Prologo
Arlo aveva esitato finché aveva potuto. Si era aggrappato con le unghie e con i denti alla vana speranza che sua madre, in qualche modo, avrebbe potuto perdonarlo, capire che lui non aveva mai avuto niente a che fare con quel dannatissimo medaglione che tanto aveva logorato la sua famiglia. Aveva sperato che almeno suo padre capisse che il suo figlio minore, come sempre, era rimasto all'oscuro di tutto, ignaro anche della sua stessa ombra. Aveva provato a dire ad entrambi quello che volevano sentirsi dire, ma come avrebbe potuto dire una cosa che non sapeva?
Si ripeteva, ora dopo ora, che la morte di Aren non era stata colpa sua, che suo fratello non fosse morto invano e che lui non era il mostro che gli altri pensavano fosse. Arlo non c'entrava nulla con tutto quell'orrore, con tutto quel sangue versato, eppure tutti lo ritenevano un codardo, il peggiore dei peccatori sulla faccia di Icarys. E se tutti avessero avuto ragione e lui si fosse sbagliato sulla sua innocenza? E se i suoi genitori avessero avuto una buona ragione nell'odiarlo così tanto?
Se tutto il male del mondo fosse ricaduto sulle sue spalle, probabilmente non ne sarebbe più rimasto così tanto sorpreso. Dopotutto, l'infamia non avrebbe potuto scegliere compagno migliore di lui, la pecora nera di una famiglia bianca come il latte.
Per la maggior parte delle notti interminabili trascorse in quella fredda cella, Arlo aveva pregato che qualcuno si degnasse di scendere le scale delle segrete della tenuta e gli dicesse che tutto quello che era successo fosse stato solamente un brutto scherzo. Aveva pregato che suo fratello fosse ancora vivo, che la sua vita non fosse finita da un giorno all'altro come un fulmine a ciel sereno e che quel briciolo di amore che ancora gli rimaneva in corpo non se ne andasse come tutto il resto di sé stesso. Probabilmente non sarebbe stato in grado di resistere ancora a lungo, logorato da un vuoto infinito che lo stava risucchiando, piano piano, dall'interno.
Rivoleva la sua casa, il calore di un posto sicuro, il sentirsi benvoluto, il sentirsi amato.
Niente di tutto ciò però successe.
Non successe prima che gli portassero via la vista.
Non successe durante tutto il tempo in cui le guardie lo tennero fermo contro il calore del fuoco.
Non successe dopo che i suoi occhi si spensero completamente.
E non successe nulla nemmeno quando le sue urla divennero talmente assordanti da svegliare chiunque si trovasse nel palazzo.
Se Arlo era riuscito a rimanere a galla dopo la morte del fratello, l'unico che forse gli aveva voluto veramente bene, di certo quello che gli era stato fatto non avrebbe riparato un cuore già in frantumi. Quanto ancora avrebbe dovuto perdere per ricevere finalmente qualcosa in cambio? Quanto ancora si sarebbe dovuto sentire un fallimento per sé stesso e per la sua famiglia? Perché il medaglione non gli era apparso come a tutti i giovani Heiligies dal cognome Phineria? Non era riuscito nemmeno nell'unica cosa che sarebbe dovuta venirgli naturalmente, sapere l'esatta collocazione della metà di quel piccolo e tondo oggetto di metallo luccicante. Se non era in grado di sapere nemmeno quell'unica cosa, che valore aveva esattamente al sua vita?
Quando quella voce stranamente gentile si era fatta strada nei meandri delle segrete, Arlo pensava già di essere morto da un pezzo. Troppo debole per reggersi in piedi e troppo stanco per parlare, quel sussurro, inizialmente sommesso e lontano, gli arrivò, penetrante e persuasivo, alle orecchie come una richiesta di rinascita. Non era suo padre, e tantomeno non era sua madre. Chiunque si stesse avventurando in quel luogo a quell'ora della notte non doveva affatto avere delle buone intenzioni. Il ragazzo sperava solamente che non venisse nuovamente tirato su di peso e portato al cospetto dei suoi genitori: essere pestato di nuovo non era proprio nei suoi desideri più reconditi.
Sentì qualcuno avvicinarsi e osservarlo da lontano come se fosse una bestia.
