V

Mi svegliai nelle celle del castello con un terribile mal di testa, fu come risalire troppo in fretta da sott'acqua. Mi sentivo intontita, con le membra molli e una fitta in mezzo agli occhi. La prima cosa che feci fu cercare di muovermi, scoprendo che avessi polsi e caviglie legati da pesanti stringhe di cuoio. Ero sdraiata su una specie di lettino d'acciaio e fissavo il soffitto di roccia. Le celle erano sotterranee, lontane dalla bellezza della corte.

Richiamai a me Cel e lei restò assopita, silente.

Ansimai in panico e i miei occhi si posarono immediatamente sulla figura accanto alle sbarre della prigione. Il re Aurelion mi guardava immobile, con la sua espressione indecifrabile, senza respirare. Indossava una lunga veste argentea con bottoni dorati, con una fascia che gli stringeva la vita stretta. Era alto, molto più di quanto mi fossi aspettata e la sua aura emanava scintille, intinta della magia antica dei boschi.

«Parlo prima io o... non so, volete iniziare voi?» dissi per rompere il ghiaccio.

Sospirò in quel suo modo logorroico e profondo. «Sei comoda?»

Mossi i polsi, sperando di liberarmi. Mi avevano legata in modo che non potessi scappare senza l'aiuto di qualcuno.

«Non molto» conclusi da me, sconfitta. «Potete slegarmi?»

Non si azzardò a fare un passo e mi masticai le labbra, di nuovo chiamando Cel nella mia testa. In casi normali sarebbe corsa da me senza esitazione, avrebbe strappato con i denti le cinghie e mi avrebbe liberata. Dovevano averle fatto qualcosa dato che rimase ferma a russare.

Tentai di ricordare cosa fosse successo e, oltre al fatto che lo avessi aiutato nella foresta e gli avessi rivelato di Cel, c'era un gran buco nero. Sapevo che fossi scesa in battaglia, che i cavalieri e i Dominatori si fossero divisi, urlando in preda al panico, e che Cel avesse seminato il terrore nelle vite della gente. I dettagli erano sbiaditi.

«Ho fatto del male a qualcuno?» domandai con un filo di voce.

Il re sbatté gli occhi, stupito dalla domanda. «Parli di quegli assassini degli umani, oppure dei miei cavalieri?» Il labbro mi tremò. «Sarai sollevata nel sapere che, per quanto grande fosse la vostra disperazione, non c'è stato alcun omicidio a causa tua. Le vite prese sono avvenute prima del tuo intervento che, devo ammettere, ha causato non pochi danni. Hai diviso il campo e hai fatto scappare via gli umani, come il resto degli Elfi. Ti hanno trovato svenuta, con quel mostro che ringhiava a qualsiasi cosa ti si avvicinasse.»

Mi guardai intorno. Le pareti erano strette, di pietra, umide. Se Cel fosse arrivata avrebbe fatto crollare il soffitto, uccidendomi. Il re, o chi di dovere, doveva aver pensato a quell'eventualità per non farla arrivare in mio soccorso.

«Dove sono?» feci più decisa.

«Considerati mia ospite, per ora.»

«E Celestia? Che le avete fatto? Giuro che se...»

«Sta bene» mi fermò, alzando una mano. «Uno dei miei maghi le ha fatto ingerire un quantitativo massiccio di aconito, belladonna e acqua santa. Dormirà per un po', ma è viva, su questo posso garantire. Ho chiesto personalmente ai miei cavalieri di assicurarsene e sono certo che puoi sentirlo da te.»

Gli occhi diventarono umidi e presi un respiro. Aconito e acqua santa funzionavano bene contro i Demoni e il loro veleno, per Cel erano dei banali sonniferi da quattro soldi e appena sveglia si sarebbe arrabbiata da morire. Non era un Demone e la trattavano come tale, era difficile sormontare certi pregiudizi, specie se gli Elfi vedevano tutti i mostri come tali, senza differenze.

