.4 - Non Sei Una Cattiva Persona
Arlo non aveva mai capito le persone.
La gente di Phioras, di Cronopolis o di qualsiasi altro posto fosse in grado indicare sulla carta geografica gli era sempre sembrata estranea, lontana, incomprensibile. Forse non aveva mai capito nemmeno sé stesso, sempre pronto a fare qualsiasi cosa gli permettesse di non fermarsi a pensare, a ragionare su quale direzione stesse prendendo la sua vita. Aveva sempre sostenuto che se non avesse avuto il tempo di respirare, allora non si sarebbe nemmeno reso conto di star morendo.
Fin da piccolo, il retaggio della sua famiglia e i suoi doveri da principe del Sud lo avevano reso nervoso, quasi nevrotico. Si era sempre sentito diverso, quasi come se gli innumerevoli pezzi di sé stesso fossero stati fatti con una materia diversa da quella degli altri. Aveva sempre pensato che quella sensazione di profonda solitudine fosse stata solamente uno scherzo del destino, una beffa che presto si sarebbe tolta la maschera per renderlo finalmente normale. Per quanto ci avesse sperato, il tempo lo aveva solamente spezzato di più, trasformandolo solamente in uno schiavo di sé stesso.
Aren, il suo adorato fratello, dal canto suo, era sempre piaciuto alle persone. Era stato definito il dolce regalo della famiglia Phineria alla gente comune, la stella polare di una notte buia. Per lui, non era mai stato un dovere essere il principe del popolo. Era davvero sempre stato uno di loro: la bontà d'animo l'aveva nel sangue e la sicurezza di essere ciò che era gli era sempre stata naturale. Sapeva cosa dire, cosa fare e come comportarsi. Si faceva accettare, si faceva comprende e si faceva capire. Nessuna lingua gli era estranea e nessun sentimento ostile.
Arlo non aveva mai avuto né le parole per comunicare né i modi per agire come una persona che potesse essere detta tale.
Parlava, ma nessuno lo ascoltava.
Ascoltava ma nessuno gli parlava per davvero.
Tutti quegli occhi che lo avevano osservato da vicino durante la sua vita lo avevano reso incapace di provare emozioni umane, di sapere che cosa significasse essere, per davvero, una persona, un ragazzo, un bambino. Quando qualcuno si avvicinava, aveva imparato, quasi d'istinto, a fare un passo indietro, troppo preoccupato che lo potessero vedere per com'era realmente. In difetto.
Mai troppo bravo.
Mai troppo educato.
Mai troppo nel giusto.
Aren lo aveva sempre definito un pesce fuor d'acqua.
Un uccellino caduto dal nido.
Arlo avrebbe pagato oro per poter trovare anche solo una pozza dove poter nuotare o un albero abbastanza alto da dove potersi lasciare andare.
Di certo non aveva mai avuto paura.
Non gli importava degli sguardi accusatori o di quanto la sua famiglia lo ritenesse inadatto alla vita di corte. Rispondere a sé stesso era già abbastanza difficile che pagare il conto anche agli altri era diventato quasi insostenibile.
A discapito di quanto i cortigiani di casa Phineria sussurrassero alle orecchie dei suoi genitori, l'unica cosa di cui aveva sempre avuto davvero timore era quella di rimanere solo. Di svegliarsi e apprendere che chiunque lo avesse mai conosciuto gli avesse voltato le spalle. Di essere dimenticato nello stesso modo in cui nessuno si era mai ricordato di lui.
Stare da solo, confinato nelle sue stanze a rimuginare su qualsiasi unghia di felicità avesse mai sperimentato, era, di fatto, una cosa decisamente diversa dall'essere solo. Dal dover chiedere pietà per la sua stessa esistenza. Dal dover pregare anche solo per non essere calpestato per i suoi stessi sentimenti. Dal chiedere il permesso di esistere anche in casa sua, di fiatare, di dire la propria opinione.
Imperterrito, ormai abituato ad essere lasciato indietro anche dalla sua famiglia, Arlo aveva continuato, per anni, ad allontanare chiunque gli si provasse anche solo ad avvicinare. Era il terrore di essere abbandonato a farlo scappare per primo, non certo la paura che qualcuno potesse rimanergli accanto ad averlo reso così acido. Era un controsenso, sotto certi punti di vista, ma ogni volta aveva la riprova che nessuno sarebbe veramente rimasto perché, in ogni caso, tutti avevano qualcuno di più importante di lui
"È una qualità che la magia richiede, la solitudine, e il ragazzo deve essere istruito" avevano detto a sua madre le ancelle. "Lo lasci a noi e gli troveremo un posto nel mondo, forse un destino meno crudele della distruzione".
Ovviamente non ci volle molto che la decisione fu presa. Un sollievo per tutti, a detta di suo padre, fu vederlo andare in un posto in cui gli avrebbero dato uno vero scopo.
E così fu strappato da casa.
Ed istruito.
