Capitolo 24 • Sotto le stelle
Castor si diresse a larghe falcate verso un gruppo di massi che si accatastavano l'uno sull'altro, accarezzati dal tocco tiepido dell'acqua che li lambiva in sussurri blu notte. Si accovacciò su uno di essi e sfilò dalla spalla una sacca di cuoio.
- Si può sapere che stai facendo? - chiese Berenice in tono sospettoso, avvicinandosi.
- Ci accampiamo qui, stanotte - rispose Castor distrattamente, le parole dell'Antico Custode che gli turbinavano ancora nella mente. Gli parve di scorgere un sorrisetto entusiasta affiorare sulle labbra di Berenice.
- Qui? - domandò Iris guardandosi attorno preoccupata, mentre sfiorava impercettibilmente il sottile bracciale dorato. - Pensaci bene, Castor, potrebbe essere molto rischioso non fare ritorno alla Base.
Il ragazzo affondò gli occhi in quelli dolci di Iris, sorridendole con una premura che non aveva nulla a che spartire con la sua solita espressione beffarda. - Credi che vi esporrei a un simile pericolo se così fosse?
Iris annuì, cercando di apparire rassicurata.
Castor estrasse dalla sacca tre coperte scarlatte di tela grezza arrotolate su se stesse e ne lanciò una addosso a Berenice. La ragazza protestò con un gridolino soffocato. - Te la farei pagare se soltanto non fossi terribilmente affascinata dall'idea di dormire all'aperto sulle rive di un Lago saturo di magia, dopo che un vecchio millenario ci ha rivelato il nostro destino di salvatrici di Elfi - lo apostrofò mentre srotolava la coperta. - Ma ti sei ugualmente guadagnato il titolo di Elfo più insopportabile della giornata.
Iris e Castor si scambiarono uno sguardo complice e perplesso, e lei avrebbe voluto continuare a guardarlo per sempre se soltanto le sue guance non fossero avvampate sotto un'occhiata soddisfatta del ragazzo.
Berenice mugugnò qualcosa sistemandosi una ciocca di ricci ribelli dietro l'orecchio. Si sfilò il mantello, lo poggiò sul piano regolare di un masso asciutto e vi si sedette sopra, avvolgendosi la coperta intorno alle spalle. - Forte, no? - esclamò sorridendo. La cugina annuì e si sistemò accanto a lei. Castor le guardò divertito.
- Che hai tu? Siamo tanto ridicole? - sbottò Berenice corrugando le sopracciglia.
- Sembri uno gnomo lì, tutta imbozzolata. - Il ragazzo non riuscì a trattenere una risata.
- Uno gnomo? - Berenice era paonazza. - Io ti sembro uno gnomo?
Castor ridacchiò, senza rispondere, e Iris riuscì a frenare le risate un attimo prima che la cugina le allungasse un pugno sul naso. Berenice si sdraiò dando loro le spalle e, borbottando qualcosa di incomprensibile, tirò la coperta fin sopra il volto imbronciato.
Castor si sedette sul masso, con gli occhi di Iris puntati addosso. Si curvò sopra la catasta di rami e foglie secche che aveva disposto al centro dell'accampamento improvvisato, poi sfilò dalla tasca il frammento di pirite e una monetina di bronzo e sfregò i due oggetti tra di loro.
Iris sorrise, circondandosi le ginocchia con le mani. Nonostante la temperatura fosse decisamente aumentata in prossimità del Lago, faceva ancora abbastanza freddo da desiderare il conforto dell'asciutto riverbero di una fiamma crepitante.
Dopo un paio di tentativi, una pioggia di scintille ricadde sulla legna e il bagliore di un fuocherello guizzò nella notte. Il ragazzo portò le mani a coppa sulla fiammella per proteggerla dal vento leggero che soffiava sulla radura, ma non fu sufficiente. Scomparve in un attimo, lasciando al suo posto una debole scia di fumo grigiastro. - Nescta Iasta - sussurrò Castor a denti stretti.