Il re Aurelion mosse un passo e si tastò il ventre. Si muoveva con eleganza, a palazzo un guaritore esperto doveva averlo aiutato a dovere e non sembrava avere danni seri o visibili. La sua espressione non tradì diffidenze velate o nascoste, tanto meno timore o odio. Mi studiava come la prima volta, curioso, distante.

«Parlami della creatura. Di tua sorella» mi incalzò con voce docile.

«Conoscete la maledizione di re Mida? Nel mito umano il sovrano chiese di avere il dono di trasformare qualsiasi cosa toccasse in oro, finì per far del male persino alla stessa figlia. Un dono divenne una catena.»

Il re alzò un sopracciglio. Gli Elfi ignoravano i miti umani, li consideravano privi di logica e poco originali. Mio padre li amava molto.

«Tua sorella ti ha maledetta per sbaglio?»

«No, mi sono fatta maledire di proposito!» esclamai con ironia e me ne pentii, sotto gli occhi fulminei dell'uomo.

«Allora come mai una maledizione è venuta proprio da te? Un'Elfa qualunque, un piccolo fabbro senza valore?» mi attaccò. Mi scostò i ricci bruni dalle tempie e scoprì le minuscole orecchie, tonde, che puntavano verso l'alto. «Mezz'Elfa» si corresse, ritirando la mano a scatto.

La peggior paura dei miei zii si era avverata. L'unica cosa che mi avessero chiesto in tutti quegli anni era tenere al sicuro il mio segreto, impedire che qualcuno venisse a sapere che non fossi uguale agli altri. Gli Elfi avevano paura e nutrivano troppo sospetto per quelli che non appartenevano alla loro razza. Sapevano ogni cosa, Falastor e Hirvine, persino di Cel – quel poco che raccontai – e avevano deciso di tenermi ugualmente con loro.

Non avevo mai fatto del male a nessuno prima della notte passata.

«Io non credo che gli umani siano crudeli, mio signore, di questo ne sono certa poiché mio padre era un Dominatore dell'Esercito inglese. Ecco perché le mie orecchie sono così corte e perché la mia faccia è così sgradevole, è simile agli esseri che voi odiate» sibilai. «I miei genitori si conobbero un giorno nella brughiera, mio padre stava scappando da altri soldati e si era rifugiato nei boschi. Non so perché i guardiani non lo avessero attaccato, è solo che lui non aveva alcun istinto omicida. Era solo... spaventato. Mia madre rinunciò a tutto purché stessero insieme. Vivevamo nella foresta quando...»

«Vi attaccarono» interruppe.

«I suoi stessi compagni lo immobilizzarono e tagliarono la gola a mia madre davanti a lui. Mia sorella Celestia cercò un modo per nascondermi, io e lei eravamo molto legate, ed è morta a causa mia, perché ero troppo piccola e spaventata per difendermi. Non so cosa è successo, io ricordo solo che la foresta stava bruciando e che degli umani volessero uccidermi. Lei è sbucata fuori dal nulla, era piena di sangue ed è diventata...»

«Una maledizione» asserì il re, sfregandosi il mento. «Le maledizioni si attaccano ad un oggetto o al primo simbionte vivente. Tua sorella ha usato il tuo spirito per rimanere attaccata alla vita, i suoi ultimi sentimenti si sono distorti e ora mira a proteggerti da ogni cosa. È uno scopo nobile, lo posso capire. L'amore è la maledizione più potente di tutte. Sei stata da sola fino ad adesso?»

Ebbi un giramento di testa e pensai se fosse opportuno fare il nome dei miei zii, soprattutto di Falastor, il quale aveva una reputazione e un lavoro da difendere. Decisi di alzare le spalle ed evitare la domanda. Se voleva uccidermi era meglio morire da sola e basta.

Inclinò il capo, facendo un sorriso appena percepibile. «Non temere, Nico, non ho intenzione di far alcun male alla tua famiglia. Immagino saranno preoccupati. Da quanto porti questo peso su di te?»

