XXIII
Sognai di perdermi nella brughiera, in mezzo a fitti alberi alti fino al cielo e cespugli di rovi. Non era il bosco che ricordavo, quello era insidioso, freddo e ovunque mi voltassi c'erano alberi immensi. I miei genitori e Celestia mi chiamavano e, ogni qualvolta pensavo di avvicinarmi a loro, l'eco risuonava distante dalla parte opposta senza darmi tregua.
Mi svegliai all'improvviso perché qualcuno bussava con forza alla porta della camera e muoveva con insistenza la maniglia. Pensai di urlare di lasciarmi dormire ancora un po', tuttavia ero troppo stanca solo per immaginare di trovare la forza di gridare a quell'ora del mattino. Oltre le candide tende bianche c'era un sole che stava appena sorgendo, il cielo arancione e l'aria si stava scaldando.
Lasciai che battessero alla porta altre tre volte prima di udire: «Nico! So che sei lì dentro, apri subito!» e la sua voce non mi fece presumere nulla di buono.
Mi tolsi la coperta di dosso e il braccio di Aurelion cadde sul materasso. Dormiva profondamente, il volto rilassato e le leggere ferite sul volto ancora rosse. Il suo fiato era caldo, il sonno beato.
Ero stanca morta anche io, mi sentivo come se avessi trasportato un bue per tutta la vallata, avanti ed indietro, e avevo le gambe a pezzi. Per non parlare della schiena, ogni posizione a cavallo era una tortura per me. Gli tolsi i capelli dalla tempia bianca, scoprendogli le orecchie affilate.
I colpi alla porta mi svegliarono. «Nico! O la apri o giuro che la sfondo, so che sei sveglia, ragazzina!»
Mi alzai incespicando, inciampai sulle gambe di Aurelion e caddi dal letto di faccia. Si drizzò a sedere, il torso nudo e gli occhi aperti a metà. Se li strofinò e si guardò intorno con aria confusa.
«Nasconditi!» gli intimai, afferrando la maniglia.
La cosa migliore che fece fu afferrare la coperta e tirarsela fin sopra la testa, creando un bozzolo sul materasso. Ero troppo divertita e spaventata allo stesso tempo per dirgli che fosse un nascondiglio pessimo.
Aprii la porta, sfoggiando un sorriso splendido a mia zia. Calex era dietro di lei, visibilmente assonnato. Aveva i vestiti da lavoro, una canotta lurida, rattoppata e il camice rinforzato.
«Buongiorno!» esclamai. Feci per socchiudere la porta e zia adocchiò la matassa sul letto, grossa, e mi guardò con fare sospetto. «È Aurelion. Sta dormendo! Non guardarmi in quel modo, eravamo esausti.»
La sua espressione mutò nell'arco di pochissimi secondi e passò da adirata a inorridita. O almeno così io la tradussi, fece una smorfia ricolma di terrore e il suo volto si tinse di rosso. Fu grazie alla bocca di Calex, una "O" perfetta, che riconobbi che non fosse rabbia bensì imbarazzo.
«Ha portato un uomo a casa e io non posso portare le mie ragazze, è ingiusto» borbottò Calex e dal letto si sentì un soffio di risata che in quel contesto zia lo prese con un tenue russare. «Voglio vedere il re, dai, spostati.»
Alzai un piede per difesa. «Dorme! Molla la presa sulla porta, o te la tiro in faccia.»
«Nico, ci sono dei vestiti sporchi di sangue in cucina. Cosa è successo? Siete feriti?» mi domandò apprensiva zia, sfiorandomi le nocche sbucciate. «Perché sei venuta qui senza avvisare? Sei in pericolo? Ti hanno fatto del male?»
Soffiai scocciata. «È tutto... okay! Per favore, lasciaci riposare solo un altro po'. Ieri sera ci siamo stancati e abbiamo dormito qui per emergenza. Ti racconterò tutto, ma... dopo.» Mi vennero in mente gli occhi di mio padre. "Sii educata, sempre. Questa è la differenza tra una persona e un mostro". «Per favore.»
Zia non se la bevve affatto. Avrei dovuto raccontarle ogni cosa più tardi e anche Aurelion lo sapeva. Se si fosse sparsa la voce che il re era in questa casa ci saremmo ritrovati circondati da donne curiose e bambini euforici. Mi venne un momento di panico nel ricordarmi Ahdeniel, della sua mano, e mi preoccupai se avesse superato la notte, così come gli altri cavalieri di scorta. Pregavo fosse così e lo sapevo. Erano forti.
Lei annuì e mi diede un bacio sulla fronte. Calex era angosciato.
