VII

(Ahdeniel)

Calanthia aspettò che il fratello chiudesse la porta dietro di sé per emettere un lungo sospiro di sollievo. Nergal era quel genere di persona che ti faceva sentire sotto processo, quasi avessi sterminato un'intera razza. Era capace di far peccare un sacerdote con le sue parole e temevo il suo carisma molto più del suo potere.

Rines scivolò alla porta e controllò che fossimo soli. Il palazzo brulicava di gente, specie a quell'ora luminosa, e nei giardini si sentivano urletti eccitati e risatine. Senza la presenza dei reali delle Ombre mi sentii improvvisamente più tranquilla e felice, rendendomi conto solo allora che fossi a palazzo e che il re avesse deciso di difendere proprio me.

Gongolai rumorosamente e per sviare l'attenzione corsi alle finestre per osservare Nergal montare a cavallo. Si sistemò il lungo mantello viola sulla schiena e partì al galoppo, ignorando le dolci ninfe che gli stavano mandando dei baci dalla fontana principale. Ahdeniel galoppava al suo fianco, mai avanti.

«Come intendi risolvere questa situazione?» lo interrogò Calanthia preoccupata.

Il re si risvegliò dai suoi pensieri. «L'ho già risolta, Nico resterà con me.»

«Vi servirà una scusa decente» lo prese in giro a bassa voce Rines.

Si accomodò su una sedia e si versò un bicchiere colmo di idromele, sorseggiandolo per dimenticare l'appena conclusa assemblea. Dovevo ancora digerire le ultime informazioni e capire come avrei dovuto dirlo a mio zio, di certo avrebbe fatto domande scomode e avrebbe preteso risposte convincenti da parte mia: ero scomparsa per molte ore e avrei passato molto tempo a palazzo.

Guardai Rines e lui mi ignorò, eclissando la mia presenza dalla sua vita. Mi accontentai. Aveva appoggiato il suo re durante i voti, tuttavia sapevo che nutriva più rispetto verso Aurelion anziché pietà verso i miei confronti. Se il re si fosse schierato contro di me sarebbe stato il primo a tagliarmi la gola.

«Aurelion, ti prego» lo sminuì la sorella. «Non puoi invitare una ragazza a corte e tenerla per te, i sudditi inizieranno a chiacchierare e penseranno...»

«Sciocchezze» brontolò lui con le guance rosse. «Starà qui per il tempo che serve e la controllerò da me, non intendo tenerla come accompagnatrice. Spiegherò alla sua famiglia che le hanno offerto un lavoro a corte e gradirei testare le sue abilità da maniscalco. È un fabbro, può esserci utile.»

«So usare benissimo le mani» commentai.

Rines allungò le labbra e Calanthia alzò una mano, pregandomi di non parlare. «Così non ci aiuti, cara» mugghiò.

Girovagai un po' nell'ampia sala, sfogliai alcuni libri e li lasciai discutere su cosa fosse opportuno fare. Furono d'accordo nel dire che avessi bisogno di essere controllata, almeno durante il giorno, solo che il re non aveva alcuna intenzione di perdere troppo tempo dietro una ragazza, Calanthia gli suggeriva di trovarmi un passatempo e Rines di mandarmi a pulire le stalle.

«Potrei allenare i cavalieri» proposi.

«Ti ho detto di no» ribadì il re. «Non entrerai nella guardia reale. Anche in allenamento Celestia potrebbe scambiarlo per un vero attacco e uscire allo scoperto. Nessuno nell'esercito sa chi sei, hanno visto lei, non te. Solo i presenti sanno la tua identità e ti consiglio di proteggere la tua libertà dato che se dovessi finire, anche solo per errore, nei territori di mio fratello, sarai soggetta alla sua politica.»

Aprii la bocca, volendogli spiegare che sarei molto utile ai ranghi, mio padre mi aveva addestrata seguendo i metodi del Nido. Mia sorella Celestia era stata una ragazza snella, senza muscoli, assomigliava a nostra madre, mentre per tutta la famiglia io avevo ereditato la forza di papà. Avevo le braccia forti, le gambe resistenti. Sapevo di essere gran lunga superiore a molti soldati, persino disarmata.

«No» ripeté secco. «E niente giochi nella brughiera senza il mio consenso.»

