//Epilogo//

 
Susan mi pettinava i lunghi capelli castani canticchiando tra sé e sé un allegro motivetto, mentre io mi rimiravo con aria pensosa allo specchio nascosto nell’anta dell’armadio. Dalla stanza accanto provenivano le risate sommesse di Leo e Lucy.

«Ho quasi finito» disse a un certo punto la mia amica fermandomi due ciocche di capelli sulla nuca. «Sei bellissima.»

«Davvero?» chiesi io sollevando un sopracciglio.

«Ma sì, mattacchiona!» mi prese in giro lei scoppiando in una risata argentina. «Dai, che mio fratello ti aspetta.»

A quelle ultime parole mi si contrasse lo stomaco. Era vero che ormai il fatto che io ed Edmund stessimo ufficialmente insieme da qualche settimana non era proprio una novità, eppure ogni volta che mi trovavo a prepararmi a uscire con lui era come se fosse la prima volta, con tutto il nervosismo e l’impacciata timidezza che ne conseguivano.

«Coraggio, Ed ha finito le lezioni venti minuti fa. Ormai dovrebbe quasi essere arrivato» mi incalzò Susan invitandomi a rialzarmi.

«Cavolo!» trasalii schizzando in piedi e afferrando al volo la borsa.

Mi voltai un’ultima volta verso di lei. Susan mi sorrise con i suoi meravigliosi occhi azzurri.

«Sue, non riuscirò mai a ringraziarti come si deve per tutto quello che hai fatto per me» dissi andandole incontro.
La ragazza scoppiò a ridere. «Ma figurati!» esclamò.

«Non dev’essere stata una scelta facile, però…»

«Perché, ne avevo una? Restare nel nostro mondo significava morire comunque. Narnia doveva finire e noi con lei. Ma tu, con il tuo arrivo improvviso, hai cambiato le carte in tavola, ci hai aperto una nuova possibilità. Grazie a te, siamo riusciti a trovare il modo di uscire dalla nostra dimensione, di cambiare le regole del gioco come il nostro padre umano non avrebbe mai potuto fare. Un tempo eravamo sogno e tu ci hai permesso di diventare realtà. Ti sembra poco questo? No, sono io che ringrazio te per averci salvato la vita» assicurò Susan.
La forza delle sue parole mi rigò il volto di lacrime di commozione.

Singhiozzando sommessamente, la strinsi forte fra le mie braccia. Lei era sempre stata mia sorella, lo avevo sempre saputo: senza volerlo, Lewis aveva generato una Penny di carta ante litteram, una versione di me stessa che aveva finito per ritrovarsi nel momento più inimmaginabile della propria storia, generando un legame così forte da avere persino il diritto di scegliere come sarebbe stata messa la parola fine. Per tutto il mio ultimo viaggio a Narnia, Susan era rimasta al mio fianco, parlando nei miei pensieri e consigliandomi fino all’ultimissimo istante, sfidando il suo stesso creatore, che l’aveva sempre così tanto disprezzata e sottovalutata, e riportandoci tutti a casa sani e salvi.

Alla fine, la Dolce si era riscattata, rivelandosi la più forte e valorosa dei sovrani di Narnia. E se è vero che quando si è re o regine di Narnia lo si è per sempre, allora in quel momento, nella penombra dell’immenso appartamento di Largo Argentina, ero sicura di avere davanti la più grande sovrana che avesse mai abitato il pianeta Terra.

«Ora devi andare, piccola» mi disse Susan baciandomi sulla fronte.

«Sì, sì, hai ragione» dissi io scostandomi da lei. «Ci vediamo dopo, allora.»

«Ciao, Penelope» mi salutò lei.

«Ciao, Susan.»

Scesi di sotto a grandi passi, sentendomi leggera come una piuma. Prima di immergermi nuovamente nel caos selvaggio della metropoli, levai lo sguardo verso l’alto. Susan era affacciata alla finestra della mia camera, immersa nella contemplazione dei tetti di Roma persa nei suoi pensieri. Sorrisi tra me e me. Anche lei quella sera avrebbe visto qualcuno, qualcuno che mai avrebbe pensato di rincontrare un giorno. Chi l’avrebbe mai detto che Caspian sarebbe venuto con noi? Eppure, il giorno dopo il nostro ritorno nel ventunesimo secolo, eccolo lì, spaventato e smarrito in un vagone della metropolitana in piena ora di punta, sotto gli sguardi allibiti dei vari pendolari e il vuoto che si era creato attorno a me nel momento in cui gli ero corsa tempestivamente incontro prima che chiamassero la polizia.

