IV
(Nergal)
Cel guardò il suo nuovo nemico e pensai che fosse davvero ridicolo che prendesse di mira un umano, il Dominatore aveva appena perso il suo Demone e l'arma si era magicamente disincantata. La sua aura smise di vibrare e tornò l'odore di un qualsiasi umano impaurito. Per quanto avessi sofferto, toccai con la mente le sue emozioni e non riuscii a scorgervi alcun istinto omicida, lo stesso che inondava i soldati in battaglia. Cel, al contrario, ne era avvolta.
L'uomo provò ad afferrarmi, convinto di potergli essere utile come diversivo, e lei si gettò in mezzo. Spinse il soldato a terra e lo schiacciò con la grossa mano.
«Ferma! Lo ucciderai!» la bloccai.
"Crudele. Umano crudele" ringhiò e dal vivo uscì un lamento deciso, che l'umano tradusse come una sentenza di morte. Solo io potevo sentirla. "Fatto male a Nico."
«Sto bene!» mormorai agitata. «Dobbiamo portarlo fuori da qui, subito! Se trovassero l'entrata segreta ucciderebbero tutti!»
Corsi verso la costa e Cel mi seguì zampettando, tagliando le distanze con la sua mole. Trascinava l'umano dietro di sé come un sacco, facendolo rotolare e schiantare contro più sassi e rovi che poteva. Tentava di liberarsi, agitando le mani e colpendola ai polsi, senza riuscire a penetrare la sua pelle indistruttibile. Urlava, e gli avrei voluto dire che non sarebbe arrivato nessuno ad aiutarlo.
La brughiera era una trappola mortale, la notte del massacro avevo sperimentato in prima persona quanto le urla d'aiuto fossero inutili.
Scavalcai le rocce che dividevano la foresta dalla costa e mi affacciai all'alta scogliera che si gettava sul Mar Celtico. L'aria era pesante, salina e puzzava di pesce.
Mi piaceva la brutalità dell'oceano.
"Volo" propose Celestia, sollevando un angolo delle labbra screpolate.
«È solo un soldato.»
"Parlerà. Ha paura."
Cel ringhiava con furia, scontenta di non poter mangiare la sua seconda preda e spinse il soldato oltre il bordo, tenendolo per l'uniforme nera.
«Che ci facevi nella foresta? Che volete da noi?» tuonai. «Perché non ci lasciate in pace? Ci avete torturati fin troppo, avete ucciso la mia famiglia e mio padre... era uno di voi! Sono felice di non essere cresciuta tra voi!»
L'uomo mi guardò perso e allargò gli occhi umidi. «Un Ibrido?» ansimò. «Sei un Ibrido maledetto. Il generale...»
«Dimmi che cosa volete!» replicai.
Afferrò la sua daga e pensai che volesse pugnalare me o Cel, in entrambi i casi sarebbe stata una pessima idea. Al contrario si tagliò la gola e il corpo si appesantì, perdendo l'equilibrio. L'uniforme si strappò e il soldato cadde dalla rupe, sotto i miei occhi. Mi affacciai senza fiato, ma il cadavere era scomparso nel buio, portato via dalle onde contro gli scogli.
"Pensavo... lui parlasse... auuun" confessò Cel, stringendo i lunghi artigli vuoti.
Mi pulii la faccia e il collo, provando a togliermi di dosso quella disgustosa sensazione. Riuscivo ancora a sentire la presa del Demone sulla pelle.
Il vento del mare mi sferzò le guance, facendomi rabbrividire. Quello era diverso, portava con sé l'odore della guerra, del metallo e del sangue. Cel lo sentì chiaramente e sollevò la testa in aria, puntando in una direzione precisa.
"Sangue" disse.
Ero ancora ferma, con il cuore che batteva all'impazzata, quando sentii un gemito soffocato provenire dal bosco. Mi guardai intorno, dopodiché tornai sui miei passi e mi infilai tra gli alberi. Salii la collina e mi abbassai per passare sotto i rami di un olmo curvo, numerose erbacce si infilarono nelle scarpe, quasi volendomi afferrare i piedi, e la foresta si zittì.
