.1 - Un Sospiro di Vento Gelido
Secondo una antica credenza, quando il cuore di un uomo batteva talmente forte da fargli male nel proprio petto, gli dei avrebbero elargito lui il più antico dono tra quelli che l'isola del sole vantava, la fortezza d'animo. Niente sarebbe stato paragonabile a quel regalo: né la temperanza, né la speranza e nemmeno la prudenza valevano quanto la temerarietà e la diligenza dello spirito. Una concessione del genere era riservata ai capi della nazione, che avrebbero governato non con prepotenza e man forte, ma con con fervore, tempra e rettitudine.
Forse era proprio per questo che un onore simile, almeno secondo alcuni gruppi che veneravano la dea Lexys come la regina tra gli dei, veniva ritenuto secondo solo al dono della giustizia, il regalo che aveva reso famosi gli abitanti di Icarys in tutto il mondo conosciuto. Quest'ultima veniva infatti elargita sul palmo di una mano solamente a chi, superate le prove della vita, era stato in grado di vedere con chiarezza il proprio essere, e quello di tutto ciò che lo circondava. Non era chiaroveggenza certo, ma consapevolezza di sé e degli altri.
E il mondo era alla estrema necessità di qualcuno che potesse essere a capo dei tribunali, al fianco delle corti reali e prendere in mano la corretta gestione delle carceri. Altrimenti, che cosa ne sarebbe stato dell'umanità e della storia del mondo? Chiunque si sarebbe, prima o poi, trovato nella condizione di chiedere aiuto, consiglio, una guida e i diretti discendenti della dea sarebbero stati più che grati di poter assolvere quel compito tanto arduo quanto speciale.
Se le ingiustizie della vita erano ciò che i popoli temevano maggiormente e che governavano sopra qualsiasi altra sorte, i doni di Lexys avrebbero per lo meno dato una speranza in più di redenzione, di salvezza e di via di fuga per chi aveva perso la strada, la aveva smarrita o addirittura abbandonata.
I forti di spirito però non sarebbero sopravvissuti senza i giusti e, di conseguenza, i giusti non sarebbero sopravvissuti senza i forti d'animo. Forse era proprio per questo che, dopo la costruzione della linea, erano state sacerdotesse di Lexys, ovvero le depositarie del suo dono sulla Terra, e i capi delle grandi casate ad aver preso in mano la situazione. Una sorta di compromesso era nato grazie al ricordo di ciò che un tempo era stato a guidare ed illuminare gli animi della gente. La perdita della fede per un destino ancora più crudele era stata l'unica strada che i popoli avevano scelto di intraprendere.
La divisione dei poteri.
La separazione degli animi.
Una storia buia.
Nonostante Maximilian non si ritenesse degno di pensare a sé stesso come una persona forte, la sua situazione in cui si era ritrovato non gli avrebbe nemmeno permesso di ritenersi dalla parte dei giusti. La sua vita era stata un susseguirsi di azioni che lo avevano intrappolare in una moralità tanto grigia de sentirsi soffocare al solo pensiero di dover prendere una decisione che potesse essere considerata sia giusta che degna. Piuttosto, infatti, quel fastidioso pulsare alle tempie e quel incessante dolore alla spalla lo avevano reso degno solamente di una barella, se non direttamente di una tomba e di un funerale in pompa magna.
Né il dio Salus né la dea Lexys avrebbero rivolto a lui uno sguardo.
Figurarsi qualcosa di cos' prezioso e speciale come il loro doni.
Ormai, come chiunque altro, i tempi d'oro di Icarys erano solamente un lontano ricordo di un passato sfiorito.
Erano tutti diventati molto più simili a delle bestie che a delle persone in carne ed ossa.
Nessuno li avrebbe perdonati per la terribile gestione di grazie così speciali.
Maximilian iniziava a dubitare anche del semplice ma quasi impossibile perdono della dea Lexys. Per quanto si sentisse sopraffatto e privo di qualsiasi dono dell'anima ma pieno di preghiere, l'idea che le cose potessero tornare al proprio posto sembrava più un sogno che una possibilità concreta.
Da quando aveva riaperto gli occhi, quella piccola ed apparentemente insignificante azione che gli aveva permesso di muovere le palpebre stanche gli era servita solo per rendersi conto di star ancora precipitando nel vuoto, o forse era solo una sua impressione? In un primo momento, forse ancora troppo tramortito per raccapacitarsi di quello che era successo, aveva infatti solamente sospettato di essere morto e che quel viaggio in un infinito nulla non fosse stato altro che la sua venuta all'inferno.
