//Faccia a faccia//

“Squilla!”, pensai con il cuore che batteva forte. “Rispondi, ti prego, rispondi…”

«Ehilàààààààààààà!!!!» trillò improvvisamente la voce di Giulia dall’altro capo, facendomi sussultare. «Che si dice?»

«Giulia, ascolta, io… non so come dirtelo. In questo momento esatto ho Edmund Pevensie in casa.»

«Ehi, non vale! È la stessa cosa che ti ho detto io la sera che ho conosciuto Massi!» protestò lei in tono pignolo.

«No, no, è quello vero!» tentai di farla ragionare. «Ti prego, devi venire subito! Non so a chi rivolgermi!»

«Problemi con un ragazzo?» cantilenò lei in tono complice.

Sospirai, alzando gli occhi al cielo. «Ascolta, è inutile startelo a spiegare qui, tanto mi prenderesti solo per pazza» buttai lì con decisione. «Ma devi venire, capito? Lo devi vedere con i tuoi occhi.»

«D’accordo, cara, ma devo portare anche Massi. Sono a casa sua, ora.»

«Porta anche lui, no problem. Basta che vieni. Io… credo di stare per impazzire, lo sai?»

«Tranquilla, che arriviamo noi. Ehi, Massi, amore!» chiamò poi con una voce così alta da farmi discostare violentemente la testa dal ricevitore.

Udii un brontolare sordo dall’altra parte, poi Giulia disse: «Ok, arriviamo. See yaaaa!» e riagganciò prima ancora che avessi avuto il tempo di ribattere.
Riagganciai lentamente, poi alzai gli occhi.

Per un attimo, avevo pensato di aver avuto un’allucinazione e che nessuno in quel momento stesse occupando il mio letto, ma mi sbagliavo. Edmund mi fissava con i suoi profondi occhi neri, più grandi e belli che mai, in un’espressione a metà strada fra il confuso e l’esterrefatto, insieme a una piccola ma irresistibile sfumatura di euforia.

«Così questa è Roma?» domandò a un certo punto, cercando di stemperare un po’ quel silenzio imbarazzante che era calato fra di noi.

«Sì,» annuii sorridendogli dolcemente «come avevo promesso.»

«Molto caotica.»

«Concordo.»

Si udì un rumore affrettato di passi nel corridoio, poi la testa di Leo fece capolino nella camera da letto. Ci lanciò due profonde occhiate, indugiando in particolar modo su Edmund, poi commentò: «Allora qualcosa di vero c’era in quella storia, eh, sorella?»

«Ah, taci!» gli risposi io bruscamente.

«È tuo fratello?» domandò Edmund, che fino a quel momento, nonostante il suo carattere intraprendente, non era ancora riuscito a spiccicare parola con l’omino di casa.

«Sì. Piacere, Leonardo» rispose lui, facendo il gesto di dargli il cinque.
Il ragazzo lo fissò lungamente, non comprendendo tale invito; poi, con un sorriso cordiale, gli strinse la mano, soffocando a stento l’imbarazzo.

A quanto pareva, era ancora fortemente sotto shock.

«È vero che sei stato il primo ragazzo di mia sorella? Sai, lei non fa altro che parlare di te…» proseguì Leo senza farsi troppi problemi, le mani puntualmente nelle tasche.

Per un attimo, Edmund parve arrossire; poi si ricompose e rispose: «Sì. Abbiamo avuto una storia per un breve periodo.»

«Leo!» esclamai io risentita. «Non hai per caso un argomento di riserva?»

«Certo! Sei della Lazio o della Roma?»

«Gesù santissimo! Leo, perché non ci prepari qualcosa da bere, dato che a momenti saranno qui anche Giulia e Massimo?»

Il ragazzino sbuffò, soffiandosi via dalla faccia uno dei suoi lunghissimi riccioli neri. «Eh, ma te le chiappe non le alzi mai, Miss? Sempre io!»

«Per… favore» sillabai.

La mia occhiata fu sufficiente a far recepire il messaggio.

«Capito, va’» borbottò lui, uscendo a grandi passi dalla stanza.

Dal rumore della TV che pochi istanti dopo prese a gracchiare dal salotto, si capiva chiaramente che Leo stava facendo tutt’altro che preoccuparsi della merenda. Pazienza.