Potevano esserci altri soldati intorno, se ne era entrato uno poteva essere anche altri compagni si fossero appostati nei paraggi per prendermi. Lo avrebbero già fatto. Avevo ucciso un loro compagno, ciò mi rendeva un pericoloso essere ai loro occhi. Se era vero che qualcuno da fuori avesse ucciso un nano significava che ci fosse una falla nell'incantesimo di difesa.
A pochi passi da me, accovacciato tra fango e spine, vidi il re Aurelion. Era steso a terra, stanco, e numerosi schizzi di sangue gli macchiavano il volto candido e l'armatura. Teneva una mano sulla spada e l'altra sul fianco, stretta attorno ad un coltello che gli fuoriusciva dalla corazza spaccata.
«Sei qui per finirmi?» mi domandò, respirando affannosamente. «Se vuoi uccidermi fallo in fretta.»
Rimasi ferma, convinta di aver un'allucinazione. Non avevo mai visto il re Aurelion più di tre volte nella mia vita al villaggio e in meno di una settimana gli ero stata davanti ben due. La fortuna non girava proprio dalla mia parte.
La sua bellezza mi lasciò di stucco. Vedendolo da lontano, a cavallo, non ero riuscita a scorgere molti tratti del suo volto, ora più chiari. Aveva i capelli attaccati alla schiena, umidi, la corona intrecciata scheggiata, sempre brillante.
«No» dissi.
L'uomo si leccò le labbra, sospirando. Alzò gli occhi su di me e corrugò un attimo la fronte, riconoscendomi. Portavo la stessa mantella della notte precedente e gli Elfi avevano un'ottima memoria.
«Ti conosco. Eri l'Elfo che ho scovato nei boschi al confine.» Feci un passo e, con sorprendente velocità, si rannicchiò in una posizione di difesa. «Non sottovalutarmi. Sono ferito, non sciocco.»
«Non vi sottovaluto affatto» affermai e alzai le mani, facendogli vedere che fossi disarmata. «Siete il re Aurelion? Quello vero?»
La domanda lo infastidì. «Sei un Elfo piuttosto ottuso per essere un servitore del regno della Luce.»
Mi tolsi il cappuccio dalla testa e lasciai che la massa di ricci mi piovesse sulle spalle. Guardò il mio volto e nascose una smorfia di sorpresa. Mi avvicinai di un altro passo e, notando che non avesse fatto altri movimenti, tesi la mano quasi fosse un pericoloso animale da blandire.
«Posso aiutarvi» dissi. «Lasciate che vi aiuti, vi prego.»
«Non...» Strinse i denti restio. «Sei una guaritrice?»
«Una volta ho sistemato la zampetta ad un uccellino.»
Il suo corpo tremava per lo sforzo di rimanere cosciente e concentrarsi su di me. Temeva fossi un nemico. La presa sulla sua spada era così stretta da fargli avere le nocche bianche. Mio padre mi aveva spiegato di prestare attenzione a molte cose in situazioni simili e tutto nell'aura del re gridava che non si fidasse di me.
«Potrei disarmarvi con tale velocità da non farvene nemmeno accorgere. Se avessi voluto uccidervi mi sarebbe bastato tagliarvi la gola.» Non distolse gli occhi dai miei e mi sentii sotto processo, in imbarazzo. «Morirete dissanguato. Siete voi l'ottuso.»
Rimasi ferma ad aspettare il suo ordine. Non ero così stolta da avvicinarmi al re armato, benché fossi pronta ad aiutarlo con tutte le mie forze. Se si era trascinato fino alla brughiera significava che gli Elfi stessero perdendo terreno. Dubitavo che i soldati potessero facilmente seguirlo, i confini magici erano protetti, ma prima o poi avrebbero trovato il modo.
Tossì forte e sputò sangue, accasciandosi sul tronco di un albero.
«Devo chiedervi di spogliarvi. Toglietevi l'armatura» ordinai.
Il re ansimò quella che dovette essere una risata piena di incredulità e mi lanciò uno sguardo torvo. Aspettai e lui si arrese.
«Non ci riesco da solo» disse con un filo di voce. «Stavo combattendo con un umano e uno di loro mi è arrivato alle spalle... Un Demone mi aveva scalfito l'armatura e mi ha pugnalato.»
«Vi hanno seguito?»
«Se vuoi aiutarmi devi tirare fuori la daga. È avvelenata.» Strinse gli occhi, di un verde scuro, tempestoso come quella notte. «Se vuoi uccidermi ti basterà spingerla più a fondo e sperare che mi uccida. Se fallirai allora sarò un tuo problema.»