Era stato già pronto a salutare i suoi mostri nel cassetto ma qualcosa gli stava dicendo che non era ancora giunta la sua ora.
Peccato.
Ad un certo punto, quasi a strapparlo dalla sua veglia contro volgere, qualcuno aveva iniziato a gridargli nelle orecchie come un trombone stonato e, quando successe, Maximilian si rese d'un tratto conto che in realtà non stava più precipitando da una buona manciata di minuti e che quella sensazione sgradevole era solo il suo stonato in subbuglio.
Per la seconda volta, peccato.
Aveva semplicemente il respiro pensate così come tutto il resto del corpo e le parole pigre che non riuscivano ad uscirgli di bocca gli incatenavano la lingua in una spirale angosciante. Doveva aver perso parecchio sangue, o comunque aver preso una botta in testa parecchio brutta per sentirsi come un rifiuto buttato in mezzo alla strada. Non ricordava molto, solamente Alexandra a pochi centimetri dal suo volto e l'espressione dura del re che incitava i suoi soldati a scoccare frecce infuocate contro di loro.
Loro.
Non c'era mai stato un loro.
Con tutte le persone che lo avevano abbandonato, Maximilian avrebbe dovuto sapere già fin dall'inizio che non si sarebbe dovuto fidare di nessuno, nemmeno della sua stessa ombra.
Di quei pochi istanti che lo avevano separato dalla vita, rammentava solamente di essere stato pronto a morire, a lasciarsi tutto alle spalle. Non gli era rimasto più nulla per cui sarebbe valsa la pena lottare e di certo l'idea di dover ricominciare tutto da capo non lo allettava quanto un sonno eterno. Né la sua casa, né la sua famiglia, né il suo locale erano rimasti i piedi, saldi contro le tempeste della vita. Non aveva più amici, o forse non li aveva mai avuti, non aveva uno scopo e di certo non aveva più un posto a cui tornare. Era rimasto solo. Solo come era sempre stato.
Maximilian aveva pensato, forse più sperato che altro, che la sua ingenuità d'animo non gli avrebbe più messo i bastoni tra le ruote, ma così, evidentemente, non era certamente stato. Al contrario, era stato tradito dopo aver riposto la sua fiducia in una persona di cui non sapeva minimamente nulla. Aveva ascoltato le parole di una giovane di cui conosceva a stento il nome, si era lasciato abbindolare da desideri irraggiungibili e si era anche abbandonato all'unica cosa da cui suoi padre lo aveva sempre messo in guardia: il suo essere diverso dagli altri.
Che cosa aveva ottenuto da tutti qui sogni giovanili?
Nulla.
Aveva perso tutto.
Sé stesso.
La sua vita.
Se in quel momento la sua gola non fosse stata in fiamme, in preda ad una frenesia tale da togliergli il respiro dai polmoni, si sarebbe messo a gridare ai quattro venti contro chiunque gli si fosse solo avvicinato!
Non riusciva a pensare ad altro.
Qualcuno avrebbe dovuto pagare.
Qualcuno sarebbe dovuto sedersi a tavolino con lui e fare i conti riguardo tutto quello che aveva fatto di sbagliato in vita sua.
Maximilian sarebbe dovuto rimanere al Rubino. Fingere che quel giorno, la mattina dell'Eunohia, in realtà lui non fosse mai esistito. Rimanere il codardo che era sempre stato.
Avrebbe dovuto ricordarsi del motivo per il quale il suo cuore si era indurito, nel corso degli anni, e nascondere la testa, per l'ennesima volta, sotto la sabbia come uno struzzo lo avrebbe di certo protetto.
Se l'avesse fatto, se si fosse lasciato convincere a lasciar perdere, a chiudere un occhio sulla sua vita, sul suo destino, in questo momento non avrebbe sentito il suo cuore sgretolarsi dentro di lui ad ogni istante in più che trascorreva vicino ad Arlo.
Magari Lokart avrebbe potuto coprirlo, mandare via le guardie del continente e raccontare a tutti che il proprietario del bordello era stato trovato assassinato nella sua camera da letto. Con tutti gli ingenui che abitavano Vaska, forse non sarebbe stato nemmeno un piano così idiota. Maximilian aveva messo da parte dei risparmi. Avrebbe potuto scappare, magari andare finalmente a visitare Noskov, oppure le grotte degli orsi, o addirittura il golfo delle aurore.
