XXVI
Rines urlò e mi venne addosso con tutte le sue forza. Caricò ogni singolo grammo di forza e combattemmo a colpi di spade, sfruttai gli impatti dei proiettili per farlo arretrare e piegargli l'armatura in punti specifici, come l'incavo del gomito e la coscia, impedendogli certi movimenti. Mi rimanevano solo quattro cartucce e non avevo altre munizioni.
Rammentai l'addestramento di mio padre con i tronchetti di legno e gli scherzi di Celestia, di quanto amasse prendermi alla sprovvista alle spalle e darmi quei colpetti fastidiosi al fondoschiena. Il mondo si ridusse a quei suoni, al fatto che dovessi pensare a come e quanto alzare la spada, di tendere il braccio e di non respirare mentre prendevo la mira con la pistola. Era tutto automatico, veloce, in una memoria lontana.
Rines si spostò indietro, alzò le gemme sopra la sua testa e Cel scattò attenta. «Inizia! Dilania ogni cosa, Demone, in mio nome!»
Celestia saltò gli alberi e corse furiosa verso i Dominatori, i quali afferrarono le proprie armi e aspettarono. Mi ferii la spalla con la spada e l'odore del mio sangue la fece piombare a terra, frenando con ogni fibra del suo corpo. I suoi istinti vennero a mescolarsi, ricordò me, l'odore del mio sangue, il dolore legato ad esso e il desiderio del cibo.
«Attacca gli umani, Demone senza cervello!» la insultò Rines.
«Per fermarla dovrai uccidermi» strillai. «Hai fame, Cel? Nutriti!»
Lei sentì ogni cosa: la tristezza nel vederla distante da me, morta, la gioia di aver trovato un amore sincero e puro, la rabbia che provavo verso il piano di Nergal e Rines, il terrore di vederlo realizzato, il disgusto verso me stessa, verso ciò che ero, e la comprensione.
Le divorò affamata, si nutrì del mio cuore, di quello che emanavo, dell'odore potente di magia, sangue e morte. Le assorbì, chiamandole e sé e Cel mutò ancora. Fu rapido e improvviso, proprio come aveva già fatto nella corte delle Ombre.
Crebbe di qualche metro, svettando come una torre dall'alto. La testa si allungò, ovale e sporgente, l'unico occhio venne ricoperto da un nuovo strato di corazza nera, simile a squame brillanti. La lingua uscì fuori dalla bocca, lunga, rosea e viscida. Gli arti a prima occhiata erano esili, quasi ossuti, e nascondevano una forza mostruosa, le dita pensili e artigli affilati quanto i denti da carnivoro. Dalla schiena si riusciva a vedere il suo esoscheletro azzurrognolo, molto simile a quello umano, con la coda dentellata di aghi e piccole sporgenze.
Si alzò in piedi e ruggì. Dalla schiena emersero delle lunghe ali da pipistrello, avvolte in una membrana simile a placenta. Degli schizzi di quella melma viscosa caddero sull'erba e sulla faccia di Rines, il quale sibilò disgustato. Il battito di quelle lunghe sporgenze fece alzare un turbine d'aria che ci spazzò a terra.
«Schifosissima...» iniziò a dire lui.
«Cosa?» lo tentai.
«Mostro!»
Cel venne dietro di me, provando a colpire Rines con la coda. Dovetti schivarla anche io ed intrufolarmi sotto le sue braccia per non finire spappolata, il nostro avversario se la cavava meglio di quanto potessi aspettarmi. Saltava con agilità i colpi di Cel e sfruttava il suo corpo per intralciare i suoi stessi movimenti, prendendomi alla sprovvista. Ci lanciammo vari colpi e ci ferimmo a vicenda senza mai barcollare.
Cel alzò un braccio e saltai prima che colpisse il terreno, cosa che Rines non fece, distratto dall'ultimo proiettile in canna. Ci fu una crepa nella terra e ci cascò dentro. Gli tirai un pugno sotto il mento, desiderando di avere ancora un guanto di metallo in modo tale da fargli saltare qualche dente.