«Mi hanno detto che i boschi Heiligies siano davvero incantevoli in questo periodo dell'anno» disse chiunque fosse appena sopraggiunto dal buio che Arlo vedeva davanti agli occhi. «Phioras non mi è mai piaciuta ma devo dire che questo castello è davvero incantevole, tralasciando ovviamente il marciume dei suoi abitanti»
Arlo non aveva mai sentito quella voce e nemmeno riconosciuto l'andamento leggero ma deciso di un'andatura così sicura e poderosa. Ci mise solamente un istante a rendersi conto che, chiunque quella persona fosse, non apparteneva a nessuna delle due fazioni rivali che erano in casa sua. Essendo arrivata fino alle segrete, però, doveva per forza sapere bene che cosa stava facendo. Il ragazzo iniziò a sperare con tutto il suo cuore che, qualsiasi cosa stesse progettando quel forestiero, la facesse in fretta e lo lasciasse nella sua commiserazione per sé stesso.
«Al limitare del bosco, subito ad ovest della capitale si sono anche degli ottimi guaritori, lo sapevi?»
Chi aveva appena parlato appoggiò le mani alle sbarre di ferro.
Arlo addossò la schiena al freddo muro in pietra contro il quale si trovava e si portò le dita a tastare i contorni frastagliati dei suoi occhi ormai completamente ciechi. Tremava e allo stesso tempo bruciava come una foglia. Sentiva ancora le fiamme del camino asciugargli le lacrime e le catene strette dai soldati attorno ai suoi polsi indolenziti. «Chi sei?» aveva chiesto scioccamente di rimando, aggrappandosi a ciò che delle sua fanciullezza gli era ancora rimasta. «Cosa vuoi?»
Arlo sentì il formarsi di un sorriso e il piccolo sbuffo che anche Aren si lasciava sfuggire quando i loro genitori li guardavano combattere con le armi in legno. Doveva essere una ragazza, a giudicare dalla sinuosità calcolata delle parole scelte, ma doveva anche essere una guerriera, forse la figlia primogenita in un lord senza eredi maschi che aveva scelto la vita militare al posto di quella da camera.
«La domanda giusta è che cosa potrei fare io per te» disse questa con voce tagliente.
«Sei degli uomini del reggente?»
La ragazza sorrise di nuovo. «Se fossi alla mercé del reggente sarei qui sotto?» chiese retorica.
Arlo non rispose.
Aren avrebbe saputo cosa dire.
«Ti hanno conciato proprio male» constatò lei staccandosi ancora di più dalle sbarre.
Lo avevano picchiato, accecato, ridotto in brandelli per settimane intere prima che cedesse. «Lo so»
Aren non avrebbe risposto in quel modo.
Che cosa diavolo pensava di fare parlando come se stesse facendo i capricci?
Nonostante i suoi quasi diciannove anni, si sentiva ancora un bambino che provava a giocare ai giochi dei grandi.
Provò ad alzarsi, come meglio poteva. Appoggiò le mani sul pavimento e respinse indietro il giramento di testa e la nausea che non gli davano tregua dal giorno prima. Doveva avere un livido sul costato, probabilmente una costola rotta, i polsi sanguinanti e, tra le altre cose, aveva perso anche la vista. Per il futile motivo di non farsi vedere debole, non demorse e piantò i piedi a terra. Si rimise in posizione eretta e cercò di avanzare senza inciampare. Mantenne la mano sinistra contro la pietra per guidarsi e fece tre passi in avanti. «Chi sei?» chiese di nuovo. «Sei venuta qui a prenderti gioco delle mie sciagure? Se cerchi questo ti consiglio di aspettare domani e goderti lo spettacolo nel gran salone al piano di sopra»
Anche la ragazza fece qualche passo, forse per avvicinarsi nuovamente a dove era Arlo. Aveva probabilmente una spada legata alla cinta, dato che un tintinnio metallico la accompagnava a ruota da quando era arrivata. «Non vedendoti all'udienza di domani, credo rimarrei alquanto delusa» rispose, osservando evidentemente la patetica imitazione di Arlo di una persona normale.
«Per favore» disse quindi lui, voltandosi nuovamente. «Lasciami in pace»
La ragazza fece un verso di scherno che suonò più come una sfida. «Mi trovo in una situazione un po' complicata» disse, facendo tintinnare nuovamente la sua spada contro il pavimento. «Il mio padrone crede che io sia alla ricerca della persona che potrebbe liberarlo dalle sue di sciagure, che tra le altre cose so benissimo chi sia, mentre sono qui a salvare te, l'unica che potrebbe impedire che ciò accada»
Arlo deglutì il groppo che gli si era formato in gola: sarebbe precipitato a terra da un secondo all'altro.
«Ho giurato sulla mia stessa vita che lo avrei aiutato, tra l'altro rinnegando il mio stesso sangue, nell'impresa di impadronirsi di ciò che spetterebbe lui di diritto» continuò, armeggiando con qualcosa che Arlo non riconobbe. «Sono qui perché nonostante la tua famiglia ti abbia rinnegato, io non farò lo stesso con la mia»
«Allora sei una ingenua proprio come me» rispose di rimando il ragazzo.