«Mi dite sempre di no» bofonchiai. «Perché non mi date fiducia?»

«La fiducia dovrai guadagnartela.»

Saltai sulla sedia e mi sedetti goffamente, sbuffando. Rines afferrò una prugna dal cesto di vimini sul tavolo e la fece rotolare verso di me, pensai in un gesto di pace. Ne presi un morso e quasi la sputai, era arcigna e molle. Lui rise sotto i baffi e gliela tirai contro.

Vedendo la scena Calanthia ammutolì, spazzolandosi la gonna del bellissimo abito. «Ho una proposta per te, fratello: potrei tenerla un po' come dama di compagnia. È una ragazza ed è abbastanza giovane per essere educata a corte... Nico, una nobile non si siede mai con le gambe così aperte, è increscioso per una donna mostrare le sue cosce prima di...»

Mi mossi subito, tentando di mettermi a posto. Mi indicò in fretta come sedermi, con la schiena alta, le caviglie unite a lato e nel sistemarmi caddi dalla sedia in un gridolino impaurito. Cel rise forte e fece sobbalzare i tre presenti.

Il re Aurelion chiuse gli occhi. «Sarà un tuo problema.»

«Le mie ragazze la...»

«No!» strepitai allarmata e Calanthia si infastidì.

Avevo omesso di dire che mia cugina lavorasse per lei per evitare di metterla nei guai. Dovevo dimezzare i danni che avevo causato, seppure Nergal avrebbe messo a soqquadro il villaggio per individuare la mia famiglia. Il regno delle Ombre aveva molte spie, sapeva già che lavorassi come fabbro e, bravi come zio Falastor, ce ne erano pochi.

«Mi coprirò con cappotti e mi comporterò bene, ve lo giuro, ma vi scongiuro di non farmi stare qui a bighellonare. Voglio essere utile, voglio stare con il re» mi impuntai.

Il re trasalì colpito e un leggero sorriso nervoso gli solcò il viso prima di tornare alla realtà. «Come ti ho già spiegato correremmo troppi pericoli, per ora, finché le acque non si saranno calmate, esigo che tu rimanga tranquilla. Niente scontri, niente armi e niente... lavori di mani, o lo scoprirò» mi minacciò. «Starai con mia sorella e imparerai come stare a corte, se vuoi restare ti servirà. Se farai progressi ne riparleremo.»

Sbattei gli occhi. «Restare? Volete tenermi qui per... un po'? Io pensavo che fosse una cosa provvisoria.» Nessuno di loro seppe rispondere. «Voglio servire voi, non altri.»

Rines si curvò e appoggiò i gomiti sulle gambe, schioccando la lingua. «Il piccolo mostro ha una cotta.»

Abbrustolii di rabbia e strinsi i pugni. «Vi dimostrerò ogni cosa e starò con voi, mio signore.»

La nobile Calanthia ebbe il compito di riportarmi a casa e io la seguii a piedi, scortando le redini del suo cavallo bianco. Fece un cambio d'abiti, come se volesse apparire meno reale agli occhi del villaggio, tuttavia la sua aura era candida e le vesti troppo linde per un'Elfa qualunque. Mi parlò delle sue dame da compagnia, o almeno provò a parlarmi di qualcosa, anche se l'unico mio argomento d'interesse fosse il re stesso. Per il momento mi avrebbe educata da sola, in disparte – una parte di me sapeva che dovessi toglierle del tempo prezioso a se stessa, ai suoi vizi e a me stava bene, certo, se potevo andarmene in giro in pace.

A casa a zia Hirvine quasi mancò il fiato e Calex non ebbe mai il coraggio di guardarla negli occhi. Calanthia sembrava sempre scorgere i tuoi veri pensieri. Mi sarei sentita in soggezione se avesse letto i miei, specie le emozioni che provavo vicino al re. Convinse i miei zii che mi fossi offerta per dei lavori a corte e nessuno osò proferire parola, tanto meno chiedere di che lavori si trattassero. Era una cosa positiva dell'essere dei reali: nessuno ti negava niente.