«Va bene» acconsentì delusa. «Ma dopo scendi dalle scale. Se solo ti azzardi a...»
«Ti fiondo dalla finestra!» canticchiò Calex, imitando in modo stridulo la voce di sua mamma.
Chiusi la porta senza ribattere. Aurelion aprì le braccia e mi tuffai su di lui, tornando a dormire.
Fui certa di aver sognato un'altra volta, però non mi ricordai esattamente cosa. Di certo la stanchezza aveva preso il sopravvento e avevo spento del tutto il cervello. Volevo dimenticarmi del tradimento di Rines, della morte di Nergal e delle parole della Strega. Avevo paura che tutto potesse finire e che niente avesse un senso, né io né la trasformazione di mia sorella in demonio. Desideravo che ci fosse uno scopo perché anche mio padre lo faceva, diceva che purificare il mondo dal male lo aiutasse a pensare che il suo operato potesse aiutare la gente. Al contrario, la gente pensava che fosse un mostro.
Come me.
Mi svegliai con il sole ancora basso, fuori dalla finestrella si sentivano i suoni del villaggio, tra papere, ruote dei carretti e fatine urlanti. Tastai il lato del letto accanto a me. Era freddo e Aurelion non c'era.
Saltai all'erta con un bruttissimo presentimento. Le coperte erano piegate sulle mie gambe per tenermi caldo e gli stivali erano ancora al loro posto, sporchi di fango. Guardai la scrivania, sperando che mi avesse lasciato un messaggio.
Scesi dal letto, mi tolsi la vestaglia e mi infilai la prima maglietta pulita che trovai nell'armadio. Era il doppio della mia taglia, mi arrivava fino alle gambe e la usai come vestito. Mi diedi un leggero schiaffo per svegliarmi. Dovevo trovarlo.
Scacciai il pensiero che si fosse perduto, o che Rines lo avesse ucciso. Se ci avesse attaccato mi avrebbe uccisa nel sonno. Mi seccò l'idea che se ne fosse andato di sua spontanea volontà.
In verità, ciò che mi turbò maggiormente, fu Celestia. Mi stava lontana ed era sveglia in pieno giorno.
Invece, quando scesi le scale, trovai Aurelion là, seduto sulla sedia della scorsa sera con sotto il naso una fetta di torta. Accanto a lui, circondato, c'erano Calex e i miei zii, intenti ad ascoltare le sue parole, pendendogli dalle labbra. Stava raccontando loro un divertente aneddoto su un suo cavaliere e Calex lo trovò particolarmente divertente.
Mi fermai a metà scalinata, sbalordita dall'assurdità della scena e, nel contempo, del tutto normale. Aveva addosso i vestiti che gli avevo prestato ieri notte e gli calzavano a pennello, la camicia mostrava le sue clavicole sporgenti.
«È deliziosa» disse Aurelion, pulendosi le labbra con un movimento aggraziato. «Isidora non si tratteneva quando elogiava la vostra cucina, signora.»
«Vostra maestà, mio signore!» pigolò zia arrossendo. «Siete troppo gentile, permettetemi di...» Gli riempì il bicchiere di latte.
Aurelion mi sorrise malizioso. Quel sorrisetto mi fece salire i brividi sulle gambe e sfregai il pollice sul palmo della mano, trattenendo il respiro. Era tutto come lo avevo immaginato, noi due insieme in una casetta di campagna, lontano dai problemi del mondo. Quel sorriso spontaneo, onesto, mi ricordò l'esatto opposto.
Zia alzò gli occhi e zio Falastor emise un borbottio. «Sei un vero straccio» mi giudicò.
«Cavolo, ti hanno usata per pulire i pavimenti reali?» scherzò Calex e poi allargò gli occhi. «Perdonatemi, mio signore, non volevo intendere che voi...»
«È tutto a posto» lo scusò docile. «Il suo viso fa sussultare gli angoli più remoti del mio cuore. Buongiorno, Nico.»
Alzò un braccio e gli feci scivolare la mano tra le dita affusolate. Se la portò alle labbra e vi impresse un leggero bacio. Trattenni un sorrisetto e zia gioì frivola. Fu un gesto innocuo e tenero, l'avevo visto fare tantissime volte dai ragazzi che facevano la corte a Isidora, eppure lo rese provocante.
«Mi rubi la torta ora? Vieni a casa mia e sgraffigni i miei dolci?» scherzai. «Pensavo te ne fosti andato.»
