//Aiuto!//
Da sempre mi sono considerata una persona pacifica, una di quelle che alla violenza fisica o verbale preferiscono il dialogo, che quando vedono un amico giù di morale o in un momento particolarmente difficile della sua esistenza gli vengono vicino e lo abbracciano, promettendogli di mostrare nei suoi confronti tutta la propria comprensione.
Cosa del tutto irrilevante, soprattutto in quel momento, in cui avrei tanto voluto strozzare a mani nude quell’idiota di Peter, che continuava a starmi davanti con quel sorriso ebete stampato sulle labbra sottili, come se non fosse stata tutta colpa sua se in quel momento i nostri amici stavano rischiando la vita.
«Tu sei solo un idiota privo di cervello!» tuonai furiosa, puntandogli un dito contro.
Il ragazzo mi fissò come se fossi impazzita, assumendo un’aria di innocente discolpa, come se non capisse perché in quel momento ce l’avessi tanto con lui. «Calmati, Penny» replicò levando le mani in segno di resa. «Sei solo stanca e hai bisogno di riposarti, tutto qui. Vedrai che domattina andrà tutto a meraviglia…»
«IO NON SONO STANCA E LE COSE NON ANDRANNO DI CERTO MEGLIO SE CE NE STIAMO QUI A CINCISCHIARE, RAZZA DI CRETINO!» ululai fuori di me.
Avvertendo che in quel momento ero davvero uscita dai gangheri, Leo e Lucy mi si avventarono contro, trattenendomi a stento per le braccia per impedirmi di saltargli addosso e riempirlo di pugni.
«Calmati, Penny!» mi richiamò la Valorosa. «Il vero Peter non si comporterebbe mai in questo modo, fidati! Ci deve essere per forza qualcosa che non va!»
Io mi voltai di scatto verso di lei, tremando da capo a piedi per l’ira. «Che cosa?» chiesi con voce rotta.
Lucy allentò la presa, fissandomi seria. «Insomma, guardalo» osservò preoccupata. «Fino al nostro arrivo nella tua era, Peter era perfettamente normale… insomma, come te lo ricordavi: cortese, simpatico, responsabile, non si sarebbe certo montato la testa per una ragazza! Penny, io temo che mio fratello sia stato stregato!»
Spostai lo sguardo sul ragazzo, il quale era rimasto perfettamente impassibile, come se nulla fosse successo. Anche se i miei istinti omicidi non erano diminuiti minimamente, cominciavo a rassegnarmi anch’io all’idea che quella specie di tossico che mi ritrovavo davanti non era il nostro vecchio Peter e che quasi sicuramente – dal momento che più la mia rabbia cresceva, più il suo sorriso ebete sembrava allargarsi – il motivo della sua demenza ero io. Dovevo stare alla larga da lui il più possibile, almeno fino a quando non avrei imparato a controllare la mia testa matta, con la ferita di Riccardo ancora fresca nella memoria, nonostante ci sarebbe stato Edmund ad alleviare immediatamente il mio dolore. Già, Edmund! In quel momento, lui e gli altri si ritrovavano in pericolo mortale chissà dove e io ancora stavo a perdere tempo con quel pallone gonfiato? A quel punto fu fin troppo chiaro che la soluzione del problema ero io, non c’era nient’altro da fare.
«Ascoltate,» dissi con decisione, rivolta a Lucy e a Leo «occupatevi di Peter. La zona mi sembra tranquilla, quindi potrete accamparvi qui. Lucy ha un arco, siete anche armati. Aspettate il mio ritorno.»
«Perché, tu dove vai?» chiese mio fratello in tono allarmato.
«Vado a cercare gli altri» risposi io facendo per allontanarmi.
«Che cosa? Tu da sola? Ma non se ne parla nemmeno!» protestò lui. «Noi veniamo con te!»