Nella storia, nella matematica, nella magia.
Nell'antica magia, quella che regnava su Icarys prima che gli dei portassero ordine, armonia e pace.
Arlo non ne aveva capito il motivo, perché la sua famiglia lo odiava così tanto da non tollerare nemmeno la sua vista? Che cosa aveva di così diverso dagli altri da renderlo così tanto odiabile? Perché non gli spettava anche solo un briciolo dell'amore che lui provava per suo fratello?
Le ancelle lo avevano soprannominato il figlio del caos. Era un appellativo che alle orecchie di Arlo era sempre sembrato troppo pretenzioso, ma di certo adeguato. Era un disastro a cui stavano restituendo la vita. A cui stavano donando un posto nel mondo.
Ma perché lui?
Perché privarlo del calore di una famiglia per donargli un potere che non aveva chiesto?
Perché la magia delle stelle aveva scelto proprio lui?
Se lo era sempre chiesto, se ci fosse stato un motivo più profondo per il quale gli anni gli fossero sembrati secondi e le ore dei decenni. Per il quale si sentisse così fuori posto, così disordinato ma, allo stesso tempo, fin troppo ordinario. Forse la sua normale anormalità lo aveva reso davvero ordinato nella sua ordinarietà.
Ci volle poco per scoprire che non c'era nulla di così straordinario in lui. Non era l'unico ad avere ereditato il dono della magia antica, anzi non era nemmeno uno di pochi. Come se l'avesse sempre saputo, la risposta alla sua domanda arrivò quando Aren morì. Anzi, non ricevette una vera risposta, quanto più una porta sbattuta in faccia.
Arlo venne cacciato dalle ancelle da un giorno all'altro, dal giorno alla notte. Come un verme, strisciò nuovamente nel suo buco. Aveva trascorso anni ad imparare una disciplina che non gli sarebbe servita a niente, se non a renderlo ancora più diverso dagli altri suoi coetanei.
I suoi genitori gli riaprirono le porte solo per vederlo scappare appena qualche tempo dopo, cieco, distrutto e sull'orlo del suicidio. Che avesse fatto bene o male a darsela a gambe levate da quella cella, lo avrebbe detto solo il tempo. Tempo che fu comunque troppo poco per realizzare che cosa stesse per succedere. Troppo poco per dare un senso al prossimo dolore che la vita gli avrebbe presentato.
Amos era stata la prima persona a cui Arlo si era aperto, a cui aveva deciso di dedicarsi con l'anima e con il corpo. Quando i Morigh lo avevano raccattato dalla strada, sporco, stanco e malato, gli aveva allungato una mano come se non avesse più intenzione di lasciarlo andare. Lo aveva stretto e Arlo aveva sentito, per la prima volta, di essere in qualche modo approdato in un porto sicuro. Gli era sembrato un sogno e, come tutti i sogni, si era infranto nella stessa maniera in cui era iniziato: troppo velocemente.
Se solo avesse saputo che quella mano tanto dolce quanto salda sarebbe stata anche quella che gli avrebbe tappato la bocca, di certo non si sarebbe attardato così tanto nel campo dei Morigh.
Arlo avrebbe dovuto tirare dritto verso Cronopolis, senza fermarsi. Si sarebbe creato una nuova vita nel continente, dove nessuno lo avrebbe potuto riconoscere, e tutto quel dolore sarebbe stato solo un brutto ricordo. Si sarebbe lasciato tutto alle spalle per reinventare anche sé stesso. Non ci sarebbe stato nessun Heiligies, nessun Theufel, nessun Brylast e, sopratutto, nessuna magia. Avrebbe deciso di sé stesso, qualsiasi fosse stato il risultato finale.
Nei mesi successivi la sua fuga dall'accampamento dei Morgh, Arlo si era spesso chiesto che cosa avesse voluto significare quel 'ti amo' da una bocca come quella di Amos. Aveva sempre avuto una certa idea dell'amore, di come si sarebbe sentito e di cosa avrebbe provato. Di certo quello che gli era stato offerto non gli ci si avvicinava nemmeno lontanamente. L'impotenza, il rammarico e la paura non rientravano in un sentimento così nobile.
Che fossa stata tutta colpa sua era stato un pensiero fisso, ricorrente. Che, alla fine dei conti, si meritasse tutto quello che gli era stato lanciato addosso gli era sembrata l'unica risposta plausibile a ciò che gli era accaduto. Arlo ricordava solo tanto buio. Per quanto si fosse sforzato, non era mai riuscito a raddrizzare ciò che di rotto c'era in lui. Quella di far parte degli oggetti difettosi della sua famiglia sarebbe sempre stata la sua condanna peggiore.
Non era di certo stata la prima cosa che gli venne in mente quella di tornare sui suoi passi, una volta abbandonato anche l'accampamento dei Morigh la prima volta. Quello che Amos gli aveva fatto lo aveva segnato più di quanto avesse voluto ammettere e il ripresentarsi da Sasha non era stata una passeggiata come invece la aveva fatta sembrare. Tutta quella gente si aspettava ancora qualcosa da lui, e lo sapeva bene.