Mi voltai verso Edmund. Il quattordicenne che avevo conosciuto cinque anni prima aveva lasciato posto a un giovane uomo sulla soglia dei vent’anni. Il suo fascino magnetico, così strano e insolito, era ancora più affascinante di quanto ricordassi. Lo sguardo era più penetrante che mai, gli occhi nerissimi leggermente allungati, i capelli in disordine come sempre (anche se, a differenza della volta precedente, sembrava aver fatto almeno un tentativo di domarli), le immancabili lentiggini a ricoprirgli il lungo naso. Per un attimo rabbrividii. Era passato troppo tempo. In quel momento, nonostante fossimo di nuovo uno a pochi centimetri dall’altra, lo sentivo più irraggiungibile che mai. Ognuno cristallizzato nel proprio mondo. Avevamo le nostre vite, ora, i nostri progetti. Nei quali, inesorabilmente, non avevamo potuto calcolare la presenza dell’altro. Sembrava troppo assurdo.

«Come sei arrivato qui?» domandai, stringendomi le ginocchia al petto.

«Non lo so» rispose lui. «Ero in camera mia, dagli zii, a Cambridge… sai, da me c’è ancora la guerra e io e Lucy siamo in vacanza da nostro cugino, cioè eravamo. Insomma, un attimo prima ero disteso sul letto a pensare ai fatti miei e di colpo mi sono ritrovato su quel dannatissimo marciapiede. Per fortuna sei arrivata tu, o credo che sarei morto dallo spavento!»

Scoppiai a ridere. «Edmund il Giusto che si fa spaventare così facilmente?» lo presi in giro.

«Dal futuro sì!»

La sua risposta mi fece tornare seria all’istante. Il ragazzo sapeva quale crudele destino era in serbo per loro?

«Solo tu sei arrivato qui?» domandai in tono innaturale.

«Credo di sì.»

Annuii silenziosamente, spostando lo sguardo sui miei piedi. Qualcosa, dentro di me, si stava pregando che il ragazzo sparisse veloce come era comparso, riportandolo al sicuro nella sua dimensione.

«Tu non sei cambiata affatto» disse Edmund improvvisamente, facendomi trasalire.

«No, non è vero» risposi nervosamente. «Tante cose sono cambiate da quel giorno.»

«Quanti anni hai?»

«Diciannove.»

«Anch’io.»

«Sì, ma con qualche decennio di differenza.»

«Ha importanza?»

Alzai lo sguardo verso di lui e sorrisi. «No» sussurrai.

Ecco, ora era tutto più naturale. Andava bene così.

Mi alzai impercettibilmente dal pavimento e mi sedetti accanto a lui. Avevo il fiato mozzo per l’emozione. Di colpo, tutti i tristi pensieri che mi avevano tormentata fino a quel momento erano svaniti nel nulla. Ora eravamo di nuovo insieme. Potevamo stare insieme. Quel momento era nostro, solo nostro. Solo che al momento sembrava così difficile colmare quel vuoto che si era creato durante la sua assenza. Come cancellare tutto ciò che aveva seguito la mia partenza, i miei ultimi anni al liceo, il mio ragazzo?

«Cosa è accaduto nel frattempo?» gli chiesi piano.

«Tante cose, incredibili, meravigliose e anche spaventose» rispose lui. «E in ogni momento, ogni cambiamento, non ho mai smesso di sperare che tu sopraggiungessi da un momento all’altro, come nella notte in cui ci siamo incontrati.»

Rabbrividii. Dunque mi aspettava. Provava ancora dei sentimenti per me, come io li provavo per lui. Ma una parte di me, quella razionale e radicata profondamente nel mio mondo, ancora mi impediva di accostarmi a lui, di toccarlo, di baciarlo, come i suoi occhi sembravano chiedermi.

«Anch’io ti ho sempre pensato in tutti questi anni,» dissi tristemente, ormai decisa a dirgli la verità «ma vedi, Ed, tante cose sono…»

Il prepotente suono prolungato del campanello mi bloccò la frase a metà. Solo Giulia poteva attaccarsi al citofono per più di trenta secondi. Peggio di un terremoto.

Udii i passi di Leo trascinarsi per il corridoio, accompagnati da imprecazioni decisamente poco anglosassoni, fermandosi solo davanti alla porta della camera mia per urlarmi: «È arrivata l’amica tua!» e dirigendosi di malavoglia ad aprire.

Io ed Edmund restammo per pochi istanti a fissarci negli occhi, io carica di imbarazzo per averlo tradito (perché, in fondo, in quel momento stavo con un’altra persona), lui che continuava a fissarmi carico di interrogativi le cui risposte non avrebbero fatto altro che ferirlo, mentre la voce squillante di Giulia irrompeva nell’appartamento. Udii i suoi passi farsi sempre più vicini nel corridoio: lo tsunami sarebbe arrivato da un momento all’altro…

«Ciao! Allora, chi è? Che succede? Devi dirmi tutto!» esclamò tutto d’un fiato prima ancora che avessi potuto alzare la testa verso di lei e salutarla.