Rines volò indietro e si sorresse con la spada, sputando a terra del sangue. Senza esitare, mi gettai su di lui per spedirlo una volta per tutte a terra.
Ci fu un lampo che accecò tutti, persino Rines stesso, e Cel strillò. Un fascio di luce azzurra salì fino al cielo e lo divise a metà, mentre un lampo invase le nubi e le illuminò. La magia esplose in aria in tanti piccoli baccelli splendenti, l'onda di calore e il profumo stordì l'intera piana.
Una figura comparve a noi e gli Elfi annasparono, gettandosi a terra. L'oracolo si manifestò in mezzo a me e Rines, vicinissimo, e potei sentire il suo buon profumo di mare e fiori. Fissavo quella figura intensamente e il mio nemico era come me, emozionato, incredulo, con il cuore che batteva all'impazzata. Riuscii a pensare che fosse molto diversa dall'idea che avevo di un'entità sovrannaturale: il suo corpo emanava energia pura, l'oracolo stesso era fatto di magia e aveva le sembianze di una giovane ragazza.
Fluttuava nell'aria, il corpo nudo, esile, la pelle di un brillante azzurro chiaro su cui scorrevano delle particelle minuscole che la rendevano magnifica. Desiderai di poterla toccare, stringere.
Lei guardò la mano di Rines e si curvò su di lui.
«Vattene!» le urlai furiosa. Lei si bloccò. «Esaudisci il mio desiderio, oracolo! Vattene da questo mondo e non tornare mai più, hai capito? Sei libera!»
Gli Elfi gridarono impauriti di fronte a quell'ordine espresso con tale disgusto, alzarono le braccia al cielo e supplicarono un altro dio. Lei aveva occhi solo per me, fino a quando incontrò Cel e le girò velocemente attorno. Sembrò sorriderle affettuosa e mia sorella zampettò di conseguenza.
«No! Mia dea, mia bellissima regina!» chiamò Rines in ginocchio. «Devi rimanere, ci serve il tuo aiuto. Ascolta la supplica del tuo servitore, prendi ogni cosa e resta con noi! Accoglici!»
«Non ascoltarlo! Vuole sfruttarti e basta!» lo attaccai.
L'oracolo era spaesato e fece per volare incontro a Khol, trovandolo stranamente interessante. Dall'altro canto, l'uomo sbiancò impaurito e fece tre passi indietro.
Aurelion mise le mani a coppa. «La pietra! Distruggila, Nico!»
In un fischio, qualcuno lanciò una freccia contro Rines e gli centrò la mano. Il fusto gli affondò nel palmo e urlò di dolore, lasciando cadere le due minuscole pietre che custodiva gelosamente. Corsi per prenderle e Rines si strappò la freccia senza perdere tempo, facendo lo stesso.
Per non finire schiacciato da Cel, il cavaliere dovette scappare all'indietro e inciampò su una zolla scoperta. Afferrai entrambe le pietre e le schiacciai talmente forte da spezzarle. Poco prima che l'oracolo attraversasse la barriera di funghi e sfiorasse Khol, distrussi il collegamento e lei si fermò.
«Torna a casa!» urlai.
Il suo corpo esplose in un'altra onda di energia. La natura intorno a noi tremò, mentre le particelle vibrarono roventi e le rune si incendiarono. L'aria divenne un misto tra calda e fredda, la luce divenne instabile per un momento e creò un vento forte proveniente dall'alto.
Prima di scomparire aprì le braccia come se stesse aspettando qualcosa che non potesse raggiungere, mentre gli ultimi grammi di magia primordiale svanivano per sempre, lo spazio ebbe un fremito e l'aria venne squarciata.
