XXI

Corremmo senza sosta fino a superare il Kar'r, il fiume che divideva i due regni e, nemmeno in quell'occasione, fummo tranquilli. C'era del fumo che saliva nel buio e l'aria nella brughiera era diversa, densa, elettrica, le creature che la abitavano erano in agitazione: il re del regno delle Ombre era morto, assassinato da un Demone, e i cavalieri avevano visto Celestia e il mio volto. Sapevano chi fosse il loro nemico principale e mi avrebbero cercata.

Avevo vari graffi lungo il corpo, sbucciature varie, e le dimenticai in un lampo appena notai Aurelion zoppicare accanto a me e Ahdeniel, bianco come il cencio, trascinarsi a malapena. Yorifel, Len e Glasco erano in silenzio, sapevo che in verità avessero tante domande in serbo ed erano arrabbiati. Avevo fatto entrare un Demone nel regno e loro si sentivano stupidi a non averlo mai notato. Mi sentivo come se tutto quello che era accaduto fosse colpa mia, di fatto era così.

Yorifel alzò il naso con spavento, udendo uno scricchiolio. «È qui?» domandò tremando. «Ci attaccherà?»

Cel ci guardava distrattamente, era impegnata a ingurgitare un cespuglio intero di more selvatiche piene di spine. La sua aura era aumentata e cresceva a dismisura, molto simile all'alta marea. La sentivo distante, con la mente altrove e potei giustificarla: aveva capito che ci fosse un mondo intero oltre il regno elfico dove avrebbe potuto vivere libera, giocare e cacciare. Qui non avrebbe mai avuto un futuro ed era ciò che volevo ignorare anche io pur di non perderla per sempre.

«Non ci attaccherà» dissi sicura. «Non lo fa mai a stomaco pieno.»

«È ferita però» constatò secco Glasco.

«Sì, ma...» Mi morsi un labbro. «Si sta curando da sola.»

«Proprio come un Demone.»

La sua capacità di rigenerazione era fuori dalla norma, si era amputata vari arti nel corso degli anni e in alcuni giorni le erano ricresciuti, partendo dalle ossa. Ora le ferite che i soldati del regno nemico le avevano aperto si erano del tutto ricucite e sprizzava energia. Tenni per me il fatto che fosse anormale.

Arrivammo all'ampia radura che precedeva la vallata del villaggio, era ancora notte fonda e pochissime luci si intravedevano emergere dalle stradine battute. Le case in campagna erano avvolte da una nebbiolina bianca notturna, il cielo brillante e il castello scintillava alla luce della luna pallida. Fissai i tetti del villaggio, alle persone che dormivano beate nei loro letti, e a come avrei dovuto guardarle e dire loro che sarei stata la causa di un nuovo massacro, questa volta tra fratelli.

«Andiamo al castello, recuperiamo le forze, dopodiché penseremo a cosa fare» disse Aurelion e io scossi la testa.

«Devo prima andare dalla Strega delle selve, si trova nella Palude di vetro. Non è molto distante da qui» riferii frettolosa. Aurelion digrignò i denti, gli occhi ricolmi di impazienza. Se avesse avuto la forza scommisi che mi avrebbe dato un colpo in testa per portarmi al castello. «Una fata alla corte oscura mi ha detto di andare da lei, era una delle poche che sapesse di Celestia. Forse potrà aiutarci.»

«È pericoloso, potrebbe essere una trappola.»

Ahdeniel barcollò e sbatté gli occhi per restare cosciente. «Rimarrei ad ascoltare le vostre commedie tutta la notte, ma ahimè mi ritrovo senza una mano e comincio a vederci poco. Io vado al castello, voi fate quello che vi pare» tagliò corto.

«Portatelo al castello e avvisate gli squadroni. Siamo in guerra» disse Aurelion feroce e Len si fece avanti.

«Verrò con voi» si offrì. «Non è saggio farvi camminare per i boschi da soli. Conosco le leggende della Strega delle selve, sulla sua magia e inganni. La sua tana è vicina alle cave, potrebbero esserci dei troll o...»

«No!» mi affrettai a dire. «I territori sul confine sono neutrali, ripudiano ogni forma di potere autoritario su di loro. Ora che Nergal è morto devono essere informati e magari ci daranno una mano. Non posso portare estranei, o si arrabbieranno con me. Le creature della Palude sono schizzinose.»

Aurelion alzò la mano per bloccare eventuali litigi. Sembrò mettere tutta la sua rabbia in quel gesto. «Okay, io e Nico andremo alla Palude di Vetro e parleremo con quella Strega. All'alba saremo al castello. Voi occupatevi del resto.»