- Che hai detto? - domandò Iris reggendosi su un gomito accarezzato dai biondi capelli.
Il ragazzo scosse la testa. - Nulla, è solo... una specie di imprecazione. In Elfico.
Iris sbarrò gli occhi, ma Castor non la vide, impegnato a riaccendere il fuoco.
- Non sapevo che gli Elfi potessero imprecare - esclamò sorpresa Berenice, ricomparendo oltre l'orlo della coperta. Iris fece un cenno d'assenso, fissando Castor sbalordita.
- Infatti non potrebbero - Il ragazzo ridacchiò. - Esterina mi ucciderebbe.
- Ma guarda questo tipo - borbottò Berenice.
Dopo qualche minuto Castor sorrise compiaciuto. Sulla catasta di legna ardeva una nuova fiamma, più vivace della precedente. Il ragazzo ripose nella tasca moneta e pirite e rivolse verso il fuoco i palmi aperti, dai quali scaturì una brezza leggera che lo alimentò. Il calore si diffuse in fretta. Iris sporse in avanti le mani intorpidite, scaldandole sopra la fiamma scoppiettante i cui riflessi le colorarono i palmi di arancione.
- Ma che bravo - cantilenò Berenice battendo le mani con aria teatrale. Pareva che ogni cosa di Castor la irritasse terribilmente.
- Se vuoi lo spengo - propose lui allargando le braccia. - Nessun problema.
- No. Lascialo - ribatté Berenice con una smorfia. - Ci impiegheresti un altro quarto di secolo a riaccenderlo. - Iris la guardò con aria di finto rimprovero, prima di scoppiare a ridere insieme a lei.
* * *
Di lì a una mezz'ora il silenzio fu rotto solamente dalle risate di Iris e Berenice che, ostinate, non si decidevano ad addormentarsi. Castor, seduto vicino a loro, fissava con sguardo indecifrabile il ciondolo che portava al collo.
- È il medaglione di tuo padre, quello, non è vero? - chiese Iris allungando un dito per accarezzarne i profili argentati. Si pentì delle sue parole un istante dopo averle pronunciate.
Castor lo fece scivolare rapido nella casacca, spostando lo sguardo sul profilo del Lago che si perdeva in lontananza, scomparendo nei riverberi argentati della notte coperta di stelle. La sagoma di Freccia si librò con grazia sopra la superficie dell'acqua, sfiorando con le zampe le onde che ne increspavano la lucentezza prima di innalzarsi di nuovo verso i ritagli di buio che inghiottivano lo spazio tra le costellazioni.
- Già - rispose Castor senza smettere di guardare lontano.
Fu come se davanti ai suoi occhi si fosse profilata l'immagine di qualcosa che Iris non sarebbe mai riuscita a vedere. Avrebbe voluto chiedergli di più, ma non aggiunse altro. Stava per voltarsi di nuovo verso Berenice, quando qualcosa attirò l'attenzione del ragazzo facendolo voltare di scatto. - Che hai? - domandò Iris irrigidendosi.
Castor fece cenno loro di tacere, la mano ancorata all'elsa della spada. Rimasero immobili ad ascoltare il silenzio per attimi che parvero interminabili.
Poi, anche le cugine lo udirono. Un rumore di passi veloci sul terreno umido, il parlare sommesso di un gruppo di uomini.
Fu in quel momento che li videro affacciarsi dalla boscaglia. Sei soldati avvolti da armature dorate, nei cui occhi pareva ardere fuoco puro. Esitarono un istante. Gli occhi fiammeggianti degli uomini incontrarono quelli delle Custodi e quando le ragazze si accorsero della durezza nel viso di Castor capirono che poteva essere soltanto uno il motivo che li aveva condotti sulle rive del Lago.
