35. Come Wallis Simpson
Mi sentivo gonfia e tesa come un pallone aerostatico che sta per esplodere da un momento all'altro e ormai contavo le settimane che mancavano al giorno fatidico. Non vedevo l'ora di mettere al mondo il piccolo che portavo dentro di me.
"Tutto bene?" domandò Giuseppe vedendo che mi reggevo la schiena dolorante. Come se fosse una novità. Quel dolore era ormai una costante delle mie giornate.
"Non me lo chiedere che è meglio. Piuttosto, dove è finita la commessa?"
"Starà arrivando. Dalle il tempo..."
Eravamo alle prese con gli ultimi acquisti prima della nascita e la commessa era sparita alla ricerca di alcuni cataloghi di carrozzine e passeggini. Ero diventata così irritabile che anche 5 minuti di attesa mi sembravano infiniti.
"Certo. Tra un po' faccio prima io a partorire..."
"Non fare la brontolona," disse Giuseppe dandomi un buffetto sulla guancia. Mi cinse la vita con un braccio, ma questo non bastò a farmi sentire meglio.
"È che sono stanca..."
"Povera la mia piccola," disse massaggiandomi un po' la schiena.
Un insistente ticchettio sul parquet annunciò finalmente il ritorno della commessa. Poggiò sul bancone un paio di cataloghi e sfoderò un sorriso smagliante. "Ecco qui. Sfogliate pure con calma. Vi lascio soli..."
Invidiavo così tanto la giovane commessa. Sembrava non avere un solo pensiero al mondo ed era in perfetta forma nel suo bel maglioncino monocolore e i suoi pantaloni in pelle super attillati. Di certo, lei non aveva problemi di mal di schiena e non doveva sopportare il peso di una pancia di 8 mesi.
Indossavo un maxi maglione a collo alto e un paio di leggins con delle piccole stelline argentate che partivano da metà gamba. Eppure mentre guardavo quella decorazione così allegra, non riuscii a sorridere come facevo di solito. Ultimamente mi sentivo una specie di catorcio umano e il cattivo umore s'impossessava di me fin troppo facilmente.
"Emma, mi stai ascoltando?"
"Sì, certo..." risposi quasi automaticamente.
"Quindi ti piace la carrozzina con gli orsetti disegnati?"
"Come?"
"Vedi che non mi stavi ascoltando..." disse Giuseppe alzando entrambe le sopracciglia, chiaramente seccato dalla mia disattenzione.
"Ok, lo ammetto! Scegli pure quella vuoi!"
"Vuoi tornare a casa?" chiese preoccupato mentre mi studiava con attenzione. Se anche la persona che amavo di più al mondo riusciva ad irritarmi così facilmente, voleva dire che la situazione mi stava davvero sfuggendo di mano.
Feci un respiro profondo e mi presi qualche secondo prima di rispondere. Non mi andava di prendermela con Giuseppe. Non se lo meritava affatto.
"No, va tutto bene. Scusami..." dissi poggiando per un attimo la testa sulla sua spalla. Passato il momento di sconforto, iniziai a guardare anch'io i cataloghi con attenzione.
"Che ne dici di questa tutta blu? Mi sembra molto elegante. Oppure c'è questa bianca e blu, sono indecisa..."
"Tutta blu mi sembra perfetta. Certe volte non mi sembra ancora vero..." disse Giuseppe lasciandomi un bacio sulla tempia mentre mi accarezzava il ventre. Era evidente quanto non stesse più nella pelle all'idea di diventare genitore per la seconda volta. Anch'io ero entusiasta e fremevo dalla voglia di conoscere il piccolo essere che cresceva dentro di me.
Dopo aver scelto la carrozzina passammo al passeggino e al seggolino auto. Avevo già comprato tutto il corredo per il piccolo, ma acquistare qualche altro vestitino e bavetta in più non mi sembrava una brutta idea. E poi, mentre stavamo per uscire dal negozio, adocchiai una bellissima copertina con Dumbo stampato sopra e non potevo certo lasciarmela sfuggire.
"Allora, preso tutto?" mi domandò Giuseppe accarezzando una ciocca dei miei capelli tenendola tra l'indice e il pollice, lasciandola poi ricadere sulla spalla.
"Credo di sì. E mi sento anche meglio. Lo shopping fa bene all'umore..."
"Allora che ne dici se facciamo due passi prima di tornare a casa?"
Annuii felice della sua proposta e Giuseppe mi prese la mano facendo intrecciare le sue dita con le mie, un gesto così semplice e allo stesso tempo così intimo.
Stavamo chiacchierando tranquillamente mentre camminavamo mano nella mano, quando all'improvviso mi sentii accecare dalla luce di un flash.
"Emma! Emma! Da questa parte!"
Ed ecco che la pace era finita. Un paio di paparazzi ci stavano seguendo in cerca di foto. Purtroppo ci avevo dovuto fare l'abitudine da quando Giuseppe si era dimesso ed eravamo usciti allo scoperto. I media andavano pazzi per la storia del Premier che lasciava l'incarico per la sua giovane ragazza incinta. Adoravano raccontare di come si fosse preso una sbandata per una che aveva quasi 30 anni meno di lui.
Mi vedevano come una specie di Wallis Simpson che fa abdicare al trono il Duca di Windsor o anche peggio. Più di un giornale non aveva esitato ad additarmi come la Monica Lewinsky della situazione. Cercavo di non dare troppo peso a quello che scrivevano su di me e mi confortavo con l'idea che prima o poi avrebbero trovato qualcosa di più interessante di cui parlare, ma certe volte non era affatto facile.
"Fai finta di niente. Ignorali," mi sussurrò Giuseppe mentre mi stringeva agitato. Era abituato all'attenzione febbrile sulla sua persona, ma non sopportava la morbosità che avevano nei miei confronti.