«Da molto tempo, non rammento. Cel è sempre stata con me. Vi garantisco che non ha mai fatto del male a nessuno, il suo aspetto può spaventarvi, ma ci sono mostri peggiori da cui nascondersi. Siamo alleati.»

«Gli alleati si sostengono, non ti schiacciano» mi ammonì senza crudeltà, distogliendo lo sguardo. «Cosa ti accadrà quando non sarai più in grado di procurarle del cibo?»

Deglutii e volli credere a Cel, che fosse mia sorella e che ancora mi volesse bene come quando eravamo bambine. Non si ricordava più dei nostri giochi, dei disegni fatti sui sassi e sulle cortecce degli alberi, i momenti in cui mi faceva le treccine ai capelli erano finite e c'era quel mostro che non aveva niente di lei. A me era sempre bastato.

«Perché siete qui, volete ucciderci?» chiesi a guardia bassa.

Teneva la spada legata al fodero e gli sfiorava le caviglie.

Il re scosse il capo. «Sono qui perché mi hai salvato la vita nella brughiera. Ho commesso l'errore di darti quel peso, era mio dovere proteggere il regno. Non sapevo cosa ti stavo chiedendo, lo sforzo che hai fatto al campo ti ha indebolita.»

Ero sbalordita. Il re aveva su di me un potere diverso da quello che esercitava Cel, le sue parole non mi annoiavano o non mi facevano sentire sbagliata. Se mi avesse chiesto di combattere lo avrei fatto, per lui, e ne sarei stata felice. Renderlo fiero di me fu quasi uno bisogno.

Gli guardai lo splendido abito, desiderando altamente di poter toccare quel tessuto morbido e ricamato a mano. Forse era stata mia cugina Isidora a cucirglielo addosso, era una sarta dotata. Mi domandai se il mio aspetto non lo infastidisse, se i miei occhi fossero troppo tondi e scuri per fargli credere la mia innocenza; avevo tenuto nascosto nel regno un mostro carnivoro, una creatura che avrebbe potuto decimare l'esercito elfico in pochi secondi. Ero strana e non mi era mai interessato sapere il perché lo fossi.

Il re si rese conto dei miei occhi puntati su di lui e inarcò le sopracciglia in una muta domanda.

«Mi stavo solo domandando come steste, mio signore. Le mie cure sono state utili?»

«Magnificamente utili, Nico.»

Mi guardò le cinghie dei polsi, o meglio, quel piccolo taglio verticale che si vedeva appena sulla pelle olivastra. Anni prima avevo tentato di togliermi la vita, avevo preso un vetro rotto dalla fucina e lo avevo cercato di impiantare nel polso. Mi sentivo triste, sola, e Cel si era messa in mezzo. Fu l'unico momento della mia esistenza in cui la odiai.

Mi mossi un poco e il re guardò altrove. «Ti ha salvata molte volte, non è così?» chiese. Annuii. «La maledizione di cui sei afflitta può aiutarci a sopravvivere, nascondendoti stai sprecando la tua stessa esistenza e il dono di cui lei ti ha fatto portatrice. Le persone che muoiono sotto le maledizioni sono molto alte, tu ne sembri estranea. Deriva da tuo padre. Hai i suoi stessi geni, una Dominatrice.»

Mio padre era un Dominatore, per gli umani significava che i suoi geni fossero naturalmente più sviluppati rispetto agli altri della sua stessa razza, i soldati del Nido avevano una indole più selvaggia, un controllo mentale assoluto e destrezza fisica. Era stato un buon padre e, anche come soldato, ci aveva innanzitutto addestrate a vivere contando su noi stesse.

«I Dominatori controllano i Demoni» sottolineai.

«Un Demone e una maledizione sono simili, questo deve aver omesso di raccontartelo. Le maledizioni sono scaturite dai sentimenti degli altri, spesso sono negative e attecchiscono a luoghi o creature. Si dice che i Demoni abbiano una natura maligna per via di una ribellione primordiale, un sentimento che li contrappone agli Angeli» raccontò soave.

