//Inevitabile//

Tirai un profondo respiro e aprii la porta. Rivedere il suo viso dopo due settimane mi provocò lo stesso, incredibile tuffo al cuore che mi sorprendeva sin dal primo giorno in cui l’avevo visto.

«Ciao,» sussurrai timidamente.

«Ciao,» rispose lui sfiorandomi la guancia mentre mi circondava la vita con le braccia.

Io sorrisi e mi abbandonai a lui, ritornando alla mia esistenza, nel mio mondo. Di colpo, tutto sembrava incredibilmente perfetto. Ero tra le braccia della persona che amavo, un ragazzo che tante mi avrebbero invidiato, bello e dolce come pensavo esistessero solo nelle commedie americane.

«Mi hai fatto una bella sorpresa» dissi, sfiorandogli le labbra quasi per gioco.
«Lo so che a te fanno sempre molto piacere» rispose lui.

«Come mai qui?» chiesi, le orecchie che mi ronzavano in maniera insopportabile.

«In realtà, pensavo di proporti di andare al cinema.»

«Fantastico!»

Perlomeno, in questo modo saremmo stati lontani da casa, dando tutto il tempo agli altri di attuare un piano di riserva. Lo feci accomodare in salotto, completamente svuotato nell’arco di trenta secondi. Nell’altra stanza, il suono sommesso dello stereo di Leonardo era un chiaro messaggio minatorio: mio fratello sapeva quanto Riccardo detestasse Eminem.

«Ancora quel pagliaccio americano?» domandò infatti non appena le sue orecchie captarono i versi del rapper irrompere con violenza da sotto la porta – Leo aveva alzato di colpo il volume non appena aveva percepito la sua voce dall’ingresso−.

«Gli piace, cosa vuoi farci?» lo difesi io facendo le spallucce.

«Mah, roba da comunisti» commentò lui arricciando il naso perfetto.

Io mi sedetti accanto a lui sul divano, mettendogli le mani nelle sue. «Quest’estate andiamo alle Terme di Caracalla?» gli chiesi in tono innocente.
«Almeno lì sentirai un po’ di musica che ti piace.

«Lo spero, se gli esami me lo permetteranno» rispose Riccardo fissando il vuoto. «Ne dovrò fare almeno tre, più lo stage in Inghilterra.»

«Ma non hai già prenotato?» gli chiesi levando gli occhi al cielo.

«No, devo vedere. Sai, non si sa ancora niente…»

«Capito, vorrà dire che ci andrò con Rebecca.»

Quest’ultima era tagliente e lì per lì non seppi neanche il perché di quell’uscita. Io non avevo mai tentato di provocare deliberatamente il mio ragazzo con il solo scopo di innervosirlo. Eppure c’era qualcosa, qualcosa di nuovo che si stava facendo lentamente largo nella mia mente, qualcosa che non avevo calcolato. Un’alternativa a quella vita scontata e trascorsa a lesinare un minimo di affetto da parte del proprio compagno.

«Credo che andrò in bagno» disse improvvisamente Riccardo, smettendo all’istante di accarezzarmi i capelli.

«Va bene.»

Il ragazzo si alzò e si avviò verso il corridoio.

Io mi rannicchiai sul divano, aspettando il suo ritorno, quando, di colpo, il raggelarsi del sangue nelle mie vene mi ricordò all’istante che avevo fatto la più grande stupidaggine del mondo. Mi precipitai fuori in un battito di ciglia, sbarrando la strada a Riccardo proprio nell’attimo in cui stava per abbassare la maniglia della porta.
«Scusami, amore, ma mi sono scordata di dirti che purtroppo il nostro bagno è completamente inagibile, al momento» dissi tutto d’un fiato.

Riccardo mi fissò a lungo, inarcando le sopracciglia bionde. «Inagibile?» ripeté.
«Sì, inagibile» precisai io con decisione. «Sai, il gabinetto non fa altro che ributtare su robe che lascio volentieri alla tua immaginazione…»

«Eppure ho come l’impressione che tu mi stia nascondendo qualcosa» mi bloccò lui.

«E che cosa dovrei nasconderti, scusa? Uno straniero dagli occhi neri?» buttai lì io, scoppiando in una risatina nervosa.

In tutta risposta, lui mi rivolse un sorriso di sottecchi. «Sei incorreggibile» mormorò.

Poi, a sorpresa, Riccardo fece l’ultima cosa di cui avrei avuto bisogno in quel momento. Mi prese per mano, conducendomi verso il salotto, e una volta lì mi prese tra le braccia e immerse le sue labbra nelle mie.