Un'enorme bestia mostruosa fece la sua comparsa, era meno grossa di Cel, percorsa da una forte corazza e il pelo era di un nero-rossiccio. Il muso era tozzo, le narici ampie e la bocca percorsa da numerose file di denti. Aveva due grossa paia di corna ricurve e annusò l'aria circospetto, ruggendo.
I Demoni fecero di conseguenza, sentendo il nemico e Cel gli balzò addosso. Doveva essere uno scontro impari, lei era molto più grossa e resistente, eppure quel bestione la atterrò e con le corna la inchiodò a terra.
«Cel!» strillai impaurita.
Lei si alzò zoppicando, in un rantolio di dolore e restò inerme. Il mostro la squadrò, incalzandola ad attaccare di nuovo, dopodiché si guardò intorno e prese di mira le pietre spente nella mia mano. Le buttai via, fingendo disinteresse, e mi spostai piano. Lui mi seguiva e aveva tutte le intenzioni di farmi male.
Mi corse incontro e falciò il terreno con i prominenti artigli. Scappai a lato e Rines fece lo stesso, fuggendo dalla parte opposta. Nella confusione persi la pistola ed ebbi un mancamento. Udii una voce armoniosa nella testa, un richiamo seducente, antico, e il mostro lo percepì in un guaito.
«Cerchi lei» borbottai incredula. «Sei il suo guardiano.»
La bestia ringhiò inferocita e tornò alla carica. Venni sbalzata a lato e Aurelion mi trascinò con sé, coprendomi con il suo corpo. L'animale si incendiò, producendo alte fiamme rosse e infuocò il terreno e l'erba attorno a sé.
Rilasciò delle lingue di fuoco e colpì le colonne sacre, facendole tremare. I Dominatori corsero lungo la linea di funghi, seguiti dai loro compagni Demoni, e si strinsero in un ultimo gesto disperato: alzarono le loro armi e le piantarono nella terra secca, tra sassi e arbusti vari.
Si creò una colonna di magia su cui il fuoco sbatté e non riuscì a penetrare, nonostante la potenza. I ragazzi correvano a perdifiato lungo il confine e in modo inaspettato fecero gli Elfi di entrambe le fazioni, si divisero e corsero a proteggere la loro casa, usando i loro poteri. L'animale saltava in enormi balzi, si schiantava contro un muro invisibile e urlava. Sapevo che il suo unico desiderio fosse quello di ricongiungersi alla sua amata e che anche lei lo desiderasse.
Aurelion si alzò in piedi, chiuse la magia attorno al fuoco sprigionato e divorò la bestia per intero. La brughiera prese fuoco e gli alberi morirono in pochissimi secondi, gli animali scapparono via e le creature che ci abitavano le seguirono in strilli gelidi. Il mostro salì in alto, cercando una via di fuga in cielo e Aurelion lo catturò: serrò le fiamme e gliele sputò addosso in un bagliore bianco.
Lo squarcio si riaprì, il mostro si tuffò dentro e le fiamme lo seguirono, lasciando solo una scia di fumo e un pessimo odore di bruciato. La notte tornò a splendere, fui persa per un po' prima di abituarmi al buio calato e misi a fuoco il bagliore della luna. Gli umani si guardavano preoccupati, i ragazzi più piccoli tremavano e Cel cercò in giro le tracce di quel brutto essere.
Era troppo tardi. Entrambe le entità erano tornate a casa loro, distanti.
La linea primaria di alberi era ridotta in polvere, così come gran parte dell'erba. Sentivo odore di bruciato e forse ero un po' io.
Saltai, presa alla sprovvista, quando Aurelion mi abbracciò da dietro e mi strinse a sé, faticando a reggersi in piedi da solo.
«Sei vivo...» ansimai felice, tastandogli il viso, il naso, le guance e le labbra. «Sei vivo.»
Cel stava ancora annusando in giro, persa nei suoi pensieri, quando Rines tornò da noi. Aveva ancora la corona in testa e, oltre a qualche graffio della nostra battaglia e del terriccio in faccia, era incolume.