Dopo quello che aveva pianificato di fare al re, sarebbe servito loro un posto sicuro in cui nascondersi almeno per qualche tempo. A Phioras sarebbe stato il primo luogo in cui lo avrebbero cercato e il continente era fin troppo lontano per poter sperare di raggiungerlo in tempo. Passare dall'altra parte della linea, verso Vaska, sarebbe stato troppo pericoloso e di certo questa alternativa non la avrebbe mai proposto di sua spontanea volontà.
L'unica possibilità erano stati i Morigh.
Che li avrebbero accolti a braccia aperte non ci sarebbe stato alcun dubbio. Che Maximilian si sarebbe fidato era un'altra cosa.
Di certo Arlo si era pentito di quello che aveva fatto e si vergognava a morte di averlo trascinato lì senza dirgli nulla. Non lo avrebbe biasimato se lo avesse piantato in asso, questa volta a buona ragione. Non solo lo aveva quasi fatto ammazzare, due volte, ma lo aveva anche reso un uomo senza patria né casa.
Aveva rimuginato un paio d'ore prima di giungere ad una soluzione al suo quesito. Sasha aveva cercato di alleggerire la tensione ma quando il broncio di Arlo non aveva voluto saperne di andare via, ci aveva rinunciato. Avevano mangiato qualcosa insieme mentre i bambini del campo, ormai fin troppo svegli anche nel cuore della notte, correvano in cerchio intorno alle loro gambe.
Era con lei quando i suoi dubbi si concretizzarono.
Ma che capì finalmente anche che cosa avrebbe dovuto fare. Forse, per una volta, sarebbe riuscito a fare la scelta giusta senza cadere in un abisso di panico e ansia.
Quando lo sentirono, solamente lo scoppiettio del fuoco riuscì a rompere quella coltre di nebbia che era scesa da un momento all'altro, senza nessun preavviso.
Ad Arlo gli si rizzarono i peli delle braccia.
Qualcuno fece irruzione nella tenda.
«Ha preso Coriolano, non se n'è accorto nessuno»
Sasha si alzò dalla sedia. «Amos?»
«Ha dato l'allarme»
Anche se non lo aveva mai sentito urlare in quel modo, Arlo aveva captato subito i suoi lamenti. Aveva iniziato a riconoscere la voce di Maximilian come se fosse stata la sua e seguirlo gli era sembrato naturale come respirare. Era scattato in piedi come se si fosse acceso un qualche tipo di allarme che gli aveva detto: "corri!". Senza dire una parola, uscì dalla tenda e si inoltrò nel campo.
«Aspetta! Dove vai?»
La aveva ignorata come si ignorano le attenzioni indesiderate. Se non fosse uscito subito lo avrebbero inchiodato al tavolo.
«Vado da lui» decretò.
Sasha lo tirò per un braccio e lo fermò.
«Lascia che se ne occupi Amos»
Ad Arlo era sembrata una richiesta allucinante.
«Perché dovrei? Ho già fatto abbastanza casini per conto mio per lasciare che Amos aggiusti le cose»
Lo prese per mano. «Non gli sarai di nessun aiuto» sottolineò Sasha. «Non è in lui in questo momento, e lo sai bene»
Arlo si voltò verso di lei. I capelli biondi gli solleticavano la pelle sensibile delle cicatrici. Sentiva che qualcosa di brutto sarebbe successo se non fosse andato. «Non lo sono nemmeno io»
La ragazza gli strinse il braccio con fare amorevole.
Arlo avrebbe tanto voluto poterla guardare in faccia.
Vedere i suoi occhi.
«Ti farà del male»
Arlo sospirò. «Gliene farei di più io, se non andassi»
Gli lasciò andare il braccio, rassegnata. «Non sei più il ragazzino che mi ricordavo» disse, facendosi più vicina a lui. «Ormai sei un uomo e i giorni in cui correvano insieme nei prati di erba alta mi sembrano così lontani»
Si passò una mano sul volto.
Non sapeva perché ma provava imbarazzo.
«Ho sbagliato, con lui»
La sentì sorridere. «Lo so, te l'ho letto in faccia non appena siete arrivati» rispose. Era sempre stata brava a leggerlo, per lei era sempre stato un libro aperto. «Ma hai fatto la stessa cosa con noi e siamo comunque rimasti con te, nonostante tutto»
Arlo si passò una mano sul volto. Era stanco, ma la sua stanchezza era radicata così a fondo che non avrebbe saputo dire dove cominciasse. «Ho paura di aver rovinato tutto un'altra volta»
Sasha lo prese sotto braccio. Sembrava come quando gli aveva insegnato nuovamente a camminare dopo aver perso gli occhi. «Sei sempre stato cocciuto» constatò. «E credo fermamente che tu ancora non abbia capito come funzionano le persone»
Arlo inciampò su un sasso. «Non ho capito come funzionano molte cose»
«Io credo che Maximilian sia una persona...sensibile» gli spiegò. Sembrava stranamente troppo calma per i gusti di Arlo. «Ho visto un certo numero di Theufel in vita mia e lui non gli si avvicina minimamente né per modi di fare, né per il modo in cui ti guarda. Per quanto ne possa sapere io, cela più di quanto voglia mostrare»
«Nonostante l'intenzione fosse ben diversa, dissi la stessa cosa di me»
«Certo! Non tutti siamo dei principi!»