«Per l'oracolo, vi ho già detto di no. Non voglio farvi del male! Piangete peggio di Aranel, quella sciocca figlia del panettiere che ruzzola sempre!» Mi bloccai. «Vi chiedo perdono, non intendevo...»
«So cosa intendevi» tagliò corto.
«Perderete molto sangue.»
«Oh, certo, ti ringrazio per l'informazione. Perderò molto sangue in ogni caso, in uno dei due spero di sopravvivere.»
Leggevo la disperazione sul suo volto e nel suo tono. Un re doveva morire in battaglia insieme al suo esercito, essere l'ultimo a rimanere e lottare fino al suo ultimo respiro. Se era finito in quel posto forse uno dei suoi cavalieri lo aveva trascinato contro la sua volontà. Se avessimo perso il re il regno della Luce sarebbe crollato.
Inclinò il capo, stanco, e aspettò che facessi una mossa per capire le mie intenzioni.
Mi grattai la testa. «Sapete come si contano le dune?»
«Come hai detto?»
«Duna. Ad duna» ironizzai neutra, sperando di intenerirlo.
Restò immobile a cercare di dare un senso alle mie parole e, appena afferrato che fosse una battuta, un sorriso nervoso gli solcò il volto. Per me le battute erano un ottimo modo per mettere a proprio agio la gente, eppure lui soffiò esausto.
Gli staccai le cinghie a forza e gli sfilai la corazza dal petto e mi si gelò il sangue quando vidi la pelle aperta, sporca di sangue.
«Sto per svenire» borbottai.
«Come ti chiami?» chiese.
«Nico.» Aspettò che rettificassi. «Be', sì, Nico è un nome da maschio, ma quando sono nata mia madre è svenuta per la fatica e mio padre pensava fossi troppo bruttina per essere femmina. A mia sorella piaceva il nome e, ecco...»
Notai una nuvoletta tiepida di calore uscirgli dalle labbra rosee. «Sei una tipa che ama scherzare, come le pixie» giudicò senza cattiveria. «Io sono Aurelion.»
Gli sorrisi. Conoscevo già il suo nome, dopotutto era il re, e lo fece per dimostrare che mi desse fiducia.
«Dammi la mano.»
Lasciai che me la prendesse e la guidasse sull'impugnatura del coltello, liscio. La sua mano si chiuse nella mia, era grande e calda, con dita lunghe e affusolate.
«Attenta a non tagliarti, o non potrò aiutarti. Serra la presa, la tirerò fuori io.»
Strinsi le labbra con imbarazzo. Gli avevo promesso il mio aiuto e il mio stomaco era andato in subbuglio, trovarmi di fronte al re, per di più essere in mezzo ad una battaglia, mi rese debole di pancia. Soffriva, era mio dovere aiutarlo.
«No, faccio io» replicai indignata.
Mi lasciò andare la mano e, prima che potesse dire altro, diedi uno strattone. Il suo corpo si piegò, ma nonostante questo la lama uscì di pochi millimetri. Mi scusai nove volte e lui alzò gli occhi sopra le mie spalle: numerose creature della brughiera osservavano curiose la scena, nascoste, troppo impaurite per intervenire.
«Ancora» mi ordinò. «Questa volta più veloce e meno forte.»
Strinsi meglio la presa sull'impugnatura, misi le ginocchia a terra e mi preparai. L'uomo si morse le labbra, trattenendo il respiro, e tirai con tutte le mie forze. Caddi all'indietro e il pugnale venne con me, uscendo dal suo corpo. Si tastò la ferita ancora aperta, ma parve soddisfatto, come se gli avessi tolto un peso dalle spalle.
«Sei stata molto coraggiosa, Nico» mi ringraziò.
Lanciai via il coltello nella foresta e il re mi sorrise. Gli sollevai la parte inferiore della canotta che indossava, zuppa di sangue e sudore, e mi lasciò esaminare la ferita. I Dominatori del Nido seguivano molti corsi di soccorso e persino i ragazzini più piccoli ne sapevano parecchio di medicina e suture improvvisate.
Lasciai fuori dalla testa il pensiero sublime che stessi toccando il petto del re stesso. Mia cugina sarebbe impazzita per la gelosia.