I suoi enormi occhi celesti si spalancarono di gioia nell’attimo in cui incontrarono quelli di Edmund.

«Oh, mio Dio!» esclamò diventando di colpo rossa come un peperone. «Ma potevi dirmelo subito, no?» mi rimproverò senza celare il sorrisone a sessantadue denti. «LO SAPEVO!»

«Sapeva cosa?» domandò Edmund confuso.

«Wow, non sapevo che sapessi l’italiano, Skandar!» esclamò la mia amica facendo un salto all’indietro.

«Skandar? Chi diavolo è Skandar?» esclamò Edmund guardandola come se avesse avuto più di qualche rotella fuori posto.

«Tutto a posto, Ed!» intervenni io, lottando per non rotolarmi dalle risate. «Giulia, come puoi constatare con i tuoi occhi, lui è il vero Edmund Pevensie.»

Giulia si bloccò lì dov’era, rimanendo interdetta per la prima volta in vita sua. Squadrò il ragazzo dalla testa ai piedi, inclinando leggermente la testa bionda; poi annuì lentamente. «Mio Dio!» esclamò incredula. «È vero, gli assomigli tantissimo, però hai qualcosa di diverso, di più vero, insomma, non sembra che stai recitando… ecco, sei tu!»

«Si può sapere di che cosa sta parlando?» domandò Edmund, che cominciava davvero a seccarsi.

Io alzai gli occhi verso Giulia, nella speranza che anche lei mi venisse incontro, ma questa volta il mio amico folletto dispettoso si limitava a fissare il nostro ospite con ammirazione, incapace di trovare le parole giuste per rivelargli la sua vera natura. Del resto, come fai a spiegare a una persona che in realtà è appena saltata fuori da un libro? Non mi restava che una cosa da fare, anche se sapevo che l’effetto sarebbe stato più o meno quello di una secchiata d’acqua gelida in pieno volto. Pazienza. Quello sarebbe stato solo uno dei tanti shock a cui il ragazzo avrebbe dovuto fare l’abitudine.

«Ti devo far vedere una cosa» dissi piano, alzandomi e andando verso l’armadio. Vi estrassi un DVD dalla confezione color e glielo mostrai. «È successo tutto non appena sono tornata» dissi porgendoglielo.

«Che cos’è?» domandò Edmund soppesandolo; poi sgranò gli occhi per la sorpresa nel leggere il titolo.

«Ora il cinematografo si fa in casa» dissi io, invitandolo a seguirmi in salotto.

«Sì, si guarda Narnia!» esultò Giulia alzando i pugni al cielo e precedendoci a balzelloni nel corridoio.

«No, ancora quella roba lì?» esclamò Leo dal divano, non appena ci vide entrare con il fatidico DVD.

Accanto a lui, Massimo ci fece un cenno di saluto.

Edmund impallidì. Era impressionante quanto i due si somigliassero.

«Siamo parenti?» domandò Massi aggrottando le folte sopracciglia nere.

«Non credo di averti mai visto» biascicò lui.

«Edmund, ti presento il mio ragazzo, Massimo!» esclamò Giulia, al settimo cielo.

«Piacere» gli strinse la mano l’altro. «Meno male! Per un attimo avevo pensato che fosse quel bimbominchia inglese che piace tanto a Giulia! Sai che certe volte è una cosa stressante?» sospirò poi sollevato.

«Ma chi è questo qua di cui continuate a parlare» protestò il ragazzo.

«Siediti e guarda» dissi io, inserendo il DVD nel lettore e accendendo la TV. «Ti avverto che potresti subire un piccolo shock.»

Edmund si immobilizzò lì dov’era, affascinato dalle prime immagini che scorrevano sullo schermo. Io lo fissai intenerita. Non aveva mai visto una televisione in vita sua. Tante cose non aveva ancora visto. Si irrigidì nel vedere lo stormo di aerei che attraversava rombando il gigantesco schermo al plasma, ricordo di una ferita ancora aperta nei suoi ricordi; poi la telecamera si spostò sulla finestra illuminata di una casa, la sua casa, dalla quale i giganteschi occhi neri di un ragazzino di quattordici anni stavano osservando affascinati lo spettacolo di morte e distruzione che si apriva appena al di là del cancello, senza incontrare il suo sguardo.

Un attimo dopo, era sparito dietro lo schienale del divano.

 
 
 
 
«Edmund! EDMUND!»