«Il mio sangue mi ha solo portato guai» mugugnò. «Avrei preferito nascere un perfetto sconosciuto»
Si lasciò guidare dalla ragazza.
Da solo probabilmente si sarebbe ritrovato in aperta campagna e con i vestiti fradici fino alle caviglie.
«Nessuno vorrebbe nascere già dimenticato»
Arlo non le rispose.
Aveva sognato di essere notato da qualcuno da quando ne aveva memoria.
«Credo che abbia visto qualcosa in te»
Nonostante tutto quello che gli aveva fatto?
«Certo, magari non adesso, con tutto il baccano che sta facendo, ma credo fermamente che ti voglia lasciare la porta aperta» ragionò con lui. «Ti sta aspettando, che tu lo voglia o meno»
Arlo sorrise. «Sei una bravissima bugiarda»
«Hai solo paura, mio caro principino sul pisello» gli scompigliò i capelli. «E quando lo capirai, tireremo tutti un sospiro di sollievo, compreso tu»
Se ci fosse riuscito, probabilmente un fulmine avrebbe colpito Icarys o una mareggiata avrebbe portato via tutto ciò che c'era sull'isola. Comunque fosse, sarebbe dovuto succedere un miracolo di qualche genere per farlo rinsavire.
«Sono davvero un caso perso, vero?»
Lei lo spinse in avanti. Se Sasha non aveva ancora perso la pazienza con lui era un miracolo.
«Basta piangerti addosso» lo liquidò. «Vai da lui e, per favore, non fare scemenze»
Facile a dirsi, difficile a farsi.
Fare scemenze era la sua specialità.
Aveva accumulato anni in quella disciplina.
Il primato lo deteneva da quando era capitombolato dalla scale della tenuta di campagna e si era fatto venire un bernoccolo talmente grande che ci aveva messo mesi ad andarsene. Le risate di Aren ancora se le ricordava mentre gli metteva del ghiaccio in fronte.
Ci mise un attimo a muoversi nella direzione che Sasha gli aveva indicato che già si sentiva un groppo in gola. Non appena fu in mezzo alla gente, si rese conto di quanto non avesse idea di cosa dovesse fare.
Per quando si fosse accorto di dover fare ammenda, che cosa avrebbe dovuto fare in una situazione del genere? In quel momento avrebbe tanto voluto un qualche tipo di manuale di istruzioni da poter seguire e rendere tutto più facile. Per potersi comportare come una persona dotata di anima e cervello, che comunicano l'uno con l'altro.
Coma ad averlo inconsciamente chiamato con il suo timore inconscio di parlargli, gli era subito venuto incontro Amos, tutto sudato e con il fiato corto. Come aveva potuto pensare di poterlo lasciare da solo con Maximilian?
Gli si avvicinò affannato. «Cosa ci fai qui?»
Ci mise poco a mettere le cose in chiaro.
Arlo lo conosceva.
Sapeva come era fatto.
Era stato lui a provocare Maximilian. Forse solo per fare un torto a ciò che una volta avevano avuto e che lui stesso aveva distrutto.
«Quello che avrei dovuto fare tempo fa» gli rispose.
«È uscito di testa, ha cercato di ammazzarmi»
«Ovviamente di sua spontanea volontà, giusto?»
Amos cercò di toccarlo ma Arlo si fece indietro.
«É un Theufel, lo sai come sono fatti, sono imprevedibili e irascibili» spiegò mangiandosi le parole. «Appena ti ho nominato ha iniziato ad urlare e a minacciarmi...è uscito di testa!»
Arlo si strinse nelle spalle. Gli era venuto freddo, come se ciò che stava accedendo fosse qualcosa di molto più brutto di quello che aveva inizialmente immaginato.
«Stavo cercando di aiutarlo quando ha tentato di tagliarmi la gola» provò ancora. «Devi credermi, io non c'entro nulla, sono dalla tua parte!»
Sghignazzò stizzito. «Io non devo fare proprio niente»disse. Se c'era una cosa che aveva imparato era come riconoscere i bugiardi. Quando sapeva di essere nel torto, Amos parlava veloce e riempiva i vuoti di silenzio con dettagli inutili e non richiesti. «Per favore, fammi passare»
Doveva averci visto giusto perché il ragazzo aveva smesso di parlare. «Non dovresti stare qui, è pericoloso»
Arlo lo ignorò.