«Dovete pulirla, o si infetterà» commentai.
«Basterà dell'acqua... Ouf!»
Mi tolsi la mantella e la camicetta di stoffa che indossavo, l'unica parte di tessuto che fosse ancora pulita. Il re ansimò in imbarazzo e non mi guardò. Strappai delle lunghe strisce e le premetti sulla ferita, le altre gliele annodai sulla vita e sul petto.
Il volto del re era pallido e restò ad osservare il misero risultato.
«Come sai queste cose?» domandò.
«Mio padre.»
«Dov'è tuo padre?» Mi guardai le dita sporche e lo intuì da solo. «Oh. Ho capito. Perdonami.»
Da un angolo della boscaglia intravidi dei minuscoli occhi brillanti e saltai a lato, cercando un'arma con cui difendermi. Quello che avevo scambiato per una bestia nemica in realtà era il re nero, Nergal. Indossava la sua armatura di acciaio nera, rifletteva i raggi della luna come l'inchiostro, ed era a cavallo. Il viso era identico a quello del fratello, spigoloso, reale, ma lui aveva dei vispi capelli bruni e occhi verdognoli. Sulla testa portava una corona di bacche e spine, le orecchie ricoperte di anellini.
Feci un passo indietro e il re Aurelion alzò un poco le dita, calmandomi. «Non ti farà del male» asserì. «Non le farai del male» ripeté all'altro, austero.
Volevo dire qualcosa, spiegare la situazione, ma la voce non tornò. Ero immobile, impaurita come un animaletto, mentre il cavallo nero avanzò e il re delle Ombre scese a terra. Aveva addosso l'odore del metallo degli umani, di sangue e dell'idromele reale.
Nergal si accovacciò accanto al fratello maggiore e gli coprì la ferita con una mano. «Hai perso molto sangue, Aurelion. I cavalieri sono stati spinti oltre le colonne, i guardiani hanno difeso il confine e la brughiera si è chiusa. Sei scomparso» asserì. «I cavalieri erano preoccupati.»
«Mi hanno pugnalato» ringhiò il re della Luce.
«Già. Non lo avrei mai detto. A quanto pare andare in mezzo ai nemici da solo può definirsi una cattiva idea» sibilò con divertimento. Il cavallo nitrì. «Cosa è successo?»
«Un Demone mi ha scalfito l'armatura e un umano ne ha approfittato. La lama era avvelenata, Handir mi ha portato qui contro la mia stessa volontà. Tornati a palazzo...»
Nergal si fissò i piedi. «Handir è morto, fratello.»
Le nostre bocche si spalancarono. Avevo assistito al torneo dei cavalieri dove Handir era uscito vincitore, come molti era stato un Elfo proveniente dal villaggio e la sua forza di volontà lo avevano condotto a palazzo. Ci aveva aiutati la notte dove i regni erano piombati nel caos ed era stato una fonte di ispirazione per Taras e Calex.
Il re Aurelion boccheggiò e strinse le dita. «Se è una menzogna...»
«Non lo è. È caduto in battaglia sotto i miei occhi» fece eco. «Dobbiamo fermare gli umani. Hanno preso il mio ciondolo, Aurelion, il frammento dell'oracolo. Sembravano avere in mente cosa cercare. Verranno per il tuo.»
«Non può tornare là!» berciai. «È ferito!»
Nergal mi lanciò un'occhiata mesta, pronto a colpirmi. «Come osi rivolgerti al tuo re in questo modo?»
«Voi non siete il mio re» sottolineai acida. «Il mio re l'ho protetto e non ho intenzione di vederlo morire. Potete uccidere me se vi aggrada.»
«Parlami ancora con quel tono e...» Mi afferrò il bavero della sottoveste e mi tirò.
Ci fu un ringhio alle nostre spalle e gli uomini saltarono all'erta. Il cavallo nero impennò, si liberò delle redini e scappò via al galoppo. Nergal estrasse la spada e Aurelion cercò la sua, a terra, con impeto.
«No, la farete arrabbiare così, deponete le vostre armi!» li implorai e Nergal mi gettò al suolo, rivolgendomi uno sguardo pieno di disprezzo.
