XV

La festa durò tutta la notte e cominciai a perdere il conto delle ore appena l'aria al villaggio diventò dolce, sommersa dall'aroma dell'idromele. Ballai per tutto il tempo, finché i miei piedi sorressero il corpo, e mi divertii. Mi muovevo senza pensare, seguendo i movimenti del re, diventando una specie di bambola sotto le sue mani. Gli Elfi ballavano a ritmi incalzanti, scandendo le cadenze con la testa, senza preoccupazioni e ubriachi. Tantissimi spiritelli vennero ad ammirare la festa restando da parte, quasi impauriti dal chiasso e le luci, tra fatine alate, folletti alti come uno spillo e pixie dai denti a punta.

Mi svegliai tra le braccia del re, il quale era a cavallo, diretto verso il castello reale. Mi sorreggeva con una mano e con l'altra teneva le redini, il mantello mi copriva le spalle nude ed ebbi un brivido. Mi dedicò un'occhiata stanca, stranamente soggiogato.

«Ti sei seduta cinque minuti e ti ho trovata addormentata. Dei bambini ti stavano facendo le treccine ai capelli» scherzò sottovoce. Accanto a lui gli facevano da scorta tre cavalieri dall'armatura bianca. «Ho voluto lasciarti dormire un po', mi sembravi esausta.»

«Forse è perché mi avete incantata» aggiunsi con la voce impastata. «In un modo o nell'altro, voglio ballare con voi più spesso» puntualizzai con un sorrisetto.

Dormii ancora un po', cullata dal rumore degli zoccoli e dal brusio dei soldati alle nostre spalle. Ahdeniel e Nergal erano scomparsi, presupponevo fossero tornati a casa propria, nel regno delle Ombre. Gli Elfi neri odiavano restare nel regno della Luce troppo a lungo, una vecchia storia narrava che la magia legata all'oracolo li respingeva e indeboliva; Nergal voleva solo starmi lontano.

Scivolai giù da cavallo appena arrivammo, dondolando. Avevo freddo, c'era un'arietta fredda in cima alla collina e il regno era ammantato dalle tenebre. Era una notte piena di stelle e la luna era a tre quarti, gialla quanto un limone. Restai ad ammirarla alcuni minuti, fino a quando mi accorsi di avere il re al mio fianco, in silenzio.

«Le vostre stanze» disse un cavaliere «sono pronte. La nobile Calanthia mi ha detto di riferire che vi ha lasciato dei presenti.»

«Sarai stanca» cominciò il re. «Lascia che ti accompagni.»

Annuii e zampettai al suo fianco. Corte era deserta a quell'ora della notte, sentii il marciare di alcuni cavalieri nei corridoi più percorsi o nei giardini, intenti nei loro giri di ronda. Anche in quella situazione, dopo essermi aggiudicata un titolo onorario, mi sentivo presa di mira, circondata di intento omicida. Cel avvertiva chiaramente quelle onde che per me fino a quel momento erano stati vaghi cenni o cambi minimi di espressione, fu quasi alla pari di ricevere uno schiaffo sul volto. Il re nero mi detestava e Rines voleva uccidermi.

Osservai con più attenzione i disegni sui muri, quei rilievi di montagne, mari, alberi e persone che scalavano quel mondo deserto, dominandolo. Era una lunghissima striscia continua con quelle raffigurazioni di guerra, circondate da intrecci che continuavano sulle colonne.

«È la nostra storia» confabulò il re Aurelion, notando che stessi ammirando le incisioni.

Ci passai il dito sopra, assaporando la consistenza. Sapevo molto poco della storia degli Elfi, mia madre da piccola mi raccontava delle storie e arrivata dai miei zii era troppo tardi per farmi mandare a scuola. Ci avevano provato, per alcuni giorni e mi addormentavo sempre.

«Questo era il regno degli Elfi. Eravamo un popolo unito, ricco di cultura, arte, innovazione e bellezza. La Terra era il nostro mondo, non c'erano confini e vivevamo in armonia con gli esseri viventi, la terra e le acque. Gli Angeli e i Demoni si assicuravano di mantenere l'equilibrio. Tutto cambiò quando vennero gli umani. All'inizio gli Elfi li accolsero come pari, insegnarono loro a cacciare per nutrirsi, ad avere rispetto e a creare per imparare.»

Guardò i disegni e il suo sguardo si fece malinconico, distante. L'inizio della storia raffigurava un singolo uomo, molto più piccolo rispetto agli Elfi antichi, i quali gli stavano donando dei frutti come omaggio.