Mi agitai senza successo. «Scioglietemi le cinghie e vi farò vedere un vero Demone» proposi maliziosa.

Il sorriso del re scomparve e i suoi occhi si scurirono. «Giurami sull'oracolo che non oserai far del male a nessuno, né a corte né nei regni, e lo farò.»

«Lo giuro. Ma dovete rispondere a tre domande» replicai. Si irrigidì, ma annuì. «Perché non mi avete uccisa nel bosco, due notti fa? Pensavate fossi una criminale dei giochi, l'avevo capito, ma mi avete risparmiata.»

Cominciai a sentirmi stufa, presa in giro e impotente.

«Stavo perlustrando il perimetro della brughiera. Da molte lune avevamo notato degli strani individui aggirarsi nelle campagne esterne senza osare mai troppo. Gli ultimi avvenimenti ci hanno messi all'erta, è possibile che gli umani abbiano trovato una nuova entrata. Eri spaventata ed ero certo che avresti imparato la lezione. Un vero Elfo lo avrebbe fatto...» si masticò le parole, massaggiandosi le tempie. «Avevo ben altro a cui pensare di una ragazza a cui piacessero gli scontri clandestini. Se ti avessi uccisa sarei morto anche io, il destino è molto buffo a volte.»

Un brivido mi percorse le braccia, quasi come se mi avesse sfiorato la pelle. Il destino era un filo invisibile che collegava i mondi e gli esseri viventi, io e Cel lo condividevamo e avevo fatto di tutto per evitare di scontarmi con quella forza di nuovo. Il fuoco fatuo mi aveva condotta nella foresta e mi aveva portata dal re. Forse il destino non era una questione di sangue puro o fortuna, bensì di scelte. Io avevo scelto di seguire il destino e avevo trovato il re Aurelion ad attendermi. Eravamo legati.

«Siete certo fossero umani?» feci eco. «Mio padre riusciva a passare la magia perché ne era immune, diceva che la sua stirpe fosse mescolata a quella di certi maghi oscuri, Antimaghi, esseri capaci di annullare gli incantesimi. In verità era che lui non ci odiava. Ci ammirava, e amava mia mamma. La brughiera lo sapeva.»

Il re affilò lo sguardo, per nulla contento. Stavo difendendo gli umani perché io lo ero in parte e lo notò in quel momento. Gli Elfi e gli umani erano nemici naturali e non sarebbe cambiato nulla fino a quando entrambi avessero impugnato le armi. Avevano distrutto le nostre case e numerose famiglie erano morte, persino la mia, dovevo scegliere da che parte stare. Sapevo bene che se un Dominatore mi avesse scoperta mi avrebbe uccisa senza riguardo.

«La tua ultima domanda» mi spronò.

«La seconda!» mi indignai.

«Me l'hai già posta, dovresti fare attenzione a non sprecare il fiato, ragazza.»

Non era così vecchio da avere la presunzione di chiamarmi "ragazza", era nato molto tempo prima di me, di zio Falastor e di quasi tutti al villaggio, la sua stirpe era stata baciata dalla magia dell'oracolo molti millenni prima.

«Avanti, la terza» ripeté.

«No, ho bisogno di pensare e con voi qui... Mi distraete.»

Lo sentii ridacchiare. Fu la prima volta che lo fece davanti a me. La sua risata aveva il suono della primavera, dolce, fresca e vellutata come un tintinnio. Mi mandò lo stomaco in subbuglio e l'emozione destò Cel, la quale si risvegliò piano, docile come un cucciolo.

«Sei più intelligente di quanto lasci credere, Nico, di certo più pericolosa dei miei cavalieri.» Con un movimento veloce mi sciolse le cinghie e io scattai in piedi, facendo il giro del lettino per avere più spazio. «Ho intenzione di proteggerti e di far fede al mio giuramento. Sei una mia responsabilità ora. Permettimi di ricambiare il favore.»

Deglutii e il re aprì la porta della prigione per invitarmi a uscire.

Per la prima volta dopo tanti anni, anche senza Celestia, non mi sentii affatto sola.

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