Zia Hirvine fu davvero felice che una nobile come Calanthia mi avesse voluta prendere sotto la sua "ala protettrice", il lavoro di fabbro non le era mai andato troppo a genio e andare a corte, come l'altra figlia, doveva significare un bel salto di qualità per lei. Al villaggio andare a palazzo era una cosa molto favorita e alla zia piaceva che gli altri parlassero di lei.

Zio Falastor non ebbe nulla da dirmi, se non chiedermi una sola volta se avessi combinato un guaio. Nella mia testa percorsi a ritroso l'incidente nel bosco, la battaglia e la discussione con il re delle Ombre, di norma quando uno dei re varcava il confine lo sapevano tutti; era un evento raro ed era seguito da una festa. Se le persone avessero scoperto che il re avesse aggirato il villaggio di nascosto si sarebbe pensato al peggio, dalla guerra al tradimento.

«L'altra notte sei uscita di nascosto. Ti avevo detto che fossi in punizione e oggi era anche il tuo turno alla fucina» mi riprese con le mani sui fianchi. Zia sbuffò forte, facendogli cenno di lasciare perdere. «Voglio sapere solo se è successo qualcosa.»

«Nulla di troppo grave.» Ero viva e Cel aveva fermato i soldati. Non c'era bisogno di raccontare i dettagli. «Ieri notte ho visto un fuoco fatuo alla finestra e l'ho...»

«Un fuoco fatuo?» urlò Calex colpito. «Wow, io pensavo fossero cose da bambini.»

«Non lo sono!» brontolai. «Io ne ho visto uno e l'ho seguito nella foresta. Ad un certo punto mi sono persa e un cavaliere mi ha aiutata, mi ha portato a corte e sono stata un po' lì. Ho parlato con la nobile Calanthia e mi ha proposto di rimanere, mi dispiace se non vi ho chiesto il permesso e vi ho fatti preoccupare.»

Zia Hirvine abbassò le spalle. «Se non hai fatto nulla di grave va bene, potrai aiutare tuo zio quando vorrai. Ora l'importante è che tu vada a corte e impari ad essere una dama da compagnia con i fiocchi, come Isidora.»

La bloccai. «Non sono una dama da compagnia.»

Lo dissi con impeto, quasi offesa. Avevo sempre preso in giro mia cugina per il suo lavoro sufficiente e ora dovevo fingere di essere come lei. Calex seppe subito che la questione puzzasse, che non avrei mai accettato un simile incarico, ero troppo vivace ed evasiva per tenere compagnia ad un nobile.

«Ecco, non so esattamente cosa farò. Penso aiuterò il re...»

Calex e zio Falastor risero all'unisono e io strinsi la bocca. Zia fu la prima a chiedere loro di tacere, vedendo la mia espressione ferita. In altri casi avrei riso come loro, dopotutto io ero una misera ragazza costantemente sporca di carbone e terra, con le gambe sbucciate e le braccia tagliate, non c'entravo nulla con la corte reale, tanto meno con il re. In quel momento però volevo credere che i ricordi e il tempo che avevo trascorso con il re fossero il mio tesoro.

«Per ora potete non dire niente ad Isi della mia presenza a corte? Non voglio metterla a disagio» chiesi e loro, pur non capendo, annuirono.

Dovevo prima capire come destreggiarmi tra i compiti e capire cosa volessero il re e Calanthia da me. Educarmi come una dama sarebbe stato il lavoro più difficile della loro vita, specie se le gonne strette e le maniche lunghe mi facevano prudere tutta.

Uscii in giardino e Calex mi seguì, iniziando a tagliare i tronchi di legna con una pesante ascia. Mi guardava assorto, meditando cosa avessi fatto per finire a corte. Per ora stare con il re era stata una maledizione, non una benedizione.

«Ha chiesto il re di te?» mi domandò a bruciapelo. Gli sfoderai un'occhiataccia. «Sì, be', riconosco gli occhi di una ragazza gelosa, non credermi fesso. Puoi anche averla data a bere a loro, ma non a me. Tanto scoprirò cosa hai fatto.»

«Sei una pigna» sibilai. «Sono finita a corte, dovresti essere felice.»

Si sentirono degli squilli di trombe e zio Falastor piombò fuori di casa, quasi ruzzolando. Aveva i pantaloni metà calati, segno che dovevano averlo preso in un momento di meditazione riservato. Molti Elfi uscirono dalle proprie abitazioni e i bambini si precipitarono verso il messaggero di corte che portava con sé un messaggio.

