11. - Una discussione quasi civile

Maximilian era stato recluso nella stanzetta in cui aveva passato la notte fino al tramonto, senza cibo né acqua e alcun contatto con il mondo esterno. Nemmeno il suo compagno di stanza, il tale Arlo di Phioras che lo aveva messo nei guai era comparso dalla porta con il suo peculiare, ma non proprio singolare, essere pungolante. La giornata era trascorsa in fretta, anche se abbastanza calda e troppo monotona: dopo l'assemblea e l'azzuffata con Riain, si era messo a dormire e nessuno lo aveva disturbato fino a sera, quando il vociare degli altri Brylast che tornavano in quell'ala della Merkal lo strapparono al suo sonnecchiare tanto agognato.

Ad essere del tutto sincero, l'intoppo con Riain non lo aveva né spaventato né colto di sorpreso. A situazioni del genere era ben abituato ed era ovvio che la sua presenza avrebbe generato qualche malcontento tra i vari prescelti. Per essere sicuro di non incappare in un grattacapo del genere, anche se qualcosa sarebbe successo inevitabilmente di nuovo, Maximilian avrebbe dovuto costruirsi il suo giro di conoscenze stabili che gli avrebbero potuto dare una certa serenità e stabilità. Marisa ed Aldair sembravano un buon punto da dove partire, soprattutto perché ne sapevano certamente più di lui su quella nuova e stravagante realtà in cui erano stati catapultati, ma non sarebbe bastato per molto.

Com'era sempre stato, la scelta era letteralmente tra la vita e la morte.

Qualcuno sarebbe presto arrivato a reclamate il suo cadavere e lui sarebbe dovuto farsi trovare pronto.

A prescindere da quanto tempo ci sarebbe voluto per trovare una giusta chiave di lettura, dal suo incontro con gli ex Theufel al seguito del discendente dei fondatori di porto Chiosco, Maximilian aveva tratto tre conclusioni.

La prima era che Riain non picchiava forte, ma portarsi dietro un'arma, nei giorni a venire, sarebbe stata una buona idea.

La seconda era che, nonostante persone come Nives erano un gradino sopra gli altri, alcuni non sembravano gradire molto l'idea di scambiare la loro casacca nera, e forse anche quella bianca, con una blu. A dire il vero nemmeno a Maximilian sembrava una buona scelta fare il santarellino e stare alle regole, ma se questo gli avrebbe fatto guadagnare chissà quale posizione, allora lo avrebbe di certo fatto. Riain aveva già stabilito le parti del loro gioco, e Maximilian era inevitabilmente ai suoi antipodi, per cui sarebbe diventato tutto ciò che quel ragazzo ripudiava.

La terza, e anche l'ultima conclusione a cui era giunto, era che, per fare ciò che i depositari avevano chiesto loro, avrebbe dovuto cercare di aprire una breccia nell'armatura di Arlo da Phioras che tanto sembrava disprezzarlo senza nemmeno conoscerlo. Se i due infatti non avessero dimostrato dei progressi nei mesi successivi, di certo non avrebbero fatto la fine di Riain, la cui famiglia aveva ovviamente contatti con qualcuno all'interno della Merkal. Nonostante nessuno dei due fosse sulla stessa lunghezza d'onda dell'altro, avrebbero dovuto trovare entrambi un punto di contatto se non avessero voluto finire con le mani legate e spediti chissà dove.

Alla fine, Maximilian si svegliò di soprassalto quando una delle numerose porte del corridoio venne sbattuta e qualcuno si mise a ridere di gusto. L'ora del crepuscolo era quasi giunta al termine e i ragazzi dovevano appena terminato di cenare, per poi ritirarsi nelle proprie camere e abbandonarsi ad un meritato riposo, prima di iniziare con i lavori che sarebbero aspettati loro il giorno seguente. Quando Arlo da Phioras mise finalmente piede nella stanza illuminata dalla luce fioca di una candela, i due uomini che avevano piantonato la porta per tutto il giorno se ne erano già andati da un pezzo e avevano lasciato la serratura incustodita, permettendo a chiunque volesse di entrare ed uscire.