Senza aspettare altro, alzò il mento e mi ordinò di mettermi in marcia per staccarci dal gruppo. Ahdeniel fu il primo ad eseguire i suoi ordini, l'aciniti gli aveva bloccato il sangue, però aveva lasciato un forte olezzo nell'aria e i Demoni lo avrebbero fiutato una volta entrati. Il sangue degli Elfi aveva un odore dolce, simile a quello del mondo antico, quello perduto da millenni.

Aurelion camminava a stento, la ferita alla gamba peggiorava passo dopo passo e rigettai l'idea di proporgli di tornare indietro. La cosa migliore era andare dalla Strega e sentire il suo consiglio, sapeva ogni cosa del regno già da prima dei re attuali e a mio parere avrebbe visto molti altri successori. Ero conscia che avrebbe screditato l'ipotesi di tornare a corte e farsi medicare, sarei andata da sola, conoscevo la strada e altrettanto bene il carattere del re.

«Come fa a conoscere Nergal?» mi domandò Aurelion, premendo una mano sulla lacerazione aperta sulla coscia. «Lo ha servito?»

Ridacchiai stupidamente. «La Strega delle selve serve solo se stessa, stupidino» esclamai giocosa. Presi le poche foglie di aciniti rimaste dalle pieghe della gonna e Aurelion ammutolì. «Dovresti metterle sopra la ferita. Bruciano un po' solo al momento.»

«Resisterò» negò deciso.

«Fifone» biascicai tra i denti.

In base a ciò che ricordassi, non avevo mai portato un ospite alla Palude di vetro, a parte Celestia, quando era ancora umana. Certo, una volta Calex mi aveva seguita per curiosità, e aveva pestato un grosso pezzo di vetro che gli si era piantato nel tallone e si era ferito. Aveva giurato che qualcosa lo avesse spinto e dopo di ciò non ci aveva più messo piede. Decisione saggia. La prossima sarebbe stato il suo collo.

Le fatine all'ingresso della Palude urlavano in acide e acute vocine, ci aspettavano e il vento rischiava di portarsele via. Il castello era una punta lontana, uno spillo di luce, e c'era un silenzio spettrale, rotto solo dai cocci di vetro che cozzavano sul fiume.

«Attento ai vetri, qui è tutto... rotto» lo avvertii. Saltai su un masso pieno di muschio e scivolai, facendogli prendere un accidenti. «Ci vengo da anni, non farti crucci, lo conosco come se fosse casa mia.»

Saltò dietro di me, composto, guardando la desolazione della vita in quei luoghi perduti sia di benedizioni sia di attenzioni. Affondò uno stivale nella melma e mi trattenni dal ridere, invece alcune pixie lo presero in giro e gli tirarono delle pigne. Le driadi sbucavano dal pelo dell'acqua, avvolte in edere, alghe e una poltiglia che rendeva le loro pelli verdi. Quando videro Aurelion si immersero del tutto.

«Cosa è successo in questo posto?» domandò con il cuore affranto.

«Questo è lo sconforto generato dagli umani, sire» gracchiò la voce della Strega delle selve «e degli Elfi.» Se ne stava seduta su un tronco, minuta, con un cappotto fatto di foglie e le dita impolverate. «Una volta questo fiume portava all'estremità del regno, risaliva le insenature, percorreva i campi e si immergeva nell'oceano. Poi però i regni si sono divisi e questo posto è diventato questo, una discarica ignorata dal mondo, che lentamente ci avvelena.»

Una driade fece una bolla nell'acqua, questa esplose e le imbrattò la faccia. Una fatina volò accanto alla Strega e lei ci fece cenno di avvicinarci. Nessuna delle creature in quei luoghi guardò con invidia o rabbia Aurelion, tanto meno fu intimidita dalla corona presente sulla sua testa. Non si inchinavano a nessuno.

«Alla corte nera le cose non sono andate nel verso giusto» disse la Strega.

«No» affermai. «Sono quasi morta. Siamo vivi per miracolo.»

«E il cavaliere del re oscuro ti ha salvata.»

Lei annuì, mantenendo quello sguardo torvo, dopodiché lo spostò su Aurelion. «Perché hai portato il re tra noi? So bene della tua proposta e del guaio in cui ti sei cacciata, Nico. Il tuo problema è che pensi troppo poco e agisci troppo. Ti avevo messo in guardia dagli intrighi, dagli uomini!»