A quanto pareva, Maximilian aveva deciso di dare il via ad una rivolta per tutto il campo. Gli animali schiamazzavano e si era alzato un vento forte e gelido, come se la sua rabbia si riflettesse direttamente sul meteo. Teneva Coriolano per la corda che gli legava le mani e, nel baccano generale, era anche riuscito a recuperare un cavallo. Era armato, decisamente alterato, stanco e solo.
Amos lo richiamò di nuovo alla sua attenzione.
«Se ti farà del male non venire a cercarmi»
Amos lo bloccò.
«Piuttosto mi lascerei morire»
Era molto più grosso di lui.
«Dici così ora»
Il suo corpo si era messo tra Arlo e il suo obiettivo, Maximilian, forse il ragazzo più gentile che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita. Un Theufel, un figlio del male, un reietto, uno da cui si dovrebbe stare alla larga. Il fato gli aveva giocato un brutto scherzo: lo aveva legato ad un Heiligies più crudele di lui. Colui che avrebbe dovuto renderlo più magnanimo lo aveva reso solamente più rotto di prima.
Amos ci riprovò.
«Vattene da qui, non farmelo ripetere»
Per quanto ci avesse sofferto, Arlo aveva smesso di avere paura di lui. Di stare al suo gioco, di sentirsi in trappola, di sentirsi in colpa per volere il suo spazio.
«Oppure cosa?»
Amos lo strattonò per non farlo muovere.
Arlo avrebbe giurato di poter sentire la cattiveria irradiarsi dal suo corpo.
«Questa volta mi spingi giù da un punto più alto?»
Amos non lo lasciò andare.
Arlo sentiva le sue dita strette contro le ossa provocare segni scuri sulla sua pelle.
«Non sono morto al primo tentativo, magari questa volta finalmente ci riesci?»
«Smettila»
«E tu lascami andare»
«Non farmi del male in questo modo» riprovò con lo stesso trucco che una volta lo aveva fatto restare. «Vuoi farmelo dire davvero? Lo sai che è stato un errore e ho sbagliato. Non avrei dovuto fare ciò che ho fatto...»
Arlo sospirò. Gi sembrava di essere incatenato all'interno di una spirale senza fine.
Quante volte glielo aveva sentito dire?
«Lasciaci soli e torna alla tua tenda» concluse. «Raduna i bambini e mettili a letto, non voglio che assistano. Riesci a fare quello che ti chiedo?»
«Fai sul serio?»
«Cosa pensavi? Che sarebbe stato tutto come prima?»
«Hai scelto tu di lasciarmi...» si mosse. «E hai sempre saputo come farmi sentire in colpa»
«Torna alla tenda, per favore»
«Non fare così, ti prego»
«E io ti chiedo di rispettare la mia decisione»
Amos provò ad accarezzargli la guancia. «Ti aspetto, lo sai questo vero?»
Arlo scosse il capo.
Non gli diede tempo di finire.
«Vai, ora»
Amos avrebbe ribaltato nuovamente le carte in tavola se gliene avesse data la possibilità. Così Arlo si aprì un varco grazie alla sua esitazione e si spinse avanti, tra la folla. Il suo cuore batteva all'impazzata non tanto per quello che Amos gli aveva detto, perché quella conversazione c'era già stata più e più volte, ma piuttosto per la crescente preoccupazione che provava per Maximilian.
Forse, per la prima volta, stava andando, di sua spontanea volontà, verso la strada giusta. Gli sembrava quasi come se ogni centimetro del suo corpo gli stesse dicendolo, anzi urlando, di star compiendo la scelta migliore, non solo per lui, ma per chiunque gli fosse accanto. Poteva ancora salvare qualcosa, aiutare qualcuno, fare ciò che aveva sempre saputo di dover fare.
Sasha aveva ragione, Maximilian era ancora lì, bastava fare un passo verso di lui.
Quando sentì finalmente Amos allontanarsi e i presenti si accorsero della sua presenza, Arlo sentì un vuoto attorno a sé, come si sei fosse appresa una botola sotto i suoi piedi. Chi gli era più vicino si era spostato per spianargli la strada e qualcuno gli aveva offerto un mano. Non avrebbe voluto, ma rifiutò di getto: poco gli importava se fosse caduto con la faccia terra.
Ora che gli era vicino, sentiva Maximilian molto più nitidamente. Piangeva come un bimbo. La sua voce era rotta e flebile, roca, carica di dolore. Farfugliava qualcosa di incomprensibile come se stesse ascoltando qualcuno sussurrargli all'orecchio. Sembrava combattuto, come se sapesse di essersi ritrovato in equilibrio su un sottile filo. Se si fosse sporto troppo nella direzione sbagliata avrebbe perso tutto ciò che c'era dall'altra parte.
Arlo ci provò.
Alla fine nessuno dei due aveva niente da perdere.
«Maximilian?»