«Gli umani però erano un flagello che si propagò come un incendio, veloce e distruttivo. Ancora prima di capire l'errore, gli Elfi vennero esiliati, braccati come bestie e costrette all'esilio; crearono armi, innalzarono muri e inventarono diversità inesistenti pur di separarsi. Quello fu il vero massacro, Nico, la frattura che diede il via alla fine. Molte creature provarono a lottare, volendo riprendersi le loro terre per vivere di nuovo in armonia, ma non fu abbastanza. Allontanarono la magia, noi, e ci dimenticarono.»

Proseguendo avanti vidi numerose scene e furono di egual bellezza, ricche di armonia: gli umani e gli Elfi ballavano insieme, si scambiavano regali, fino a quando senza un motivo un gruppo di uomini alzò le armi e le impugnò contro Elfi disarmati, costringendoli alla fuga.

Coloro che venivano da fuori avevano definito "tempi bui" l'esilio degli Elfi dal mondo originario, da quando la magia era scomparsa dal regno greco gli umani ci avevano allontanati e, già con l'arrivo romano, eravamo rimasti poco più della metà.

Vidi il regno in cui i nostri antenati si rifugiarono, un piccolo pezzetto di terra bagnato dal mare e immerso nelle alte colline, nascosto da madre natura. I protagonisti divennero due Elfi uguali, uno raffigurato di bianco e l'altro di nero, entrambi puntavano la spada contro l'altro fratello.

«Durante il Primo Ciclo, vennero due re di egual potenza e di contesero la corona. I regni vennero divisi e l'equilibrio venne spezzato. Un nostro avo evocò un potere che non conosceva abbastanza, convinto di poterlo sottomettere per usarlo contro gli umani e sovrastare l'altro regno. L'oracolo si unì alla battaglia e cambiò il corso della storia, ascoltò i lamenti della nostra gente e spinsero gli umani oltre il confine. Creò la brughiera, un labirinto magico in grado di intrappolare chiunque avventore avesse cattive intenzioni. I campi tornarono rigogliosi, l'acqua divenne pulita, i frutti vennero colti in maggiore quantità. Il prezzo fu la vita di molti Elfi. Della creatura rimasero solo dei frammenti» commentò, sfiorando il ciondolo verde al collo.

La portava sempre con sé quella collana, nascosta dal colletto, e ci giocava nei momenti di nervosismo. Era la stessa pietra che avevo visto nel dipinto nella corte oscura, indossata sia dal precedente re sia regina.

L'ultimo frammento della storia era dedicato all'oracolo stesso. Teneva le mani giunte e tutt'intorno al regno vennero sorte alte mura naturali, alberi senzienti, con cuore e orecchie, e gli Elfi si chinavano con devozione.

Svoltai l'angolo, sperando di trovare un continuo e restai inebetita nel scoprire che nessuno aveva mai raccontato oltre. Da quando il primo re del regno della Luce aveva richiamato a sé l'oracolo il nostro mondo era mutato, erano sorte diffidenze maggiori tra i regni, disagi, inasprite dai genitori di Aurelion e Nergal.

«Sarebbe dovuto essere un momento sacro della nostra storia, un avvenimento in grado di farci maturare. Al contrario fece fomentare l'odio e i regni si contesero il rimasto potere dell'oracolo. Le due gemme furono prese dai re, custodite con avidità. I miei genitori ne sono stati macchiati, hanno dato il via ad una guerra solitaria per prendere la corona dell'altro. Ho giurato a me stesso di non fare il loro stesso errore.»

Ebbi un singulto. «E se vostro fratello provasse a... se volesse...»

Scosse il capo. «La gemma è legata al regno da moltissimi secoli, come la foresta lo è all'oracolo. È un legame che non si può spezzare. La gemma gli è stata sottratta durante lo scontro, mio fratello ha provato a cercarla senza successo. Il suo cambio di umore è dovuto al fatto che il regno delle Ombre crede che la nostra terra sia stata benedetta e guardata in modo diverso dall'oracolo. Ci invidia.»

«Ma è falso!» esclamai.

«Vero, però se vivessi in povertà vorresti trovare un colpevole.»

Strinsi le labbra. Davo la colpa al Nido per avermi portato via tutto e mi domandai se fosse lo stesso. Anche mettendomi dal loro punto di vista non riuscii a comprendere come la morte di persone innocenti potesse essere equiparato al concetto di sicurezza. Cosa c'era di pericoloso in mio padre, un uomo che aveva scelto l'amore di un'Elfa e quello delle sue figlie?