«Mi sei mancata» sussurrò, una volta staccatosi da me.

Se solo fosse accaduto ieri, gli avrei risposto che anche lui mi era mancato terribilmente, e mi chiedevo come mai ci avesse messo così tanto a farsi vivo; ma ora avevo come l’impressione che la lingua mi si fosse improvvisamente incollata al palato, impedendomi di articolare qualunque suono.

Di colpo, l’intera aura di perfezione che si era instaurata per pochi minuti all’interno della casa si era rovesciata come il retro di uno specchio, rivelando tutta la sua ipocrita fuliggine. Tutto quello era sbagliato, falso. Io e Riccardo ci stavamo prendendo in giro a vicenda. E io mi stavo comportando da stupida. Stavo ferendo due ragazzi nello stesso momento.

Mi divincolai dalle sue braccia, allontanandolo bruscamente da me.
«Che ti prende?» esclamò lui. «Sembri sconvolta.»

«Non mi sento bene» farfugliai io. «Sai, lo studio, lo stress…»

«Capito. Riposati, allora. Sarò qui per le sette e mezzo.»

«Va bene.»

Lo accompagnai alla porta, non senza mascherare quel mio improvviso disagio.

«Ciao, amore» sussurrò lui, sfiorandomi le labbra in un ultimo bacio.

«Ciao, Riccardo» risposi a voce bassissima, restando immobile nella penombra del pianerottolo.

L’eco dei suoi passi sulle scale svanì in pochi attimi, lasciandomi sola e in silenzio.

Erano trascorsi solo pochi istanti dalla sua partenza, ma a me parevano già ore. Non avevo il coraggio di aprire la porta del bagno e dar loro il via libera. L’ultima cosa che volevo in quel momento era affrontare Edmund, anche se sapevo perfettamente che ormai sarebbe stato inevitabile.
Sussultai nell’avvertire una presenza dietro di me.

«Edmund, mi dispiace…» sussurrai.
Il ragazzo aveva un’espressione che faceva spavento. Ogni lineamento del volto era perfettamente immobile, mascherando completamente la tensione che gli contraeva la mascella in un ringhio sordo, gli occhi più neri che mai. Sapevo che cosa volesse dire. Avvertivo ogni frammento del suo dolore. Tutto per causa mia.

«Ed, io…»

«Non ti scusare» mi bloccò lui, superandomi con freddezza. «Evidentemente, non ho più nulla da fare qui.»

«No, dove vai? Aspetta!» lo pregai io, afferrandolo per un braccio.

Edmund mi scrollò via con decisione, fissandomi dritta negli occhi. In quell’istante, ebbi paura.

«Non posso» commentò con amarezza. «Per tutti questi anni, sentivo che ci saremmo rivisti. Non so come, ma sapevo che questo giorno sarebbe arrivato… e che in qualche modo tu mi aspettassi, come io ho fatto con te. Ma ora mi rendo conto di essere stato uno sciocco. Non voglio fartene una colpa, non pensarlo. Dopotutto è passato molto tempo, e tu sei andata avanti. È giusto così.»

Detto questo, si voltò lentamente verso le scale e sparì nel buio del pianerottolo. Io rimasi immobile sulla soglia, impietrita e schifata da me stessa, incapace persino di piangere, dato che ogni lacrima non sarebbe stata altro che un ipocrita rimpianto.  In fondo, come facevo a sapere che un giorno lui sarebbe tornato? E che, nonostante fosse passato così tanto tempo, io mi sarei scoperta ancora innamorata di lui, proprio come la prima volta che i miei occhi si posarono nei suoi?

**** Mio Dio, ma quanto ero cringe all'epoca? Okay, si capisce che allora non avevo un ragazzo e a rileggerlo ora non mi sorprende affatto il perché! Sappuate che negli anni la mia scrittura è molto cambiata, quindi mi appello alla vostra clemenza; in mia discolpa ho da dire che Riccardo è un tasto dolente che dovevamo affrontare e che il suo è un personaggio necessariamente disgustoso.

Povero Ed, ma in fondo la sua è una mentalità da inizio Novecento, non si può biasimarlo del tutto!

Oggi nom vi tedio più di tanto con i miei sproloqui, vi do appuntamento per ka prossima settinana o su Instagram (le_storie_di_fedra) per chi avesse voglia di fangirl... cioè di saperne di più sui miei deliri wattpadiani e non solo!

Un bacio,

F.

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