28. Una cosa alla volta
Eravamo giunti alla quarta giornata di trattative e io non ne potevo davvero più. Sapevo che sarebbe stato difficile raggiungere un accordo, ma non immaginavo che le cose si sarebbero protratte così a lungo.
Di sicuro, nè Giuseppe nè gli altri leader europei lo avevano previsto. La pazienza iniziava a scarseggiare e gli animi si stavano surriscaldando sempre di più. Non avrei mai dimenticato la scenata fatta dal Presidente francese Macron che aveva minacciato di andarsene verso la fine della terza giornata di discussioni. I francesi tendevano ad essere così teatrali e forse è per questo che avevo un debole per loro.
Nonostante la bella amicizia che legava Giuseppe ed Emmanuel, questo non bastava a non farlo ingelosire. Non potevo però biasimarlo, visto che appena il Presidente francese iniziava a parlare mi perdevo ad ascoltarlo come incantata. Avevo studiato il francese solo fino alle scuole superiori, ma ne ero così innamorata che tentavo in tutti i modi di non dimenticarlo. Ogni tanto rispolveravo la grammatica e guardavo sempre molto volentieri qualche bel film in lingua originale.
Ma se Macron aveva perso la pazienza minacciando di andarsene, Giuseppe non era stato da meno in quanto a sangue caldo. Era andato più volte in rotta di collisione con il premier olandese Rutte e io e Rocco avevamo avuto il nostro bel da fare per tentare di farlo ragionare.
Dopo una pausa per cenare, le discussioni avevano ripreso il loro corso e si preannunciavano accese come al solito. L'orologio sulla parete segnava le 3 e qualcuno aveva proposto di fare una piccola pausa. Da come sembravano andare le cose, era molto probabile che sarebbe arrivata di nuovo l'alba prima di trovare un vero e proprio accordo che soddisfacesse tutti.
Con la scusa di voler riposare un po', il Presidente aveva fatto uscire tutto lo staff dalla saletta riservata all'Italia e poi mi aveva chiamato per fargli compagnia. Rocco da bravo portavoce versione tuttofare, stava di guardia davanti alla porta per evitare che qualcuno entrasse.
Finalmente potevo godere della compagnia di Giuseppe senza intromissioni. Era così stanco e assonnato e io lo capivo benissimo. Tenevo gli occhi aperti per miracolo, ma stavo ben attenta a non lamentarmi per non essere ripresa. In effetti, mi aveva detto più e più volte di tornare in albergo per riposare e non stancarmi troppo, però non avevo voluto dargli ascolto.
Non avrei sopportato l'idea di allontanarmi da Giuseppe e lasciarlo senza il mio sostegno. Poteva anche mostrarsi forte, come se niente potesse scalfirlo, ma sapevo che era molto provato dalla situazione. Mi si stringeva il cuore a vederlo così.
Ci eravamo accomodati su un divano in pelle bianca che non sembrava troppo scomodo. Il Presidente era senza giacca e se ne stava seduto in un angolo del divano, cercando di non crollare dal sonno. Appoggiai la testa sul suo petto, distesi le gambe e Giuseppe mi avvolse tra le sue braccia. Sentii un famigliare calore inondarmi il petto.
"Sei stanca?" chiese conoscendo già bene la risposta. Voleva vedere cosa mi sarei inventata, pur di non ammettere che dovevo dargli ascolto e tornare in hotel.
"No. Dopo il caffè di prima sono in perfetta forma..."
"Certo, immagino. Sei sempre la solita testarda..." disse posandomi un bacio sul capo.
"Ma è per questo che mi ami, no?"
"Ovvio. Ora chiudo gli occhi 5 minuti, ma se mi addormento davvero chiamami. Visto che hai detto che non sei stanca..."
"Non preoccuparti. Resto sveglia io," dissi annuendo con un po' troppa enfasi.
Volevo davvero mantenere il mio proposito, ma dopo pochi minuti le mie palpebre iniziarono a chiudersi senza che io riuscissi ad oppormi.
All'improvviso, sentii qualcuno che mi scuoteva il braccio e aprii gli occhi infastidita.
"Emma, alzati. Devo parlarti..." disse Rocco sottovoce.
A fatica spostai il braccio di Giuseppe che mi teneva stretta a sé e raggiunsi Rocco che mi aspettava nel lato più lontano della stanza. Immaginai che non volesse svegliarlo mentre mi diceva quello che doveva.