«Posso ancora combattere!» urlò fuori di sé. «Vi ucciderò e dopo la chiamerò di nuovo. Vi ucciderò tutti. Siete morti!»
Le colonne magiche si spensero e crollarono come vecchi massi a terra, ai piedi dei soldati inermi. Un Demone intrepido allungò la mano sui funghi e saltò dentro il nostro territorio, altri lo seguirono e giocherellarono in giro. Cel sembrava non gradire la presenza di altri simili.
La magia dell'oracolo si era estinta.
«No, tu lo sei» disse Damian, estrasse la spada e l'Esercito marciò verso di noi, seguito dalle sue truppe.
«Fermo! Aspettate! Questo non era nell'accordo!» mugghiò Rines.
I Demoni ulularono affamati e gli eserciti di entrambi i regni furono percorsi dal silenzio.
«Non puoi negoziare un accordo quando non è più a tuo favore» smentì Aurelion.
«Non lascerò che i miei sforzi vadano perduti, che la mia corona vada a qualche Elfo inetto! Io sono il re, si sono inginocchiati a me!»
Un Dominatore fischiò in uno strumento e un suono terrificante si propagò nell'aria. In un tacito accordo, gli umani si schierarono in file ordinate, composte per una serrata difesa e gli Elfi alzarono i loro archi per proteggerli. Gli Elfi neri si lanciarono occhiate perplesse, capendo l'inferiorità numerica, persino i troll scossero le teste e i ghoul abbandonarono le mazze.
«Mio fratello lo sapeva.» Aurelion parlò a voce bassa, come se dovesse rivelare un segreto a Rines. «Cosa si augura al re a cui andrà la corona di spine, intendo. Che il trono sia avvelenato. Ora dammi quella corona, se ti rifiuterai scorrerà del sangue e quando il regno delle Ombre ne uscirà sconfitto, me la prenderò da solo e ne farò ciò che voglio.»
Si mosse con rapidità, i miei occhi erano ancora annebbiati, e mi sentii afferrare la faccia. Rines mi tirò a sé e mi puntò la spada alla gola. Cel si rizzò in piedi e aprì le fauci, pronta a divorarlo.
«Fallo e le taglierò la gola!» urlò Rines, con la punta della lama che mi premeva sulla pelle.
Boccheggiai e Aurelion alzò le mani verso Cel, fermandola. Lei capì al volo e indietreggiò amareggiata, abbassando il capo. Nonostante fosse cieca aveva intuito tramite altri organi di senso sviluppati cosa stesse accadendo. La sua evoluzione era magnifica.
«Ogni guerra ha le sue perdite, mi accontenterò di una sola vittima, oggi.» Massimizzò la presa. «Avanti, re della Luce, ora dai a me la tua corona o guardala morire. Consegnamela come trofeo, come un tributo adatto al vostro nuovo re.»
«Tu non sei il nostro re» intervenne Damian.
Rines si girò verso di lui, notandolo all'ultimo momento, e soffocò un grido di terrore. L'umano sollevò la spada, si abbassò e conficcò la sua lama nel petto del re delle Ombre. Sangue caldo cadde a chiazze nell'erba bruciata e la terra lo bevve assetata.
La sua presa si allentò e fuggii via, gettandomi tra le braccia di Aurelion. Rines si tastò l'enorme ferita aperta, la voragine nell'armatura e guardò le dita sporche di rosso. Aprì sbalordito gli occhi, deambulò indietro, quasi credendo di essere incolume, poi cadde.
Gli Elfi neri si bloccarono e tremarono, cercando un nuovo sovrano. Nessuno si fece avanti e qualcuno, un umano, urlò di gettare le armi a terra e abbassarsi. Piano, molto piano, i primi Elfi si gettarono a terra e piagnucolarono perduti.