Alzai gli occhi. «Che importanza ha» sbottai. «Nergal ci ha detto cosa voleva fare. Ci ha usati per il suo tranello. Ha finto di darmi libertà e importanza quando mirava solo al potere che custodisce Cel in sé. I sovrani dei regni sono guardiani della fiamma perduta dell'oracolo e Nergal le ha usate per richiamarlo. Voleva usarlo per condurre i regni in battaglia e sovrastare il genere umano.»

La Strega si grattò il mento rugoso. «Il re è morto e il cavaliere ha preso il suo posto.»

Aurelion fissò la vecchietta, sbalordito e io feci fatica a digerire le parole. Rines il nuovo re del regno delle Ombre. Sembrava una tragica favola. A pensarci meglio era la cosa migliore da fare, altrimenti il piano si sarebbe disintegrato in fretta: qualcuno doveva prendere le redini e Rines era pronto a spargere sangue per ottenere il titolo. Se c'erano stati contendenti al trono erano già morti.

Una fatina volò tra i capelli di Aurelion e canticchiò un motivetto lugubre sul nuovo re del regno nero, un uomo dall'armatura argentata, capelli di grano e occhi di ghiaccio.

«Le notizie viaggiano in fretta da voi» ammiccò Aurelion con voce sospetta. «Non ho alcuna intenzione di essere il benvenuto qui, antica madre.»

Si avvicinò e pensai al peggio, così come i guardiani e le creature che circondavano il fiume paludoso. Si inginocchiò e la Strega ne riconobbe la fatica, studiandogli gli occhi bramosi di pace, il viso sporco di terra e le mani e i vestiti di sangue. Guerre come quella erano inutili, doveva saperlo meglio di me.

«Rispetto il tuo territorio e le creature magiche che lo abitano, voglio solo assicurarmi che tu sappia quale sia il prezzo di questo. Ogni libertà ha un costo da pagare, così ogni dono ha un fardello. Ho visto troll, ghoul e mostri gioiosi di poter marciare contro gli umani. I re servono anche a questo, a dominare sugli impulsi che animano i cuori degli stolti.»

«Al diamine gli umani!» ringhiò una driade con i capelli unti e gli occhi neri. «Guarda cosa ci hanno fatto. Io una volta ero bellissima, la più bella del regno e guardami ora, mio re!»

«Lasciamo che gli umani soffrano!» si accodò la sorella.

«Come hanno fatto soffrire la natura!»

Ero sbalordita. Non avevo mai sentita nessuno di loro parlare con tale disprezzo del mondo umano. Mi permettevano di varcare i loro confini perché avevo un po' di sangue magico, per nessun altro motivo. Avevo creduto di conoscere le creature solitarie senza padrone, avevo anche considerato di andare a vivere in quei luoghi e poter giocare per sempre e ora tutto era mutato. Erano estranee.

«Quindi siamo noi contro di loro» semplificai.

La Strega scosse il capo. «Temo che non sia così semplice, il piano che Nergal ha tessuto è molto più delicato e... pericoloso» raccontò e, lontano, si sentì Cel fischiare. Gli uccelli volarono via udendo quei suoni lugubri. «Sapete già della creazione del nostro regno, delle brutali sevizie che le creature magiche hanno passato sotto l'influenza del mondo umano e la storia dell'oracolo, di come è discesa dal cielo e ha cambiato le sorti dei regni elfici.»

Aurelion affilò lo sguardo. «Come fai a sapere certe cose?»

Gli feci un veloce cenno di zittirsi e la Strega prese la sua curiosità come una burla gentile. «Sono abbastanza vecchia, sire, per poter giudicare. La mia intera esistenza si lega a questa terra e finché avrà vita io esisterò di conseguenza. Vedo con chiarezza la fine di ogni cosa e quel puntino si sta avvicinando» rispose pacata, grattandosi una mano. «Nergal voleva spingersi molto più il là del conflitto umano. La magia che infetta questi territori è ancora presente ed è legata ai successori. So che la vedi.»

Aurelion guardò dritto di fronte a sé e nel suo sguardo potei vedere una figura ammantata di energia, una bellissima donna che discendeva dalle nuvole e plasmava la sua magia quasi fosse materia organica. Molto spesso Aurelion vedeva l'oracolo.

Lui annuì.

«Quelli che vedi non sono sogni, sono altri universi» fece lei e le driadi si spostarono, distanziandosi da quegli argomenti spinosi. «L'intero universo è fatto di linee continue, sentieri, labirinti e tutte sono storie, vite parallele. Si sfiorano senza mai toccarsi, creando filamenti di conduzione vitale. Ciò che a volte sogniamo sono i ricordi di noi stessi in un altro universo, siamo uno il riflesso dell'altro all'infinito. In uno di quelli tu, Nico, saresti potuta essere regina del regno delle Ombre insieme a Nergal, accettando le sue proposte, e tu, signore mio, potresti essere perito in quell'attacco» ridacchiò.