Il ragazzo dai boccoli biondi fece capolino intorno alle nove e con ancora indosso la casacca nera di Maximilian. Aveva sbottonato leggermente la camicia scura e si trascinava dietro il suo bastone raffinato come se pesasse troppo per le sue braccia lunghe, che nonostante snelle e atletiche, non sembravano reggerne la massa ingombrante. I suoi occhi serrati e arrossati erano l'unica cosa che intaccava una bellezza tipica del sud: un naso all'insù, delle labbra rosee e la figura slanciata lo dovevano aver reso l'oggetto di desiderio di molti. Fu quello il momento in cui Maximilian si chiese che cosa gli fosse successo, perché evidentemente quel ragazzo non era nato cieco e così fastidioso.

Quando Arlo si chiuse finalmente la porta alle spalle si lasciò sfuggire un sospiro spezzato e si voltò verso Maximilian. «Mi aspetti come un cane aspetta la propria razione di cibo» fu la prima cosa che disse, senza ovviamente abbandonare i suoi dolci modi per intrattenere una conversazione normale. «Non hai altro da fare che vedere cosa faccio?»

«Io stavo beatamente dormendo» rispose Maximilian, tornando una pancia in su sul letto. «Sei tu che mi hai svegliato»

Arlo non disse nulla, ma si limitò a girare la serratura della porta dall'interno e a sedersi sul letto. Si prese tutto il tempo del mondo per slacciarsi i bottoni della giacca e poi posarla sul tavolo lì accanto. Passò poi agli stivali e ai lacci della camicia. «Sei messo male?» domandò poi, rintanandosi tra le ombre e incrociando le braccia al petto. Il bastone dorato giaceva accanto al materasso. «Ti hanno fatto il culo?»

Maximilian sospirò e si passo una mano sul volto. «Diciamo più il contrario» rispose. «Ma immagino che tu ne sia felice»

«Abbastanza» ammise il ragazzo, spostandosi i capelli dagli occhi e appoggiando la testa al muro. «Anche se mi aspettavo che ti spezzassero una gamba, o magari il collo»

«Non ti libererai di me così presto» replicò Maximilian, mettendosi seduto e fissando Arlo dall'altra parte della stanza. «Non mi faccio mettere al tappeto facilmente»

Arlo si lasciò sfuggire una risata sommessa e abbastanza fastidiosa su cui però Maximilian passò sopra. «Questo è tutto da vedere» rispose, allungando una mano per cercare il suo bastone ed iniziarlo a lucidare, nonostante non potesse ovviamente vederlo. «Sei qui da poco meno di due giorni e già pensi di essere invincibile?»

«Qualcuno dovrà pur credere in me» rispose Maximilian. «Se non lo faccio io per primo nessuno mi servirà la vittoria su un piatto d'argento. Bisogna combattere per ciò che si vuole»

«E cosa vuoi?»

Maximilian ci pensò su un attimo, ma non troppo. «Fare squadra»

Arlo si mise a ridere di nuovo. «Il grande Maximilian Kastrov di cui tutti parlano deve proprio essere caduto in basso per desiderare una cosa del genere» disse, tra un ghigno e l'altro. «Fanno bene ad odiarti tutti per quello che hai fatto alla tua città»

Maximilian dovette tenere a bada l'ondata di rabbia che lo colpì in pieno. «É la stessa cosa che avete fatto anche tutti voi» rispose, stringendo i pungi lungo i fianchi. «Il fatto che io sia più conosciuto di altri non cambia un bel niente»

«E invece è proprio il contrario» replicò Arlo, sporgendosi di poco verso di lui e piegando la testa di lato. «Tu hai il compito di dare l'esempio proprio perché ti conoscono tutti. Non puoi nasconderti dietro ad un dito e far finta che questo sia tutto un brutto sogno»

«Infatti non lo faccio» rispose lui, distogliendo lo sguardo. «Magari è proprio questo tale Arlo da Phioras con cui mi sono ritrovato a condividere i miei spazi a fingere spudoratamente davanti a tutti»

Il ragazzo tornò con le spalle contro il muro e la sua espressione cambiò drasticamente: se erano riusciti ad intavolare una conversazione civile fino a quel momento, almeno per quella sera non sarebbero stati in grado di mantenersi su quella linea. «Non sai niente di me» sputò velenoso.