Se solo si fosse preparato adeguatamente per quel maledetto giorno della cerimonia, adesso si sarebbe trovato da tutt'altra parte, senza per forza dover osservare il volto paonazzo di Arlo che cercava di dire qualcosa che avesse senso per entrambi.
Non poteva cedere così davanti a lui.
Dargli la soddisfazione di averlo fregato, dimostrare a tutti che sì, si era fatto fregare un'altra volta.
Quel ragazzo appena più basso di lui di un paio di dita, non solo si era comportato come un completo stronzo dal primo momento in cui si erano incontrati ma lo aveva venduto e deriso, gli aveva dato dello stolto e tenuto all'oscuro dell'unica cosa che gli avrebbe potuto salvare la vita. Perché non gli aveva detto nulla? Non gli era bastata la cieca dedizione di Maximilian alla causa? Che cos'altro voleva ancora da lui? La sua vita magari?
Provò a tirarsi sù, puntando i gomiti sotto quella sorta di tappeto morbido e caldo su cui si era ritrovato. La testa gli girava e il cuore gli batteva, come un martello, in gola. Le mani gli tremavano, così come la voce. Gli facevano male le costole e ad ogni respiro fitte di dolore si irradiavano in tutto il suo copro. Era accaldato ma sentiva freddo. Avrebbe voluto dormire, abbandonarsi all'oscurità, ma qualcosa lo teneva sveglio come durante un incubo inaspettato.
Perché era ridotto così male?
Che cosa era successo?
«Ilyan!»
Provò a mettere a fuoco.
Il principe di Phioras era inginocchiato davanti a lui. I capelli appiccicati alla fronte e le maniche della camicia bianca arrotolate fin sopra i gomiti. Non aveva un'ombra sul volto, raggiante come sempre nonostante tutto quello che aveva appena fatto, nonostante tutto quello che gli aveva appena fatto. Era sporco di sangue, ma non sembrava essere ferito. Aveva una mano sotto la spalla di Maximilian e blaterava qualcosa di ancora incomprensibile mentre cercava di medicarlo come meglio poteva.
Maximilian si prese un momento per osservarlo nonostante tutto il sangue che ancora non aveva capito provenisse da lui.
Pensò a quanto fosse impossibile che una persona come lui, inaffidabile, subdola e rancorosa potesse nascondersi sotto un aspetto così angelico ed etereo. Probabilmente lui lo sapeva, sapeva l'effetto che aveva sugli altri. Come il tono della sua voce fosse caldo e profondo, come il suo profumo sapesse di gelsomino, come tutto in lui fosse fonte di desiderio per chiunque lo guardasse. Era una bestia feroce travestita da agnello.
Non era forse stato il profondo ed inconscio desiderio di Maximilian di vederlo reagire ad averlo reso così succube?
O era forse stato l'unico a desiderare così tanto qualcosa da lui?
Perché diavolo si era lasciato manipolare così facilmente? Non aveva imparato abbastanza al bordello? Cos'altro voleva? Che il mondo cadesse ai suoi piedi per capire finalmente che le persone fossero cattive e prive di morale?
Eppure.
Eppure eccolo lì. Ancora lì.
«Ilyan?»
Maximilian sapeva che c'era un motivo per il quale aveva deciso di seguirlo. C'era stato un vero motivo per il quale gli aveva coperto le spalle, ancora e ancora. Ma era davvero questo il suo scopo nella vita? Fidarsi e venire accoltellato dalla sua stessa buona volontà?
«Mi senti? Sei sveglio?»
Testardaggine. Era cos'era stata. Solo testardaggine, nient'altro. Non sarebbe servito a nulla arrovellarsi ancora per molto per trovare una risposta plausibile. Non ce n'erano, lui era stato stupido ed era stato ripagato per la sua ingenuità fanciullesca. Per lo meno, l'unica cosa che avrebbe potuto fare, era quella che riguadagnare un po' di credibilità.
«Non chiamarmi in quello modo» disse, tentando di mettersi seduto e riacquistare un minimo della sua virilità. «Non più»
Sul volto di Arlo si dipinse un'ombra, ma la scacciò nello stesso modo in cui era venuta, con una smorfia e la sua solita aria altezzosa da principe crudele. «Stai fermo e fatti medicare» replicò questo, tralasciando completamente il tono di Maximilian e mettendosi ad armeggiare con la sua spalla. Nessuno doveva mai avergli detto di no, dopotutto era un principe viziato. «O preferisci perdere di nuovo conoscenza?»