Era un Elfo vestito di tutto punto e mi ricordò una specie di fiore velenoso, rosso, blu e bianco. Aveva un enorme cappello con una piuma, il loro simbolo per essere riconosciuti, e ai piedi delle scarpe a ricciolo.

«Appello a tutta la corte del re della Luce! Il re Aurelion I da la tragica notizia della morte del suo primo cavaliere, Handir di Bellendir. Gli omaggi per il defunto primo cavaliere avverranno a palazzo domani al tramonto, le porte saranno aperte a chiunque voglia omaggiare la sua salma. Inizierà così il torneo del primo cavaliere!»

Udii i bambini iniziare a singhiozzare e i vicini bofonchiare pieni di timore. Qualsiasi cosa avesse ucciso il loro cavaliere preferito era un chiaro segno della prossima disfatta degli Elfi, per molti anni avevamo ricostruito le case, piantato nuovi alberi e pregato che il passato se ne andasse per sempre. I Dominatori erano tornati per finire il lavoro lasciato a metà e non avrebbero lasciato superstiti.

Calex era senza parole, pallido come il cencio e zio Falastor si precipitò in strada insieme agli altri, chiedendo spiegazioni. Il messaggero ripeté il messaggio tre volte in totale e dovette sottolineare che non avesse altre notizie da dare, se non che fosse morto in un incidente.

«È morto ieri notte, proprio quando tu non c'eri» disse Calex senza cattiveria, sottovoce. «A volte vorrei che fossi una fata, così non potresti mentirmi. Sai chi lo ha ucciso?» Annuii. «Immagino che tu non possa dirmelo e il re ti ha condotto a corte per qualcosa di relativo alla morte di Handir.»

Ripensai a Handir, al fatto che, seppure non fosse morto per mano mia o quella di Celestia, forse lo aveva fatto in battaglia. Ero scappata senza pensarci due volte, volevo tornare a casa per avvertire gli altri e alla fine avevo messo nei guai i due re con le mie azioni. Forse se fossi intervenuta subito lo avrei salvato.

Vedendo i numerosi bambini che piangevano a dirotto, consolati dalle proprie madri, mi sentii colpevole tanto quanto il vero assassino di Handir. Come per mio padre, il colpevole doveva essere un comune soldato dell'Esercito e il fatto di avere qualcosa in comune con una persona del genere mi fece salire il vomito.

Lasciai di nuovo il villaggio e mi infilai nel bosco, stando attenta a non essere seguita nemmeno per sbaglio. Avevo ancora addosso i vestiti del giorno prima e mi accorsi solo dopo che ci fosse una goccia di sangue vicino alla manica della maglietta, avevo troppo caldo e fretta per cambiarmi.

Corsi nel bosco, verso il confine con il territorio delle Ombre e tesi le orecchie. Giravano troppi tipi strani in quelle zone per passare inosservati, c'erano nani che tentavano di derubarti o truffarti, bestie feroci e criminali da cui era meglio stare alla larga. Se ti andava di lusso tu ignoravi loro e loro ignoravano te, temendo qualche pattuglia o un'irruzione dei cavalieri, sapendo gli ultimi avvenimenti ero certa che gran parte di quelle aree fossero sgombre. Un nano era morto e c'era odore di sangue umano ovunque. La brughiera aveva nascosto le loro tracce, per i più intelligenti era facile intuire cosa fosse successo.

"No, Nico, di là no" soffiò Cel in un rantolo soffuso. "Strega cattiva."

«Non ti farà nulla, diamine. E poi sei il triplo di lei, di che hai fifa?»

"Auuun, strega brutta."

Si trascinava dietro di me con le braccia a penzoloni a terra e lasciava dei solchi sul terreno. Mugugnava la sua tristezza nel tornare alle paludi, quell'ambiente disgustoso e tetro che si estendeva nei territori del nord e divideva perfettamente i regni. Le creature, persino gli Elfi del villaggio, la chiamavano la Palude di vetro perché il fiume che la attraversava fu ad una certa sommerso dalle bottiglie di vetro, i cocci stavano sulle rive e sotto l'erba, pronti a ferire e nessuno li aveva mai tolti. Provenivano dal regno umano ed era stata uno dei numerosi danni che ci avevano donato.