Non era certo gli avrebbe risposto.
O che lo avrebbe sentito.
«Sono io» tentò di nuovo. «Sono io»
Arlo ebbe un attimo di esitazione. Era stato interrotto da Maximilian che aveva stretto la presa su Coriolano. Il nano aveva tirato un singhiozzo strozzato, come se gli stesse facendo del male di proposito.
La sua voce era ancora come se la ricordava: dolce, e calda. C'era però qualcosa in lei che la rendeva distante, come se in realtà Maximilian fosse diventato un'ombra, un involucro vuoto senza vita.
Inaspettatamente gli rispose.
Quando lo fece sobbalzò.
Aveva solamente sussurrato.
«Arlo?»
Gli mancò il respiro.
Il suo nome sulle sue labbra sembrava aver assunto un significato del tutto nuovo. La gente lo aveva sempre chiamato in quel modo o si era riconosciuto per la prima volta solamente perché era stato Maximilian a pronunciarlo?
Fece un passo in avanti, verso di lui.
Gli sembrava di star entrando nella gabbia di un leone. Non aveva paura per sé, ma piuttosto che il ragazzo si facesse del male nel tentativo di uscirne. Le catene erano strette per entrambi ma chi dei due avesse tentato per primo di spezzarle avrebbe anche versato del sangue.
«Ilyan»
Sentiva il caldo tepore di un fuoco che ancora ardeva e la presenza del ragazzo vicino a sé. La gente aveva smesso di parlottare e attendeva ciò che sarebbe successo. C'era un silenzio tombale, come se anche la notte si fosse resa conto che la loro storia avrebbe preso una svolta decisiva, che essa fosse stata positiva o negativa.
Arlo lo sentì sporgersi in avanti, come se stesse tastando il terreno che li divideva. Nel mentre, Coriolano ansimava, come se stesse perdendo l'aria che gli rimaneva nei polmoni. Maximilian doveva stargli stringendo le mani attorno al collo, oltre che a tenerlo fermo per i polsi.
Perché si era rivolto al nano?
Che cosa stava cercando che lui non poteva dargli?
«Ti prego...» sussurrò il ragazzo. «Aiutami»
Arlo deglutì a vuoto.
Sentiva gli occhi di tutti addosso.
«Sono qui, per te»
Maximilian iniziò a piangere più forte e la sua voce, insieme ai suoi occhi, si fece cupa, triste e piena di qualcosa di cui Arlo non conosceva l'origine, per lo meno non ancora.
Non lo aveva mai sentito così.
Riconosceva solamente un vecchio sentimento che anche lui aveva provato, che anche lui aveva sperimentato nella completa solitudine del suo essere. In quell'istante era risuonato qualcosa in Arlo, come se si fosse visto per la prima volta ancorato alla vita di qualcun altro.
«Sono qui» ripetè nuovamente.
Maximilian fece un passo indietro.
Cercò di mettere in fila le parole affinché avessero un senso. «Lui è qui» disse. «É sempre qui»
Arlo non lo vide, ma lo percepì gesticolare.
«Di chi parli?»
Maximilian si lasciò sfuggire un singhiozzo.
«Questo dolore, questo infinito e disarmante buio. Lo vedo ovunque e lo sento ovunque. Non riesco a togliermelo di dosso, mi sta consumando fino alle ossa e io sono sul punto di...»
Arlo non disse nulla.
Sapeva bene di cosa stesse parlando.
«Non riesco più a tenerlo fuori, non ce la faccio»
«Lo so, lo sento anch'io»
Coriolano fece una smorfia di dolore ma provò a parlare. «Il re non...»
Maximilian lo strangolò.
Gli stava facendo male.
Arlo cercò di richiamare di nuovo la sua attenzione.
«Ilyan, sono qui, davanti a te»
Continuava a piangere.
«Come si fa a vivere in questo modo?»
Arlo abbassò il volto.
«Come fai, tu, a vivere in questo modo?»
Avrebbe voluto dirgli che non lo stava più facendo da anni, ma di certo non avrebbe aiutato. «Sopravvivo, come fai anche tu» gli rispose. «La vita non è stata gentile con nessuno dei due, non credi?»
«Non voglio fare del male a nessuno»
«Sei una brava persona Ilyan»
Scosse il capo.
Si stava colpendo il petto con la mano libera.
«No! Farò del male a qualcuno, lo so»
Arlo si sentiva disarmato. Quel tipo di dolore lo aveva sempre e solamente gestito nella sua solitudine. Aveva conosciuto il suo e aveva imparato ad accoglierlo, ma quello di qualcun altro? Non si era mai incontrato con un sentimento come quello, certo che non fosse il proprio.
«Non sei cattivo, Ilyan. Non sei crudele, non sei malvagio, non sei perfido, non sei la brutta persona che pensi di essere» disse, pensandolo veramente e con la voce incrinata. «Sei buono, sei dolce, sei paziente, sei generoso e sei amorevole. Sei gentile, con me lo sei sempre stato, anche quando io non lo sono stato nei tuoi confronti»
Scosse di nuovo il capo.