Maximilian distolse lo sguardo. Soltanto vederlo lì, come se non avesse tentato di ucciderlo, scommesso della sua stessa vita, averlo tenuto all'oscuro di tutto ed averlo deriso come un sempliciotto gli faceva montare una rabbia feroce. «Qualsiasi cosa piuttosto che vedere la tua brutta faccia da arrogante» sputò, anche se dovette tralasciare il lieve pentimento nell'avere pronunciato quella parole proprio nei suoi confronti. «Non ho bisogno del tuo caritatevole aiuto da Heiligies»
Arlo non abbassò il volto, né rispose a tono alla cattiveria che Maximilian gli aveva detto. Quella era stata probabilmente l'unica volta in cui il sentir nominare la sua cecità non gli aveva causato il lieve tremito al labbro inferiore che aveva visto così spesso in quelle settimane. Il ragazzo tirò semplicemente fuori dallo zaino confiscato dalle guardie del re un panno pulito e continuò il suo lavoro. «Stai giù» disse, alzandosi ancora di più le maniche della camicia sporca di sangue e premendo sulla ferita. «Per favore»
Maximilian strinse i denti. La mano di Arlo si era spinta con forza contro la sua ferita dolorante per fermare il sangue. Le guardie del re avevano scoccato le frecce infuocate poco prima che i due si buttassero giù dalla scogliera. Evidentemente il barone di Vaska era stato l'unico ad essere colpito, mentre il principino aveva tutta l'aria di chi aveva semplicemente intrapreso un viaggio di piacere o una settimana alle terme. Se lo sarebbe dovuto aspettare che il reggente non li avrebbe lasciati andare così facilmente e che di certo, tra i due, sarebbe stato lui quello a dover pagare con il sangue.
Una delle due frecce gli si era conficcata nel bicipite destro, dove le fiamme avevano lasciato delle bruciature rossastre, mentre la seconda lo aveva trapassato da parte a parte nello spazio tra la clavicola e la spalla, fortunatamente dalla parte opposta al cuore. Maximilian si abbassò a guardare le ferite: il primo dardo era stato estratto e medicato, mentre il secondo svettava ancora tra le sue giovani carni ed Arlo stava cercando di fermare il sangue come meglio poteva.
«Non estrarla...» disse, evitando di osservare come le mani del ragazzo fossero ferme e tremendamente fredde contro la sua pelle sudata e accaldata. «...la freccia intendo, lasciala dov'è»
Arlo continuò con il suo lavoro. «Mi credi così stupido?»
Maximilian non disse nulla e continuò ad osservarlo. Davvero credeva di essere nel giusto?
«L'altra te la sei tolto da solo mentre mi sbraitavi addosso»
Non si ricordava molto di ciò che aveva fatto, né tantomeno cosa aveva detto in quel frangente di tempo. «Mi sembra il minimo» rispose, cercando di capire dove fossero e come avessero fatto a sopravvivere ad una caduta del genere. «Dopotutto è colpa tua se ci troviamo in questa situazione di merda»
Arlo alzò un sopracciglio e delle piccole rughe d'espressione gli si formarono agli angoli degli occhi. «Se non ci fossi stato io saremmo entrambi esposti sulla pubblica piazza a penzoloni per le caviglie» tagliò corto, continuando il suo lavoro.
«Stronzate, hai fatto solo molto bene i tuoi calcoli» disse di rimando Maximilian. Appena si fosse sentito meglio gli avrebbe dato un cazzotto sul naso e avrebbe levato le tende. «Ti ha fatto solo comodo tenermi in vita, altrimenti ora saresti tu quello con una feccia che ti trapassa da parte a parte»
«Sei libero di pensarla come vuoi» rispose Arlo, staccandosi dal corpo di Maximilian e sistemandosi i capelli con il dorso pulito della mano. Il ragazzo avrebbe giurato averlo sentito dire un 'non è vero' mugugnando, ma forse se lo era solamente immaginato. «Ma ho liberato io Pharon e ti ho salvato il culo. Se ancora non te ne fossi accorto, non sei vivo per la tua grande arguzia e abilità tattica ma grazie a me e ai miei cosiddetti calcoli»
Maximilian sbuffò. «Sei solo uno...»