Appena arrivammo sentii subito l'odore di stantio, di alghe e di acqua sporca, era un odore difficile da digerire, tanto meno da dimenticare. Saltavo sulle rocce più sporgenti per evitare che i vetri mi tagliassero, l'erba aveva smesso di crescere e i pochi ciuffi erano morti, piegati e di un marrone spento. Persino gli alberi erano malati, senza frutti o fiori. L'acqua era di uno strano colore verde e il fondo del ruscello brillava, dei nani si erano tuffati in certa di qualche tesoro e si erano ritrovati con le dita mozzate o qualche infezione.

"Strega cattiva!" ululò di nuovo Cel.

Si stava facendo buio e sarei dovuta rientrare in fretta per non perdere la strada e rischiare di accamparmi in quelle zone. Se un cavaliere del regno delle Ombre mi catturava avrei dovuto rispondere direttamente al re Nergal e dubitavo avesse per me simpatie particolari. Nell'aria non c'erano odori strani – e se ci fossero stati con la puzza non li avrei sentiti, Cel provava ad orientarsi senza successo. Quel posto la inebetiva, eravamo troppo vicini alle cave ed erano intinte di magia primordiale.

Cel calpestò qualcosa e sollevò la zampa, cosparsa di una melma scura. Aveva calpestato un nido di qualche genere e aveva sterminato ben sette uova, a giudicare dall'aspetto dovevano essere morte da molto tempo e il nido era distrutto.

Cel si agitò.

«È solo un uovo» minimizzai. «Va tutto bene.»

«Da un uovo si possono capire molte cose, Nico.»

Ci fu una risatina acuta, simile ad uno sfrigolio. Dentro la corteccia di un albero aperto a metà se ne stava acquattata la Strega delle selve, rigida. Era una vecchietta e il suo aspetto assomigliava a quello di una mummia di migliaia di anni, secca e rugosa, con minuscoli occhi semichiusi e un naso adunco. Le sue dita erano così sottile e ossute da poter essere scambiate per rami. Aveva radi capelli e quei pochi fili erano bianchi, proprio come i suoi occhi di vetro.

La Strega delle selve gettò un'occhiata a Cel e lei guaì, svanendo senza ulteriori polemiche. Fin da piccole aveva odiato quel posto, le aure erano pesanti, spettrali e lei le faceva paura. Conoscevo la sua esistenza perché mamma me ne aveva parlato spesso, raccontando di come la strega tenesse a bada gli spiriti maligni e allontanasse i più pericolosi. Io e Celestia l'avevamo vista solo una volta prima della strage e ogni tanto tornavo da lei, sperando che mi desse qualche buona notizia: mi aveva promesso aiuto con la maledizione e da allora erano passati molti anni. Era una persona buona a discapito di quello che raccontavano su di lei e si divertivano a raffigurarla come un ratto con la pestilenza. Fesserie.

«L'uovo è vita. È il simbolo della creazione, assorbe l'energia circostante e la comprime. Dovresti fare più attenzione a questi riti, ragazza, e alla preveggenza che portano. Potrebbero aiutarti.» Alzò un folto sopracciglio cespuglioso e gracchiò. «Nah, con te non funzionerebbe mai, tua sorella si aggrappa alla tua anima e le aure sono troppo unite. Faresti troppi pasticci e la tua magia è debole, sopraffatta dalla natura umana che ti porti dietro. Conoscere il futuro può rendere avventato perfino l'uomo più saggio.»

«Ci sarebbero servite molte uova la notte della strage se così fosse» risposi e mi tolsi dalle scarpe quel liquido nero, per nulla di buon auspicio.

Io e mia sorella avevamo sempre avuto un po' paura di lei. Era un argomento che persino il villaggio delle Ombre evitava, la Strega e molte creature del confine vivevano nel mezzo, potenti, senza seguire l'influsso di uno dei regni. La sua voce era familiare e il suo aspetto non mi terrorizzava più tanto quello di Cel o degli esseri umani.

«Hai le ginocchia sbucciate, mi hai portato qualche spina?» mi domandò.

