8. Un nuovo inizio

"Mi mancherai, Meave".

Approfittando dell'oscurità mi aggrappo saldamente alla casacca di Nioclas, stringendolo a me per qualche altro istante. Per paura di venire scoperti ci separiamo immediatamente, quasi fossimo rimasti scottati dall'intensità di tante emozioni provate simultaneamente.

Sotto la luce argentata degli astri gli occhi color zaffiro del mio amico splendono di tristezza e di malinconia e sembrano contenere fantasmi antichi come il mondo. Osservo il suo volto con avidità, cercando di imprimere nella memoria ogni tratto, ogni curva, ogni imperfezione, conscia che questa potrebbe essere l'ultima volta insieme. Un moto di tristezza continua a rodermi il centro del petto facendomi salire lacrime incandescenti agli occhi, ma io cerco di scacciarle prontamente, decisa a non soccombere davanti alle mie emozioni.

Il ragazzo si guarda attorno circospetto per qualche istante, poi mi afferra saldamente il volto con entrambe le mani. L'ombra di una lacrima gli traballa pericolosamente sull'orlo delle ciglia, ma al contrario di me lui non cerca di scacciarla.

"So che sei una donna forte, la più forte che io conosca, altrimenti non saresti qui. E so anche che capisci cosa intendo, quando ti dico che per alcuni versi sono felice che tu te ne stia andando" sussurra complice, carezzandomi una guancia con il pollice "In questo mese ho imparato a volerti bene e a preoccuparmi per te, ancora di più ora che conosco il tuo segreto, quindi non posso che tirare un respiro di sollievo ora che so che sarai al sicuro con la tua famiglia. Al fronte ci sarò io a combattere e lo farò anche in nome tuo e di tuo fratello".

Mentre il ragazzo parla, altre lacrime prendono a scivolargli silenziose sulle guance ed io non posso fare a meno di liberare anche le mie. Non posso credere di essere riuscita a trovare una persona come Nioclas tra i ranghi dell'esercito, dove mi sarei aspettata di vedere solo uomini rozzi e senza cuore. Il cuore di Nioclas, invece, è fin troppo grande e misericordioso e mi sento quasi indegna davanti al suo affetto e alle sue attenzioni.

"Non ti scorderò mai, te lo giuro, te lo prometto con tutta me stessa" singhiozzo in risposta, incapace di fare altrimenti.

Il terrore e il dolore che sopraggiungono in me all'idea che questa possa essere davvero l'ultima volta che parlo con Nioclas mi stanno distruggendo lentamente, con una crudeltà inaudita. Non posso, non voglio crederci.

"Nemmeno io, Daghan" sorride il ragazzo tra le lacrime, per poi fare un passo indietro e lasciare la presa sul mio volto.

Lo osservo mentre si allontana sempre di più, ma senza mai interrompere il nostro contatto visivo. Prendo un bel respiro e per l'ultima volta imprimo quel volto nei miei ricordi. Ci siamo salutati questa notte, perché abbiamo convenuto che farlo domani mattina sarebbe stato più difficile per entrambi.

Le sue labbra mimano un ultimo saluto che vola e scompare nel buio della notte, prima che si volti e scompaia tra il reticolato di tende dell'accampamento. Non ho idea di quanto rimanga ferma, in piedi, con lo sguardo puntato dove prima c'era lui. So solo che comportandomi in questo modo sto riducendo al minimo i danni subiti dal mio povero cuore, conscio ancora una volta di aver perso l'ennesimo pezzo.

Lo sbuffo dello stallone alle mie spalle mi fa trasalire, quando spezza l'estatico silenzio creatosi all'interno della mia testa. Lentamente mi costringo a distogliere lo sguardo dal vuoto e a portarlo alle mie spalle. Questa sarà la mia ultima notte all'accampamento e quindi anche il mio ultimo turno di guardia. Il comandante Rian mi ha ordinato di vegliare su di lui fino all'alba, cedendomi così anche il suo turno. Non so perché lo abbia fatto, ma ormai ho smesso di chiedermi il perché delle sue azioni.

Alla luce delle fiaccole il manto nero carbone dell'animale assume delle strane ed inquietanti sfumature rossicce, che lo fanno assomigliare davvero ad un destriero infernale, come più volte è già stato apostrofato. Quando improvvisamente i suoi occhi incontrano i miei mi volto, scottata dall'intensità distruttiva del suo sguardo.

Con un sospiro mi lascio ricadere sul solito scomodo sgabello di legno e mi affretto ad asciugare gli ultimi residui di lacrime. Le sento ancora pizzicarmi la pelle, come se contenessero un sorta di veleno urticante. Con rabbia mi passo la maniaca della casacca sul volto, sentendo il tessuto grezzo graffiarmi la pelle, ma non curandomene più di tanto.