«E tu di me» commentò piatto Maximilian, tornando a stendersi sul letto e fissando il soffitto. «Cosa vogliamo fare a riguardo? Continuare a litigare come cane e gatto? Non so tu, ma il tuo comportamento mi sta già per far saltare i nervi»

Arlo deglutì sonoramente e si irrigidì subito dopo, come se una fitta di dolore gli avesse percorso la spina dorsale, cogliendolo di sorpresa. Era ovvio che volesse aggiungere qualcosa, o almeno avere l'ultima parola nel confronto appena avuto, ma alla fine decise di non dire proprio un bel nulla di niente e di lasciar perdere. Finì di spogliarsi, con una fatica che Maximilian non riusciva a comprendere fino in fondo e poi si stese a letto, lasciandosi andare di peso. A dire il vero, sembrava che gli girasse la testa talmente tanto da non riuscire a stare in piedi o a compiere nessun altro movimento, seppur minimo. Quando finì di stringere i denti, senza accorgersene fece anche cadere il bastone con un rumore metallico assordante.

Senza preoccuparsi di chiedere scusa, Arlo chiuse la giornata come la aveva iniziata. «Ricordati di spegnere la candela» disse infatti, voltandosi su un fianco e mettendosi a dormire. «Non sprecare la cera»

Maximilian avrebbe volentieri lasciato da parte l'astio creatosi per sapere qualcosa in più sulla sua identità ma, molto probabilmente, se avesse continuato a parlare, Arlo lo avrebbe aggredito o lo avrebbe fatto squartare vivo da Riain senza pensarci due volte. Alla fine, e quasi sicuramente, lo scherzetto che gli aveva giocato quella mattina era stato ben organizzato a priori; l'unica incognita ora era capire come mai quel ragazzo sembrava avere così tanti risentimenti nei confronti di uno sconosciuto che non aveva mai visto prima. Maximilian decise dunque che, almeno per ora, non valeva la pena lasciare le penne per lui e dunque stabilì che avrebbe chiesto spiegazioni a Marisa e ad Aldair, sperando in qualche tipo di riscontro che avrebbe messo a tacere i suoi dubbi.

Lo stesso Riain conosceva sia la sua identità che quella di Arlo, ed era quindi possibile che anche altri sapessero chi fossero.

Avrebbe solamente dovuto aspettare ed ascoltare e le risposte gli sarebbero, prima o poi, arrivate, senza magari lasciarci un arto nel tentativo di capirci qualcosa.

Maximilian sospirò e cercò di mettersi in una posizione comoda che gli permettesse di non sentire troppo dolore al fianco dove Riain lo aveva martoriato con il suo dannato bastone. Il taglio sulla gamba e sull' guancia avevano già smesso di sanguinare ma davano comunque filo da torcere, dato che erano stati medicati alla bene e meglio.

Quando non si sarebbero più sentiti i rumori esterni, Maximilian aveva già un piano ben preciso da intraprendere. Sarebbe infatti sgattaiolato fuori da quella stanza opprimente e avrebbe girovagato per la Merkal, alla ricerca di una strada che lo avrebbe portato sulla vetta della cima più alta della linea, dove Aldair e Marisa gli avevano indicato esserci la biblioteca di Bytar. Dato che aveva dormito tutto il giorno, girovagare e trovare qualche degna risposta alle sue domande sarebbe anche potuta essere una buona idea, e magari si sarebbe anche fatto una opinione più concreta su tutto quello che lo circondava.

Dato che le guardie del continente avevano levato le tende, non sarebbe dovuto cadere in alcun intoppo, ovviamente a meno che Riain avesse aspettato fuori dalla porta, pronto a colpirlo nuovamente.

Quando scattò la mezzanotte quindi, Maximilian si levò di dosso le coperte e mise i piedi a terra per dirigersi fuori dalla porta. Arlo dormiva dandogli le spalle e, anche se lo aveva sentito sgattaiolare via, non lo diede affatto a vedere, continuando a farsi i fatti propri completamente indisturbato. Nonostante volesse sapere quale fosse il suo problema, oltre all'0essere cieco ovviamente, se ne andò facendo il minimo rumore, portandosi dietro la candela che ancora non aveva smesso di bruciare dalla sera prima. In men che non si dica, stava già salendo delle scale e osservando i numerosi e bellissimi affreschi dorati sui muri della grande sala dove i depositari avevano tenuto il loro discorso, quella stessa mattina. C'era raffigurato di tutto, ma Maximilian, ignorante com'era riguardo il passato e le tradizioni, non ci stava campendo un bel niente.