«Ascoltami bene,» scandii in preda all’agitazione «in questo momento gli altri si trovano in grave pericolo e ogni minuto che restiamo qui a cianciare potrebbe essergli fatale. Spostarci in gruppo è troppo rischioso, specie con Peter in queste condizioni! Fidati, sono già stata qui in tempi peggiori e non mi è accaduto nulla. Perciò, restate insieme e vedete di non disperdervi ulteriormente. Io vado e torno.»
«Ma…»
«È UN ORDINE!»
Fu la mia ultima parola prima di sparire fra la vegetazione.
Per diversi minuti, la tentazione di tornare indietro e portarli con me continuò a tormentarmi i pensieri, ma la posta in gioco era troppo alta per esporli a un simile rischio. Non potevamo andare lontano se l’irrazionalità dell’astio che provavo per Peter non avesse accennato a diminuire. In quel momento, il pericolo ero io.
Continuai a camminare lungo la direzione che mi aveva indicato il ragazzo, mentre la foresta si faceva sempre più fitta. Ben presto, le tenebre calarono del tutto e mi ritrovai a brancolare nel buio, senza sapere minimamente da che parte stavo andando. Gli alberi crescevano così fitti da impedirmi di scorgere il cielo, privandomi del prezioso orientamento che avrebbero potuto costituire la luna e le stelle. Ben presto, mi ritrovai il volto e le braccia che bruciavano per i graffi inferti dai rovi che continuavano a impigliarsi nei miei vestiti, il dolore che diveniva sempre più insopportabile di minuto in minuto. Tutto intorno a me, la foresta sembrava innaturalmente silenziosa, come se non vi abitasse più nessuno. Niente fruscii e scricchiolii provocati dal passaggio dei suoi abitanti nel sottobosco, neanche il richiamo di qualche uccello notturno a rompere quel silenzio spettrale. La cosa non faceva altro che aumentare la mia paura, rendendomi molto più nervosa di quanto avrei potuto esserlo al continuo sobbalzare per gli eventuali rumori provocati dalla vicinanza di qualche animale selvatico. E la cosa peggiore era il fatto che, nonostante stessi camminando da un tempo infinito, non mi sembrava minimante di udire il familiare scrosciare delle acque impetuose del fiume Beruna.
All’improvviso, qualcosa arrestò il mio passo. Sentendomi congelare dalla paura, rimasi immobile per diversi secondi, aspettando l’attacco, ma non avvenne. Eppure, la forza che sembrava ostruire il sentiero era ancora lì, impalpabile e minacciosa. Comprendendo che non sarebbe servito a nulla restarmene lì impalata, provai a stendere una mano in avanti per cercare di capire l’identità dell’ostacolo, sussultando per la sorpresa quando trovai il vuoto. Subito una nebbia scura si scaturì tutto intorno a me, avvolgendomi in una stretta a un tempo minacciosa ed evanescente. Provai a urlare, ma dalla mia bocca non emerse alcun suono. Mi ritrovai completamente immobile, sospesa in mezzo al nulla, un nulla che sembrava stritolarmi nella sua morsa gelida. Avevo i brividi, quel freddo lancinante mi trapassava il corpo come tante lame affilate senza che io potessi fare nulla per oppormi. Poi la sua voce risuonò crudele nell’aria che mi teneva prigioniera. La sua risata priva di gioia mi fece drizzare i capelli sulla nuca.
«Sciocca ragazzina,» disse a pochi centimetri dalle mie orecchie «credi davvero di potermi sconfiggere, tu da sola? Non salverai nessuno con la tua stolta presunzione, anzi, renderai ancora più atroce la morte dei tuoi sciocchi amici!»
«Dove sei, maledetta?» urlai contorcendomi per la disperazione. «Fatti vedere, codarda! Come fai a essere ancora qui, quando sei stata uccisa?»
La Strega Bianca rise di nuovo.
«Davvero pensi che basti eliminarmi fisicamente per impedirmi di vivere? Quanto ti sbagli, cara mia! Il mio spirito vivrà fino a quando questo mondo non sprofonderà e anche oltre. So di essere di gran lunga più forte di Aslan, nel quale non crede più nessuno!»