«Andato» ripeté per farmi notare la stupidità dell'affermazione. «Sì, in effetti sarei potuto andarmene via correndo, tornare qui, intrufolarmi di nuovo per mangiare della torta squisita. Un piano geniale. È questo il motivo per cui non sei diventata una mappatrice?»
I mappatori erano gli Elfi più veloci, quelli che esploravano le valli e le disegnavano, ricalcando e aggiungendo luoghi alle mappe. Spesso erano gli stessi che davano indicazioni ai cavalieri su come e dove muoversi per creare piani di assedio e battaglie.
Senza badare all'educazione gli cacciai la lingua e, nel muoversi, urtò per sbaglio la gambe del tavolo con la sua. Ebbe uno spasmo di dolore e si tastò la coscia.
«Siete stato ferito in battaglia, mio signore?» domandò attento Calex.
«Una ferita, nulla più. Nico mi ha aiutato ieri notte. Mi ha fatto un impacco con acqua salina, mi sento meglio, temo però che per un po' di tempo non riuscirò a muoverla come una volta» si punì. «Sono stato sconsiderato.»
Alzai le sopracciglia, stupita dall'aggettivo. Definiva sconsiderato un re che era disposto a mettere in ginocchio il suo regno per inseguire un sogno di pura distruzione per mera passione? Io la consideravo follia.
Gli accarezzai il volto, notando il suo sguardo inespressivo. «Vuoi un po' di caffè?»
«Ce n'è un po' già fatto, è quello avanzato di tuo zio. Se vuoi te lo preparo» disse zia.
«Faccio io» risposi paziente.
Non mi piaceva il caffè, evitavo di berlo perché odiavo le cose amare e quello che avevamo era il più acido di tutti, rivoltante persino con tre zollette di zucchero, un cucchiaio di miele e latte. Ne bevvi un sorso per punizione e la caffeina mi diede una botta al cervello.
Aurelion spizzicava il dolce, seduto con le gambe molli e la schiena curva, pareva a suo agio con quei perfetti estranei. Avrebbero fatto ben presto parte della famiglia e, anche se non di sangue reali, li avrebbero trattati con ogni agio possibile. Tutti lo adoravano.
La morsa allo stomaco aumentò.
«Temo che sia giunto il momento di dirmi cosa stavate facendo ieri sera. Potrei anche sorvolare che vi siate appartati in una stanza da soli, in un unico letto prima del matrimonio, ma il sangue sui vestiti, le vostre ferite e...» A zia Hirivine mancava la voce. «Ditemelo, vi prego. Nico! Sai che ti proteggeremo.»
Versai il resto del caffè nel lavello, pulendomi la lingua con dell'acqua.
«Ci terrei prima di tutto a ringraziarvi» iniziò Aurelion senza difficoltà. «Intendo per averci permesso di restare la notte e ci state offrendo il vostro cibo. Grazie per l'ospitalità anche se, come sapete, non dovrebbe mancarci nulla.»
«È nostra nipote, mio re» biascicò zio Falastor dubbioso, «faremmo ogni cosa per lei.»
«E grazie per aver non aver avuto paura del nostro stato.»
«Io ho avuto paura!» lo corresse ansimando. «I vestiti strappati, il vostro sguardo, è palese che vi sia successo qualcosa di terribile. Chi vi ha fatto questo? Un brigante? Un nano?»
Aurelion mi guardò e annuì. Era loro diritto sapere.
«Ieri notte siamo stati alla corte nera, presentandoci ufficialmente come consorti al regno delle Ombre e al re stesso. C'è stato... un malinteso... No, non era un malinteso. Nergal ha tentato di ucciderci.» Le facce dei miei zii e di Calex sbiancarono all'istante, mentre zio afferrò saldo il tavolo, facendolo scricchiolare. «Ha farneticato e sono successe delle cose brutte. Siamo venuti qui per riprenderci e...»
Zia scoppiò a piangere e io non me lo aspettai. Immaginai solo che ritrovarsi con i vestiti sporchi in mano, logori, le avevano fatto salire orrendi ricordi. Mi pentii di aver detto la verità.
«Ad ogni modo è finita» terminai.
«Finita?» ripeté Calex e ridacchiò nervoso. «Non hai saputo? Ah, be', in effetti ti sei svegliata adesso, cugina. Sono successe delle cose al confine, i cavalieri del regno gemello si sono fatti avanti e hanno ucciso delle creature. Fatine neutrali, nani, troll, ghoul. Uno è riuscito a scappare, dice che volevano arruolarlo nel loro esercito e che...»
Zio Falastor batté il pugno sul tavolo, furioso. «Ora basta! Cos'è questa storia? Cosa hai fatto?» mi interrogò.