Damian mosse la spada e la pulì dal sangue rimasto, colavano minuscole gocce di sangue, in chiazze rosse, preziose come rubini. Guardò il corpo morto di Rines e si avvicinò, mettendogli le mani al collo. Credetti volesse strozzarlo, ma si allontanò subito e annuì a due sottoposti, i quali abbassarono sollevati le spalle e diedero ordine di radunarsi.
«È finita» disse lui. «Chiedo perdono per questo spettacolo orrendo. Uccidere un re per voi è considerato tradimento?»
«Alto tradimento» confermò Aurelion, continuando ad abbracciami stretta. «Ma potrei pensare di accordarvi il perdono reale. Ci avete aiutati.»
«E poi era un vero stronzo» commentò ironico Ahdeniel.
Il cavaliere rimosse la corona dalla testa di Rines. Dalle spine pendevano ciocche di capelli biondi. Aurelion si irrigidì e Ahdeniel la pulì sul pettorale di metallo. La corona brillò e me la ritrovai tra le dita.
«Mettila come regina» sbuffò Ahdeniel. «La corona non può essere conquistata con l'omicidio, deve essere donata. Nico ha dimostrato di essere una di noi.»
Un Elfo oscuro rabbrividì, scuotendo il capo. «Falla nostra regina e non durerà una notte. Me ne assicurerò personalmente!»
«È un'Elfa!» ringhiò Ahdeniel.
«Non un'Elfa del nostro regno. È un'estranea!» continuò un altro.
Damian strinse l'impugnatura, aspettandosi un nuovo duello.
«Le leggi della corona non sono più valide, non c'è più alcun erede o successore al trono. La persona più vicina a tale titolo è Nico, spetta a lei decidere se tenerla o no. Queste sono le nostre consuetudini!» ripeté Ahdeniel. «E a deciderlo sono io, un Elfo delle Ombre. Hai qualcosa da dire, Marran?»
L'Elfo scosse il capo e Aurelion annuì. «Lasciate decidere a lei. Fate silenzio.»
Ero inadatta a fare la regina, lo sapevo. Il mio posto era sul campo di battaglia, a difendere il regno in prima fila, a portare in alto il nome del mio re negli anni a venire. Se avessi accettato avrei finito per detestare lui e me stessa.
Lanciai la corona ad Ahdeniel e lui la afferrò stupito. «La corona è tua» esclamai piatta.
Rines aveva scherzato nel dire che avrebbe dato la corona al primo che l'avesse presa dal suo cadavere e un cavaliere mantiene sempre le sue promesse.
«La meriti. Capisci meglio di me i problemi e i bisogni del tuo regno, lo hai sempre fatto.» Ahdeniel fissava la corona, accarezzando le spine appuntite. «Sarai un buon re.»
«Tornerò a casa...» borbottò sollevato Ahdeniel, con gli occhi pieni di lacrime.
Marran scosse il capo. «È un traditore, un porco sleale. Hai sguazzato nel sudiciume di Nergal fin troppo a lungo! Meriti di stare con loro, lontano da noi.»
«Se il prezzo della corna è il tuo odio lo pagherò volentieri» lo prese in giro Ahdeniel.
«Tu non sei il mio re!» sbraitò.
Il cavaliere nero si mise la corna in testa, un po' storta, e sorrise con fare maligno. Il sangue gli macchiò la fronte e l'edera gli baciò i capelli neri.
«È così, che ti piaccia o no. L'ho decretato io» asserii sicura.
Marran si lanciò in avanti, sguainando la spada. Ahdeniel fece scattare il pugnale dalla piastra e bloccò il colpo. Affondò a lato della spada, proprio sopra l'elsa, in quel punto delicato e l'arma dell'Elfo si spaccò a metà, lasciandolo interdetto.
Aurelion fece una finta in avanti per gioco e Marran si paralizzò. Lo spinsi a terra e Ahdeniel si accovacciò accanto a me, puntandogli la lama sull'occhio.
