3: ciò che accadde prima dell'alba
L'aria della notte era fredda e umida, ma quello era l'unico momento, un paio d'ore prima dell'alba, in cui l'odore pestilenziale della città brulicante si calmava, diluendosi nel ricordo del miasma che di giorno stordiva i sensi e l'anima di coloro che camminavano per le sue vie.
Emmeline amava quel prezioso, raro istante. Sarebbe stato ancora più perfetto solo nel caso si fosse messo a piovere, perché la pioggia era l'unico mezzo per abbattere completamente l'olezzo, ma anche in quel modo andava bene: seduta sul tetto del Loto d'Oro, tra le tegole rosse ormai sbiadite e ricoperte di muschio, tra cui spuntavano ciuffi ribelli di erba, i cui semi erano stati trascinati dal vento fino a quell'altezza, si sentiva bene. Si sentiva libera. Poteva respirare e godersi il silenzio, perché ogni suono risultava ovattato, perfino gli alti schiamazzi di un gruppo di ubriachi a pochi passi dal locale, nella via attigua. Ogni cosa era sufficientemente lontana per essere considerata in maniera oggettiva ed Emmeline non poteva vantare sempre quel privilegio, non con quell'ospite sgradito che abitava i suoi pensieri e che, ogni tanto, osava strisciare fuori dalla sua mefitica tana nelle profondità delle sue circonvoluzioni cerebrali.
Ad occhi chiusi, pensava alla serata appena trascorsa. Avrebbe tanto voluto definirla un successo, ma la donna che l'aveva cresciuta le aveva insegnato l'umiltà con le parole e con le frustate sulle mani, perciò non si azzardava nemmeno a pensarlo.
Pensava, tuttavia, di aver fatto un discreto lavoro. Sufficiente. Madame Tremblay le aveva chiesto di impegnarsi al massimo, di dare tutto in quello spettacolo perché, così aveva detto, si sarebbero decise le sorti del locale.
Emmeline lo aveva fatto, o almeno ci aveva provato. Per dieci anni quel luogo era stata la sua casa, le persone al suo interno erano la sua famiglia.
Tra di loro, la persona che amava. E che, in quel momento, era al suo fianco, tremante a causa della leggera brezza fredda, pur vestendo un lungo abito giallo e arancione.
Poteva dire che fosse diventata una tradizione, salire su quel tetto e trascorrere ciò che rimaneva della notte assieme. Non avevano altri momenti liberi: Hoa Lan aveva impegni, molti impegni fuori da quelle quattro mura. Aveva dei legami famigliari complessi che, anche se non erano di sangue, valevano tanto quanto quelli, forse addirittura di più.
"Sei stata brava" mormorò, dopo quasi venti minuti di silenzio, interrotto solo dai soffocati suoni lontani, che sembravano provenire da un mondo totalmente diverso, da un'altra dimensione.
Emmeline, sempre ad occhi chiusi, sorrise. Sul suo viso apparivano ancora le tracce del suo trucco di scena, ma l'unica cosa che davvero persisteva nel tempo era l'indaco sulle sue lunghe ciglia. Per il resto, era tornata la solita, normale giovane donna che era durante il giorno, con il suo anonimo abito grigio e un sorriso perso sulle labbra rosate.
"Davvero? Lo pensi davvero?".
"Sì. Sei sempre molto brava ma, oggi..." azzardò Hoa Lan, timidamente. "Oggi è stato diverso".
"Più bello?".
"Sì".
Emmeline aprì gli occhi e piegò la testa in direzione della ragazza. Hoa Lan ricambiò lo sguardo e abbozzò un delicato sorriso. Nel buio in cui ancora non si scorgevano le dita di rosa dell'alba, il suo volto brillava come una minuscola luna, avvolta da una cortina di lucidi capelli neri. Emmeline sapeva che se avesse avuto con sé una lanterna, avrebbe potuto vedere il rossore sulle sue guance, perché Hoa Lan era timida, introversa e ancora faticava a manifestare i suoi sentimenti, nonostante la relazione andasse avanti, tra alti e bassi, da anni.
Ad Emmeline piaceva proprio per i suoi silenzi, la sua gentilezza, perfino il modo in cui si arrabbiava, sempre in modo discreto, quando lei la faceva innervosire, proprio come era successo quando era arrivata in ritardo per lo spettacolo.