«Ma cosa dici, strega?» ribattei con furia. «Un abitante di Narnia non può non credere in Aslan!»
«Eppure, in questo momento le cose stanno ben diversamente. Aslan ha perso la sua credibilità, non è più nessuno qui e non può fare nulla per coloro che troppo a lungo ha chiamato suoi sudditi. E io, grazie alla sua sconfitta, sono più potente che mai.»
«Ne sei proprio sicura? Secondo me, invece, la festa sta per finire, ora che io e i Pevensie siamo ritornati a Narnia. Vedremo di fartela pagare una volta per tutte, maledetta fattucchiera da quattro soldi che non sei altro!»
«Sto tremando di paura, guarda» ghignò la Strega nascosta dalla nebbia. «Sinceramente, non mi sembrate molto in forma, da come vi siete presentati qui. Il vostro Re Supremo non riesce a prendere una decisione sensata senza coprirsi di ridicolo, e per di più quell’insopportabile ragazzina di nome Susan vi ha traditi. Non lo definirei affatto un buon inizio.»
«So già come risolvere questi piccoli malintesi» assicurai io.
«E il tuo caro dolce Edmund, ne vogliamo parlare?»
Sentirla pronunciare il nome del ragazzo in quel tono malizioso mi fece gelare il sangue nelle vene.
«Che cosa gli hai fatto, puttana?» chiesi, fremente di rabbia e di paura.
Jadis scoppiò in una sonora risata. «In questo momento, il tuo amato si trova prigioniero nel mio castello, da dove mi assicurerò che non possa scappare come ha fatto l’ultima volta» rispose gelida. E, tanto per rendere la cosa ancora più agghiacciante, davanti ai miei occhi sbigottiti comparve l’immagine evanescente di Edmund incatenato nei sotterranei del castello della strega, la testa abbandonata sul petto e gli occhi chiusi. Per un attimo, rischiai di perdere i sensi, colta dalle vertigini e dalla nausea.
“Non è vero, non ascoltarla, è solo la tua mente”, presi a ripetermi spasmodicamente. “Non ascoltarla!”
«Tu credi che sia solo uno stupido scherzo della tua immaginazione, non è così?» proruppe la voce di Jadis implacabile. «Allora, sappi che ti sbagli di grosso, cara mia! Il ragazzo è mio prigioniero e finalmente potrò sbarazzarmi definitivamente di almeno uno dei Figli di Adamo. E non saranno di certo le tue lacrime a impedirmelo. È ora che impari ad accantonare le tue stupide favole per accettare la realtà così com’è, per quanto crudele e ingiusta che sia. Addio, mia piccola sognatrice!»
Detto questo, lanciando un’ultima risata, la nebbia si ritirò improvvisamente, scagliandomi a terra con violenza.
Il gelo svanì, sostituito in breve dal dolore alla spina dorsale che mi esplose nel momento in cui finii lunga distesa contro una radice che emergeva nodosa dal suolo, facendomi salire le lacrime agli occhi.
Rimasi lì per quella che mi parve un’eternità, singhiozzando per la disperazione. Alla fine, aveva preso Edmund e ora lo avrebbe ucciso senza che io avessi potuto fare nulla per salvarlo. E tutto per colpa di quello stupido di Peter! E gli altri? Dov’erano gli altri? Erano morti? Erano sopravvissuti? Una debole speranza si fece largo nei miei pensieri. La strega non aveva parlato di loro, ma solo di Edmund. Quindi, in qualche modo, erano ancora vivi. Dovevo tentare. Le parole terribili che mi aveva rivolto quel mostro mi facevano ancora male, è vero, ma non potevo permetterle di avere ragione.
“Aslan!”, chiamai disperata nella mia mente, la mia più grande alleata e allo stesso tempo la mia peggiore nemica. “Aslan, ti prego, aiutami!”