«Come loro, anche il mio popolo pensa cose false degli Elfi del regno nero. Ho percorso per molto tempo quelle terre, molti di loro vogliono solo sopravvivere, trovare la pace, e non gli è concesso. Nergal punta all'odio» parlò piano, temendo che ci fosse qualcuno appostato negli angoli bui a spiarci. «Un tempo eravamo uniti dal legame della terra, da ciò che ci rendeva fratelli, e da ciò che rendeva il nostro popolo tale.»

«Questa è storia antica» marcai.

«Non dovrebbe. La storia ci insegna che se i regni non inizieranno a fidarsi l'uno dell'altro di nuovo, ci sarà un'altra guerra e gli Elfi sanno che sarà, con tutte le probabilità, l'ultima. Questo non è il mondo che voglio.» Abbassò il capo deluso. «Di certo non per te. Il mondo deve diventare quello che era un tempo e qualcuno deve fare il primo passo.»

«Ho sentito come parlate dei vostri genitori. Cosa vi hanno fatto?» domandai. Affilò lo sguardo restio e io mi avvicinai, sfiorandogli il polso con le dita. «Potete parlarne con me. Voglio sentirvi. Ascoltarvi.»

«I miei genitori si sono sposati per generare eredi, erano entrambi di sangue reale e, entrambi, miravano al potere che l'altro custodiva. Vivevano vite separate, mio padre nel regno della Luce e mia madre in quello dell'Ombra. Io e mio fratello abbiamo vissuto distanti per molti anni, crescendo con valori opposti. A Nergal piace il sangue, proprio come mia madre. Mio padre teneva più al suo trono, alla corona, che alla sua famiglia. Hanno tentato di uccidersi molte volte» raccontò con voce piatta, distaccata per ovvi motivi. Quei ricordi erano dolorosi. «E mia sorella... mio padre la odiava perché le ricordava nostra madre e lei la ignorava. Non troverai alcun ritratto a corte di lei nell'infanzia. È stata la loro punizione nei suoi confronti.»

Mi appigliai ai miei ricordi e i volti sereni dei miei genitori mi fecero tornare serena. Ero cresciuta amata e piena d'affetto da delle persone che non avevano niente in comune, tuttavia si erano amati alla follia. Mio padre era pronto a dichiarare guerra al Nido per proteggerci e mia madre ne era altrettanto per abbandonare il suo posto nel regno. Se l'amore fosse stata una questione d'affari il mondo sarebbe stato un luogo lugubre e triste da molto tempo.

«Anche lei è stata maledetta» sentenziai. «Credevo di essere sfortunata a vivere in questo modo, ora credo di aver avuto molto più di molti altri. Se la vita è equilibrio dovevo immaginarlo che la mia felicità sarebbe scomparsa. Magari, il futuro ci riserverà la pace che voglio.»

Mi sorrise teneramente. «Non è da te struggerti per queste cose. Dovresti festeggiare. Non sei obbligata a seguirmi, se ti senti più a tuo agio posso ordinare ad una ninfa di prepararti una stanza da parte» ipotizzò.

Scossi energica il capo. «Voglio stare con voi. Dobbiamo festeggiare, no? Vi siete accaparrato un'ottima donna!» vaneggiai. «Se per voi non è un problema.»

«Tu sei un mio problema, ma è un problema che desidero. Sei ciò che ho adesso.»

Appoggiai la testa sulla sua spalla e mi pettinò i ricci sulle spalle. Mi sentivo fiduciosa, beata e avrei combattuto per tenere ciò che avevo trovato. Non avrei perso una seconda volta.

Capii alla fine che mi stesse portando verso le sue stanze private. Aprì la porta con una chiave d'argento e mi fece entrare per prima. Rimase ad osservare il mio giudizio per quel mondo che pochissime elette avevano visto; l'ala privata si affacciava direttamente sui giardini interni e in quella stagione erano uno splendore, la camera si trovava ai piani superiori e dal balcone si riusciva a vedere fino alle montagne, quasi al confine se uno strizzava gli occhi. C'erano libri ovunque, sui tavoli e riempivano gli scaffali della libreria che toccava il soffitto altissimo. Su una delle pareti c'era un grande arazzo che raffigurava l'oracolo, una bellissima donna con il viso minuto, gli occhi azzurri e lunghissimi capelli biondi. Sulla destra, a lato, c'era un piccolo bagno privato e accanto al balcone si trovava un letto a baldacchino con tende e cuscini bianchi e azzurri.