«Questo è il primo giorno della nuova guerra» disse Aurelion scoraggiato.
Prima che potesse spiegarsi, o zio urlare più forte, oltre i muri della casa si udirono degli zoccoli pesanti. Li riconobbi subito e lo stesso fece il re degli Elfi, alzò il naso verso quel scalpito assiduo. Scattai alla finestrella della cucina e vidi i primi bambini correre incontro ai due cavalieri che si stavano avvicinando.
Ahdeniel aveva indossato degli abiti della corte di Luce ed era un pugno in un occhio. I capelli neri d'inchiostro cozzavano con la purezza delle vesti bianche e argentate, gli occhi fulminei e il volto scheletrico, sempre crudele. Il mantello sulle spalle nascondeva l'arto mancante e reggendo le redini con la mano opposta. Len viaggiava al suo fianco, tenendolo costantemente d'occhio.
Si fermarono davanti al cancelletto di legno e Ahdeniel smontò. «Ehi, tu!» mi urlò, notando che lo spiassi. «Muoviti subito! Diamine, se potessi colpirti...»
«Ah, che diamine, è sempre furioso. Gli verrà un infarto» brontolai e corsi ad aprire ai due cavalieri.
Un bambino si mise sulla strada di Ahdeniel e si appigliò al suo mantello per ottenere la sua attenzione. Dovette scambiarlo per un vero cavaliere reale, aveva stemmi e spilloni di tutto punto, e voleva qualcosa, magari un abbraccio come molti altri. Ahdeniel lo afferrò per la maglietta e lo spintonò via senza cura, entrando nel giardino. Era complicato per lui distinguere i gesti di ammirazioni fatti in modo spontaneo, i bambini nel regno delle Ombre faticavano a vivere degnamente e spesso rubavano ai cavalieri.
«Voleva solo un abbraccio» mormorai stizzita.
Con una spinta si tolse il mantello dalle spalle e mi mostrò il moncherino. Calanthia o le altre guaritrici avevano fatto un ottimo lavoro per rimetterlo in sesto in così poco tempo, il pallore delle labbra e i cerchi scuri sotto agli occhi dimostravano la sua sofferenza.
«Daglielo tu, dolcezza. Abbiamo altri problemi» ringhiò, dandomi una spinta. «Datti una mossa, cavaliere, o la prossima volta striglierò te e non il tuo cavallo.»
Len affrettò il passo, liberandosi di una ragazza che gli stava facendo la corte. Aurelion restò seduto quando entrarono, mentre Calex afferrò il coltello con cui zia aveva tagliato la torta, sporco ma affilato. Vedendo il primo cavaliere nero, a zia mancò un colpo e trasalì.
Afferrai il polso di mio cugino. «Mettilo via o ti farai male. È tutto a posto, sta con noi.»
Ahdeniel si sedette senza chiedere, scontroso, rubò da sotto il naso il patto di Aurelion e masticò la torta con gusto, emettendo versetti di apprezzamento. Se Calex avesse attaccato lo avrebbe disarmato senza problemi, persino con una mano sola.
Dimenticavo che Ahdeniel fosse considerato un nemico.
«Perché c'è il primo cavaliere del re nero? Sei forse pazza? Voleva ucciderti!» ringhiò atterrito Calex.
«È tutto a posto» ripeté Aurelion. «Per favore, abbassa quell'arma. Ti garantisco che le sue intenzioni sono pacifiche, è vero, Ahdeniel?» Il ragazzo sogghignò con quella smorfia sarcastica. «Ahdeniel.»
«Oh, ma certo» sviò. «Perdonate la mia maleducazione, ho passato davvero una pessima notte. Le guaritrici si sono impegnate a dovere per farmi soffrire medicando il mio arto, sono ancora indolenzito dopo che il mio precedente re ha tentato di tagliarmi la testa.»
Zio Falastor corrugò la fronte, lanciando uno sguardo interrogativo all'uomo seduto accanto a lui.
«Ha tentato di ucciderci tutti ieri sera. È stato un agguato» spiegai a voce bassa. «La sua gentilezza era solo un pretesto per tentare di appropriarsi delle gemme dell'oracolo. Il suo scopo era quello di richiamarlo per trarre beneficio dal suo potere.»
Zio non batté ciglio. «Come?»
«L'oracolo quando è venuto nel nostro mondo ha creato un collegamento, la brughiera è nata ed è protetta grazie alla sua magia. Nergal voleva espanderla, controllarla e marciare contro gli esseri umani. Ieri notte ha tentato di ucciderci, Ahdeniel ci ha difesi e ha disertato.»
