PROLOGO
"This is the end of us
Sleeping with the moon and the stars"
(Me and Your Mama - Childish Gambino)
La sala era completamente e miracolosamente vuota, deserta. Il grande schermo bianco troneggiava sulla moltitudine di poltrone rivestite in feltro rosso amaranto; uno squarcio verso una realtà fittizia in grado di catturare l'attenzione dell'essere umano per un paio d'ore e poi spengersi così, tornando piatto e privo di dinamicità. Aleggiava ancora nell'aria il burroso odore di chicchi di mais e di chiuso. Sparsi qua e là dei pop corn che stonavano sul pavimento nero. La luce era soffusa, calda, avvolgeva l'ambiente in un silenzioso abbraccio nel quale, intrusa, spiccava una figura accovacciata davanti al mastodontico rettangolo candido. Ricurva su sé stessa, appuntava qualcosa senza far rumore.
Era mezzanotte al'incirca, qualche minuto in più della metà verso l'addentrarsi dell'una, qualcuno in meno. Poco era rilevante l'orario preciso. L'edificio stava per chiudere. I cartelloni appesi ai muri dell'ingresso per far scena e decorare il posto apparivano meno vividi senza il bagliore a fargli onore, quasi del tutto smorti e addormentati insieme al resto del mondo. Lo spazio riservato all'acquisto di cibo spazzatura non aveva più alcun personale, men che meno la biglietteria abbandonata. Una poltrona, il vetro di distanzionamento, il computer spento. La scalinata sembrava il set di un film portato a termine da mesi, con tanto di tappeto rosso pompeiano e corrimano dorato. Il lampadario lambiccato dalle gocce di cristalli cadenti pendeva dal soffitto e stava riposando.
Tutto stava iniziando a svanire pian piano.
Tutto cessava di splendere.
«Non riesco a smettere di piangere, non ci riesco!» singhiozzò una ragazza uscendo dall'ultima sala con il mascara colato sulle gote e un'irrefrenabile parlantina squillante. Al suo fianco un uomo di giovane età rideva e le circondava le spalle con un braccio, dirigendosi insieme a lei verso l'uscita e ripetendole che dopotutto si stava trattando semplicemente di un film. Ma quella non era una pellicola qualunque: era la storia di qualcuno. Era il lavoro di mille braccia, di centinaia di teste, di cuori che avevano battuto all'unisono durante lo svolgimento e che ora con la loro frenesia riuscivano a scatenare le stesse emozioni, se non addirittura più potenti, a chi si concedeva il privilegio di ascoltare. Ascoltare non solo con l'udito, ma con l'anima. Vi era della magia nella capacità di saper emozionare. Milena ne era al corrente.
Per questo quando le persone iniziarono a sgomberare dopo l'ultima proiezione, distolse lo sguardo dal suo cumulo di fogli e si alzò, voltandosi verso la porta aperta che le dava la possibilità di vederle tutte, seppur di sfuggita. Provava sempre un moto di soddisfazione esaltato ogni qualvolta si estraniava dal resto del mondo per osservare semplicemente come quelle sensazioni sgorgassero dai corpi degli spettatori. E in cuor suo sperava da sempre di essere in grado di fare altrettanto. Di regalare agli altri un dono così grande: sapersi emozionare.
«Tremendamente scontato, pura spazzatura. A chi cavolo è venuto in mente di girare una roba del genere? Certa gente dovrebbe solo rimanere a fantasticare in camera propria» borbottò una donna con fare sconsolato. Purtroppo più l'asticella si alzava, più vi erano pareri positivi e più sarebbero emersi anche quelli negativi. Faceva parte del gioco, le persone erano diverse. Non si poteva pretendere che qualcosa appagasse chiunque, lo scontento era incluso nel pacchetto. Un pacchetto che la ragazza -ora sola nella sala- era disposta ad accettare, ad ogni costo.
Rimase lì immobile con un sorriso accennato sulle labbra e una scintilla negli occhi a brillare ardentemente ad ogni parola altrui, ad ogni commento. Vi era anche chi non diceva nulla, e con le mani in tasca percorreva il corridoio guardandosi le scarpe. Ma l'attenzione per la punta arrotondata degli stivaletti vintage neri consumatisi dal tempo non furono un espediente degno da non accorgersi della giovane imbambolata sul posto. Fece retromarcia lentamente, allungandosi verso l'entrata della sala numero due e assottigliando lo sguardo con vivo interesse. Milena non si accorse subito della figura che la stava ispezionando, nonostante il suo sguardo fosse rivolto proprio in quella direzione. Si trovava più in uno stato di trance dove non importava cosa stessi guardando con precisione, ma cosa ti frullava per la testa in quel momento. E la sua mente stava viaggiando fin troppo velocemente per lasciare il comando alla vista.
«Stai cercando l'ispirazione?» risuonò la voce del ragazzo nella sala, una volta avanzato in essa. Milena si ridestò all'istante, volgendo la sua attenzione alla figura appena introdottasi nel suo ambiente. Alzò un angolo della bocca, scuotendo la testa e sospirando rumorosamente.
«Questo posto mi ha ispirato abbastanza» asserì chinandosi per raccogliere da terra le sue scartoffie e riordinarle, «com'è stato il film?».
