...e la première dame
Con Fabrizio in vacanza dai nonni e l'università che mi impegnava solo per gli esami, avevo molto più tempo libero a disposizione. Una piacevole novità a dirla tutta.
Decisi di approfittarne per fare più attività fisica e coinvolsi anche Giuseppe nella mia impresa. L'idea iniziale era quella di andare a correre insieme al parco, la realtà era che dopo i primi dieci minuti di corsa leggera ero già stufa marcia.
Sbuffai con il poco fiato che mi restava in corpo e Giuseppe si voltò a guardarmi alzando un sopracciglio. "Non dirmi che sei già stanca."
"Mi serve solo un secondo," dissi rallentando fino a fermarmi del tutto. Per prendere tempo decisi di disfare la coda alta e rifarla daccapo. Passai per due volte l'elastico intorno ai capelli e poi riposizionai le forcine ai lati della testa. Mi assicurai che il reggiseno sportivo fosse al suo posto e poi lisciai il leggings sulle gambe, tutto sotto lo sguardo attento di mio marito.
"Perché mi guardi così?"
"Niente... sei molto affascinante in tenuta da sport."
"Beh, grazie. Anche tu non sei niente male," dissi fissandolo di rimando. Indugiai con attenzione sul suo coordinato blu scuro di pantaloncini e t-shirt. Fosse stato per Giuseppe, avrebbe indossato il completo da calcio del Paris Saint-Germain compreso di calzettoni, ma io avevo insistito per qualcosa di più adatto.
"Un paio di affondi e poi ripartiamo. Ok?"
Nonostante la sensazione di essere particolarmente osservata, riuscii a non farmi distrarre e finiti gli affondi mi tirai su quasi vittoriosa.
Dopo la fatica iniziale, mi stavo quasi abituando a correre al fianco di Giuseppe. Era piacevole lasciar fluire via ogni pensiero, concentrandomi solo sullo sforzo fisico e nient'altro. Il problema era che iniziavo a sentirmi piuttosto accaldata e fin troppo affaticata. Continuai a correre con l'obiettivo di arrivare almeno alla panchina più vicina per potermi riposare, ma la mia vista si offuscò e non potei far altro che fermarmi all'improvviso.
"Emma, stai bene?"
"Non tanto," dissi aggrappandomi al braccio di Giuseppe. Mi strinse per la vita e con la mano libera mi accarezzò il viso preoccupato. "Andiamo a sederci."
Annuii vigorosamente e dopo pochi passi raggiungemmo la panchina. Appoggiai la testa sulla sua spalla e sospirai in attesa di riprendermi.
"Come ti senti?"
"Meglio di prima..." dissi nel tentativo di rassicurarlo. Dopo una vita a farci i conti, conoscevo bene i sintomi della pressione bassa e non era il caso di preoccuparsi più del necessario.
"Fa troppo caldo. Direi che per oggi può bastare," disse massaggiandomi una gamba.
Tornati a casa, feci una doccia veloce e poi la lasciai libera. Mentre Giuseppe era ancora sotto il getto dell'acqua calda, ne approfittai per sbirciare il suo lato di cabina armadio. Da quando vivevamo insieme ero stata spesso tentata di prendere in prestito una sua camicia. A lui stavano così bene addosso. Rimirai le iniziali GC e mi ritrovai a sorridere per quel vezzo così ricercato. Un simbolo di un'eleganza che lo contraddistingueva sempre, in ogni occasione.
Sfiorai con una mano il candido tessuto di una delle camicie appese e avvertii il profumo di bucato fresco inondarmi le narici. Presi coraggio e dopo averla sfilata dalla sua gruccia, la indossai. Mi avvicinai allo specchio, incerta su quanto potesse essere portabile fuori dalla camera da letto. Restava un tantino larga sulle spalle e arrivava a coprirmi appena il sedere. Su cosa ne pensasse il proprietario dell'indumento, l'avrei scoperto presto.
Giuseppe era appena entrato nella stanza e mi fissava dubbioso mentre si frizionava i capelli col cappuccio dell'accappatoio in spugna. "Quella è la mia camicia?"
"Può essere..." affermai innocentemente sollevando le spalle.
Dal modo in cui continuava a guardarmi senza dire una parola, iniziai a temere che se la fosse presa. Avevo indossato una delle sue amate camicie senza chiedergli il permesso e magari temeva che gliela sgualcissi o chissà cosa. Da un tipo puntiglioso come mio marito, c'era da aspettarselo.
Mi si avvicinò mordendosi il labbro inferiore con una faccia imperscrutabile. Quando ormai stavo per perdere la pazienza, finalmente si decise a parlare. "Non hai intenzione di uscire vestita così, vero?" domandò mentre mi accarezzava una gamba nuda con estrema lentezza.
Trattenni a stento un sorrisetto. "Non lo so... credo che a qualcuno non farebbe affatto piacere se lo facessi," dissi non resistendo alla tentazione di provocarlo. Sicuramente non pensavo di andarmene in giro solo con una camicia che a malapena copriva il mio intimo, ma era divertente stuzzicarlo.
"A qualcuno in particolare?" domandò mentre mi faceva arretrare fino alla parete più vicina.
"In effetti ho un marito piuttosto geloso..."
"Ti sei forse macchiata del reato di bigamia? Perché io non sono affatto geloso," disse mantenendo un'espressione piuttosto seria.
Alzai un sopracciglio dubbiosa. "Ma davvero?"
"Certo. Ti risulta diversamente?"