«Una spia, ecco chi è!» mi accusò e il re rivolse i suoi occhi su di me, interrogandomi. «Te l'avevo detto che doveva esserci una spia, gli umani hanno rischiato di trovare l'ingresso varie volte e qualcuno deve averli aiutati dall'interno. È uno di loro e quello è un Demone.»
«No, vi prego, ascoltatemi.» Nergal mi rivolse contro la spada e Cel ululò forte, facendo un passo avanti. I due re rabbrividirono. «È buona, vuole solo proteggermi! Deponete le armi e non vi farà alcun male, ve lo prometto.»
«Bugie» fece il re oscuro.
Cel si fece largo tra gli alberi e graffiò i tronchi, liberando uno sciame di fatine-rametto che si erano appollaiate là. Con passi pesanti venne verso di noi e un verso gutturale, simile ad un gorgoglio, le uscì dalla gola. La sua testa si curvò verso il basso e con una zampata mi tirò a sé, togliendomi da loro.
«No, Cel!» mi misi di nuovo in mezzo. «Sono i re!»
A lei non interessavano più le regole e le convenzioni elfiche, le aveva perse con la maledizione e rispettava solo due cose a quel mondo: me e se stessa.
«Mostri! Progenie del demonio, siete una dei Dominatori e quel mostro...»
«È mia sorella, mio signore» commentai per metterlo a tacere. «Non sono un mostro, forse solo in parte. Posso - possiamo - aiutarvi, non voglio vedere altre vittime. Non farò alcun passo indietro. Se volete sopravvivere fate come vi dico, abbassate quelle dannate spade o vi colpirà.»
Nergal fu sul punto di strepitare di nuovo che fossi ridicola, eppure Aurelion gettò la spada a terra e ci rimase, senza fare movimenti bruschi. A quel punto il fratello fu solo e capì che continuare a darmi battaglia fu causa persa. Abbassò la lama e alzò le mani, indifeso.
Cel si avvicinò e li annusò. Non fu soddisfatta, glielo lessi nella mente, ma si sollevò, attratta da altri nemici più grossi e numerosi. Al confine si era levato un fumo scuro, dove la campagna stava bruciando.
«Allontaniamoci» propose Nergal.
«No, dobbiamo proteggere il confine. I Demoni traggono potere dalla notte e questa è una notte senza luna, l'alba li infastidisce. Li terrò impegnati» dissi sicura.
Al re Aurelion brillarono gli occhi. «Non essere sciocca, morirai!» Cel mugugnò indispettita, scontenta che l'avesse accusata di negligenza. «Prendi almeno la mia spada, è acciaio el...»
«Odio le armi» negai e mi massaggiai i pugni. «L'ho fatta io quella spada, mio signore, ma preferisco i miei metodi, ve lo garantisco. Vi aiuterò a patto che a mia sorella e a me non sia fatto alcun male.»
Nergal sogghignò, contento che avessi messo in difficoltà il fratello. Si tenne in disparte e incrociò le braccia. Un singolo ordine e mi avrebbe tagliato la gola, ma dopo sarebbero stati problemi loro a tener a bada due mostri.
Il re Aurelion sembrò soffocare. «Osi pretendere benevolenza perché ci hai messi all'angolo, ragazza?» Mi impettii. Mi piaceva quando mi chiamava per nome. «Scordatelo.»
«Allora avrete un bel problema.» Le urla aumentarono. «Non voglio un altro massacro. Concedetemi l'immunità e combatterò per voi.»
Il re mi sorrise. Uno splendido sorriso tutto per me e me lo godetti fino alla fine. Si irrigidì, tuttavia la sua espressione rimase di ghiaccio, elegante ed educata.
«E sia, Nico. Combatti. Aiuta i nostri cavalieri e proteggi i regni. Se lo farai ti garantirò un trattamento di favore» asserì serio. «Torna.»
Un Elfo manteneva sempre le proprie promesse.
Cel urlò forte, un boato che mise in allerta l'intera foresta e dovemmo tapparci le orecchie per non essere investiti da quel rumore pazzesco. Dagli alberi numerose fatine ed uccelli volarono via, i guardiani si levarono dalla zona, presagendo una nuova aura tossica e pesante. Si fece largo tra gli alberi, correndo verso il confine, distruggendo ogni cosa al suo passaggio. I mostri adoravano una sola cosa e quella era uccidere.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top