«Un Elfo nero traditore» berciò Calex. «Che sorpresa!»
«Il mio primo cavaliere, Rines, era suo alleato. Ha disertato anche lui e si unito all'esercito del regno delle Ombre. Ascoltando le sue parole potevo percepire la rabbia e la delusione nei miei confronti» si accusò Aurelion a testa bassa. Mio cugino ammutolì. In secoli di servizio, nessun cavaliere aveva disertato la corte di Luce. «Sono stato un pessimo re, ho messo in pericolo il mio regno e le persone che amavo.»
«È Rines il traditore, non voi» lo difese Len amareggiato. «Siamo rimasti tutti sconvolti dal suo tradimento. Mirava al vostro posto, a governare, non a prendere ordini. La nostra fiducia nei suoi confronti ci ha resi ciechi, non è colpa di nessuno.»
Calex strabuzzò gli occhi. «Il primo cavaliere Rines? È stato lui a farvi questo?»
Io annuii e si strozzò. Ahdeniel fece per dire qualcosa di ironico e si trattenne: il primo cavaliere, oltre ad essere la figura più importante sotto il re, era un pilastro. Rines, come Ahdeniel, erano visti dal popolo come eroi ed entrambi avevano voltato le spalle alla loro gente.
Ahdeniel si fissò le dita della mano, mordendosi un labbro.
«Ha già usato le gemme per richiamare l'oracolo» disse Len.
«Significa che verrà di nuovo, ci sarà un altro miracolo» affermò zia con le guance rosse.
Ahdeniel tirò le labbra in una smorfia e io scossi la testa, parlando: «Un altro massacro. Nergal è morto ieri notte e Rines ha preso la corona, diventando re del territorio nero. Combatterà al posto suo, se non peggio, e userà il collegamento per attraversare vari mondi e ampliare il suo esercito. In base a ciò che mi ha detto la Strega delle selve...»
Zia strillò. «Sei andata da quella Strega? Ti avevo detto che fosse pericoloso!»
«È una persona buona, mi ha aiutata moltissime volte e ci ha protette. Mi ha detto che ci sono molti altri mondi oltre il nostro, altre me, altri re...»
«E altri eserciti» concluse zio Falastor, passando nervosamente le dita sull'ispida barba sul mento. «Creerà un esercito tale da distruggere ogni cosa al suo passaggio. Compresi gli umani. E noi.»
«I nostri alleati sono già stati informati, sono pronti a combattere» concluse Len. «Faremo del nostro meglio per impedire a Rines di avvicinarsi all'oracolo e al confine, sulla nostra vita, vi rinnovo la mia promessa di fedeltà eterna.»
Zia aprì la bocca. «Un'altra guerra? Ci dev'essere un altro modo!»
Ahdeniel si ricordò di qualcosa e mi pizzicò un fianco. «A proposito. Celestia è tutta la mattina che si aggira nella brughiera. Ha ucciso delle persone.»
La Celestia che conoscevo stava scomparendo. A tenerla ancorata al mondo reale ero io e con il nostro litigio la sua mente si stava eclissando, dando spazio alla sua vera natura latente. Stava diventando un Demone a tutti gli effetti e dovevo intervenire prima che arrivasse al villaggio.
Calex inclinò la testa in una smorfia confusa. «Celestia? Intendi nostra cugina? La sorella di Nico?» domandò allibito. «Celestia è morta tanto tempo fa, nell'attacco che...» Ahdeniel alzò la mano e gli fece il verso, tant'è che quasi afferrò di nuovo il coltello per minacciarlo. «Pronuncia ancora il suo nome e...» Zio Falastor gli afferrò il braccio e gli fece una misera carezza. «Che succede?»
«Non abbiamo molto tempo» convenne Aurelion.
«Lo so» risposi fiacca. «Ci sono delle storie sulla brughiera, storie che parlano di uno spirito, di un mostro, che ci vive. Quella è mia sorella, o almeno la parte di lei che è rimasta qui nel mondo reale. La notte in cui i soldati dell'Esercito sono arrivati e hanno ucciso i miei, io ero spaventata a morte, ho supplicato che qualcuno mi aiutasse e ho scatenato qualcosa. Lei è viva.»
Tossì una risata aspra. «Viva? Celestia è morta, lo hai detto anche tu.»
«È quello che abbiamo fatto credere» si intromise zio Falastor. «Era meglio così, dire alla gente che Celestia fosse una delle tante ragazze morte quella notte. Sarebbe stata troppo difficile da spiegare altrimenti. Si è scatenata una maledizione, un legame che lega una persona ad un altro essere vivente che è alimentata ad un forte sentimento. Celestia e Nico si sono maledette a vicenda, Nico voleva salvarsi e Celestia desiderava proteggerla.»