«C'è qualcosa che ti turba?» mi domandò.

La camera era esattamente come me la immaginavo, luminosa grazie al lampadario a bracci che pendeva dall'alto come un moncherino, e ricolma di tomi. Tutt'intorno c'era il suo odore, quello di fiori e miele.

«Posso avere un momento per me?» gli chiesi timida e lui alzò un sopracciglio biondo.

«Certo, fai pure. Io vado a rinfrescarmi. Credo che durante la festa dei bambini si siano divertiti a lanciarci addosso polvere di fata. Mi sento appiccicoso» si scusò, fece un leggero inchino per congedarsi e andò nell'altra stanzetta.

Girovagai in giro e sfiorai con le dita uno dei vestiti del re, accuratamente posato su uno schienale. Sentii un grugnito familiare, Cel era alle mie spalle, curva su se stessa, con gli artigli vicini al petto. La sua aura era intinta di risentimento e astio, di sicuro anche verso di me. Si trovava in un luogo mai visto, solitamente si sarebbe impaurita o sentita smarrita, eppure la sua rabbia per essere stata incantata e ignorata era più alta del solito.

«Guarda, da qui si vedono le montagne! Ti ricordi quando ci siamo andate e alla zia è venuto un infarto?» Lei mi fece il verso, facendomi rimanere di sasso. «Che hai, vuoi che ti chieda scusa? È per questo che la mia sorellina mi ha messo il broncio?»

"Cel arrabbiata! Nico aveva promesso di stare con me. Sempre. Ora cuore batte sempre di più per... lui" ringhiò, usando quel "lui" come un disprezzo. "Hanno incantato me. Fatto male!"

«Oh, dai, lo ha fatto anche con me e io sono viva e vegeta. Non fare la bambina.»

Batté la zampa sul pavimento e fece cadere dei libri, evitando di guardarmi. Il suo sistema immunitario funzionava in modo diverso, poteva bere acqua ricca di calcare, sporcizia e ferro, mangiare bacche velenose e ignorare i danni agli organi interni. Una parte di me voleva scoprire cosa nascondesse dentro il suo corpo, come mai la sua pelle fosse così dura e il suo occhio vedesse al meglio nell'oscurità.

"Male!" si indignò. "E a Nico piace un uomo! Uomo cattivo!"

«Il re non è un uomo cattivo» rettificai fuori di me. «È buono, premuroso e gentile.»

"Anche Cel lo è! Cel è buona, prermu... presmu... premu... rosa e gentile."

Trattenni un sospiro stanco. Era difficile spiegarle la differenza tra una maledizione, un essere demoniaco, e una creatura vivente. Mi sentii quasi rabbiosa per il fatto che mi stesse giudicando, perché non volesse lasciarmi almeno una cosa tutta per me. Non capiva i miei sentimenti, l'amore, l'amicizia e la sincerità che dimoravano nel mio cuore; comprendeva solo la solitudine, la nostalgia e il rancore, i quali per anni mi avevano avvolta come una manta. Lasciare scorrere quei sentimenti significava mettere una pietra sopra alla morte dei miei genitori e a lei stessa. A Cel non stava bene.

Il re corse da me ed ebbe un sussulto appena lei si voltò e lo inquadrò in un ringhio sinistro.

«Devi controllarti, Celestia» le ordinò gelido. Cel emise un urlo strozzato che tradussi come "non dirmi cosa devo fare" e borbottò cose insensate. «Nico.»

«Va tutto bene, è solo per le sue perché un incantesimo l'ha messa al tappeto!» esclamai e le saltai addosso, aggrappandomi al suo collo massiccio.

A malapena riuscivo a toccarmi le dita delle mani e Cel rimase immobile, con il re che cominciò ad ansimare impaurito.

«Ahh!» fischiai. «Sono così dispiaciuta, lo senti il mio profondo rimorso? Non senti quanto ti voglio bene? Perdonami, Cel!»

Si alzò su due zampe e io rimasi appesa, ridendo. Massimizzai la presa e feci finta di strozzarla, anche se con la sua pellaccia indistruttibile era impossibile farle del modo in quel modo. Mosse dei passi, andò sul balcone e si sporse fuori. Gettai un'occhiata sotto i miei piedi e vidi il vuoto, era un volo di oltre cinquanta metri e mi sarebbero esplose le viscere.

