24. Il dolce mancato

Giuseppe ricomparve sulla soglia qualche minuto dopo con l'aria più innocente del mondo. Ma dall'accenno di sorriso che non riusciva a nascondere, ebbi la conferma che non si era perso nemmeno una parola della conversazione che avevo avuto con suo figlio.

"Ho portato il dolce dalla cucina," disse giustificandosi mentre posava il vassoio sul tavolo.

Non vedevo l'ora di festeggiare con i pasticcini, ma purtroppo, alla fine, mi limitai soltanto a guardare Giuseppe e Niccolò che li mangiavano. Proprio in quel momento, la nausea aveva deciso di venire a farmi visita. Come se mi avesse sentita esultare il giorno prima per la sua assenza, la vendetta era arrivata proprio nel momento meno opportuno.

Giuseppe mi guardò con aria preoccupata e stupita. Sapeva bene quanto andassi matta per i dolci. "Non mangi?"

"No, non mi va. Sono a posto così..."

"Ma stai bene?"

"Sì, certo" risposi cercando di essere convincente il più possibile.

Sia Giuseppe che Niccolò mi guardarono dubbiosi. Il primo, in particolare, aveva appena attivato il radar per capire che cosa non andasse.

"Emma, posso farti una domanda?" chiese Niccolò un attimo dopo aver mandato giù un cannolo alla crema.

"Certamente. Chiedi pure."

"Ma non è che sei incinta? Non mangi il dolce, papà ha l'aria ancora più preoccupata del solito e non ci sono nemmeno alcolici sulla tavola..." disse elencando tutti i dettagli che aveva notato e che lo avevano fatto arrivare a quella conclusione. Come un moderno Sherlock, mi guardò quasi certo di avere ragione.

"No! Figurati... ma che vai a pensare! Incinta.... certo, che no. Giuseppe, diglielo..." affermai guardandolo in cerca di aiuto.

"Beh, ecco in realtà... Emma..."

Oddio, non potevo crederci. Giuseppe stava per spiattellare tutta la verità da un momento all'altro e Niccolò era così rapito dalle parole del padre, così deciso a scoprire la verità. Non potevo permetterlo, perciò fui costretta ad improvvisare.

"Mi fa un po' male la testa," dissi interrompendolo bruscamente. Mi portai una mano alla fronte mentre strizzavo gli occhi fingendomi dolorante. Tirai fuori l'attrice che c'era in me e sperai per il meglio.

"Vuoi una tachipirina? Finisco di parlare con Niccolò e te la prendo," disse distrattamente Giuseppe senza neanche guardarmi in faccia. Avrei almeno potuto fargli segno di tacere, ma era fin troppo concentrato nella conversazione.

"No," risposi delusa dalla sua mancanza di attenzioni. Bene, mi costringeva a tirar fuori le maniere forti.

"Non sto bene per niente. Puoi venire un attimo qui, per favore? È importante..." dissi tirando fuori la voce più delicata e affranta possibile. Dovevo fare in modo che smettesse di parlare con Niccolò ad ogni costo.

Come previsto, Giuseppe dimenticò immediatamente di cosa stava parlando e si alzò dalla sedia per arrivare al mio fianco in un lampo.

"Emma, che cos'hai? È il bambino?" mi chiese mentre si chinava su di me preoccupato.

Lo fissai con gli occhi fuori dalle orbite e lo sguardo omicida. Tanta fatica sprecata per niente. "Sto benissimo. Sei tu che stavi per dire che sono incinta, quando avevamo chiaramente stabilito di non farlo! Ma comunque ora è inutile..." dissi ancora incredula per la situazione assurda che si era venuta a creare.

"Hai davvero fatto finta di star male?" chiese Giuseppe mentre si allontanava da me con una faccia a metà tra la delusione e la collera.

"Cosa potevo fare? Volevo darti qualche segnale, ma non mi guardavi..."

"E quindi hai pensato di farmi venire un infarto! Credevo che stessi davvero male... tu o il bambino..."

Mentre battibeccavamo, Niccolò se ne stava lì impacciato non sapendo bene cosa fare. Era stato così amichevole nei miei confronti e ora ci guardava mortificato, sentendosi quasi di troppo e mi sentii terribilmente in colpa. Quel povero ragazzo aveva appena saputo che suo padre aveva una nuova compagna, per di più incinta e ora ci vedeva quasi litigare davanti ai suoi occhi. Era ingiusto e sbagliato.

"Mi dispiace per tutta questa storia. È che nessuno sa ancora della gravidanza, nemmeno i miei genitori o la mia migliore amica. Niccolò non è per te, davvero. È che i primi mesi sono i più pericolosi. Sai, insomma..." tentai di spiegare mentre cercavo le parole più indicate per proseguire.

"La gravidanza potrebbe non andare a finire bene?"

Annuii soltanto e mi rivolsi a Giuseppe con una faccia mortificata carica di scuse. "Scusami anche tu. Non volevo farti preoccupare," dissi prendendo la sua mano fra le mie.

Mi guardò accigliato, senza dire una parola. Ma quando si trattava di me, aveva il cuore fin troppo tenero. "Non riesco proprio ad avercela con te..."

"Tu cosa ne pensi?" chiese un momento dopo rivolto verso il figlio.

"Non mi dispiace diventare il fratello maggiore. Ma immagino di dover mantenere il segreto, giusto?"

"Sì, almeno per il momento" affermò Giuseppe senza un'ombra d'indecisone sul volto.

"Ok. Ora devo andare, ci sono i miei amici che mi aspettano. Finalmente qualcuno ha deciso di aprire le gabbie," disse lanciando una chiara frecciatina al padre.