Aspetta.
Che cosa aveva detto?
No, non riguardo il suo essere poco intelligente.
Quello ormai doveva essere chiaro a chiunque.
Pharon?
Maximilian deglutì a vuoto.
Lo stesso enorme uccello che li aveva portati sull'isolotto di Dyron?
No, non poteva essere, doveva aver sentito nuovamente male.
Una maschera di terrore improvviso si impadronì delle sue più nobili espressioni.
No, no, no.
«Che cosa hai fatto?»
Arlo scrollò le spalle. «Quello che andava fatto mentre tu te la prendevi comoda con madama Theodora»
«Brutto bastardo» urlò cercando di fare uscire la voce. «Dove siamo, dove diavolo siamo?»
Arlo sghignazzò, probabilmente divertito dal fatto che gli avesse dato del bastardo, cosa che, a tutti gli effetti, sapeva di essere.«Per quanto abbia inteso che non ti piaccia volare» rispose. «Pensavo che se fossimo stati a duecento metri da terra te ne saresti reso conto prima di metterti a piagnucolare di quanto sia ingiusta la vita»
Maximilian gli lanciò una occhiata furiosa. Anche se Arlo non poteva vederlo, in quel momento era l'unica cosa che sarebbe riuscito a fare per liberarsi di tutta la rabbia che aveva in corpo. Per quanto cercasse di rimanere sveglio e vigile, gli occhi gli si stavano chiudendo e le braccia di Morfeo lo stavano richiamando, persuadendolo a lasciarsi cullare dalle ombre e dal buio.
Comunque, a quanto pareva, doveva essere decisamente morto, quindi poco gli importava di sembrare disperato.
Neanche se fosse stato nella tomba avrebbe accettato di risalire di nuovo su quell'animale.
Una volta gli era bastata e avanzata.
Quindi l'unica spiegazione era che fosse deceduto e che quella fosse la sua punizione divina.
Arlo gli diede uno scossone, forse perché Maximilian stava iniziando a sbiascicare una parola e l'altra pure. «Ci ha attutito il colpo» continuò questo, tentando di tenerlo sveglio. «Spero tu non ti voglia lanciare di sotto, altrimenti tutto il mio lavoro per salvarti la vita sarebbe stato vano»
Salvargli la vita, ma si sentiva quando parlava?
Maximilian provò a mettere a fuoco. Il dolore alla spalla era ancora parecchio intenso e l'adrenalina stava piano piano lasciando il posto alla stanchezza. Se Arlo non glielo avesse fatto notare, probabilmente non avrebbe capito da solo che, in realtà, il tormento del vento che lo aveva preso alla sprovvista quando aveva riaperto gli occhi era dato dal fatto che si trovassero sul dorso di Pharon, il grosso grifone su cui Maximilian aveva deciso che volare era una delle cose che non avrebbe rifatto mai più.
Era ormai quasi sera. Non era ancora il crepuscolo ma il sole stava scendendo verso la linea del mare. La culla di Dyron era in lontananza, sullo sfondo di Icarys ormai sbiadito dalla giornata trascorsa. Nonostante le folate d'aria fossero messe in moto dalle ali di Pharon, il mare non era burrascoso o agitato ma calmo, cullato dai desideri della gente dell'isola del sole che stava rincasando nelle proprie abitazioni. Stavano andando verso Sud e si dovevano essere lasciati alle spalle la linea, anch'essa dipinta in lontananza come un'incombenza futura, da ormai parecchie ore.
Sotto di loro, infiniti boschi scuri contornavano quella che doveva essere la città di Phioras e numerosi campi agricoli stavano venendo arati lungo la costa del mare, dove spiagge lunghe e bianche lasciavano posto alle barriere coralline. Maximilian non aveva mai visto oltre la linea e si prese un secondo per osservare un paesaggio tanto florido quanto completamente diverso dal lato Nord dell'isola. Il clima era più mite, meno aspro e restio alla vita. Nell'aria sembrava quasi esserci della musica e anche i colori sembravano essere più caldi, avvolgenti. A Maximilian ci volle un momento per cancellare dalla sua mente tutto il buio che Vaska aveva assorbito nel corso degli anni e assimilare tutta la luce che invece si irradiava dal Sud.