«Lo sapevate!» li accusò Calex, balzando in piedi. «Tutti voi!»
«Quando sono stata portata a corte non è stato perché il re o la nobile Calanthia mi avessero aiutata, era perché quella notte mi ero spinta al confine e mi sono intromessa in uno scontro tra gli Elfi e gli umani. Io e Cel, insieme, e sono stata presa. L'accordo era che il re Aurelion si prendesse cura di me, mi tenesse sotto controllo, e Nergal voleva trarre vantaggio da questo accordo. Se Rines la prendesse non potremmo più fermarlo!»
Alzò le mani esasperato. «Fermarlo da cosa?»
«Vuole mettere il potere dell'oracolo in Cel.»
«Giusto, e dopo vuole anche andarci a ballare?»
I miei zii si parlarono sopra l'un l'altro, in panico, tentando di spiegare come avessero nascosto l'esistenza di Celestia per permettere a tutti loro, compresa me, di avere un barlume di vita normale. Se avessero denunciato Celestia, il re l'avrebbe uccisa come Demone e la mia fine sarebbe stata incerta.
Ahdeniel alzò il dito con un sorriso e, nella pace di quella giornata estiva, si sentì un ruggito lontano, gutturale e vagamente femminile. A Calex vennero i brividi di paura e io ascoltai i lamenti di Cel farsi più frenetici.
«Tesoro...» borbottò zia con le lacrime agli occhi. «Per favore, è la verità. Celestia è stata maledetta ed è sempre rimasta con Nico. Per molti anni abbiamo cercato di aiutarla a trovare un rimedio, ma Cel diventava irascibile ogni qualvolta tentassimo di... Nico è il suo appiglio, se le avessimo separate...»
«No, ero il suo appiglio» la corressi delusa. «Non è la morte che poteva dividere le nostre strade, è stato solo il sentimento opposto all'odio che abbiamo provato quella notte: l'amore. Abbiamo preso due percorsi diversi, ora che ha capito che può vivere senza di me, che non gli servo più, vuole andarsene.»
Calex iniziò a tremare. «Taras è morto quella notte e voi mi avete fatto credere che anche Celestia fosse... Perché? Abbiamo allevato Nico e l'ho trattata come fosse una sorella, avrei accettato anche lei. Solo perché è diversa non...»
«Sono la figlia di un membro dell'Esercito, Cal» buttai fuori d'un fiato e la sua faccia sbiancò.
Era facile dire quelle parole in presenza di altri, Calex non aveva mai visto Celestia, non si capacitava degli orrori che poteva portare né della pericolosità che io stessa avevo aumentato restando là.
Calex e Isidora sapevano che loro zia avesse avuto due figlie femmine con un umano, che si fossero innamorati e basta. I miei zii non avevano mai rivelato la piena verità, che eravamo frutti del Nido e avevamo sangue di ammazzademoni nel sangue. Eravamo potenti, pericolose, molto più che semplice mezz'Elfe.
Calex rimase immobile. «Gli umani che ci hanno attaccato, che hanno ucciso Taras...» Pensai stesse per scoppiare, che mi urlasse contro che fossi un mostro, che avessi rovinato tutto, eppure diede la colpa ai suoi genitori e io serrai i pugni indifesa. «Dovevate dircelo, meritavamo di saperlo. L'ho sempre protetta, giusto? È mia cugina e lo è lo stesso, non cambia niente! Non avevate il diritto di scegliere per noi!» urlò.
«Be', il bambino ha ragione» sibilò Ahdeniel e Len lo incenerì. «La venuta dell'oracolo non è stato un errore secoli fa. Un antenato reale ha evocato l'oracolo e gli ha pregato di riportare serenità e fertilità nel regno. L'unico errore è stato non concepire l'altro lato della bilancia. Ogni bene porta un male a sua volta.»
A zia le si rivoltò lo stomaco. Era da sempre stata molto religiosa, grata per il cibo in tavola e, specie dopo la morte di Taras, ringraziava la statua ogni giorno per mantenerci sani e in vita.
«Quelle morti non sono state causate dalla battaglia tra i due regni» berciò. «Ma il primo cavaliere non potrebbe mai fare una cosa simile a noi, il suo popolo! È suo compito proteggerci.»