Osservò dunque le immagini di sbieco e poi tirò dritto, intrufolandosi nei dormitori di qualcun altro, girando a sinistra per quelle che dovevano essere delle cucine e poi trovando, con suo grandissimo stupore, delle scuderie che dovevano contenere almeno una cinquantina di cavalli di ogni razza. Abbandonando, anche se contro voglia, il familiare e adorato odore di fieno, Maximilian trovò un secondo e poi un terzo cortile, fino ad arrivare ad uno dall'aria alquanto cupa. Le colonne infatti, che di solito erano di marmo bianco e lucenti, erano molto più scure, quasi come se i Brylast se ne fossero completamente dimenticati, lasciando il luogo all'inevitabile scorrere del tempo e celando a tutti la sua vista.

Maximilian fece scorrere la mano sul muro grezzo: le sue dita scivolarono lungo un folto ramo di edera intarsiato nella pietra, per poi arrivare al becco di un corvo e alle spine di un riccio, simbolo comune di fiducia e amicizia, che poi, nei tempi più moderni, divenne anche di giustizia e rettitudine d'animo. Poco distanti, scolpiti in altro marmo, seguivano l'andamento del muro le statue dei vecchi dei dell'isola, partendo da Oyr, fino ad arrivare a Salus, tutti con i capi cinti da corone di alloro e fiori. Solo Lexys, in disparte, era stata raffigurata distante dagli altri e con un braccio che indicava la direzione di una porta appena socchiusa, come se ciò che ci fosse stato all'interno stesse aspettando il ragazzo a braccia aperte.

Maximilian si guardò di fretta indietro per controllare che nessuno lo stesse seguendo e poi si intrufolò dentro la stanza che la dea gli stava indicando.

Prese a salire altre scale, questa volta in legno e senza alcuna decorazione, per poi sbucare, dopo tanto faticare dato che i gradini sembravano letteralmente infiniti, nell'ennesima sala, questa volta rotonda e illuminata solo dal chiarore della luna che penetrava tra le finestre dal vetro lavorato azzurro. Maximilian mise piede al suo interno e prese fiato, facendo vagare i suoi occhi sugli innumerevoli scaffali pieni zeppi di libri e di arazzi talmente regali da sembrare appartenere ad un'epoca in cui i Theufel e gli Heiliges ancora non esistevano.

Maximilian non aveva mai visto un posto simile a quello e, inconsciamente, iniziò a rendersi conto di quanto, per ventun anni, avesse vissuto con la testa infilata nella sabbia come uno struzzo. Di una sapienza come quella che aveva davanti agli occhi non sapeva bene che farsene o come trattarla, per cui decise da fare una cosa alla volta: prima di tutto avrebbe capito dove si trovava, poi di che cosa trattavano quei libri, e infine, se il sole non fosse ancora sorto e avesse fatto capolino all'orizzonte, ne avrebbe sfogliato delle pagine per capirci qualcosa.

Lo scaffale più vicino a lui era la dimora di almeno quindici ripiani, anche se, poco lontano, ce ne erano un paio di molto più alti. Alcuni scomparti recitavano scritte ben specifiche: Storia del male, Il sorgere del sole, La discendenza del cervo ed infine, poco più nascosto, Genesi della sapienza. Altri riportavano invece solo delle date sbiadite e alcuni simboli colorati. Gli ultimi, quelli più antichi e inaccessibili, erano protetti da spessi vetri ed erano chiusi a chiave, come se nessuno fosse autorizzato a leggerli o anche solo a toccarli.

Qualsiasi argomento, storia, leggenda o discendenza era annotata e scritta in quei volumi antichi.

Alcuni dovevano avere come minimo cinquecento anni, o anche più.

Era una cosa davvero incredibile: a Vaska non c'erano biblioteche e vedere tutti quei libri ammassati l'uno sull'altro era qualcosa di molto improbabile, se non quasi impossibile.

Maximilian era davvero senza parole, tanto che la sua mandibola toccò terra quando venne colto con le mani nel sacco.

«Che cosa ci fai tu qui?» disse infatti qualcuno, ghiacciandolo sul posto. «Come ci sei arrivato?»

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