Vorrei dire che non mi sono arresa, che ho ancora dentro di me la forza di contrastare Cael, di presentarmi al suo cospetto e di sputargli in pieno volto tutto quello che penso di lui e dello stupido ordine che mi ha impartito. Ma non posso, perché se lo facessi starei solo mentendo a me stessa.

In questo ultimo mese ho pensato che i dolori peggiori fossero quelli ai muscoli, alle ossa, i fastidi dell'armatura, le scariche pungenti alla caviglia slogata, i contraccolpi dei pugni e dei fendenti delle spade avversarie. Mi sbagliavo.

Quando sono arrivata qui non mi sarei mai aspettata che il dolore più grande non sarebbe stato quello fisico, ma quello emotivo. Non pensavo che l'idea di abbandonare questo nuovo e devastante stile di vita, di dover dire addio ai volti dei miei compagni, di sentire il comandante Cael riprendermi e cacciarmi via sarebbe stata così terribilmente ed inevitabilmente distruttiva. Mai avrei potuto prevedere quanto la prospettiva di tornare a casa sarebbe stata così poco allettante.

Ho dimostrato di essere un soldato debole, poco incline al combattimento, ma con una forza di volontà che mai mi sarei attribuita. Per un mese intero ho vissuto al limite della barbarie, fingendo di essere un uomo, un guerriero, e l'ho fatto senza mai considerare l'idea di tornare sui miei passi e rinunciare.

Pensavo di essere venuta qui solo ed esclusivamente per mio fratello, per proteggere lui e la mia famiglia, per donare lustro ed onore al nostro nome, ma in fondo c'era anche un altro motivo. Inconsapevolmente quella notte mi sono tagliata i capelli e ho indossato l'armatura anche per me stessa, per dimostrare a tutti che non sono, che non posso essere trattata come una normale dama. Nel mio cuore scalpitava e bruciava un urlo di libertà, la volontà nuda e cruda di far vedere a tutti chi io fossi veramente.

Non sono nata per indossare abiti eleganti e lanciare sguardi languidi agli scapoli facoltosi da dietro un ventaglio. Non sono nata per comportarmi secondo le regole del galateo, per danzare durante sfarzosi balli d'alta società e per fare sfoggio di me stessa come fossi una merce in vendita. Non sono nata per sposarmi, per essere a capo di una magione in campagna e per badare all'educazione dei miei figli e ai bisogni di mio marito.

Forse sono sempre stata destinata al sangue, al metallo cangiante delle armature, ai fendenti delle armi e agli urli di battaglia. Forse sono nata per essere un soldato, per combattere contro un nemico e per difendere ciò a cui tengo. Forse questo è sempre stato il mio posto, ma io non l'ho mai capito fino ad ora.

Eppure...

Eppure ora sono ferma qui, sconfitta ed abbattuta, pronta ad abbandonare il mio nuovo sogno e a tornare ad una vita che non mi è mai appartenuta.

Ma sono veramente pronta per farlo?

Sono disposta a farlo?

Certo che no.

Una scintilla comincia a scoppiettare nel mio petto, mentre alzo gli occhi al cielo e osservo la luna piena che veglia su di me. Al momento è notte fonda e tutti nel campo stanno riposando, pronti per la dura giornata di allenamento di domani.

Cael sarà disteso nella sua tenda, magari si starà rigirando senza sosta sotto l'effetto di quei demoni di puro terrore che ho visto agitarsi sul fondo dei suoi occhi.

Il tenente Mickal sarà ricaduto nell'incoscienza del dolore oppure sarà sveglio, cercando di non lamentarsi e di farsi forza per superare con onore e tenacia questa terribile notte, segnata dalle ferite di guerra.

Draigen con la sua zazzera scomposta di capelli rossi starà russando rumorosamente, con un braccio disteso a stringere l'arco e la faretra persino nel mezzo del suo sonno pesante.

Nioclas forse sarà finalmente riuscito a prendere sonno, oppure starà osservando il finto soffitto della sua tenda, con la testa affollata da mille pensieri e ricordi.

Io questa notte non riposerò e nemmeno resterò inerte a crogiolarmi nella mia stessa sofferenza. Questa notte combatterò con i denti e con le unghie e dimostrerò a tutti di che pasta sono fatta. Questa notte ho scelto di diventare il soldato che sono destinata ad essere, di onorare finalmente me stessa e solo me stessa.