- Non siamo venuti qui per scendere a compromessi, Ribelle - gridò uno dei soldati nella loro direzione. - Consegnaci le Custodi e non vi verrà fatto alcun male.
Iris cercò lo sguardo di Castor, ma lui lo teneva fisso di fronte a sé. - E per conto di chi, se è lecito sapere? - Si alzò in piedi, la mano stretta intorno all'elsa della spada mentre teneva l'altro braccio teso dietro la schiena, verso le due ragazze.
I sei uomini si avvicinarono con passo lento e leggero. - Ordini dalla reggia di Sempreverde - rispose quello che le Custodi immaginarono essere l'Elfo a capo della spedizione. Nelle sue iridi brillava una determinazione antica e orgogliosa, velata da qualcosa che aveva in sé le tinte di una speranza incredula e a lungo tenuta sopita. - Consegnaci le Custodi, Castor. Non vorrai che venga fatto loro del male... - continuò accarezzando l'impennaggio delle frecce con le dita sottili, mentre il sorriso leggero che gli incurvava le labbra si posava prima sul ragazzo, poi sulla faretra che teneva stretta in vita.
- Noi non andiamo proprio da nessuna parte con voi, mi avete capita? - sbottò Berenice saltando in piedi e sfidando il loro sguardo a mento alto. Castor desiderò soltanto che avesse riservato la sua sfacciataggine per un altro momento.
L'Elfo abbassò appena il capo, nel lieve accenno di un inchino. - Come desiderate, Vostre Altezze.
Uno dei soldati alzò la spada su Iris e Berenice gridò il nome della cugina. Castor si librò in volo e la buttò a terra un attimo prima che il fendente vibrasse su di lei. - Voltati! - gridò a Berenice scivolando sulle rocce gelide. Lei obbedì e l'abito ruotò attorno al suo corpo tesissimo come una corolla scossa dal vento. Il ragazzo imbracciò l'arco e lasciò partire una freccia contro il soldato che si stava scagliando verso Iris, mancando il bersaglio di qualche spanna. Berenice chiuse gli occhi, aspettando l'impatto del corpo dell'uomo sulla cugina.
Castor fece appena in tempo a vederlo afferrare le braccia di Iris e portargliele dietro la schiena senza poter fare nulla per impedirlo, prima che quattro Elfi delle Terra si lanciassero su di lui con le spade sguainate.
Esendhor mandò un baluginio cupo quando il ragazzo la offrì alla brezza pungente abbassandola a parare la furia ravvicinata di quattro fendenti. Castor sentì le braccia cedere sotto la sequenza rabbiosa dei colpi, ma non indietreggiò. Piantò con forza gli stivali nel terreno reso scivoloso dalle foglie dei salici e si spinse in avanti, vibrando un fendente talmente violento che riuscì quasi a disarmare uno dei soldati.
Estrasse il pugnale dal fodero che portava in vita, sollevandolo davanti al torace per deviare un colpo diretto contro la sua gola. La lama scivolò lungo il filo del coltello strappandogli un lembo della manica, ma Castor la respinse con una rotazione secca del polso, facendo perdere la presa al suo rivale.
Ingoiò un profondo respiro e strinse con più forza le dita attorno all'elsa di Esendhor, ruotando su se stesso per aprirsi un cerchio tra le lame degli avversari. Sapeva che cercavano di tenerlo impegnato per dare agli altri due la possibilità di agire sulle Custodi, ma non sapeva come liberarsene. Erano forti, determinati e ben addestrati. Castor era un soldato esperto, ma quell'attacco l'aveva colto di sorpresa. Sebbene il Mago l'avesse avvertito che i Ribelli non erano gli unici a conoscere la Profezia, non si sarebbe mai aspettato che la notizia dell'arrivo di Iris e Berenice potesse viaggiare tanto rapidamente, fino a riecheggiare nelle ampie sale marmoree del Palazzo di Hekislia. Sembrava che i soldati di Sempreverde sapessero cosa cercare e fossero stati istruiti con precisione su dove trovarlo.