Improvvisamente, il dolore svanì. Mi rialzai tremando da capo a piedi, guardandomi attorno spaesata. Ai piedi dell’albero davanti a cui ero caduta erano apparsi, dal nulla, una spada dall’impugnatura a forma di testa di leone e degli abiti puliti: una camicia bianca, dei pantaloni da equitazione e una casacca di cuoio. Erano i miei abiti narniani, gli stessi che avevo indossato in battaglia la prima volta.
Ringraziando con tutta l’anima il buon vecchio Aslan per aver ascoltato la mia preghiera, mi liberai in quattro e quattr’otto dei miei vestiti ormai logori e li sostituii con quelli nuovi, assicurandomi la spada alla cintura e proseguendo più risoluta di prima.
Dovevo raggiungere il castello prima che fosse stato troppo tardi. In quel momento, ero rimasta l’unica speranza per Edmund. Contando che non avevo la minima idea di quale parte del regno mi trovassi, la mia situazione non era di gran lunga migliorata da quella di pochi attimi prima. Non mi restava che camminare, camminare e ancora camminare. Già, bella soluzione. Stavo giusto per dare di matto, quando un improvviso bagliore mi fece immobilizzare lì dov’ero. Qualcosa di molto luminoso che danzava spettrale sui tronchi degli alberi e che avanzava incessantemente con un rumore assordante di rami spezzati sembrava farsi sempre più vicino al luogo in cui mi trovavo.
Sguainai d’istinto la spada, mettendomi in posizione d’attacco.
«Chi è là?» domandai con voce tremante.
«Penny? Sei tu?»
Per poco non mi venne un colpo. Poter udire nuovamente la sua voce quando sembrava che ogni speranza fosse svanita fu per me la cosa più bella che potesse capitarmi in quel luogo desolato. La luce della sua torcia emerse a pochi metri da me, balenandomi per un attimo sul volto, abbassandosi subito dopo per evitare di abbagliarmi.
«EDMUND!» urlai correndogli incontro e gettandogli le braccia al collo.
«Penny! Sei viva! Dove sono gli altri?»
«I tuoi fratelli stanno bene, anche se Susan è rimasta nel mondo umano. Tu, piuttosto! Per un attimo, ti ho creduto nelle segrete del castello della Strega Bianca!»
«Io… no!» Il suo tono si fece più serio. «Ma temo di sapere a che cosa ti riferisci» aggiunse scostandosi leggermente da me.
Dietro di lui emerse la figura tremante di Giulia, un’espressione allucinata sul volto rigato dalle lacrime. Era sconvolta.
«Mio Dio!» esclamai nel vederla in quello stato. «Che cosa è successo?»
«Massi!» gridò lei, scossa da una nuova scarica di singhiozzi. «HA PRESO MASSI!»
**** Ma buongiorno! Come state? Con questo capitolo le cose si sono fatte molto più contorte e intricate, tra una Narnia ostile, un Peter idiota suo malgrado e la Strega Bianca che a quanto pare ha preso l'Edmund sbagliato. Lo so, ai tempi amavo scrivere roba parecchio trash, ma se volete rimediare allora dovete assolutamente leggere il mio crossover con Harry Potter, in cui i toni saranno di tutt'altro genere. Se invece state ancora apprezzando questa fanfiction, vi garantisco che il prossimo capitolo sarà letteralmente da pazzi ;) - e come può non esserlo, visto come reagirà Giulia? -
Se vogliamo restare in contatto, vi comsiglio come semore di seguire il mio profilo Instagram le_storie_di_fedra: ci sono infatti tante novità in arrivo, non vorrete mica perderle!
Intanto non posso che ringraziarvi per l'ennesima volta - ma mai abbastanza! - per tutto il sostegno che state dando a questa piccola storia e ai suoi personaggi. Davvero, non mi aspettavoche potesse piacere così tanto e la cosa mi riempie di gioia <3
Un abbraccio e a presto!
Vostra,
F.
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