«Se io fossi davvero ciò che dice che io sia? Cosa faresti? Cosa succederebbe se fossi veramente tutto ciò che di brutto ho fatto?» Farfugliò. «Ho provato ad ucciderti, sulla linea. Ti ho puntato un coltello alla gola e per poco non ci lasciavi la vita tra quelle mura»
Si alzò un mormorio sommesso.
La voce di Sasha mitigò subito gli animi.
Arlo le aveva promesso che non ci sarebbero state altre sorprese. Che nessuno avrebbe dovuto preoccuparsi e che la loro permanenza non avrebbe arrecato danno ai Morigh. Quanto era stato ingenuo! La sua sola presenza aveva già riacceso antichi litigi e riaperto vecchie ferite, senza contare quelle nuove, quelle che aveva proprio sotto gli occhi. Avrebbe dovuto trovare una soluzione alternativa, una buona soluzione, non la prima che gli fosse passata per la testa.
«E io ti ho tradito sapendo bene di arrecarti danno»
Maximilian iniziò a scuotere violentemente il capo come se cercasse di scacciare via qualche pensiero di troppo. «Ci riproverò, sai? È ormai entrato così tanto nella mia testa che è la prima cosa cui penso quando mi sveglio e l'ultima quando vado a dormire» disse con il cuore in gola. «Non riesco più a controllare tutta questa rabbia, tutto questo nero che mi impregna le ossa»
Gli mancò il respiro.
«Sono stanco»
Quelle parole.
Quelle parole le aveva già sentite.
Nonostante Arlo, almeno fino a quel momento, non lo avesse creduto davvero possibile, iniziava a rendersi conto che ciò per cui le ancelle lo avevano istruito aveva in fin dei conti avuto un senso.
"Quando il buio sgorgherà nuovamente dalle ossa delle città antiche, il tempo sarà propizio. Tutto cadrà o tutto risorgerà dalle ceneri del mondo"
Il buio.
Aveva sempre pensato fossero sciocchezze dette apposta per spaventarli. Alla fine dei conti, erano solo ragazzini che erano stati catapultati in un mondo troppo grande per loro.
A cosa si riferivano?
A che cosa si stava riferendo Maximilian?
"Le membra dell'usurpatore ripercorreranno le trame della storia"
«Ho paura» ripeté.
Gli tremava la voce.
«Non voglio lasciarlo entrare ma non riesco più a sopportare tutto questo caos che c'è nella mia testa»
Non erano sciocchezze.
I suoi genitori sapevano bene che cosa stessero facendo. Lo sapeva anche Aren? Era stato ucciso per questo?
Maximilian si morse violentemente le labbra e Arlo avrebbe giurato di poter sentire l'odore del sangue da quella distanza.
«Vuole la tua vita, continua a chiedermela, la rivendica come se fosse di sua proprietà» disse, asciugandosi le lacrime e rendendosi conto di quanta gente ci fosse intorno a loro. «Vuole che sia io a togliertela»
Arlo prese un respiro profondo.
«E tu cosa vuoi?»
Maximilian soppesò le parole.
Aprì la bocca e poi la richiuse più volte.
L'essersi accorto di tutta quella gente lo aveva reso nervoso, più instabile di qualche minuto prima. Il cavallo che era riuscito a strappare dal recinto sbuffava a pochi passi da lui, come se fosse pronto a prendere il via al suo primo accenno di fuga. Se non avesse agito con sangue freddo lo avrebbe perso al primo segnale di allarme.
«Parla chiaro, santi numi! Di chi diavolo stai parlando?» si era divincolato Coriolano nella speranza che Maximilian lasciasse, una volta per tutte, la presa. «Mi hai svegliato nel bel mezzo della notte farneticando di volertene andare al più presto possibile e ora che fai? Ti intrattieni con il belloccio di Phioras? Diavolo, voi di Icarys siete tutto matti!»
Dietro di lui, Arlo sentì la presenza di Sasha. Lo osservava, come tutti gli altri, ma il suo sguardo su di lui lo avrebbe percepito anche nel bel mezzo di cinquecento persone. Che cosa voleva fare?
«Io saprei ben dire chi è che lo vuole morto, ma tu, bell'innamorato? Chi mai ti chiederebbe di togliergli la vita?» domandò Coriolano. «È solo l'amore non corrisposto a renderti così nevrotico?»
Maximilian sbuffò. «L'amore?»
Gli puntò il dito addosso.
Arlo aveva le sue mani contro il petto.
«Se non gli fossi tornato utile mi avrebbe lasciato a morire e tu mi parli d'amore?»