"Dimmi che l'auto non è lontana..."
"Non molto. Torniamo indietro e speriamo che si stanchino."
Paparazzi che si stancavano di starci addosso? Decisamente impossibile.
Non ci lasciarono in pace nemmeno un secondo durante tutto il tragitto. Piuttosto, ai due paparazzi iniziali se ne aggiunsero degli altri. Mentre io mi ostinavo ad ignorarli come potevo, fingendomi tranquilla, Giuseppe s'innervosì a tal punto da rivolgersi con astio verso di loro.
"Avete avuto le vostre foto! Ora potreste evitare di seguirci?"
In tutta risposta le macchine fotografiche impazzirono ancora di più, tanto che fui costretta a ripararmi gli occhi con una mano. "Perché ti metti a provocarli? Come se non sapessi che non ti daranno ascolto..."
"Almeno ci ho provato..." rispose Giuseppe affranto.
"Maschio o femmina? Avete deciso il nome?" chiese un paparazzo nella sua direzione. Ma l'occhiataccia che lui gli riservò non servì certo a far demordere il resto del gruppo.
"Quanto manca al parto?" chiese un'altro nella mia direzione. Certamente speravano che io fossi meno inflessibile, ma potevano scordarselo. Non avrei risposto a nessuna delle loro domande, nè tantomeno mi sarei messa in posa come continuavano a pretendere.
Solo poco prima di arrivare all'auto, quando ormai temevo che ci avrebbero seguito fino a casa, finalmente decisero di darci tregua.
Arrivati al veicolo sentii come un'improvvisa stretta al petto. Mi mancava il respiro e il battito cardiaco era fuori controllo. Sollevai una mano per portare indietro un ciuffo di capelli che mi era finito davanti agli occhi e avvertii un forte senso di vertigine. Mi appoggiai tremante alla macchina.
"Che cos'hai?" mi domandò preoccupato Giuseppe.
Mi piegai leggermente in avanti e poggiai le mani sulle ginocchia, cercando di frenare il tremolio che mi sentivo addosso.
"Amore, dimmi che succede. Hai la nausea?"
"No. Io... non riesco a respirare... credo di avere un attacco di panico. Allontanati, mi manca l'aria..." dissi parlando a fatica. Iniziai ad inspirare ed espirare molto lentamente, ma sentivo ancora il battito accelerato.
Giuseppe fece qualche passo indietro continuando a tenermi d'occhio con ansia. "Posso fare qualcosa?"
Negai con convinzione mentre allargavo il collo del maglione per respirare meglio. "Anzi... forse sì. Puoi cercare la mia bottiglietta d'acqua nella borsa?" domandai togliendola dalla mia spalla per passarla a lui.
"Ma certo."
Giuseppe trovò la bottiglietta e me la consegnò. Buttai giù qualche sorso d'acqua e avvertii un lieve sollievo.
"Va un po' meglio?"
"Non lo so... forse," dissi bevendone un altro sorso.
"È per via dei giornalisti? Amore, mi spiace tanto che tu debba essere coinvolta in tutto questo."
"Non ce la faccio più..."
Giuseppe si avvicinò a me con cautela e mi prese fra le braccia. "Va tutto bene. Sono qui..." disse accarezzandomi dolcemente i capelli.
Mi aggrappai alle sue spalle e poi mi spostai quel tanto che bastava per poterlo guardare negli occhi. "Credi davvero che un giorno smetteranno di starci addosso?"
"Ma certo, stai tranquilla. Vedrai che col tempo diventeremo sempre meno interessanti ai loro occhi. Dobbiamo solo resistere ancora un po' e andrà meglio."
"Lo spero tanto."
Giuseppe continuava a guardarmi in pena. Come se si aspettasse di vedermi crollare di nuovo da un momento all'altro.
"Ehi, sto davvero meglio. Non preoccuparti per me," dissi cercando di confortarlo. In realtà mi sentivo ancora piuttosto scossa, ma rispetto a qualche minuto prima potevo dire che il peggio era passato.
"Sai che non posso non farlo. Specialmente ora che manca così poco... siamo agli ultimi mesi. "
"Lo so. Presto sarai di nuovo papà," dissi accarezzandogli una guancia. Ero così emozionata all'idea di mettere al mondo il piccolo che portavo in grembo.
"Hai più pensato al nome per il bambino?"
"In realtà sì. Volevo giusto parlartene. È da un po' di tempo che quando parlo con lui mi viene l'impulso di chiamarlo Fabrizio. Che cosa ne pensi?"
"Mi sembra un bel nome. Fabrizio Conte suona molto bene. Sì, potremmo chiamarlo così..." disse Giuseppe sorridente.
"Ne sei sicuro? Non vorrei che lo dicessi solo per accontentarmi."
"No, mi piace davvero. È un nome così nobile. Non vedo l'ora di conoscerti piccolino," disse abbassandosi per parlare con la mia pancia.
Si rialzò quasi commosso e mi guardò negli occhi. "Ma ci pensi a tutta la strada che abbiamo fatto insieme io e te? Tu c'eri quando ero solo un professore. Quando ho fatto il giuramento come Presidente del Consiglio per ben due volte, quando ho mandato un'intera nazione in lockdown... tu eri sempre lì, al mio fianco. E ora un figlio. Mi sembra quasi incredibile..."
"Non me ne parlare. Per me è ancora più assurdo. Quando ti ho visto per la prima volta, non avrei mai potuto immaginare quello che mi aspettava."
"Spero solo che tu non sia pentita," disse prendendomi una mano tra le sue mentre mi faceva l'occhiolino.
"Assolutamente no e lo sai bene."
Giuseppe ridacchiò soddisfatto della mia risposta. "Stavo solo controllando..."
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