Lei schioccò la lingua sul palato. «Da quanto mi risulta, tu non hai la minima idea di dove sia il medaglione»
Arlo si lasciò sfuggire una risata sarcastica ma fu subito costretto a portarsi una mano al costato indolenzito. «Che sappia dove sia o non lo sappia non fa differenza» rispose. «Quando capiranno che non posso dare loro nulla di ciò che vogliono si sbarazzeranno di me»
La ragazza rimase in silenzio per un istante.
Il lontano crepitio del fuoco era l'unico suono che ancora teneva vigile Arlo.
«Hai ragione, ho sentito le guardie del reggente parlare tra loro»
Arlo non chiese che cosa avesse sentito, aspettò solamente che i suoi dubbi si concretizzassero.
«Se domani non saprai dare loro una risposta ti uccideranno»
«Sperano che il medaglione appaia a mia cugina Essaisa» concluse Arlo prima che la ragazza finisse.
Un ombra fredda scese sul piccolo spazio della cella, quasi come se il fuoco si fosse spento a causa di una folata gelida di vento. Il ragazzo era ben cosciente che una cosa del genere sarebbe potuta accadere in qualsiasi momento. Nonostante si fosse preparato a morire, sentirselo dire a voce alta era tutt'altra storia. «Perché sei qui?» domandò quindi, cercando di attingere a tutta la forza che gli era rimasta. «Sei il mio boia per caso?»
La ragazza sembrò non dare peso alla domanda e passò oltre. Iniziò ad armeggiare con qualcosa che Arlo non riusciva a vedere, quasi come se stesse cercando di forzare le sbarre della cella. «Sono qui per darti la possibilità di scegliere. Desideri iniziare una nuova vita e avere la tua libertà, o fare le domande a cui nessuno si è mai degnato di dare una risposta?» chiese, insinuando che la seconda fosse la scelta giusta. «Che cosa vuoi, giovane Phineria? Seguire la libertà o le orme del destino?»
Arlo alzò il volto di poco, quasi si fosse scordato che i suoi occhi ormai non avrebbero più rivisto la luce del sole. Avrebbe voluto rispondere libertà e sbarazzarsi di tutta quell'oscurità, perché era ciò che in quel momento avrebbe voluto, ma il sospetto che fosse la risposta sbagliata gli fece cambiare idea. «Cosa mi accadrà?»
Un forte schiocco si propagò per tutto l'angusto ambiente. Il tonfo del lucchetto risuonò ovattato contro il pavimento in pietra e la ragazza aprì la porta facendosi strada verso Arlo. «Devi sbrigarti, la profezia si compierà entro l'estate di sangue» replicò, come se stesse combattendo quella battaglia da tutta la vita. «Trova l'uomo con il marchio prima che le trame del destino vi portino su una strada senza via d'uscita»
Arlo si trovò in mano il pezzo di stoffa logoro che aveva utilizzato come coperta per proteggersi dal freddo e fu spinto in avanti, instabile sia nell'anima che nel corpo. «E se mi tirassi indietro?» chiese, mettendo, timido, piede fuori dalla cella. «E se non trovassi il medaglione? Non so nemmeno chi tu sia e mi stai chiedendo di fidarmi di te quando il sangue del mio sangue mi sta per uccidere!»
La ragazza lo prese sottobraccio ma lo lasciò proprio sul limitare delle scale che lo avrebbero fatto uscire dalla tenuta. «Il mondo intero conta su di te, Arlo» disse, facendosi indietro e sparendo nel buio nello stesso modo in cui era venuta. «O la tua famiglia non sarà l'unica a voltarti le spalle»
Il ragazzo iniziò a sentire freddo. La notte all'esterno della tenuta era rigida e dura, ignobile anche contro gli animi più impavidi. «Aspetta!» la richiamò, nell'ultimo disperato tentativo di fare ordine nella sua mente. «Come faccio a trovare l'uomo con il marchio?»
Per un istante Arlo temette che se ne fosse già andata.
«La luce non esiste senza il buio» replicò lei con un filo di voce, già lontana nelle tenebre. «Ricorda, tutto ha un suo equilibrio»
Angolo autrice.
Hola!!!!!!!! We're back!!!!!!
Tra impegni e cose varie mi stavo per dimenticare di Max e Arlo (scherzo). Iniziamo questo secondo racconto con il botto: il mio caro angioletto ha fatto una scelta cruciale, peccato che non avesse ancora idea di chi fosse il nostro caro Maximilian, uno scapestrato illitterato!
Alla prossima!
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