Il ragazzo tornò a guardare Arlo, a suo agio contro il collo di Pharon. Come la prima volta, il grande grifone non aveva briglie o collari, ma solamente una sorta di enorme sella che avrebbe permesso alle donne e agli uomini di appoggiarsi contro di lui per raggiungere Dyron. Le lunghe piume erano morbide e calde e il volo, tutto sommato, sembrava essere meno turbolento del primo.
Per quanto non riuscisse a contenere la sua indignazione, Maximilian dovette chiederlo. «Come hai fatto?»
Arlo scrollò le spalle e chiuse la discussione ancora prima di averla iniziata. «Non importa»
Maximilian strinse i pungi. Se avesse potuto gli sarebbe saltato addosso, anzi lo avrebbe sicuramente fatto non appena fossero atterrati e avesse capito come estrarre la freccia senza morire dissanguato. Per ora la ferita rimaneva chiusa grazie allo stesso dardo e alle mani di Arlo, ma non avrebbe retto ancora per molto, di certo non per sempre.
«Va bene, fai come vuoi» concluse. «Comunque non mi interessa, appena rimetterò i piedi per terra me ne vado. Non voglio più avere nulla a che fare con te. Avrei più gratificazioni a ciucciare un sasso o cercare di corrompere un muro piuttosto che tirarti fuori anche solo qualche piccola informazione»
Quella frase sembrò sortire l'effetto desiderato. Arlo strinse le labbra, fece un sospiro profondo e allungò le gambe sul dorso di Pharon. «Non mi piace usare la magia per i miei tornaconti personali, va bene?»
Maximilian sobbalzò dopo aver dato libero sfogo ad una risata amara. «Beh, certo» disse. «Tanto qualsiasi cosa tu voglia di viene servita su un piatto d'argento, no? Il principe è troppo impegnato a pulirsi le scarpe per rendersi conto che su questo pianeta non è da solo!»
Arlo incrociò le braccia al petto. «Se ti rassicura pensare questo, pensa ciò che vuoi» rispose aspro. «E comunque non sono mai stato un vero principe»
Maximilian riportò la mano intorno alla freccia. Aveva ricominciato a fargli male. «Io non penso niente perché tu non mi dici mai niente» replicò stanco. «Perché ora mi rifili questa storiella di non essere mai stato un principe? Mi stai regalando l'ennesima trovata per farmi stare zitto e calmo? Domani forse mi dirai anche che non sei mai stato un Heiligies e, che ne so, in realtà sei una spia del continente o il figlio di Lexys in persona»
Come si era aspettato, tra i due calò il silenzio. Arlo iniziò a giocherellare nervoso con le dita e a infastidire il tessuto della camicia girandolo e rigirandolo su sé stesso.
«Visto?» protestò. «É inutile! Sei testardo come un mulo!»
Arlo scosse il volto e si portò le mani alle tempie. Sembrava stanco anche lui, come se quella conversazione fosse l'ultima cosa che avesse voluto fare. Maximilian lo sapeva bene che parlare di sé stesso non era la sua attività preferita, ma avrebbe fatto un ultimo tentativo per tirargli fuori qualcosa, qualsiasi cosa. Glielo doveva, gli doveva se non delle scuse, almeno una spiegazione. Diamine, le ultime settimane aveva vissuto solamente per lui, mentre l'unica cosa a cui Arlo aveva pensato tutto il tempo era stata solamente come sbarazzarsi di Maximilian.
Il ragazzo si spostò di nuovo verso Maximilian. «Si, sono testardo come un mulo!» rispose scocciato. «E con questo? Non devo dare spiegazione a nessuno! E se non ti sta bene come sono o come mi comporto non sono affari miei!»
Maximilian strabuzzò gli occhi a causa di una fitta di dolore. «Non sono affari miei?»
Arlo raddrizzò le spalle. «No, non lo sono»
«Sono quasi morto per te!» urlò rauco. «Più di una volta!»
«Morto è una parola grossa, non sai nemmeno che cosa voglia dire guardare la morte in faccia»
Maximilian lo osservò ritirarsi nuovamente mentre pronunciava quelle parole. «Non rimarrò con te se questi sono i presupposti» rispose, abbassando il tono di voce e appoggiando la testa su Pharon. «Non avrei per nulla al mondo dovuto prendere le tue difesene nella linea»
«Forse è la prima cosa su cui siamo veramente d'accordo» replicò. «Mi sarei risparmiato un bel po' di seccature»
«Ottimo, abbiamo deciso allora»
«Puoi dirlo forte»
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