«Non c'è male, ma il regista è sicuramente un pazzo per tutte quelle transizioni veloci. Sai, secondo me ci dovrebbe essere anche un'avvertenza per chi soffre di attacchi di epilessia, in una scena c'erano dei flash...».
Milena lo interruppe con fare sorpreso, puntando per la prima volta da lì a pochi secondi lo sguardo fisso sul volto dello sconosciuto. Senz'altro un bel ragazzo, seppure non lo avesse mai visto prima d'ora nel cinema di suo padre. Dopotutto lei passava i pomeriggi interi lì e i volti erano sempre gli stessi, anche se non ne conosceva i dati anagrafici specifici. Accadeva di rado che qualcuno di nuovo venisse a trovarli, erano letteralmente estraniati dal resto della città, nella periferia della capitale.
«Studi cinema?» domandò sfoggiando un sorriso sgargiante a trentadue denti. Il ragazzo con le mani immerse nelle tasche fece spallucce, addentandosi il labbro inferiore e ridacchiando appena. Vi era una bella atmosfera nell'aria, come se qualcosa di frizzante rilasciasse delle leggere bolle di strana confidenza tra i due perfetti sconosciuti. Nessuno si era mai fermato a parlarle dopo aver terminato la proiezione: tutti correvano a casa a cenare o a continuare la serata, a riflettere interiormente sul senso del film. Altri ancora, semplicemente esausti e con gli occhi doloranti, andavano a dormire. E non solo lui si era fermato a tenerle un po' di compagnia, ma addirittura capiva qualcosa in fatto di regia.
«Mi sono appena trasferito, devo fare l'ultimo anno di liceo e poi studierò sceneggiatura» affermò squadrandola e puntando gli occhi sul cumulo di fogli che la ragazza teneva stretto a sé, «però tu studi cinema».
«Oh, magari! Questo cinema è di mio padre, quindi un minimo di cultura cinematografica ce l'ho eccome, ma sto ancora al quinto anno. Anzi, devo iniziarlo, fra cinque giorni compio diciotto anni. Dopo però andrò a fare regia» disse cercando di sostenere il suo sguardo e annuendo con enfasi, prima di chiedergli dove dovesse concludere i suoi studi.
Quando si resero entrambi conto del fatto che tra quattro giorni avrebbero condiviso l'istituto, scoppiarono a ridere e la sala si riempì improvvisamente di un fervore inaspettato. Per quanto questa fosse spoglia e morta, evidentemente bastavano anche solo due persone per ridarle vita. Due persone che nemmeno sapevano il nome dell'altro, ma che in fondo condividevano qualcosa. Milena nemmeno riusciva a scorgerne bene i lineamenti da quella distanza e i suoi occhiali erano rimasti a casa, dato che per scrivere non ne aveva il minimo bisogno. Non sapeva che idea si fosse fatto quel ragazzo di lei, ma l'unica cosa che le arrivava nitida di lui era la sua voce calda, piacevole.
«Allora ci vediamo a scuola» esordì facendole un cenno con la testa, di cui purtroppo lei non si accorse per colpa della distanza a dividerli.
Milena annuì, aspettando che lui uscisse dall'edificio e lasciandola così sola, lì, come lo era stata fino a qualche minuto prima. Una strana ed inspiegabile sensazione di euforia le si era insinuata sotto la pelle a quel breve dialogo. Forse per il semplice fatto che non avesse parlato con nessuno per ore interminabili e qualche briciola di attenzione, anche se da parte di uno sconosciuto, la faceva uscire dal tepore della sicurezza solitaria. Come una folata di vento si era lasciata travolgere per una manciata di secondi dall'ignoto. Non gli aveva nemmeno chiesto come si chiamasse.
Quando Milena si voltò, le braccia ancora occupate dai suoi quaderni e le gote un po' rossicce dall'incontro passato, un bizzarro movimento afferrò con prepotenza il suo sguardo e lo inchiodò allo schermo. Sotto il telo latteo sporse con una estenuante lentezza il contorno di un'ampia mano. Milena strabuzzò gli occhi. Sembrava che cercasse di uscire dalla sua gabbia immacolata per sbucare al suo cospetto. La ragazza sbigottita indietreggiò precipitosamente, andando a sbattere contro le poltrone alle sue spalle. Ci fu una mano. Due.
Il contorno di un torace. Un volto.
Un acuto grido squarciò il silenzio.
Voltandosi per scappare, il barlume di una donna sull'attenti all'entrata.
Quando Milena sbatté le palpebre per accertarsi che fosse reale, di lei non vi era la minima traccia.
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Eccoci qui! Innanzitutto grazie mille per essere arrivati fino a qui. Il prologo non pecca sicuramente di descrizioni e so che leggere sul cellulare non è comodissimo, quindi grazie ancora. Ma cosa ve ne pare per ora? Per qualsiasi consiglio, scrivetemi nei commenti come poter migliorare la scrittura e facilitare la lettura. Se preferite, anche i messaggi sono a vostra completa disposizione. Aggiornerò la storia ogni lunedì, perciò se volete rimanere aggiornati, adesso sapete il giorno scelto per la pubblicazione. Confido nella mia costanza e spero di riuscire a scrivere tutto il necessario entro ogni fine settimana!
-Nastia
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