Lo scossi energicamente, schiaffeggiandogli le guance di colpo pallide come quelle di un cadavere. Per un attimo, temetti che la catastrofe si fosse consumata proprio in quel momento, davanti ai miei occhi, ma fortunatamente il panico si sciolse in pochi istanti in un sospiro di sollievo nel constatare che respirava ancora.
Il ragazzo riaprì gli occhi lentamente. Gli tremavano le gambe.

«Come stai?» gli chiesi spaventata.

«Cosa significa tutto questo?» esclamò lui terrificato. «Che ci facevo io nel tuo cinematografo?»

«Lo dicevo io che quel tizio è un vero skandalo!» esclamò dietro di noi la voce di Massi, seguita all’istante da un sonoro ceffone da parte di Giulia.

«Ed, mi dispiace! Forse non è stato il modo giusto per dirtelo, ma non sapevo come fare» dissi io desolata.

«Una cosa alla volta, per favore. Non lo vedi che è distrutto?» intervenne Giulia accucciandosi accanto a me.

Io le sorrisi carica di gratitudine. Nonostante il suo carattere apparentemente insopportabile, Giulia era in realtà una ragazza con la testa ben piantata sulle spalle.

«Deve riposare» continuò lei mettendomi una mano sulla spalla. «Non è stato facile.»

«Sì, hai ragione.»

Aiutai Edmund a rialzarsi e lo feci stendere sul divano. Ancora non sembrava avere la facoltà di reggersi in piedi da solo. I suoi occhi scattarono d’istinto verso la televisione ancora accesa, fissando il suo equivalente cinematografico parlare dell’inutilità del latino un istante prima che Leo scattasse verso il telecomando e mettesse a tacere quell’arnese infernale.

«Ho bisogno di spiegazioni» implorò.

«Non ora. Va tutto bene. Credimi, qualsiasi cosa ti dirò, va tutto bene. Sei qui, no? Sei qui, adesso» lo rassicurai. Per la prima volta, gli sfiorai la guancia con la mano. Lui la afferrò delicatamente e la strinse a sé. Ora ero io la sua guida nel nostro mondo. «Non ti abbandonerò, Ed. Non ti abbandonerò mai più. Promesso.»

Mi voltai poi verso gli altri. «Non può restare qui» dissi seria. «Mamma e papà non capirebbero.»

«Può venire da me, se vuole» propose Massimo con disinvoltura. «I miei sono partiti per il loro venticinquesimo anniversario, non rientreranno prima della settimana prossima.»

«Allora è deciso. Grazie, Massi» risposi colma di gratitudine.

Ma di che? Sai, mi è simpatico, il tuo amico» fece lui con un’alzata di spalle.
«Ed, a te andrebbe bene?» gli chiesi.
«Va bene, purché poi mi spieghiate tutto per filo e per segno.»

«Promesso.»

Il suono del campanello ci fece trasalire tutti.

«Chi cavolo è?» domandò Leo accigliato.

Lo stomaco mi si contrasse in una morsa dolorosa. No, non lui, non ora…
La risposta ci piombò in testa come un colpo di scure nel momento in cui mio fratello, che si era alzato per andare a vedere, ritornò in salotto in preda al panico. «C’è Riccardo» annunciò gelido.

Tutti gli occhi si puntarono su di me. Improvvisamente, avevamo pensato tutti la stessa cosa. E, qualunque fosse stata la mia spiegazione, avrebbe finito per ferire un’unica persona.

«Dovete portare via Edmund da qui. Subito!» fu tutto quello che riuscii a dire.

**** Bonsoir! E con oggi iniziano ufficialmente le folli avventure dei fratelli Pevensie per le vie di Roma, e sappiate che ne vedremo di tutti i colori. Spero solo di non avervi scossi troppi con questo capitolo degno di una fangirl complessata qual ero - e in parte ancora sono tuttora -... l'importante è che vi suste divertiti xD

Il fatto che Ed capisca l'italiano è dovuto al fatto che questo giro è stato lui a saltare fuori dal libro (che è in lingua italiana), il resto vien da sé. Spero solo che la cosa non risulti troppo forzata, in caso cambio!

Intanto non posso che rimgraziarvi per tutto il sostegno che state dando a questa piccola storia. Davvero, sono ogni giorno più incredula di fronte all'effetto e all'entusiasmo con cui l'avete accolta <3

Non mi resta che darvi appuntamento a lunedì con il crossover e a sabato per il prossimo capitolo.
Se volete, ci troviamo su Instagram con le_storie_di_fedra: ultimamente sono parecchioin fissa con Shadows and Bones, chissà che non salti fuori qualcosaa riguardo xD

Un abbraccio,

F.

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