Mi sarebbe piaciuto pensare che Rines avrebbe potuto lasciare perdere, aiutarci a tagliare il potere dell'oracolo e allontanare gli umani, ristabilendo una nuova tregua. Era quello che serviva ai regni. Credere che il ricordo di Handir vivesse ancora nei suoi pensieri dava un barlume di speranza a tutti, eccetto me. Sapevo che le sue parole, tutte quelle che mi aveva rivolto con dispiacere, vergogna e simpatia fossero menzogne.
Avevamo tutti passato la vita a chiederci come rimediare agli errori del nostro passato e lui aveva trovato il modo peggiore, mettendo la sua vita prima di altre.
«Riunirà i due regni per controllarli. Pensaci, a cosa servirebbe l'altro re? È questo il regno più ricco, ho visto la vostra terra ed è splendida e le terre fuori lo sono ancora di più» esclamò Ahdeniel collerico. «Perché accontentarsi di un piccolo appezzamento quando si può avere il mondo? Rines non si fermerà a questo regno, è un uomo ambizioso. E stupido. Con l'oracolo e quel mostro al suo servizio cosa lo fermerà?»
«Come lo fermiamo?» chiese Calex in ansia.
Ahdeniel alzò il braccio monco. «Conta mezzo aiuto, ragazzo. Non posso più usare una spada, ma posso essere un gran supporto morale: puoi farcela!» recitò e roteai gli occhi divertita. «Possiamo... per dire.» Si mise un dito alla gola e mi indicò.
«Ahdeniel!» ringhiò Aurelion e zio Falastor strinse i pugni.
Sapevo che scherzasse, o avrebbe usato un altro tono, ad ogni modo l'idea di morire mi fece accapponare la pelle. L'unica speranza era Celestia, del fatto che capisse come aveva fatto con Nergal che Rines fosse cattivo e lo uccidesse. I Demoni erano attratti dal potere e sentiva il richiamo dell'oracolo nel regno elfico, sarebbe rimasta fino alla fine.
«Be', la colpa è sua» ripeté.
«Cavaliere. Un'altra parola su mia nipote e ti giuro che l'arto mancante sarà l'ultimo dei tuoi pensieri» tuonò mio zio, fumando. «Ma è vero? Se Rines prendesse il controllo di Celestia potrebbe ucciderci tutti?»
Aurelion annuì. «Celestia è un Demone, almeno di natura e come tale può essere imprigionato. Un altro maleficio sulle ombre dell'Esercito dovrebbe bastare. Il potere dell'oracolo va a chi lo intrappola. Dovrai impugnare un'arma mancina, cavaliere.»
Ahdeniel parve offeso. «Sono un Elfo libero. O meglio, un criminale, non ho obblighi verso nessuno. Mettiamo anche il caso che mi facciate un'arma su misura, ci metterei settimane a combattere allo stresso livello e noi abbiamo a malapena un giorno.»
«Da qualche parte devi pur iniziare, idiota» mugghiò Calex sottovoce. «Non sei troppo esperto per essere inutile?»
«E tu troppo grande per essere stupido?»
Iniziarono a discutere, sparando insulti e accuse indecenti. Len e mio zio si rifiutarono di intervenire e la situazione divenne comica quando Ahdeniel cominciò a sbraitare nel dialetto degli Elfi neri, in quella strana parlantina intraducibile.
Calex mi diede da pensare. Era la stessa cosa che aveva detto la Strega delle selve, sul fatto che la storia da qualche parte deve iniziare. Per l'universo era stato lo scontro tra le due fazioni primarie, Dio e Satana, per gli Elfi erano stati gli umani. Elfi e umani erano due facce della stessa medaglia, con stessi pregi e difetti.
Scavalcai gli sgabelli e tirai Aurelion da parte.
«Ricordi la Strega delle selve cosa ci ha detto della storia? Che deve sempre...»
Annuì. «Incominciare da qualche parte, sì, lo ricordo. E con ciò?»
«Mio padre credeva che gli Elfi facessero degli strani rituali, che permettessero alle fate di rapire bambini e di sostituirli, in modo tale da spargere la magia in giro per il mondo.»
Aurelion sembrò scandalizzato. «Che falsità! Molti umani nascono con doni magici.»
«E noi crediamo che l'Esercito sia qui per ucciderci, che siano nostri nemici. Quando ero andata con Len e gli altri ho comunicato con uno di loro, ho usato il codice che mio padre mi aveva insegnato per far capire loro che non fossimo nemici. Mi hanno detto la stessa cosa, che loro non erano lì come nostri avversari. È strano.»
Aurelion scosse il capo. «Perché allora assediano i confini?»