Era una strega, ma ci sapeva fare con le erbe, intrugli e magia. Era capitato più volte che mi aiutasse con le ferite, specie quando scappavo dai miei zii per rintanarmi nei boschi, e lei mi aveva sempre ospitato. Non aveva famiglia o amici, solo qualche creatura di passaggio e la solitudine era il peso che portava per utilizzare la sua magia.

«Non oggi, mi vorresti leggere il futuro, Strega delle selve?» proposi.

Alzò le mani scheletriche e io raccolsi uno dei gusci che Cel aveva distrutto e glielo passai. Lo rivoltò un paio di volte e cercò la creatura alle mie spalle.

«Sai, l'uovo alla fine è un oggetto molto delicato, la minima vibrazione può portare una crepa e la crepa ad una voragine. Gli altri si concentrano sul nutrimento all'interno, ma guarda le pareti, senti la ruvidità qui? Sono come indovinelli.» Lo buttò via. «Devi liberarti di lei, Nico. Ogni giorno che passa la maledizione attecchisce più a fondo su di te e lei diventa potente. Ho sentito i clangori l'altra notte.»

Saltai il ruscello e mi sedetti vicino a lei, su una radice. «Sono arrivati degli umani al confine e i re hanno combattuto. Il primo cavaliere della Luce è morto e Cel è stata vista.»

Un gorgoglio profondo le uscì dalla gola. «Questo potrebbe essere un problema.»

«Ho visto persino un soldato nella brughiera, in qualche modo era riuscito a passare.»

«Questo è un problema.»

«La magia si sta indebolendo, non è così? Cosa sai sui regni, sui re? Tu esisti da molto tempo ormai, molto più di questo Ciclo, devi sapere qualcosa.»

Si sistemò nel suo anfratto, come sempre quando stava per raccontare una storia. Me ne aveva raccontate tante e le piacevano quelle dove l'eroe moriva in modo sanguinoso, eppure avevano sempre un significato; presta attenzione – non lasciarti ingannare dalle apparenze – osserva con la mente, non con gli occhi – affidati al tuo istinto.

«I due regni ci sono sempre stati. C'era quello della Luce, ad est, proprio dove nasce il sole, splendente, rigoglioso e quello a ovest, oltre le montagne, quello delle Ombre. Per molto tempo i regni si sono dati battaglia e noi creature nel mezzo siamo rimaste neutrali. Ci siamo tenute fuori dai loro affari, dal loro metallo e dal loro egoismo, pretendendo l'unica cosa che volessero anche loro strapparci: la vita. Ora hanno siglato un nuovo accordo, i re, per mantenere la pace, ma la brughiera non dimentica il sangue, tanto meno sa lasciare andare i sentimenti negativi.»

Una fatina azzurra cercò di arrampicarsi sulla mia maglietta ed emise dei buffi suoni, attratta. Aveva gli occhi neri, un naso a punta e ali trasparenti. La strega la prese e la lanciò via, in un urletto della fata.

«Ti riferisci agli avi dei due re, Aurelion e Nergal? I loro genitori erano i precedenti sovrani» affermai.

«Sovrani orribili, ma io mi riferisco a quello che è avvenuto molto prima. All'inizio il regno era unico, grande, fertile e in pace. Fu per egoismo, pazzia e fanatismo che quell'essere è arrivato, se solo non lo avessero attratto...» sibilò impaurita.

«L'oracolo?»

«Non dire il suo nome!» mi intimò e fece tintinnare delle conchiglie rotte.

Mi parve di udire un brusio nella foresta, come se le fate si fossero improvvisamente svegliate e tremassero.

«Che male c'è? L'adorano tutti.»

«Nico!» mi riprese. «Gli dei non fanno mai regali, esigono che la magia sia bilanciata a qualcos'altro di egual valore. Gli antenati hanno dovuto fare una scelta drastica quando il regno si è spaccato ed è stata colpa loro. Avevano bisogno di aiuto e lei glielo ha dato a caro prezzo, la brughiera si è intinta di sangue innocente fin da allora.»