Coriolano si mise a ridere tra il goffo attacco di tosse che lo aveva colto alla sprovvista. «Phioras è sempre stata una vipera. Copri una serpe di abiti bianchi ma rimane pur sempre ciò che è, solo un cesso putrido»
«Non ascoltarlo»
Maximilian fu subito di nuovo su di lui. «Ha ragione, sai?» sputò a terra. «Per quanto io mi sia sforzato di trovare un motivo per restare, ha sempre avuto ragione mio padre. La gente come voi non ha niente in comune con il mio sangue, con ciò che sono»
«Certo che ho ragione» ribatté il nano. «E se fossi stato furbo me ne sarei rimasto sul continente al posto di venire su quest'isola dannata»
«Dovevo restare a Vaksa» iniziò a ripetere come un matta. «E niente di tutto questo sarebbe successo»
Arlo fece un passo verso Maximilian che lo incatenò a sé. Lasciò che le sue mani sporche di sangue gli imbrattassero la camicia appena pulita. Sentiva il suo respiro solleticargli la pelle e il suo cuore battere contro il suo petto.
«Lasciami andare» lo pregò. «Lascia che me ne vada e che ti dimentichi una volta per tutte»
«Fammi venire con te» gli rispose.
Arlo sentì la punta di una lama contro il suo fianco.
«Fallo» lo incitò.
Il metallo freddo aveva già bucato i vestiti e trovato posto sulla sua pelle.
«Fallo» lo incitò a gran voce.
«Uno di noi due morirà, alla fine»
Arlo strinse le dita sul fodero del pugnale. «Uccidimi ora o non avrai un'altra occasione»
Maximilian appoggiò la fronte contro la sua. «Ucciderti avrebbe un sapore più amaro della morte stessa»
Non demorse. «Allora portami con te»
Arlo sentì di nuovo il gelido freddo della notte.
Lo spazio occupato da Maximilian ora vuoto.
«Addio, Arlo da Phioras» gli sussurrò all'orecchio.
«No, no, aspetta!»
Ma Maximilian si era già voltato. Arlo lo aveva sentito scivolargli via dalle mani come l'acqua di un ruscello di montagna. Veloce, gelida e inafferrabile.
Il figlio di Phioras non era mai riuscito a comprendere fino in fondo quanto Coriolano avesse avuto ragione su di loro. Per quanto i vaskiani fossero rudi, incivili e rozzi, il vero marciume era quello che aveva da sempre caratterizzato la capitale del Sud e tutto quel lato dell'isola.
Gli Heiligies erano colti, ricchi e dalle buone maniere, ma celavano dietro a profumi costosi e abiti ricamati la malvagità d'animo e il risentimento. Erano loro ad essere marci fino al midollo, insicuri e inaffidabili. Maximilian gliene aveva solamente dato la riprova: per ben due volte avrebbe potuto ucciderlo e per ben due volte avrebbe potuto riavere indietro la sua vita, la sua casa e la sua famiglia. Ma aveva scelto lui, non aveva scelto la strada più facile o quella più conveniente. Gli aveva dato un'altra possibilità, un'occasione di rimediare ai suoi sbagli e di decidere per la sua vita.
Le parole delle depositarie alla cerimonia dell'Eunohia avevano, dopotutto, davvero avuto un senso. Trovare negli altri ciò che non si ha gli era sembrata un'impresa inesplicabile ma davanti a Maximilian era diventato tutto chiaro, tutto semplice e genuino. Non era tanto l'amore quello che Arlo aveva cercato per tutta la sua vita, ma quel sentimento di fiducia che quel ragazzo aveva riposto in lui. La speranza e la luce che erano in grado di far girare il mondo avevano rimesso in moto anche lui.
Maximilian era saltato a cavallo insieme a Coriolano e teneva le redini pronto ad andarsene. «Avete ragione, in me scorre il sangue dell'usurpatore, colui che ha distrutto il mondo e lo ha plasmato secondo la volontà del dio oscuro» aveva detto. «Io l'ho visto, lo sento, anche ora. Il potere di Dixtr ribolle nelle lande desolate in cui è stato richiuso per volere degli dei antichi e richiede ciò che gli spetta»
Arlo lo ascoltava ma le sue orecchi erano ovattate.
«Rivendica il suo diritto di governare su queste terre, su Icarys» continuò. La sua voce aveva assunto un tono più duro, come se pronunciare quelle parole gli costasse fatica. «Chiama sangue, chiama morte e chiama la guerra»
Arlo ricordava solo tutte quelle storie che le ancelle gli raccontavano tutte le sere. "Quando il gallo canterà, la terra si aprirà sotto i piedi dell'isola"
«Sta arrivando» disse. «La notte è alle porte»
Nonostante si alzarono grida di protesta e i Morigh gli si scagliarono contro, Maximilian riuscì a sfilare via nell'oscurità notturna che ormai si stava tramutando in alba. Arlo sentì lo scricchiolio dei ciottoli sotto gli zoccoli del cavallo e il rumore dei nitriti in lontananza prima di comprendere che Maximilian se ne fosse andato.
«Corri» gli aveva detto. «Corri più veloce che puoi»
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