Emisi un urletto terrorizzato e il re corse verso di me, aprendo le braccia.

«Celestia! Ora basta!» sbottò.

«Ah! Non faresti mai del male alla tua adorata sorellina, vero?» boccheggiai e, per un singolo secondo, Cel rimase in silenzio.

Barcollò indietro in una risata di scherno e mi riportò sul balcone. Avevo le braccia tremanti e appena posai i piedi a terra ebbi un mancamento per la paura. Mi sentivo sudata.

«Incosciente!» la rimproverò e Cel alzò le spalle. «Potevi farle del male, farla cadere per sbaglio, ci hai pensato? Nico non è un giocattolo!»

Il bestione crollò su di me e venni sbalzata a terra, sotterrata dalla sua testa gigantesca. Respirò beata e stetti così per un po', fino a quando guardò il re scuotere la testa e mi lasciò andare.

"Nico forte" disse per dargli torto. "Nico fortissima."

Con un salto avrebbe potuto percorrere delle leghe, balzare fino alle cavi senza alcun danno, mentre a me avrebbe rotto di certo molte ossa. Era lei quella con i muscoli d'acciaio, le ossa rinforzate e la pelle di diamante, io ero un sacco di carne e sangue e lo capì dallo sguardo pieno di preoccupazione e terrore del re. Le mani del re tremavano e aveva il volto pallido, bianco come la luna.

«Qui ci penso io, Celestia. Puoi andartene» ringhiò in difesa il re.

La frase sembrò ricordarle qualcosa. Io, meglio di lei, la ricondussi a mio padre. Ad ogni problema, pensiero e incertezza ci pensava lui. Quando avevamo fame cacciava prede fresche e, di ritorno da alcune missioni, ci portava addirittura dei dolci dal mondo umano. Ottimi. Specie quelli al pistacchio, così li aveva chiamati.

L'uomo mi aiutò ad alzarmi. Notai in quel momento che fosse scalzo, la veste appena aperta sul petto scolpito, duro. Gli guardai la linea definita del mento e la curva spigolosa delle clavicole.

«Nico è al sicuro. Con me, almeno, lo è. Sicura che lo sia allo stesso modo con te? Riflettici un momento» continuò.

Cel emise uno dei suoi "auuun" delusi e lo sforzo fu troppo grande per lei. Era difficile per lei distinguermi dalle altre cose, mi considerava una sua proprietà, una parte di lei e allo stesso modo ero fatta. Vedere le cose dal suo punto di vista era complicato.

"Cel non voleva fare del male a Nico!" si scusò.

«Lo so, era solo preoccupato. Anche il re sapeva che non avevi quelle intenzioni, era un gioco» la difesi.

"Gioco" ripeté poco convinta. "Brutto gioco!"

Studiò le cicatrici e le botte che avevo sulle gambe, per la maggior parte erano vecchie, rosate, e si ricordò di quel liquidò rosso che mi usciva ogni qualvolta cadessi o mi facessi male. Sapeva che fosse collegato al dolore e che fosse una cosa brutta.

Alzò un braccio e tentò di graffiarsi per tentare di farsi del male, sperando di vedere lo stesso sangue uscirle dal corpo. Gli artigli le graffiarono la pelle senza alcun danno, lasciandole il dubbio e il rimorso.

'Auuuun. Cel è diversa.'

«Sei sempre mia sorella, Cel, e ti vorrò bene qualsiasi cosa accada.» Inquadrò il re, sfidandolo e io mi misi in mezzo. «Questo, però, non sono disposta a lasciartelo. Cel» misi in chiaro «questo è il mio territorio.»

Pensai avrebbe fatto storie, urli o lamentele, al contrario abbassò il capo verso il pavimento e il suo stesso corpo si avviluppò su se stesso, svanendo nell'aria. Sapevo che prima o poi avrei dovuto parlarle a cuore aperto, spiegarle i miei sentimenti e il mio bisogno di prendere le distanze e, allo stesso modo, sapevo che non avrebbe mai capito. E come poteva? Era una maledizione, viveva per i sentimenti opposti.

Mi affacciai al balcone, ammirando quelle terre verdi, rigogliose, pacifiche e la statua dell'oracolo che gettava ombre sinistre per via delle fiaccole lungo i sentieri dei giardini. Oltre al passo pesante di alcuni soldati il mondo era appisolato.