Un brivido mi corre repentino su per la spina dorsale, mentre mi alzo dallo sgabello e mi volto verso il recinto. Lo stallone senza nome mi osserva, come mi stesse aspettando, come se sapesse già cosa sta per accadere. Questa volta non arretro davanti al suo sguardo assassino e non trasalgo quando sbuffa prepotentemente nella mia direzione, sollevando i ciuffi neri che ha davanti al muso.

Continuando ad osservare il mio avversario dritto negli occhi mi slaccio il cinturone e lascio ricadere a terra la spada, consapevole che questo dovrà essere uno scontro alla pari. Nonostante la caviglia dolorante renda il mio passo incerto e malfermo, avanzo senza paura fino al cancello del recinto. Le catene usate per gli allenamenti scintillano alla luce della luna, come se anch'esse mi stessero aspettando ormai da tempo. Senza indugiare oltre le afferro e me le allaccio alla vita, accogliendo il peso con una certa familiarità. Un mese fa la mole delle catene mi faceva traballare pericolosamente sui miei stessi piedi, oggi invece è solo un peso come un altro.

Prendo un respiro lungo, che si insinua in ogni anfratto più recondito del mio corpo, poi apro il cancello ed entro. L'animale rimane immobile come una statua di sale mentre chiudo con uno schiocco il catenaccio, come se stesse seguendo l'ormai monotona tiritera del gioco. Quando mi volto per incontrare di nuovo il suo sguardo, lui si limita a sbuffare e a sbattere alcune volte lo zoccolo a terra. Accettando la sua provocazione faccio un paio di passi in avanti, tenendo una mano serrata alle catene. Il gelo del metallo contro le mie dita mi rende più calma e a mio agio, illudendomi quasi che in mano stia reggendo la mia spada.

Il mio avversario è stranamente calmo e silenzioso per le sue abitudini, così mi arrischio ad invitarlo con un gesto della mano libera a venirmi incontro, sicura che mi capirà. Una fiamma viva si accende negli occhi dello stallone al mio segnale.

Che la sfida abbia inizio.

Il cavallo non perde un secondo e, nonostante la sua poderosa mole, si scaglia a tutta velocità contro di me. Le mie membra cominciano a scuotersi come pervase da un tremito, ma cerco di non badarci. Rimango ferma fino a un secondo prima dell'impatto, poi scarto di lato sottraendomi dalla traiettoria dell'animale.

Con un ghigno soddisfatto lo osservo fermarsi bruscamente nel mezzo del recinto, alzando un polverone nauseabondo attorno a sé. Prima ancora che possa prevedere la sua mossa, tuttavia, quello si è già voltato nella mia direzione ed è partito alla carica. Sento lo stomaco rivoltarsi scompostamente su se stesso mentre faccio velocemente qualche passo indietro, inciampando nei miei stessi piedi quando la caviglia infortunata cede clamorosamente.

Un gemito strozzato mi sfugge dalle labbra mentre casco all'indietro contro i poderosi pali di legno del recinto, sbattendo la testa. Terrorizzata faccio leva sulle braccia e mi getto oltre di esso, quando lo stallone giunge a tutta velocità a meno di qualche centimetro da me. Il cuore mi batte all'impazzata quando casco pesantemente fuori dal recinto, sentendo gli anelli delle catene perforarmi lo stomaco e il fianco. Inspiro bruscamente e spalanco gli occhi, osservando con la coda dell'occhio lo stallone sbattere il muso contro uno dei pali, non essendo riuscito a fermare in tempo la sua folle corsa. L'animale stordito arretra di qualche passo, scuotendo il capo proprio come farebbe un umano.

Nel frattempo cerco di alzarmi e di far ricadere meno peso possibile sulla caviglia, che sento gridare istericamente dal dolore. Osservo l'animale, fermo accanto al bordo del recinto, mentre anche lui tenta di riprendersi dal violento impatto, e un'idea folle fa capolino tra i miei pensieri. Il più in fretta possibile mi arrampico sul recinto e dall'alto piombo sul dorso dell'animale, cercando di aggrapparmi disperatamente alla sua criniera.

Non appena il mio corpo ricade sul suo, la sua furia divampa ancora più bruciante e distruttiva. Con movimenti poderosi e violenti lo stallone prende a scalciare e a muovere freneticamente il collo, con l'intento di scrollarmisi di dosso. Per qualche istante riesco a contrastare la forza dei suoi movimenti e a continuare con successo a rimanere aggrappata a lui, ma con il passare dei secondi resistere diventa sempre più difficile.