Castor sentì il sibilo di una lama saettare a pochi centimetri dal suo orecchio e abbassò la testa per evitare il morso affamato dell'acciaio. Era deconcentrato, distratto dall'immagine delle Custodi che compariva a tratti tra le lame incrociate, dal viso livido di Iris che veniva strattonata mentre lottava per liberarsi, dalle guance contratte di Berenice che lo fissava con sguardo interrogativo, in piedi sulla superficie piatta di una roccia, pietrificata dal terrore.
Un dolore sordo gli attraversò la spalla, propagandosi lungo il braccio, e Castor dovette fare appello a tutta la sua lucidità per non lasciare la presa sulla spada. Alla sua sinistra, il soldato che aveva disarmato impugnava lo scudo con entrambe le mani, gli occhi accesi di una rabbia quasi selvaggia. Castor lo vide sollevare l'arma sopra la testa e prima che avesse il tempo di capire cosa stesse succedendo sentì il respiro mozzarsi e una fitta acuta perforargli le costole dove l'elsa di Esendhor si era conficcata nel fianco, schiacciata dalla pressione del metallo. Il ragazzo indietreggiò per contrattaccare, ma il soldato lo caricò di nuovo, facendolo piegare sulle ginocchia, mentre la spada tracciava un arco sopra la sua testa sfuggendogli dalle dita.
Uno stridio acuto perforò l'oscurità e i soldati volsero lo sguardo verso l'alto. Freccia planò in direzione della radura, scuotendo la notte con il levarsi rabbioso delle ali possenti. I suoi artigli si contrassero diretti verso l'Elfo che stringeva lo scudo e l'uomo riuscì a buttarsi a terra un attimo prima che si chiudessero sugli spallacci della sua armatura.
- Va' da Iris! - urlò Castor recuperando la spada.
L'Ippogrifo stridette minaccioso e si lanciò in avanti, graffiando il terreno con i puntali acuminati degli artigli, pronto ad affondarli su qualunque cosa si mettesse tra lui e la Custode. Una radice si sollevò dal terreno schiantandosi a meno di un metro dal muso di Freccia e l'Ippogrifo si issò sulle zampe posteriori, schioccando il becco con un guizzo d'ira che saettava negli occhi d'argento.
Il soldato che aveva catturato Iris Iris teneva un palmo rivolto verso l'alto, le dita contratte, la fronte imperlata di sudore. Freccia spiccò un salto verso di lui e quattro lingue arboree emersero dalla terra scura guizzando verso l'animale. Ci fu un tonfo sordo e Freccia rovinò a terra, incatenato al suolo dalla prigione di muschio e radici.
Iris assistette impotente alla vista straziante dell'Ippogrifo che si dimenava per liberarsi, mentre le liane si serravano con più forza intorno a lui, lottando contro i suoi muscoli possenti. Cercò di divincolarsi approfittando dello sforzo che il soldato stava compiendo per impedire a Freccia di spiccare di nuovo il volo, ma il braccio libero dell'uomo si strinse attorno a lei come una morsa, coprendole la bocca con la mano guantata.
Un movimento balenò nel campo visivo di Iris. Dall'altra parte della radura, un soldato stava scivolando tra gli arbusti bassi diretto verso Berenice che, ignara, gli dava le spalle, pronta a parare eventuali colpi con un sottile stiletto che teneva teso davanti a sé.
Iris cercò il volto di Castor tra lo scintillio delle spade, incatenandolo ai suoi occhi verdi. Fa' qualcosa, ti prego.
Il ragazzo le rivolse uno sguardo carico di scuse e si voltò per respingere un nuovo attacco dei suoi avversari.
Iris si pizzicò le labbra tra i denti, cercando di impedire al panico di sopraffarla. Doveva liberarsi e avvertire Berenice. Si strappò la mano dell'uomo dalle labbra, e gridò.
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