Le lanciai un'occhiata tagliente e Cel, dietro gli alberi, ululò feroce. La Strega guardò oltre le fitte chiome e si rabbuiò. La sua voce era potente.

«L'oracolo proviene da uno di quegli universi, per questo la sua magia ha attecchito così nel profondo. Gli dei sono unici, senza riflesso alcuno e la loro magia è singola, è un tessuto molto complesso da sciogliere.»

«Ha creato un legame» boccheggiò Aurelion. «E Rines non vuole muovere un singolo esercito contro gli umani, vuole attirarne altri in questo mondo in modo tale da sconfiggere gli ostacolo, Esercito, Demone, Angelo e città che siano. Conquisterà i regni elfici degli universi in cui andrà per insediarsi come sovrano.»

«Usa il potere delle gemme come una finestra per attraversare i mondi» continuai. «Ma perché? Chi dice che non troverà un altro sé o un altro Aurelion che lo blocchi?»

La Strega emise una goffa risatina malefica e il re pensò mesto. «Perché avrebbe Celestia. Come noi siamo delle semplici varianti, anche Celestia in molti altri luoghi è quel che è, cioè un Demone. Conta di poterne soggiogare il più possibile e il resto...»

Mi tastai la gola. «Che succede se si va in altri universi?» domandai in panico.

La vecchietta alzò le mani, agitandole in modo confuso. «La fine, Nico! Caos! Confusione! La linea che divide la realtà si assottiglia e se diventa troppo fine il caos che comprime e divide gli universi li spazzerebbe via. Quell'oracolo è solo un dio che abita un mondo lontano e che è stato richiamato, forse aveva già dei legami con questo mondo. Il vecchio re ha solo...»

«Suonato la campana» terminò Aurelion. «Dobbiamo fermare Rines prima che l'oracolo venga di nuovo qui, o tutto sarà perduto. Se trova il modo di entrare in altri universi sarà la fine!»

«Questi sono i capricci di un re che si crede buono» si intromise la Strega delle selve, accarezzando il tronco con le lunghe unghie ingiallite. «Come ti ho detto, forse in altri universi le cose sono diverse. Rines potrebbe trovare qualcuno di più potente, un alleato. Può essere che tu non sia mai esistito in uno di essi, che lui regni già sovrano e stia tendendo la mano verso il suo compare qui.»

Mi presi la testa tra le mani. «È troppo difficile!» mi lagnai. «Sono brutte cose. So solo che dobbiamo impedirlo.»

«Chiunque abbia preso le gemme in mano ha già emanato l'onda. Se l'oracolo l'ha udita verrà» disse la donnina anziana.

«Come lo sai?» domandò guardingo Aurelion.

«L'ha già fatto una volta. Se davvero volete fermare tutto, assicuratevi di tagliare il legame che la tiene imprigionata in questo universo o sarà vano. Tenete lontani i mondi o finirà molto più di un regno questa volta» ci ammonì. «Hai trovato una risposta alla tua domanda, finalmente? Hai capito, Nico, oppure intendi guardare da un'altra parte di nuovo?»

Mi grattai un braccio e Aurelion mi sfiorò la spalla con le dita. Un gesto gentile che non sfuggì a nessuno dei presenti. Ripensai a Cel e feci anche un piccolo pensiero a tutte le Nico sparse nella vastità del creato, di sicuro c'era una tra le tante che aveva visto la sorella morire e tramutare in un orribile Demone sanguinario. Magari lei avrebbe accettato di seguire Nergal per disperazione.

Cel camminò intorno alla zona del fiume, sempre con più potenza.

«Ci stiamo separando» sillabai in un rantolio impaurito. «Perché io ho scelto di andare avanti. Nergal voleva uccidermi per spezzare il legame, dubito che possa funzionare. Una volta credevo anche io funzionasse così, Cel mi teneva in vita quando... ora so che era lei a tenermi ancorata al passato. Devo liberarla.»

La Strega annuì con aria saggia. «Questo è il tuo universo, Nico, e tu sei tu. Proteggilo. Prenditi cura di lui e allo stesso modo lui avrà cura di te. Lascialo all'odio e avvizzirà come un debole fiore nel deserto. Rines sta giocando con un potere che non comprende, che va ben oltre l'oracolo.»

Avevo una vaga idea a chi si riferisse e Aurelion tremò.