«Governerà nel nome del re Aurelion, sarà benedetto dalle mie parole e benvoluto nel regno della Luce e ovunque andrà» sillabai dura, premendogli le dita sulle braccia. «Ora, di' al tuo nuovo re che bravo cucciolo sarai per lui, che fedele servitore avrà.»
Marran trattenne un brivido. «Abbaierò per lui» asserì.
«Lascialo andare» mi ordinò Ahdeniel.
Lo accontentai scontrosa e notai il sorrisetto divertito di alcuni Dominatori. In un batter d'occhio, Marran si alzò e corse via, infilandosi nella folla del regno nero e si perse.
Aiutai Aurelion a stare in piedi e lui alzò un braccio, orgoglioso. «Ecco il nuovo sovrano del regno delle Ombre, il cavaliere nero, Ahdeniel, signore del regno del sud! Inchinatevi!»
Gli Elfi neri lo fecero in un inno corale che mi fece rabbrividire. Lanciarono via le armi e si spostarono dai Dominatori, i quali saltavano esultando insieme agli Elfi della Luce e ai Demoni.
«Sarò migliore di Nergal» promise Ahdeniel a Aurelion e a me. «Stringeremo una nuova tregua. Domani, vi prego. La fatica comincia a farsi sentire, ho bisogno di schiacciare un pisolino.»
Colsi al volo l'opportunità di scherzare. «Cavolo, gli farai male! "Schiaccerai" un pisolino!»
Damian mi guardò, credendo di aver sentito male e Ahdeniel rise forte.
In poco tempo, gli eserciti deposero le armi. Gli Elfi della Luce aiutarono i loro fratelli lontani, diedero loro delle provviste, del buon cibo e medicarono certe ferite con le poche erbe sopravvissute. I Demoni correvano agitati in giro, si infilavano tra gli alberi e i guardiani tiravano loro massi per scacciarli come mosche. Moltissime giovani ragazze accerchiarono Aurelion, gli tirarono i capelli e si strinsero a lui per venerarlo.
«Sembra una donna, è angelico!»
«Vorrei essere anche io una regina!»
«È davvero bello! Portiamolo con noi!»
Cel era ferma sul ciglio del confine, fissava il vuoto con nostalgia e nel buio era quasi invisibile. Anche senza il nostro collegamento sapevo cosa stesse pensando. Voleva essere libera ora che tutto fosse avvolto dalla pace. Ero al sicuro e il suo compito era giunto al termine.
Damian mi raggiunse, lasciando da parte sua moglie. Venne scortata da due Elfi della Luce che le diedero un tozzo di pane alla zucca che lei, degnamente, si rifiutò di assaggiare.
Porsi la spada al generale.
«È tua. È una spada vuota, perciò non ha valore per noi» parlò. «Ho visto il modo in cui combatti. È rozzo, ma possiamo lavorarci su. Tuo padre era uno di noi, perciò sei la benvenuta se volessi considerare l'idea di...»
Lasciò in bilico la frase, facendomi intuire il resto. Rifiutai la proposta educatamente, nonostante altre ragazze vennero da me e mi pregarono di tornare insieme. Il mio posto era insieme alla mia gente, ad Aurelion.
«Non c'è niente di male ad essere un Dominatore, Nico» sottolineò lui.
«Non c'è niente di male anche ad essere una regina» scherzai.
Il mondo avrebbe sempre necessitato di eroi. Non mi preoccupai e capii il sollievo di essere un filo d'erba.
Ci fu un po' di caos appena Isidora e altri ragazzi del villaggio raggiunsero la piana, scortati da Aimel, Hor e Yorifel. Le creature della foresta avevano sparso velocemente la voce che la guerra fosse finita, che il re usurpatore fosse morto e che ci fosse una nuova pace.
Mia cugina gettò le braccia al collo di Calex e gli pianse addosso. Indossava un lungo abito bianco e si era legata i capelli in alto, rossicci.
«Penny?» domandò pianissimo Damian e fece un passo.