Quando il mio stomaco si contorce nauseato, perdo aderenza e il mio corpo viene scagliato lontano, in mezzo al recinto. L'impatto è così violento che sento i polmoni svuotarsi in un flusso bruciante. Il cielo sopra di me rimane confuso e coperto da un sottile strato di nebbia per quelle che mi paiono ore, nonostante sia pienamente conscia che siano passate solo alcune frazioni di secondo. Quando attraverso il dolore e la confusione sento gli zoccoli dello stallone riprendere e percuotere il terreno, faccio di tutto per alzarmi e spostarmi di qui il più in fretta possibile.

Il peso delle catene sta cominciando ad essere insopportabile, ma stringo i denti e mi alzo, traballando leggermente sui piedi. Correndo stentatamente sono costretta a saltare nuovamente oltre il recinto, ma questa volta riesco ad atterrare sui miei piedi. Per la seconda volta, lo stallone sbatte il muso contro i pali e mi concede qualche istante di vantaggio. Proprio quando sto per tentare un secondo approccio dall'alto, sicura che da terra non riuscirei mai ad ostacolarlo, l'animale lancia un nitrito che squarcia la notte.

Rimango congelata sul posto, come se avessi momentaneamente perso la capacità di muovermi. Con gli occhi sbarrati osservo alcune tende aprirsi e dei soldati dirigersi nella mia direzione, assonnati e confusi. Alcuni di loro, quelli più svegli e vigili, mi osservano curiosi, domandandosi certamente cosa stia tentando di fare. Tuttavia non mi lascio distrarre oltre da loro e riporto lo sguardo sul mio avversario.

Non posso mollare proprio ora.

Non credendo ai miei occhi osservo lo stallone fermo darmi le spalle, anche lui rapito dalla piccola folla che ha preso ad ammucchiarsi attorno al recinto. Con uno slancio che mi fa stringere saldamente i denti, quando la caviglia minaccia di collassare ancora una volta, salto in groppa all'animale.

Questa volta ci mette qualche istante in più per accorgersi di me, il tempo necessario per stringere saldamente le gambe alla sua pancia e le braccia al collo. Come in seguito al primo tentativo, l'animale prende a muoversi freneticamente, nel tentativo di liberarsi di me. In sottofondo i soldati hanno preso ad esclamare scommesse, imprecazioni ed incoraggiamenti, ma io continuo a fingere che non esistano.

All'improvviso l'animale sembra cambiare strategia e scarta repentinamente di lato, facendomi sbattere contro i pali del recinto. Mio malgrado non riesco ad ignorare le fitte di dolore e ancora una volta perdo la presa sull'animale. Mentre casco oltre il recinto sento i soldati trattenere il fiato, come aspettandosi che questa volta non mi rialzerò.

Con solo la furia e forza di volontà ad alimentare il mio corpo faccio leva con le braccia e mi alzo, sotto i fischi di approvazione dei miei compagni. Sopra di me il cielo ha cominciato a virare verso un azzurro molto intenso, segno che l'alba si sta avvicinando più velocemente di quanto mi aspettassi.

Quanto tempo è passato?

Scrollo il capo, cercando di liberarmi di tutti questi pensieri inutili, e nel farlo incontro uno sguardo familiare all'altro capo del recinto. Gli occhi azzurri di Nioclas mi stanno osservando con grande intensità, con attesa e speranza. Accanto a lui Draigen alza i pugni in aria e ripete il mio nome gridando, incitando gli altri a fare lo stesso. In mezzo al dolore e al senso bruciante di sconfitta la presenza dei due ragazzi mi fa spuntare un sorriso inaspettato sul volto.

Ce la posso fare.

Mentre lo stallone si muove impaziente, aspettando che torni alla carica, io osservo attentamente l'ambiente attorno a me. Cerco di capire cosa abbia sbagliato fino ad ora, se abbia tralasciato qualche importante particolare senza rendermene conto. Porto lo sguardo sulle mie mani scorticate, sulle nocche sanguinolente e sugli avambracci pieni di lividi. Guardo i miei piedi e la caviglia infortunata che pare tremare, nonostante sia perfettamente immobile.

Poi faccio salire lo sguardo e le vedo, le vedo davvero forse per la prima volta da quando le ho indosso. Le catene, secondo le parole di Cael, rappresentano il peso dell'armatura e delle armi che avremo addosso in battaglia. E allora perché fino ad ora non le ho mai guardate come tali, ma solo come un qualcosa di impaccio? Perché non le ho usate mai come delle armi?

Con una nuova strategia in mente, me le slaccio velocemente dalla vita e le stringo saldamente tra le mani. Alle mie spalle, ad est verso i monti del Regno di Fia, il sole sta lentamente cominciando la sua corsa verso l'alba rendendo il cielo di un colore a metà tra il grigio e il celeste.