Alzai le spalle. «Sono le storie, Aurelion. Noi moriremo, tutto finirà, ma le storie continueranno. Sono quelle che ci hanno fatto odiare gli umani, quelle ad inasprire i rapporti con l'altro regno, quelle che i tuoi genitori ti hanno raccontato da infante. Ciò che crediamo è sbagliato. Siamo sicuri che hanno davvero iniziato loro la guerra?»
Aurelion si fece pensoso e strinse le labbra come ogni volta che gli passava un pensiero scomodo in mente. Nessun Elfo voleva iniziare una guerra, ma d'altro canto perché gli umani lo avrebbero voluto anch'essi?
«Come facciamo a distinguere il vero dal falso?» mi domandò.
Il problema era che non lo sapevo.
Mi intromisi nel litigio tra Calex e Ahdeniel solo quando le cose divennero violente, spinsi mio cugino fuori dalla cucina e tirai Ahdeniel con me, verso la fucina.
«Manda a casa gli altri, zio. Forse è il loro ultimo giorno, meritano di stare con le loro famiglie» chiesi gentile e, dopo un momento, annuì.
La forgia si svuotò velocemente dopo che zio Falastor promise di pagare quel giorno nonostante la chiusura inaspettata, tra loro c'era già chi parlava di assedio, assassini nella brughiera e altre cose terribili. Bithi era ancora vivo e ringraziai il cielo che non si fosse appisolato, di nuovo, nei boschi.
La cupola della fucina era rovente, i fuochi accesi e c'era odore di metallo fuso, sciolto, il genere di odore a cui fai l'abitudine e che non ti piacerà mai. In pochi minuti ero già sudata.
«Creerò un'arma per te» dissi ad Ahdeniel e lui mi guardò storto. «Niente spada, ti serve un altro arto, qualcosa che puoi controllare subito e a piacimento. Ti serve una lama.»
Presi un foglio e un carboncino, disegnando una lama cucita ad un bracciale di cuoio tramite una placca. Era un vecchio progetto di mio zio Falastor, una delle sue invenzioni scartare per via dell'assenza di guerra e utilità nel corpo a corpo. Il problema principale era che la lama scattasse in avanti e rischiasse di mozzare qualche dito.
«Vuoi costruire una lama nascosta» tradusse mio zio, studiando il disegno e poi Ahdeniel. «Sì, su di lui potrebbe andare, ma bisogna batterla e dev'essere leggera.»
Calex corse ad afferrare alcuni utensili, i più cari e rari della forgia e li schiaffò davanti a noi. «Titanio» sancì. «Pesa più del metallo normale, ma la resistenza è doppia.»
Io e Calex staccammo ogni pezzo di titanio presente in casa e nella forgia, li mettemmo nella fornace e il metallo si tinse di una sfumatura violacea, ammorbidendosi. Ahdeniel parve molto sicuro ed eccitato di quel progetto dato che ci aiutò attivamente e assistette mio zio a dargli le giuste indicazioni. La lama doveva essere sottile, con una fessura nel mezzo per far passare l'aria, dopo aver preso le misure del suo braccio mio zio pensò al calco e Len al bracciale di cuoio.
Ci impiegammo molto più del previsto a forgiarla, il titanio era un metallo che fondeva ad altissime temperature e lo lasciammo nel forno a lungo. Diluimmo poi il liquido argenteo con altri materiali per renderlo più resistente e lo temprammo nell'acqua salata. Zio Falastor pensò a tagliare le eccedenze e a limarla a dovere, rendendo il metallo liscio, scintillante come uno specchio.
Finimmo al tramonto e Ahdeniel si serrò le cinghie all'avambraccio. Lo mosse a scatto e la lama uscì fuori di netto, lunga meno di una spada vera, ma cento volte più letale. Il cavaliere mosse dei passi agili, piroettò e colpì un muro. Ci furono delle scintille e lasciò un profondo solco.
«Mi sono innamorato» esclamò Ahdeniel e, con un altro movimento, fece tornare la lama al suo posto, sotto la placca del bracciale di cuoio che gli proteggeva la pelle. «Splendida. Nergal avrebbe dovuto rapirti se avesse compreso meglio questo dono.»
Agitai le mano in aria. «Sta solo attento a non mozzarti l'altra mano, è comunque un'estensione di...» Ahdeniel continuò a giocare e mio zio diede gli ultimi ritocchi alla piastra metallica. Era pesante e per fortuna era forzuto. «Combatterai con noi, cavaliere nero?»
Non mi guardò, ma sorrise in modo genuino. «È il mio popolo. Lo farò. Rines governa in una terra che non è sua. Lo ammazzerò.»
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