«Dio» dissi.

«Gioca ad un gioco a cui non gli è concesso partecipare. Libera il nostro modo dalla maledizione o lascia che Rines prosegua. Magari vedrò la nascita di un altro universo, in base alla tua scelta!» gioì a bassa voce. «La storia deve pur iniziare da qualche parte, no?»

Mi allontanai in fretta, turbata, con mille pensieri che mi vorticavano in testa. Avevo sempre saputo, in fondo al mio cuore, quale fosse il destino di Cel e cosa fare per aiutarla davvero. Spezzare la maledizione era l'unico modo. Fino a quell'istante il pensiero di separarmi da mia sorella, di immaginare una vita senza di lei, mi faceva contorcere le budella. Ora avevo capito che fosse la cosa giusta da fare, che sebbene mi avrebbe fatto soffrire mi avrebbe aiutata.

Mi bruciava la gola al solo pensiero. Era stata colpa mia se Celestia era rimasta ancorata al mondo terreno, colpa mia se l'Esercito aveva visto un grosso Demone aggirarsi nel loro dominio e sentivo il peso delle vite che lei aveva strappato. Erano solo carne e sangue, mi dicevo, che Cel fosse un animale qualsiasi che doveva cacciare per nutrirsi. Me lo dicevo per ignorare il dolore che si lasciava alle spalle e che insozzava il regno elfico.

Non era colpa sua.

Falciavo l'erba a grandi passi, dimenticandomi del resto.

Aurelion mi seguiva zoppicando. «Nico, fermati! Aspetta!» mi implorò.

Feci come detto. Mi fermai appena fuori il territorio paludoso, appena la puzza fu scomparsa e l'aria fu di nuovo intinta di umidità, muschio ed erba bagnata.

Mi raggiunse e mi scaldò le spalle con le mani, sfregandole. «Stai tremando.»

«Sono arrabbiata» mi giustificai, prima che mi dicesse che fossi spaventata o turbata. «Abbiamo tante cose da fare e io mi sento come... se non avessi tempo! Ho appena scoperto che la mia esistenza può non significare niente, come il nostro intero popolo, che potrebbero esserci tantissimi finali e altre morti.»

Rimase in silenzio per un attimo. «E non ti fa sentire meglio? Siamo polvere nel mezzo del turbine dell'universo, siamo solo noi stessi e al contempo siamo tutto. Non devi portare il peso del mondo sulle tue spalle. Come ti dissi, tu sei il mio mondo e basta.»

Per un po' mi sentii effettivamente meglio, l'idea che ci fosse altro, che tutto fosse destinato ad un percorso prestabilito, mi fece avere una certezza. L'oracolo era venuto per un motivo e faceva parte di un disegno intricato. Là fuori, nell'immensità, c'erano centinaia di altre Nico che stavano combattendo con tutte le loro forze e mi importò di loro. Di ognuna di loro.

Abbassai le spalle e sfiorai il volto di Aurelion. Aveva una ferita sulla guancia e della cenere ovunque. Mi guardò con occhi rassegnati, il suo tono era tranquillo.

«Perché sei rimasto?» chiesi.

«Intendi dire che devo andarmene?»

«No, intendo dire perché mi hai seguita. Perché ti ostini a salvarmi.»

Mi attirò a sé bruscamente, stringendomi in un abbraccio. Mi tenne stretta senza parlare e io mi abbandonai al suo calore, all'odore del miele misto al sangue, alle gocce di sudore sul collo roseo.

Fece un profondo sospiro, incoraggiandosi a parlare. «Sono qui perché sei gentile, dolce e coraggiosa» mi rispose a bassa voce. «Ti salverei se diventassi un Demone e scenderei con te all'Inferno per riprendere la tua anima dalle mani di Kiral, la grande sovrana della Morte. Sei il mio destino, Nico e ti seguirò ovunque. Sono qui con te perché voglio esserci e tu più di altri meriti di essere salvata.»

Orfeo alla fine aveva perso la sua amata per impazienza ed era morto dandosi la colpa. C'era un senso in ogni favola e chi cresceva nel regno elfico credeva in tutte le storie raccontate all'orecchio.

Alzai lo sguardo e mi appoggiò il mento sulla testa, schiacciandomi i ricci e ignorai alcune risatine delle fatine nascoste nel buio. I loro occhi gialli e verdi fluorescenti emergevano da cespugli di rovi, agitandosi come moschini.

«Scenderò in battaglia» affermai. Mi tirò di nuovo a sé. «Combatterò fino alla morte come un cavaliere. Il mio destino è questo.»

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