Ammutolii e ripensai alle parole del re Aurelion, sul fatto che i suoi avi avessero sacrificato molte vite umane per riportare la pace e rendere il regno della Luce più florido. L'oracolo aveva esaudito i loro desideri e si era presa molte vite con sé, conducendoli ad un'esistenza priva di dolore e fame. Forse per loro era stata una benedizione, io ne fui terrorizzata. Era un essere buono, imparziale, ne ero certa, ma privo di raziocinio.

«Il re me lo ha raccontato» mormorai. «Sono morti metà di noi e dopo la strage ne siamo rimasti pochi. L'oracolo non è di questo mondo, è così?»

«L'energia per richiamarla è stata fatale per i predecessori. È stata una scelta saggia mascherare la strage, altrimenti i regni sarebbero andati distrutti per sempre. La morte ha portato nuova vita.»

Annuii vaga. «Si chiama "male a fin di bene".»

Scosse il capo. «Si chiama giocare a fare Dio, Nico e, credimi, ha avuto troppo un occhio di riguardo per non punirci. I soldati sono solo un'estensione della sua volontà, o un desiderio passato. Dovevamo morire molto tempo fa, quando il mondo è diventato degli umani e noi una leggenda.»

Corrugai la fronte. «Gli umani non meritano questo mondo. Guarda questo posto! Questa spazzatura viene da fuori!» strillai, presi una bottiglia di birra e la lanciai via. «Noi saremmo meglio di loro.»

«Eppure guarda dove siamo ora e loro hanno fatto ben poco. La nostra fossa è stata scavata da quando la magia di lei si è collegata alla vegetazione. Ne siamo diventati dipendenti, come un bambino che si attacca al seno della madre, quindi...»

«O cresciamo da soli o tanti cari saluti» terminai. Se era una prova era davvero crudele. Odiavo mettere il mio destino in mani altrui. «I re hanno visto Cel e mi hanno portato a corte. C'è stata una specie di assemblea e hanno deciso di tenermi in vita, per ora. Gli umani hanno ucciso Handir.»

«Lo so.»

«Ho bisogno di un incantesimo subito, Strega delle selve. Dimmi che questa volta hai una buona notizia per me» la pregai.

Si grattò il naso, togliendosi una crosta da una guancia rigata. «Io non ho alcun aiuto per te, ora, ma una fata mi ha detto che forse c'è qualcuno che può darti un consiglio. Un Demone.» Scossi il capo, incredula. Sapeva cosa per me significassero i Demoni e perché volevo evitarli. «Ce n'è uno intrappolato nelle campagne a sud, verso le alte colline. È un Demone molto speciale, credimi, non ti farà del male.»

«Perché non me lo hai detto prima?» sbottai.

«Rischioso» disse lei.

«E perché me lo dici ora?»

«Dovresti tentare. L'uovo ti ha avvertita. Ci sarà una scelta da fare e in entrambi i casi perderai qualcuno. Il destino è una cosa molto delicata, Nico e le maledizioni arrecano solo danni all'ambiente e ai simbionti. Sai già cosa intendo. Se il re nero ti vedesse qui ti rapirebbe, devi andartene.»

Non mi fece nemmeno la decenza di sorridermi.

«Nessuno dei due regni mi ha dato un trattamento di favore per adesso, quale è la loro vera differenza?»

«Ci sono moltissimi regni della Luce e delle Ombre, un esempio è il Paradiso, l'Eden perfetto, e l'Inferno, il Tartaro. Solitamente i regni del buio sono più spaventosi e peggiori, o almeno lo nascondono meno; i nobili regnano sui non nobili e il più potente comanda. I Demoni seguono il potere, tuttavia sbagli a credere che una sola fazione possa rappresentare il male o il bene. È molto complicato...» mormorò stanca. «Noi creature libere siamo legate alla terra, odiamo essere in catene.»

I regni avevano molte regole, per esempio al villaggio era vietato l'uso della magia su altri Elfi, lanciare incantesimi per far innamorare o rendere a certi la vita impossibile. L'unico gesto ammesso erano le benedizioni alla natura, ai campi, per renderli fertili e nutrienti. Il regno oscuro era decisamente più permissivo e tanti sbucavano fuori con qualche arto al posto della testa o senza occhi, capaci di vedere dalle mani.

La foresta risucchiava la magia e l'eco era più sottile. Un ottimo posto per nascondere le malefatte, specie le maledizioni.

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