"Nicco, non è che abbia tenuto la gente in casa per divertimento..."

"Sì, lo so papà. Stavo solo scherzando... Emma, mi dici come fai a sopportarlo tutto il giorno?"

"A volte è davvero esasperante," dissi con un sorrisetto che mi aleggiava sulle labbra.

Una volta rimasti da soli, io e Giuseppe ci andammo a sedere sul divano in soggiorno per commentare ogni cosa. Un po' come due comari che alla fine di un matrimonio si siedono e spettegolano su tutto.

"Beh, direi che non è andata così male..." disse il mio caro Presidente meditabondo.

"In effetti... pensavo peggio."

"Secondo me tu piacevi già a Nicco, ecco perché l'ha presa così bene. Te la sei cavata solo con un terzo grado."

"Non vorrei vantarmi, ma in effetti ha detto che gli sono sempre stata simpatica. Tu invece per poco non ti facevi venire un infarto. Si può sapere perché ci tenevi tanto a dirlo a Niccolò?" chiesi cercando di non pensare alla scenetta imbarazzante che avevo messo su pur di non farlo parlare.

"Nessuna ragione in particolare. Mi sembrava che l'avesse capito da solo e volevo solo confermarglielo."

"Capisco. È che senza preavviso, ho solo pensato a fermarti."

Giuseppe scosse la testa impercettibilmente. "Inoltre mi sono anche fatto dare dello scemo da mio figlio... E non ho neanche potuto sgridarlo, perché altrimenti avrei dovuto ammettere che vi stavo ascoltando."

"Ma l'ha detto proprio perché sapeva che stavi ascoltando... Povero amore," dissi facendogli una carezza sulla guancia.

Giuseppe mi passò un braccio intorno alle spalle per attirarmi a sé. "Ma dimmi una cosa... tu non hai detto a nessuno di noi due?"

"In realtà... Ho detto alla mia migliore amica di te solo qualche giorno fa. Non le ho detto niente prima perché non volevo caricarla di un segreto così importante. Però non ce la facevo più..."

"Ma certo, lo capisco. La conosco?"

"No, Giulia non frequentava Giurisprudenza. Si è laureata in Lingue e continua a vivere a Firenze," dissi ripensando con nostalgia alla mia città. Ero riuscita a tornarci solo per Natale e certo non avrei mai immaginato che un virus ci avrebbe costretti tutti ad un isolamento forzato qualche mese più tardi.

"Comunque penso che dovresti parlarne anche ai tuoi genitori. Vorranno sapere chi è il padre del loro primo nipote, no?"

"Sapevo che l'avresti detto prima o poi..." dissi arricciando le labbra contrariata.

"Che c'è, ti vergogni di me?"

"Certo che no."

"E allora, cos'è?" chiese corrugando le sopracciglia mentre mi studiava con attenzione.

Come facevo a dirgli che il solo pensiero di comunicarlo a mia madre e mio padre mi terrorizzava. Probabilmente avrebbero faticato a credermi. Io e il Presidente del Consiglio? Certe volte sembrava incredibile persino a me.

Erano davvero felici che io lavorassi per Giuseppe. Lo giudicavano una bella persona, ma di certo non si aspettavano che io fossi ben più di una semplice assistente.

"È che faticheranno a credermi..."

"Pensi che avranno da ridire per la differenza d'età?" chiese deciso a farmi confessare a tutti i costi cosa mi preoccupava tanto.

"Non ne ho idea. Forse ne saranno stupiti..."

Giuseppe si alzò dal divano e iniziò a passeggiare per la stanza nervoso. Si fermò dandomi le spalle immerso nei suoi pensieri.

Mi alzai a mia volta e gli passai le braccia intorno alla vita per posare la mia guancia sulla sua schiena. Potevo sentire il suo respiro, il battito del suo cuore così in subbuglio in quel momento.

"Giuseppe guardami," dissi costringendolo a girarsi nella mia direzione. "Non vorrai farti venire dei dubbi, solo per quello che potranno pensare?"

Mi guardò negli occhi ancora incerto. "Sono la tua famiglia. E poi l'hai sentito Niccolò, potresti essere sua sorella."

"Ed ecco perché non avresti dovuto origliare... Comunque se anche dovessero avere dei dubbi, sono sicura che alla fine saranno molto contenti per me," dissi facendogli un sorriso rassicurante.

"Allora ce ne accerteremo di persona quando li conoscerò..."

"Perfetto. E tu invece? Qualcuno sa di me?" chiesi sinceramente curiosa.

"Ancora no. Pensavo di presentarti direttamente alla mia famiglia di persona. Perciò bisognerà aspettare un altro po'..."

"E come pensi la prenderanno?"

Già immaginavo il mio terrore nel momento fatidico d'incontrare i genitori di Giuseppe. Chissà se mi avrebbero ritenuto o meno all'altezza del figlio.

"Ti adoreranno. Come potrebbero non farlo?" chiese facendomi una carezza sulla guancia.

"Io invece non ne sarei così sicura. Soprattutto quando scopriranno che vuoi dimetterti a causa mia."

Chissà, forse mi avrebbero considerata come la sciagurata che gettava fango sulla rispettabile famiglia Conte.

"Quando la smetterai d'incolparti? Non voglio più sentirti parlare così. E come ho detto, sono sicuro che ti adoreranno..." disse lasciandomi un piccolo bacio sul naso.

Giuseppe riuscì a contagiarmi con la sua sicurezza, ma sapevo che nel momento della verità, nemmeno le sue rassicurazioni sarebbero bastate a calmarmi.

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