Il re mi soffiò sul collo, piano, e mi fece rabbrividire.

«Dovreste tornare dentro» affermai.

«Dentro dove, di preciso?» ammiccò.

Mi morsi il labbro inferiore. «Siete perverso» scimmiottai. «Credo che mi piaccia.»

«Fa freddo, entriamo.»

Chiuse le finestre alle mie spalle e trassi un profondo respiro, persa. Avevo il cuore in gola e dei brividi lungo tutto il corpo, il mio istinto mi diceva che avessi i suoi occhi addosso e mi sentivo come un animaletto dei boschi, pronto per essere cacciato. In qualche strano modo mi piaceva.

Calanthia aveva adagiato il foulard che mi aveva confezionato Mirra sul tavolinetto rotondo al centro della stanza, un pensiero molto carino. Su di esso c'era la rosa appassita che mi aveva donato Nergal alla gara e, in un punto di timore, mi domandai se fosse nei paraggi.

Presi la rosa e premetti un polpastrello su una spina, pronta a ferirmi. «Un dono di vostro fratello» incalzai. «È stato davvero premuroso.»

«Mio fratello sa essere più rancoroso persino del Principe degli Inferi» disse.

«Avete incontrato il Principe?» esclamai affascinata.

«La sua consorte. Kiral. Una donna forte, di certo poco paziente» tagliò corto. «Fuori dalla brughiera. I Demoni e gli Angeli vedono tutto su questo mondo, a loro è concessa ogni cosa perché sanno di poter essere sconfitti solo dalle creature più potenti. A queste però portano un dovuto rispetto, i Demoni sono molto intelligenti.»

«Onesti, direi» corressi.

Avevo conosciuto molti Demoni lungo il percorso della mia vita, molti di questi avevano assunto l'aspetto di vecchi amici ed Elfi stessi. Le creature viventi erano cattive, ricolme di vendetta ed odio. La differenza era davvero sottile, mio padre agli occhi del regno sarebbe stato il nemico e per me era il miglior papà del mondo. La verità era nel mezzo, credo, in quegli spiragli di penombra in cui era possibile intravedere i suoi pensieri.

Ricordai Moraax, la sua maledizione e la sua vita in catene. Aveva commesso crimini orribili per essere stato esiliato in quel modo e Luik aveva messo la sua esistenza prima di noi. Erano priorità. Divertimento. E noia.

Abbassai il capo e i petali secchi del fiore iniziarono a cadere. Si mossero da soli e delle farfalle aprirono le ali, sbocciando. Si mossero audaci, colme di vita e una di esse mi si posò sul naso, facendomi il solletico. Appena la toccai svanì, diventando polvere.

«La vostra magia...» boccheggiai. «È magnifica. Vorrei saperla usare anche io. Mia madre era bravissima, faceva questi zampilli di luce che facevano impazzire me e Cel. Una delle prime notti dopo la sua trasformazione aveva dato di matto, si era impaurita per qualcosa e io avevo tentato di... fare quella stupida magia. Non ci sono riuscita, così ho preso due sassi e li ho fatti schioccare per produrre quelle scintille. Ho quasi dato fuoco alla foresta.»

Corrugò la fronte. «Te l'ho spiegato, i geni degli Ibridi sono delicati. È un miracolo della natura che tu esista. Molti bambini muoiono da piccoli o i feto cede all'inizio della gravidanza. Se...»

«Questo lo so» dissi subito. «Se solo fossi normale...»

Mi afferrò le spalle, stringendo. «Sei un miracolo della natura, Nico, qualcosa che anche un oracolo non sarebbe riuscito a creare. Sei qui per un motivo e forse sei nel luogo e nel momento perfetto. Tu devi fare parte di questo.»

«Oh, allora vi importa di me. State arrossendo. Siete molto bello.»

Mi passai le mani sulle spalle e mi sfilai il vestito, rimanendo nuda di fronte a lui. Ebbi un brivido e lasciai che i suoi occhi si posassero su di me, fini, mentre il suo volto si tinse di una lieve tonalità porpora. Alzò una mano e la posò su un fianco, tracciando con un dito la forma del seno. Sussultai e il mio stomaco si contorse in una strana sensazione al basso ventre.

«Sono vergine» borbottai imbarazzata. «E voi?»