L'ordine del comandante era chiaro. Oggi all'alba me ne sarei dovuta andare per sempre dall'accampamento. Ho poco meno di cinque di minuti, prima che il sole spunti da dietro i monti e il mio destino sia irreparabilmente segnato.

Pronta a tentare un'ultima volta questa folle missione suicida, alzo lo sguardo sullo stallone. L'animale è accostato beffardamente alla staccionata, quasi mi stesse deliberatamente porgendo su un piatto d'argento l'occasione perfetta per mettere in atto il mio nuovo piano. Aguzzo lo sguardo e lo fisso nel suo, che mi attende pronto e battagliero come ogni volta.

Velocemente mi isso sui pali del recinto e salto in groppa all'animale, stringendo con quanta più forza possibile le gambe al suo ventre. Quando i tacchi dei miei stivali spingono sulla pelle dell'animale, quello nitrisce inferocito ed io non esito a cogliere al volo l'occasione. Con un movimento repentino mi allungo oltre il suo collo e faccio passare le catene tra le sue mandibole, quasi fossero un normale morso da monta. Non voglio fare del male allo stallone, nonostante lui abbia ripetutamente tentato di farne a me, così faccio attenzione a non strattonare troppo le briglie improvvisate che mi sono costruita.

Quando il cavallo si alza sulle zampe posteriori, in un ultimo disperato tentativo di averla vinta, io mi aggrappo alle catene e stringo i denti, decisa a non mollare. Mentre sono ferma a mezz'aria il tempo sembra fermarsi. Vedo chiaramente il sole nascere dalle aguzze cime dei monti e dall'altra parte un paio di occhi color giada osservarmi stupefatti.

Quando lo stallone, ormai sconfitto, poggia sonoramente gli zoccoli a terra tutti tacciono. Si sentono solo il mio respiro affannato e quello del cavallo, che con il capo chino sembra aver accettato la sua sconfitta, nonostante tenti alcune altre volte di strattonare la mia presa, divenuta ormai ferrea. Con un sospiro tremolante lascio cadere le catene a terra, liberandolo dal mio giogo e cominciando a tenermi unicamente alla sua criniera. Basta qualche leggero colpetto sul ventre e l'animale comincia a trottare in circolo nel recinto.

Un boato si alza dalla folla di soldati, che prendono a fischiare e ad applaudire con entusiasmo. Draigen e Nicolas sorridono raggianti nella mia direzione e ululano il mio nome, strappandomi una risata. Poi il mio sguardo incontra ancora una volta quello del comandante Rian.

Il sorriso mi muore immediatamente sulle labbra, quando lo vedo con un'espressione dura ed indecifrabile a dipingergli il bel volto. Con il capo chino arrivo fino davanti a lui per poi far fermare lo stallone. Ho paura che tutto quello che ho fatto non sia abbastanza, che davanti alla mia incompetenza un gesto del genere non possa nulla.

"Daghan".

Come sempre quella voce risveglia brividi ghiacciati nel profondo del mio petto, ma non mi lascio intimorire. Ostentando una sicurezza che posseggo solo in parte, alzo lo sguardo ed incontro quello del capitano.

"Ci vediamo agli allenamenti dopo colazione".

Strabuzzo gli occhi e per poco non cado da cavallo alla vista del sorriso vero e magnifico appena spuntato sul volto di Cael. Alle sue spalle Nioclas e Draigen gridano e si danno pacche sulle spalle a vicenda, felici come non mai. Io d'altra parte sorrido in risposta al comandante e annuisco appena con il capo, cercando di far tornare il mio battito cardiaco ad un ritmo normale.

Ce l'ho fatta.

Ho vinto.

Questo è un nuovo inizio.

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Ehilà!

Vi avevo promesso che con il prossimo aggiornamento sarei stata più veloce e almeno questa volta sono riuscita a mantenere la mia promessa!

Oggi mi ha colpito in pieno un fulmine di ispirazione così mi sono messa all'opera e ho sfornato questo nuovo capitolo... che ne dite?

Da qui in poi entriamo nel vivo e sarà tutto un percorso in salita, che spero vogliate continuare a compiere al fianco di Meave.

Aspetto con ansia i vostri commenti!

Ah, quasi dimenticavo! Se vi va candidate questa storia o anche un'altra mia o di qualsiasi altro autore che vi piaccia al Concorso 2017 che trovate sul profilo di esistenza_ . Per farlo vi basta scrivere titolo, genere e autore della storia nei commenti del primo capitolo del concorso.

Un beso,
Lady ❤️

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