"Avevo addosso un bellissimo vestito" affermò, con sicurezza. "Ed è tutto merito tuo".
Hoa Lan sorrise, ma non disse niente. Non sapeva mai come rispondere ai complimenti, per questo era così divertente farglieli.
"Cosa pensi che succederà ora?".
"Solo cose belle".
"Davvero?".
"Se sono piaciuta agli ospiti, Madame Tremblay sarà contenta e noi vivremo senza che ci dia il tormento per ogni minima cosa" ridacchiò Emmeline, pensando a quanto la donna fosse stata severa nell'ultimo periodo, sempre pronta a rinfacciarle quanto sembrasse goffa durante le prove o a impedirle di rubare uno dei dolci di riso, sesamo e miele che alcune delle ragazze amavano cucinare.
Hoa Lan distolse lo sguardo dal suo e lasciò che vagasse nella notte perennemente illuminata dalle stelle artificiali di cui la città era piena, grazie a quella magia che i più sapienti chiamavano con il nome di elettricità. Sospirò impercettibilmente ed Emmeline ebbe improvvisamente l'impressione che fosse triste.
"Stai bene?" domandò. La sartina tornò a guardarla. Sorrise, annuì e mormorò: "Sono solo molto stanca".
"Ne sei sicura".
"Sì, Emmeline".
"Ti fa lavorare troppo, em yêu" commentò Emmeline. "Non ti fa bene".
"Ma devo. Altrimenti chi ripagherà la mano?" domandò la ragazza, alzando il suo rigido arto meccanico, che era freddo, con le dita leggermente ripiegate verso il palmo. Non poteva azionare il marchingegno che la metteva in modo: il combustibile per farla funzionare costava troppo e Hoa Lan non voleva altri debiti contratti con la padrona del locale.
"La ripagherò io" rispose seria Emmeline. "Appena diventerò ricca".
"Oh, Emmeline...".
"Mi devi credere. Lo diventerò. I clienti mi amano! Sarà bellissimo, vedrai: potrai sempre utilizzare la tua mano, così mi cucirai vestiti sempre più belli e diventeremo famose, Hoa Lan! Famosissime, in tutta Parigi, in ogni ExVaPo, in tutto il mondo!".
L'entusiasmo innocente della ragazza dai folti capelli castani costrinse Hoa Lan a un tenue sorriso divertito. Emmeline colse l'occasione per piegarsi verso di lei e baciarla sulle labbra. Sorrise quando sfiorò la guancia della ragazza e si accorse di quanto fosse calda, per via dell'imbarazzo.
"Sei arrossita" mormorò ridacchiando, mentre Hoa Lan, come al solito, scacciava la sua mano dalla propria gota, come se si trattasse di una mosca fastidiosa. Tuttavia, non resistette all'impulso di ridere con Emmeline: in fondo quelli erano i loro preziosi, unici, insostituibili preziosi istante. Nessuno avrebbe ridato loro indietro quella piccola felicità, che erano riuscite a ritagliarsi negli scampoli di ciò che rimaneva di una notte di lavoro.
***
La notte non era ancora finita, lo sapeva. Si era preparata a quell'evento per settimane, sapendo che avrebbe dovuto combattere una strenua battaglia, che prometteva l'innalzamento alla gloria o la più completa tra le disfatte. Sapeva di essere stata dura in quei giorni, a volte perfino sgarbata con le ragazze, ma non aveva avuto scelta: anche solo una cosa fuori posto e ciò a cui aveva lavorato per così tanto tempo sarebbe sfumato nel nulla. Non avrebbe mai potuto tollerarlo.
Fortunatamente, tutto era andato nel verso giusto: non era accaduto nulla di strano che turbasse la quiete del locale, la sua piccola Emmeline si era comportata a dovere, forse con più impegno del solito, e quel maleducato adolescente dalla voce androgina sembrava essere stato particolarmente felice di ciò a cui aveva assistito. Tutto come previsto, tutto come sperato.
Ora mancava solo una cosa da fare. La più scomoda di tutte.
"Ho sbagliato nel dubitare di voi, Madame" disse l'uomo che le sedeva davanti, sulla poltrona che era stata del suo defunto marito, mentre con eleganza dava leggeri colpetti alla sigaretta che stava fumando, per lasciar cadere la cenere. "La ragazza è stata brava. Il mio ospite è soddisfatto".