Gli sfiorai la cinta dei pantaloni e lui mi distanziò, coprendomi. «Non in questo modo» mi riprese senza crudeltà. «Mio fratello mi ha ordinato di consumare questo matrimonio, è convinto fino in fondo che sia un mio trucco per avere un'arma in più nel mio esercito. Teme che sia un mio stratagemma e vuole punirti. Non voglio dargli questa soddisfazione, tanto meno farti immischiare. Potrei farlo, ma non voglio. Non entrerò nel tuo letto. Vestiti, o ti ammalerai.»

Si chinò e mi diede un bacio sulla punta del naso, un gesto affettuoso che persino mia zia faceva ogni mattina. Mi montò una rabbia immensa nel petto, un fuoco pieno di calore e mi salì fino alle guance. Rabbia pura.

Mi voltò le spalle e cercò una coperta. Afferrai uno dei cuscini posati sulle poltrone e glielo tirai sul capo. Scivolò in avanti e si sorresse ad una colonna del letto, scoccandomi un'occhiata stupita.

«Voi!» ringhiai fuori di me. «Osate mettere vostro fratello in mezzo, adesso? Lo usate come scusa?» Gli tirai il cucino e lo schivò. «Vi disgusto a tale punto? Mi avete fatto credere qualcosa e adesso mi guardate in quel modo, preferite dormire in camere separate, in silenzio? Io non sono silenziosa!»

«Non è quello che preferisco» si difese all'angolo.

Presi un altro cuscino e glielo sferrai in faccia, facendolo piombare sul letto. Le piume fuoriuscirono nell'impatto, spargendosi a terra.

«Il solo pensiero di vederti infelice mi fa male al cuore, ti ho resa complice di un gioco mortale...»

Gli occhi mi pizzicarono. «Sono io quella che vi ha imprigionata, quella che ha costretto un re e il suo regno a piegarsi sotto il volere di una ragazza per puro capriccio. Per un misero torneo. Dovevate essere felice, avere una famiglia e io ho rovinato tutto, pensando a me stessa, perché quello stupido pensiero del vostro bacio continua a tormentarmi e mi impedisce di dormire la notte.»

«Essere amato era esattamente ciò che desideravo e l'ho avuto» rispose serio. Presi altri cuscini e lo colpii forte, schiacciandolo. «I doveri sono l'unica cosa che ho dovuto rispettare nella mia vita, verso il mio regno, verso il regno delle Ombre e verso il mondo. Mai verso di me, non ho mai osato pensare di mettere la mia vita sopra quella di altri. Ora l'unica cosa a cui penso sei tu.»

Mi bloccai e inghiottii un groppo amaro. «Siete un bugiardo crudele!»

«Hai detto che sono un bugiardo terribile, ricordi?» Sussultai. «Al mattino mi dai la forza di aprire gli occhi, metti ordine ai miei pensieri e durante la notte mi doni la pace che non ho mai avuto. Come potresti mai disgustarmi?»

Mi preoccupai e gli misi le mani sulle guance. Bruciava. «Avete le guance rosse, state male? Calmate la vostra ira.»

«Non è ira. È quello che succede quando i tuoi sentimenti bruciano intensi per qualcuno.»

«Sentimenti per me?»

Mi guardò come se avessi detto una sciocca barzelletta. «Perché credi che abbia accettato il tuo desiderio senza condizioni, le quali, tra l'altro, mi sono state consigliate? È stato il mio più grande atto egoista quello di tenerti con me!» ribatté, bloccandomi la mano.

Aveva i capelli in disordine, la corona storta e alcune piume sul vestito, sparse tutt'intorno a noi.

«Ho da sempre vissuto nel regno della Luce con mia sorella e mia madre faticava persino a guardarmi, per non parlare di Nergal. Pregavo mio padre di lasciarlo vivere con noi e lui mi guardava e diceva che il suo posto fosse altrove, che doveva imparare a vivere come un Elfo nero. Per un po' cercò di ottenere l'approvazione di nostro padre, poi semplicemente ha accettato la sua vita e si è rifiutato di instaurare altri rapporti. I miei genitori si sono uccisi a vicenda per puro egoismo. Ho giurato a me stesso di cancellare le loro orme» si punì e i suoi occhi si illuminarono, lucidi.

Mi guardò e cercò di intravedere oltre, verso il regno degli umani, il Nido, lo stesso che ci aveva distrutti.

