto un signorotto a cui fare riferimento?»

Marisa alzò lo sguardo per osservare un'aquila volare in cerchio, sospesa da una corrente d'aria particolarmente favorevole. «Tu sei un barone» replicò lei, troppo piatta per esserne realmente convinta. «Anche tu hai goduto della tua fortuna a lungo»

«É solo un soprannome che mi sono dato per coprire l'odore nauseante delle mie origini» rispose Maximilian, allontanandosi dal parapetto in mattoni della Merkal e dirigendosi verso il loro, anzi suo, cavallo. «Non ho mica fondato io la città»

Marisa lo seguì, ed iniziò ad accarezzare l'animale inquieto, sul muso. «La leggenda narra che sia stata la famiglia Antares a prendere le redini del lato Theufel una volta che la Merkal divise l'isola del sole» spiegò lei, prendendo le briglie di cuoio tra le dita e sistemando poi la sella. «I Phineria, ora conosciuti come i Phinnys, erano loro antagonisti»

Maximilian arricciò il naso a quel nome, come se sentirlo gli avesse provocato un'ondata d'odio infondato. Nonostante la famiglia di Arlo avesse nobili origini, stentava a credere che quel ragazzo fosse davvero considerato un principe dai suoi concittadini. «Che fine hanno fatto gli Antares?» domandò poi, voltandosi al suono di uno scalpiccio lontano. «Perché non sapevo della loro esistenza?»

Marisa scosse le spalle, come se la storia dietro quel nome fosse di poca importanza. «Si narra di una maledizione» spiegò, infatti, a grandi linee, e lanciandogli addosso le briglie del cavallo come se avesse di meglio da fare. «Ha decimato la famiglia per decenni finché nessuno ha più saputo se ne fosse rimasto qualcuno vivo o meno»

Maximilian legò nuovamente le briglie del cavallo e prese a seguire Marisa, che era ormai tornata sui suoi passi e stava nuovamente scendendo verso le stalle con passo svelto. «Che maledizione?» provò, ma con scarsi risultati. «Di cosa parli?»

La ragazza si fermò alla fine della rampa che aveva permesso al cavallo di salire sulla cima della Merkal e si voltò di scatto. «Non preoccuparti di questo adesso, è solamente una vecchia storia che si racconta per spaventare i bambini» tagliò corta, tenendo aperto il portone in legno con un braccio ed incitando Maximilian ad infilarsi nelle stalle. «Porta Arlo di sopra piuttosto, ti sta aspettando qui dietro da ormai dieci minuti»

«E tu come diavolo lo sai?»

Marisa lo fulminò sul posto. «Vai» rispose. «E sbrigati, Madama Theodora sta già aspettando»

Maximilian oltrepassò il portone e le sue narici furono subito colpite dall'odore di fieno. Nei diversi box c'erano solamente pochi cavalli, come se gli altri fossero già stati sellati e ormai al lavoro chissà dove. Oltre a lui e Arlo, appoggiato con la mano ad una sbarra di legno massello che delimitava una zona dall'altra, c'erano solamente alcuni altri Brylast che stavano pulendo e dando da mangiare agli animali. Stranamente, nessuno di loro sembrava stranito di vederli lì, con le mani in mano, e come se stessero aspettando di saltarsi addosso, ovviamente pronti ad alzare la voce, non di certo per altro.

«Quindi hai cambiato idea» proruppe Maximilian, fissando Arlo da poco lontano e di sottecchi, come se lo stesso spiando dal buco di una serratura. Forse Marisa aveva ragione, con quel loro giochino inutile di tira e molla avevano già fatto perdere abbastanza tempo a chiunque. «Questa volta sei tu quello in ritardo»

Arlo alzò un sopracciglio e si stacco dalla sbarra di legno. Il suo abito bianco era ricamato d'oro, come gli stendardi di Phioras e i merletti delle sottane delle puttane di Vaska. «Non ho più il mio bastone e non ci vedo» disse duro, come se avesse realizzato solo in quel momento di essere cieco. «Ti sembra una scusa abbastanza valida per il mio ritardo?»