Corrugai la fronte e deglutii. Si ricompose e tornò da me, scusandosi di quell'ardire. Dal suo sguardo seppi che avesse dei fardelli pesanti da portare, cose che, come la morte dei miei genitori, avrebbe portato come marchi indelebili fino alla fine.
Abigail lo fulminò e trattenni un sorrisetto, persino la sua aquila scosse la testolina.
«Oh, anche voi umani avete problemi di cuore. Hai perso anche lei?» mi impicciai.
«No. Lei se ne è andata.»
Fortunata, pensai.
Non si poteva scappare dal Nido se si veniva scelti, se nascevi con il dono.
I miei zii, così come molti altri uomini del villaggio, borbottarono irrequieti appena videro Cel sopra i massi sacri ridotti a brandelli. Immaginarono brutte cose, una versione dove eravamo sopravvissuti per miracolo e avevamo vinto sugli umani e sui Demoni. Giurai di dire la verità, di scrivere quella storia e di conservarla per sempre.
Quel giorno non solo sigillammo una nuova tregua con il regno delle Ombre, ma ritrovammo dei preziosi compagni perduti negli umani. Era vero che in fondo eravamo simili.
Mia zia mi chiamò.
«Torna a casa» mi consigliò Damian. «E dimentica queste crudeltà. Usa il tempo e sii solo una ragazza, è questo il più grande dono dell'universo.»
«Le nostre strade si dividono qui, generale» esclamai.
Presi un frammento delle vecchie colonne runiche che delimitavano l'ingresso nel regno elfico e non percepii alcuna magia. Eravamo esposti, proprio come il Nido e, come loro avevano trovato un modo per sopravvivere, lo avremmo fatto anche noi. La natura si evolveva di continuo e mia sorella ne era una prova.
«Saranno pochi battiti di ciglia per voi» sospirò lui. «Farò del mio meglio affinché questo posto resti nascosto e al sicuro.» Guardò Cel e dopo me. «Se vuoi posso incatenarla alla spada, asservirla a te tramite un maleficio. Ci vorrà...»
«No» negai.
Cel era stata fin troppo in catene.
Mi avvicinai a Cel e lei intuii il mio arrivo dall'odore nell'aria. Si curvò e sfregò la grossa testa su di me, rischiando di buttarmi a terra. Le accarezzai le narici e si mosse grata, emettendo dei rumorini soffusi.
«È tutto a posto adesso, Cel» le dissi, dandole un bacio sul muso. Khol aprì la bocca e Aurelion gli intralciò la via con la spada per bloccarlo. «Starò bene. Grazie per tutto quello che hai fatto. Io sono pronta. Ora puoi andare.»
Io non avevo creato nessuna maledizione quel giorno: io e mia sorella lo eravamo, entrambe, e il nostro legame ci impediva di staccarci l'una dall'altra. Avevamo giurato di esserci sempre, di proteggerci fino a quando non saremmo state pronte entrambe ed era arrivato il momento.
Eravamo cresciute.
«Nome...» bofonchiò Cel. «Di'. Il mio... nome. Ti prego.»
«Celestia. Tu sei Celestia. Mia sorella. E lo sarai per sempre.»
La bestia annuì e si abbandonò ad un enorme sospiro di stanchezza. Il suo corpo si rimpicciolì, seccandosi e i primi frammenti del suo corpo la abbandonarono, salendo in cielo. Aspettò paziente, fissando la distesa dei campi con una strana consapevolezza, con i Demoni che le ronzavano attorno e canticchiavano.
All'ultimo la intravidi di nuovo. Fu come un'ombra fugace, un lampo chiaro, la Celestia che avevo lasciato nella casa dei boschi tornò da me e l'involucro che la conteneva scomparve. Aveva conservato il suo viso, quel cuore di cioccolata, gli occhi scuri e le treccine ai capelli contornate di cerchietti di metallo.
Alzò la mano e mi salutò.
«Grazie» sillabò senza parlare con le labbra.
Grazie per avermi liberata.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top