«È successo molti anni fa. I Demoni e gli Angeli Caduti erano entrati in guerra l'uno contro l'altro e l'Imperatore del Ribelli, Lucifero, venne da me per chiedermi appoggio. Fu carismatico, perfetto, mi disse che fosse una battaglia necessaria per riprenderci il nostro mondo e molti cavalieri ne furono attratti. Litigai con mio fratello, era favorevole, ma senza il supporto unanime gli eserciti non potevano muoversi» mi raccontò turbato. «Tornai a casa con voci crudeli alle mie spalle. Ero un codardo. Ho ignorato i problemi del mondo esterno e molte persone sono morte. Innocenti.»

Scossi il capo. «Non è colpa vostra, vi prego. La morte è una clausola della vita e nessuna guerra ha senso di esistere.»

«Invece sì. La consorte del Principe Azrael è venuta qui, anche lei è un Ibrido. Mi ha mostrato gli orrori a cui ho voltato le spalle, ho sentito la sofferenza, la disperazione degli umani che credevo di odiare. Ha perso il figlio quella notte e io la pace. I miei cavalieri non mi hanno dato colpe, almeno non a parole, tuttavia Nergal si è intestardito...» Prese un respiro e infilò le dita tra i miei ricci, spingendo i ciuffi lontano dalle orecchie tonde. «E poi sei arrivata tu. Mi sono detto che avevi bisogno di me, perché eri sola e spaventata. Avevo bisogno di redimermi, di trovare di nuovo la mia umanità, ma sbagliavo. Ero io quello che aveva bisogno di te.»

Strinse le dita e piegai leggermente il capo. Lasciai che mi baciasse con ardore, come nessun uomo aveva mai fatto e mi abbandonai agli istinti che mi dicevano solo di sciogliermi sotto il suo tocco e avvicinarmi. La sensazione della sua lingua sulla mia era viscida, la saliva calda, e il cuore era un martello furioso nel petto. Voleva divorarmi viva da quanto mi premeva le mani sulla carne e mi stringeva a sé.

Esclusi Cel in un angolo remoto del cervello e la dimenticai. Quel momento lo dedicai del tutto a noi, concentrandomi sul suo sapore e calore.

«Devo respirare» confessai e mi staccai un po', affannata.

Avevo la faccia rossa e la pelle coperta di brividi.

«Che cosa mi sta facendo?» borbottò in un rantolo.

«Vi sono sembrata arrogante o presuntuosa durante il torneo?» domandai, umettandomi le labbra.

Ci pensò dei secondi, non troppo a lungo da farmi sorgere dei veri dubbi. Persino ad un occhio esterno sarebbe parso ovvio il mio gesto di insolenza: avevo sfidato i cavalieri e i due re. Molti erano stati giustiziati per molto meno.

«Perché sembravate stizzito. E, be', questo è un bel problema per me perché io non so interpretare i segnali sociali. Faccio difficoltà a mettermi dei paletti. Mio cugino Calex dice che sono una petulante» borbottai.

«Mi domando perché» mi prese in giro.

«Avete sospirato? Era un sospiro quello?»

«Nient'affatto.»

«Perché avete sospirato in quel modo?»

«Hai sentito male.»

«Ho sentito benissimo!» mi impuntai. «Mi trovate petulante.»

«A volte. In questo momento decisamente sì.»

«Dimostratemi allora i vostri sentimenti» gli ordinai. «Sono la vostra regina e sono anche il primo cavaliere. Voglio ogni cosa. Tutto. Basta scherzi e tranelli, dimostratelo! Ho bisogno di sentirlo.»

Il re inclinò il capo e cadde in ginocchio ai miei piedi, fissandomi con intensità. Un re non cadeva ai piedi di nessuno.

«Non sono bravo a parole» commentò e fui tentata di dirgli il contrario, «tanto meno esprimere i miei sentimenti come te. Ascolterò ogni tuo desiderio e la mia spada non intralcerà mai la tua» mi promise. «Può bastarti?»

Mi bastava, in quel momento e per sempre. Annuii.

«Chiamami per nome, d'ora in avanti. Niente tono informale. Sto cominciando a stufarmi di queste cerimonie.»

«Aurelion» dissi chiara e mi sorrise, gonfiando il petto.

Gli afferrai le spalle e lo tirai, baciandolo di nuovo.

«Quando decidi di innamorarti di qualcuno perdi i tuoi segreti, se lasci che una persona ti stia vicino a lungo è inevitabile e all'inizio può essere doloroso e imbarazzante farsi scoprire. Devi sperare che qualcuno lo faccia, è lì che inizia tutto. Sono tuo, Nico, e lo sarò per sempre, finché lo vorrai.»

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