Madame Anong seguì la lenta e buffa caduta libera dei piccoli fiocchi all'interno del posacenere posato sul tavolino a fianco della poltrona. Anche quello era appartenuto a suo marito, ma la cenere che vi era caduta dentro quando era lui a sedere lì proveniva da ben altre sostanze.
"Questo, tradotto in parole meno sibilline, significa?".
Raccolse il coraggio e alzò lo sguardo sul suo ospite, mentre segretamente una delle sue mani correva ad accarezzare la schiena liscia e tiepida del suo langur, che le sedeva in grembo esalando i soliti due sottili sbuffi di fumo dalle narici di metallo.
Monsieur Corbin incrociò i suoi occhi verdi e sorrise. Era un bell'uomo, di buona presenza ed eleganza. Era più giovane di lei di qualche anno e in un'altra vita, in un altro momento, non ci avrebbe pensato due volte a tentare di sedurlo. Ora, però, tutto ciò che riusciva a provare nei suoi confronti era la paura.
"Significa che il nostro accordo rimane valido fino alla fine" rispose tranquillo l'uomo, portandosi alla bocca la sigaretta per prenderne una boccata. "Non siete soddisfatta? Era quello che volevate, mi sbaglio?".
Madame Tremblay si sbrigò ad annuire, mentre la sua mano prendeva a muoversi più rapidamente, nervosa, sulla schiena del piccolo automa animale. Riusciva sempre a nascondere le sue emozioni: era una dote preziosa, che le avevano insegnato in un'epoca in cui ExVaPo aveva appena iniziato a mettere radici all'interno delle capitali europee, ma una lezione del genere è difficile da dimenticare e Anong ne aveva fatto un'arte. Monsieur Corbin avrebbe mai capito quanto la sua anima si trovava in subbuglio in quel momento, solo osservando il modo in cui la sua piccola mano sinuosa e bianca come il latte correva sulla bronzea schiena della sua creatura? Si raddrizzò elegantemente contro il rigido schienale della sua sottile poltrona da cui accoglieva tutti gli ospiti che passavano per il suo salotto, nella parte più intima e nascosta del Loto d'Oro, e sorrise. Sorridere le veniva sempre bene, perché era bella, affascinante e gli uomini, generalmente, si fermavano solo a quei due aspetti.
"Ovviamente".
"Avrete l'esclusiva sul mio oppio. Come richiesto" precisò Monsieur Corbin, rispondendo al sorriso, come chiunque altro individuo del suo sesso aveva fatto prima di lui, nella stessa posizione in cui lui attualmente si trovava. "Arriverà per l'inizio della nuova ExVaPo".
"Benissimo".
"La ragazza, invece...".
"Sarà pronta" lo interruppe Madame Tremblay, addolcendo quella secca risposta con il suo sorriso di miele. "Sarà tutto pronto, come concordato".
"Non mi aspetto niente di meno di quanto promesso, Madame".
"Ogni cosa sarà come voi l'avete richiesta, Monsieur" rispose la donna, abbassando leggermente il capo, accompagnato dal leggero tintinnio dei gioielli sapientemente intrecciati alle sue ciocche ancora nere.
Monsieur Corbin parve apprezzare quel piccolo gesto di sottomissione alle sue richieste: il suo sguardo non era freddo come al solito e il sorriso continuava a persistere sulle sue labbra sottili. Madame Anong sapeva di star facendo ogni cosa secondo le regole: una preparazione di settimane le stava dando semplicemente i risultati sperati, ma c'era qualcosa dentro di lei, un leggero senso di colpa, un rimorso antico e mordace, che non faceva altro che rinfacciarle la sua decisione, sussurrando solo una parola, tradimento.
"Dovrà essere tutto pronto per sabato prossimo".
"Lo sarà".
"È sempre un piacere fare affari con voi, Madame Tremblay. Non c'è donna più intelligente di voi in tutta Parigi".
Anong accolse il complimento con il suo solito, misterioso sorriso.
Prima di salutare il suo ospite, costrinse quell'insistente vocina nella sua testa a tacere.
L'alba era appena giunta, la sua lunga missione terminata.
Qualcosa di nuovo era in procinto di iniziare.
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