Maximilian si accorse che uno dei Brylast aveva preso a fissarli, come se si fosse reso conto di chi aveva davanti, tutto in un momento. Non ci diede molto peso: probabilmente era solamente stata la sua impressione. Nessuno lo conosceva e forse tutte quelle idiozie che gli avevano propinato fino a quel momento lo avevano reso troppo paranoico. «Ti troverò un nuovo bastone durante il tragitto» disse solamente, protendendosi d'istinto verso di lui e offrendogli il braccio. «Per ora puoi appoggiarti a me»

Quando le sue dita gli toccarono il braccio, Arlo parve scottato, come se non si aspettasse un gesto del genere. L'espressione che aveva sul volto non lasciva trasparire altro che incertezza e dubbio. Nonostante gli dovesse costare uno grande sforzo, alla fine cedette, ma non diede nessuna soddisfazione a Maximilian. «Dov'è Marisa?» domandò solamente, lasciando che l'altro ragazzo lo prendesse sotto braccio e lo conducesse verso la rampa che li avrebbe fatti tornare nuovamente sotto il sole. «Il cavallo è pronto? É già sellato?»

Maximilian annuì, ma poi dovette costringersi a rispondere ad alta voce. «É tutto pronto» disse, rendendosi fulmineamente conto che la Merkal lo stava veramente cambiando in ogni sua piccola sfumatura. Erano passati anni da quando aveva offerto il suo aiuto a qualcuno senza che venisse richiesto, e questo suo nuovo lato non era ancora certo gli piacesse. «Vossignoria ha davanti a sé un viaggio più che confortevole, non c'è da preoccuparsi»

Arlo non rispose, anche se era ovvio che avrebbe voluto.

Qualcosa lo trattenne.

Riflettendoci su, quel ragazzo era una enorme punto interrogativo per Maximilian.

Chi era?

Per quale strambo motivo si era ritrovato a portarselo con sé in un viaggio che, se intrapreso in solitaria, sarebbe stato molto più che semplice?

Probabilmente si era giocato un brutto scherzo da solo.

Se, in primis, non lo avesse salvato, in quel momento, molto probabilmente, sarebbe potuto essere da tutt'altra parte a fare tutt'altra cosa, magari con tutt'altre persone.

Nonostante non credesse nel destino, le casualità che lo avevano portato fin lì iniziavano ad essergli alquanto scomode, come il vestito bianco da Heiliges che aveva dovuto indossare, contro la sua volontà, il primo giorno dal suo arrivo.

Quando, finalmente, sbucarono nuovamente all'esterno e il caldo iniziò a picchiare sulle teste di entrambi, il cavallo aveva già iniziato a scalpitare e a sbuffare, impaziente e spazientito dal mancato inizio del viaggio.

Quando Marisa li vide tornare, andò loro incontro, porgendo a Maximilian la sua sacca e rivolgendosi poi ad Arlo. Lo strano cenno che gli riservò, abbassando di poco il capo come non aveva mai fatto con nessuno e nonostante l'altro fosse cieco, fu accompagnato da un saluto in una lingua che Maximilian non conosceva. «Siete pronti a partire?» chiese poi, questa volta ad entrambi. «Non c'è tempo da perdere se volete essere da Madama in un paio di giorni»

Maximilian si caricò in spalla la sacca e si avvicinò al cavallo. Ci salì sopra e poi aiutò il suo compagno di viaggio a montare a sua volta. Marisa li guardava compiaciuta, come se fosse davanti ad un miracolo in piena regola. «Non potete sbagliarvi» disse, spronando il cavallo a mettersi in marcia. «Cavalcate verso est fino alla fine della Merkal. Una volta là saprete di essere arrivati»

«Grazie» rispose Maximilian, stringendo le briglie tra le mani e aspettando che Arlo si decidesse ad aggrapparsi da qualche parte. La sella era di una misura standard: per starci comodi in due avrebbero dovuto stringersi fin troppo, e probabilmente il viaggio non sarebbe stato affatto confortevole. «Spero che tutto questo ne valga la pena»

Marisa annuì. «Sarà così» replicò, facendo retro front e allontanandosi. «Abbi un po' di fiducia»

Angolo autrice? Angolo autrice.

Buon pomeriggio!

Lascio qui sotto due foto di come mi immagino io Phioras e Vaska, una l'opposta dell'altra.

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