"Decisamente sì. Ho molte prove a mio favore e anche dei testimoni. Non ti conviene sfidarmi."
Mi osservò divertito e sbottonò il primo bottone della camicia che indossavo. "Vuoi portarmi in tribunale?"
"Te lo risparmio se la smetti di cercare di corrompermi," affermai notando quanto fosse concentrato nello sbottonare tutti i bottoni.
Mi accarezzò il fianco scoperto e mi guardò con una tale intensità da lasciarmi quasi senza fiato. "Non è colpa mia se mi provochi..."
"Ma non hai una riunione tra poco?"
"Aspetteranno..." disse iniziando a sfiorarmi il collo con le labbra. Passai le dita fra i suoi capelli soffici e cercai d'ignorare il senso di colpa. Sarebbe stato bello riuscirci, ma non era nella mia natura purtroppo.
Feci pressione sul suo petto nel tentativo di allontanarlo e Giuseppe si staccò guardandomi in attesa.
"Devi andare. Non puoi far tardi per colpa mia," spiegai esaustiva.
Sbuffò sapendo bene quanto avessi ragione. "Non sarebbe colpa tua... ma sì, devo proprio andare."
Mandai giù l'amara consapecolezza di dover costantemente dividere mio marito con il resto del mondo e sospirai prima di dargli un bacio a fior di labbra.
Giuseppe iniziò a vestirsi e intanto che metteva i pantaloni e tirava su la zip, si ricordò di aver lasciato una questione in sospeso. "Amore, puoi tenere la mia camicia se vuoi."
"Sicuro?"
"Sicuro," rispose sorridendomi per poi sedersi accanto a me sulla sponda del letto. Infilò i calzini e poi le scarpe. "Anche se... non mi hai ancora detto cosa vuoi farci..."
"Tranquillo, ci metto sotto qualcosa. Un pantaloncino o una gonna magari."
Lo ossevai mentre senza aggiungere altro, ma visibilmente molto più rilassato, si alzava per prendere una camicia dalla cabina armadio e indossarla. Prima una manica e poi l'altra.
"Aspetta, ti aiuto" dissi avvicinandomi. Infilai i bottoni negli occhielli il più velocemente possibile e conclusi stampandogli un bacio sulla gola. "Che cravatta ti prendo?"
"Scegli tu."
Annuii semplicemente e optai per una cravatta di colore blu, la mia preferita. Lasciai a Giuseppe l'incombenza di annodarla, di sicuro sarebbe stato più veloce di me e poi adoravo starmene lì a guardarlo mentre si preparava. C'era qualcosa di molto sensuale nel modo in cui lo faceva.
Mi persi ad ammirarlo mentre di fronte allo specchio accarezzava la seta della cravatta e con mani esperte la rigirava e l'annodava in modo scrupoloso. Con un cipiglio deciso sul volto sistemò il nodo al centro esatto della camicia e poi si girò verso di me. "Che dici, può andare?"
Mi alzai dal letto e feci finta di esaminare il risultato. Sfiorai il pregiato tessuto blu e poi sollevai lo sguardo verso il suo. "Perfetto."
"Bene, grazie. Ma dimmi una cosa... come passerai la serata?" domandò prendendo il mio volto fra le mani.
"Penso che ordinerò una pizza, guarderò un film e poi mi godrò questa casa tutta per me..."
"Mmm non è che vuoi ripensarci e venire a cena con noi? Vengo a prenderti appena finisce la riunione."
"No, non ci ho ripensato. Sarei di troppo e non mi va di passare per la moglie prezzemolo che ti segue ovunque," dissi scuotendo la testa. A quanto mi risultava si trattava di una semplice cena tra i membri del partito e la sola idea di essere l'unica moglie o compagna presente, mi inorridiva troppo per prenderlo anche solo in considerazione.
Giuseppe alzò gli occhi al cielo facendomi capire che secondo lui esageravo come al solito. "Moglie prezzemolo? Io direi piuttosto first lady o première dame. Vieni a farmi compagnia," disse posandomi un tenero bacio sul naso.
"Mi spiace, ma non mi convincerai con le lusinghe. Vedi di andare o Rocco chiamerà me perché sei in ritardo. È come se a volte si dimenticasse che non sono più la tua assistente..." affermai scuotendo il capo sconsolata.
Alla sola idea che potesse averla vinta, mi scoccò uno dei suoi sorrisi più furbi. "Almeno se lo fossi, potrei costringerti ad accompagnarmi."
"Beh, non puoi. Quindi fila a fare il tuo dovere," dissi prendendo le sue mani fra le mie per toglierle dal mio volto. Gli passai la sua immancabile giacca e poi incrociai le braccia al petto.
Recependo il messaggio, Giuseppe si incamminò verso la porta di uscita e lo seguii a breve distanza.
"Ok, ho capito che mia moglie non mi vuole fra i piedi. Almeno un bacio per salutarmi me lo dai?" domandò voltandosi verso di me.
"Ovviamente e non fare troppo tardi," dissi passandogli le braccia intorno al collo. Mi guardò con una delle sue espressioni più dolci e fui quasi tentata di cambiare idea, ma sapevo bene che era meglio restare ferma sui miei passi.
Sigillai lo spazio tra di noi avvicinando le mie labbra alle sue e sentii il suo cuore battere forte contro il mio. Le sue mani scivolarono intorno alla mia vita finché non fummo completamente incastrati come pezzi di un puzzle. Mi baciò indugiando a lungo, dandomi i brividi e non potei far altro che affogare dentro quella meravigliosa sensazione di benessere.
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