Con gli occhi ancora appannati dal sonno, cercai di inquadrare come potevo l'alta figura di Rocco. "Di che cosa si tratta?" chiesi tenendo il tono di voce il più basso possibile.
"Devo allontanarmi per un'emergenza e volevo avvisarti. Qualcuno sarebbe potuto entrare e non poteva trovarvi in quel modo..."
"Sì, certo lo capisco. Grazie per avermi avvisata," dissi cercando di trattenere uno sbadiglio.
"Piuttosto, non sarebbe meglio se tornassi in hotel? Tra poco riprenderanno ed è quasi certo che faranno di nuovo l'alba. La situazione è complessa... e nel tuo stato sarebbe meglio che non ti affaticassi troppo."
"È la stessa cosa che mi ha detto Giuseppe. Ma non voglio lasciarlo solo..." dissi girandomi verso il divano in pelle dove giaceva addormentato. Doveva essere così stanco, eppure così bravo a nasconderlo.
Quando mi voltai di nuovo verso Rocco, lo trovai a fissarmi pensieroso. "Lo ami davvero, eh?"
"Non sarei qui, altrimenti..."
"Sì, è così. Vedo chiaramente quanto lo ami e anche Giuseppe ti ama molto. Mi spiace averci messo tanto a capirlo, ma devi comprendere che la mia, non è una posizione facile."
"Posso immaginarlo. Se può valere qualcosa... mi dispiace averti incasinato tanto il lavoro."
"Lo apprezzo," disse facendomi un sorriso sincero. Era forse la prima volta in cui lo vedevo così ben disposto nei miei confronti.
"Direi che possiamo dichiare una tregua, che dici?"
"Certo. E comunque devi sapere che siamo d'accordo almeno su una cosa, nemmeno io voglio che Giuseppe si dimetta. È la persona migliore per guidare questo paese. Non hai idea di quanto io mi senta in colpa, però lo amo e non riesco a stargli lontano. Ci ho provato e sai bene come è finita."
Rocco fece un respiro profondo prima di rispondere. "Per ora è ancora a capo del governo e sta facendo l'impossibile qui al Consiglio Europeo. Affrontiamo una cosa alla volta..."disse tornando di nuovo freddo all'improvviso.
Era chiaro, che il solo nominare l'argomento dimissioni, aveva tramutato l'umore di Rocco. Ciò nonostante, non mi pentivo di aver esternato quello che provavo. Per me, era molto importante che sapesse quanto tutto questo mi addolorava.
"Ok..."
Tornai a guardare Giuseppe per controllare se dormisse ancora e in effetti sembrava immerso in un sonno profondo. "Forse è il caso che lo svegli," affermai a malincuore.
"Mi ha chiesto di chiamarlo in caso si fosse addormentato e immagino non manchi molto alla fine della pausa..."
"Ok, pensaci tu. Io vado. Ci vediamo dopo," mi salutò Rocco prima di lasciare la stanza.
"A dopo."
Con delicatezza accarezzai il viso di Giuseppe cercando di svegliarlo. Visto che le maniere gentili non funzionavano, iniziai a scuotergli un po' il braccio e finalmente cominciò a dare qualche segno di ripresa.
"È ora di ricominciare?" chiese ancora mezzo assonnato mentre strizzava gli occhi per via delle accecanti luci al neon.
"Temo di sì..."
"Ok, vado in bagno a lavarmi un po' la faccia."
Dopo essersi rinfrescato un po', Giuseppe ritornò da me e iniziò a stendere le braccia verso l'esterno per sgranchirle un po'.
"Pronto a tornare all'attacco?"
"Ma certo," disse sorridendomi come un bambino mentre alzava la mano in attesa che io gli dessi il cinque. Colpii il palmo della sua mano e poi mi avvicinai per dargli un bacio d'incoraggiamento.
"Falli secchi, tigre."
Dopo mille e più sforzi, discussioni così accese da sfiorare una rissa, toni che si alzavano e minacce all'unità dell'Europa, finalmente alle 5.30 circa, il Consiglio Europeo poteva dichiararsi concluso.
Giuseppe aveva lottato con tutte le sue forze e alla fine aveva davvero raggiunto il risultato che si era prefissato. L'Italia avrebbe ottenuto gli aiuti di cui aveva bisogno, alle condizioni più eque possibili. Il sostegno degli altri Premier era sicuramente stato fondamentale, ma io non potevo che essere piena di orgoglio per l'impresa in cui era riuscito.
Spazio Autrice: ed ecco a voi la mia fonte d'ispirazione per questo capitolo💙
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