E così, Caspian e i Pevensie erano andati a vivere in un solaio a Trastevere, seguendo le generose direttive di Massi e Giulia. Ora conducevano una vita normale, da studenti qualunque, dispersi nella confusione variopinta della città. Una vita che condividevamo tutti insieme, come avevamo sempre sognato. Roma era il nostro regno, la nostra casa, ciò che per anni era stato rappresentato da Narnia.

Il tram si fermò con un cigolio assordante davanti ai miei occhi, riversando sul marciapiede la sua razione pomeridiana di pendolari di ritorno dal lavoro. In tutta quella massa senza volto, riuscii a distinguere immediatamente un gigantesco paio di occhi neri che mi stavano fissando sorridenti.

«Penny! Oi, PENNY!» mi chiamò Edmund sbracciandosi nella mia direzione.

«Ed!» gridai io correndogli incontro al culmine della gioia.

In un attimo fui fra le sue braccia. Il calore delle sue labbra mi tolse il respiro.

«Allora, com’è andata la giornata?» gli chiesi mentre lui mi cingeva le spalle con un braccio e ci incamminavamo insieme lungo il marciapiede affollato.

«Mmm, bene, fra professori che parlano troppo e amici attaccabrighe» rispose lui con una smorfia carica di ironia.

La cosa mi strappò una risata divertita.

«Non dirmi che ti sei annoiato» buttai giù lì.

«Mah, certamente molto meno esaltante del guidare un esercito sul campo di battaglia. Non puoi capire quanto Bianchi sia rimasto ammirato dalle mie conoscenze tecniche a riguardo. Credo di potermi meritare un bel trenta e lode all’esame di Storia Medievale.»

«Il solito fortunato!» lo canzonai io.

«E dai! Diciamo che, se un giorno diventerò un professore, almeno non sarò il classico insegnante barboso che non sa neanche di che cosa parla» proseguì il ragazzo sfiorandomi i capelli con le labbra. «Allora, signorina, dove la porto stasera?»

«Dove non esistono più regole fra sogno e realtà» risposi io ridendo.

«Allora non ci resta che partire.»

E così andammo per le nostre strade, insieme, io e lui. La città si tingeva degli ori del tramonto e delle luci della sera, vibrando di una vitalità elettrica che mostrava nel suo volto più segreto e affascinante, mentre le nostre vite scorrevano via trascinate dalla folla e dal traffico. Ci perdemmo fra i suoi colori, i suoi rumori, i suoi odori. Quello era il nostro regno e lo avremmo conservato per sempre. Alla fine, Aslan aveva mantenuto la sua promessa.

 
FINE


****Ringraziamenti ****
Ancora non riesco a credere di essere riuscita a pubblicaredi nuovo questa stotia, portarla a termine e soprattutto scoprire a distanza di ben dieci anni che sarebbe stata apprezzata così tanto dal pubblico! Anche perché ciò che state leggendo non appartiene alla me presente - che ormai si dedica a ben altri generi e a tematiche spesso più mature - ma a una persona che in qualche modo non esiste più. È la Fedra del passato, quando ancora non era Fedra, una studentessa di storia dell'arte smarrita per i vicoli di Roma che ancoranon sapeva che cosa le avrebbe riservato il futuro negli anni a venire, che allora vi posso assicurare le faceva veramente tanta paura.

Vi ringrazio di cuore per essere saliti a bordo con me e aver rivissuto insieme questa storia, l'inizio di un viaggio che mi avrebbe portata veramente molto lontano: questa infatti è stata la mia prima fanfiction, alla quale sarebbe seguito poco dopo il crossover, poi The Phoenix, poi La Serenissima... e tante altre storie che presto conoscerete!

La scrittura per me è qualcosa di davvero importante, che mi ha permesso di sfondarele mura della mia cameretta e di andare lontano, davvero molto lontano, di conoscere persone nuove, amici preziosi e, qualche anno fa, anche un uomo meraviglioso che oggi è il mio compagno. Per questo non posso che ringraziare ancora una volta tutti voi, per tutto quello che avete fatto in questi mesi: sono stata felicissima di fare la vostra conoscenza e,in qualche modo, mi avete fatta sentire amata in un mondo sempre più complicato.

Vi voglio bene 💜

Vostra,

F.


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