6. Tempismo perfetto
"Ehir, rialzati! Sbrigati! Se il comandante ti vede così un'altra volta, è la fine per te!". La voce di Nioclas mi arriva chiara e ben distinta alle orecchie, ma per qualche strano motivo il mio corpo non ne vuole proprio sapere di fare quanto richiestogli.
Tossisco pesantemente, portandomi il pugno alle labbra quando, nel tentativo di rialzarmi, inalo per errore una quantità spropositata di polvere. Con gli occhi che bruciano alzo lo sguardo e noto con sconforto che il polverone è stato alzato proprio dai piedi del comandante.
Cael mi osserva dall'alto e con il suo sguardo cristallino pare volermi pugnalare fin nell'animo. Questa non è la prima volta che faccio fatica a rialzarmi dopo una caduta, e la rabbia del comandante sembra aumentare ad ogni tentativo fallito.
"Daghan, alzati immediatamente e riprendi la tua arma" comanda secco, voltandosi di scatto e liberandomi finalmente dal flagello del suo sguardo assassino.
Dopo qualche istante entra nel mio campo visivo la mano di Nioclas, che mi sta gentilmente offrendo un aiuto. Sto quasi per afferrarla, grata, quando la voce del comandante risuona fredda e perentoria una seconda volta.
"Teafa, spostati immediatamente. Ehir è ancora perfettamente in grado di alzarsi da solo".
All'ordine del comandante le iridi color zaffiro di Nioclas incontrano per qualche secondo le mie, inviandomi una muta richiesta di perdono, prima di sparire dalla mia vista. Sentendomi gli occhi di tutti addosso a gravare maggiormente sulle mie povere ossa martoriate, prendo un bel respiro. Con quello che mi pare uno sforzo sovrumano faccio forza con le braccia e mi metto in piedi, rischiando quasi di cadere nuovamente a terra quando una scossa di dolore mi percorre tutta la gamba.
Poco meno di qualche minuto fa, durante il combattimento con la spada con uno degli altri soldati, sono caduta malamente sotto l'effetto di un infido fendente. Purtroppo il mio piede ha incontrato una pietra saldamente ancorata al terreno e il risultato è stato un rumore terribile proveniente dalle articolazioni della mia caviglia.
Ormai in piedi comincio a camminare fino al punto dove la mia spada è caduta, trascinandomi dietro il piede ferito. Ogni passo equivale ad una nuova fitta di dolore, ma l'unica cosa che posso fare è continuare a camminare. Reggendomi il costato pieno di lividi ormai da giorni, mi piego a raccogliere la spada che ammicca beffardamente nella mia direzione. Con presa ferrea stringo il manico nella mano, non volendo che l'arma mi cada rendendomi ancora più ridicola di quanto già non lo sia agli occhi dei miei compagni.
"Vai in infermeria".
Tre parole sputate con una tale rabbia e delusione da darmi l'impressione che un coltello mi si sia appena impiantato in pieno petto. Il comandante non mi guarda nemmeno mentre continuo a trascinarmi nel mezzo del campo, con la testa bassa e il volto distorto in una smorfia di dolore.
Calde lacrime cominciano a pizzicarmi gli occhi quando sono ormai lontana dal campo d'allenamento, ma con l'ultimo briciolo di autocontrollo che mi rimane le ricaccio indietro. Sento ogni singola parte del corpo dolermi e pulsarmi, come fosse un'unica e grande ferita, e il dolore è diventato ormai così forte da esserne assuefatta.
È passato un mese dalla mia prima notte di guardia e da quel momento tutto è andato degenerando. Il discorso fatto con Cael deve averlo in qualche modo turbato, perché da quel momento segue costantemente i miei passi e non si risparmia mai commenti duri. Il modo in cui i suoi occhi hanno cominciato a guardarmi mi ferisce ogni giorno di più, così come il tono metallico e tagliente della sua voce. Averlo attorno è come essere costantemente sotto gli occhi di un predatore, con la piena consapevolezza di essere una povera ed indifesa preda a cui rimane poco tempo da vivere.
Gli allenamenti sono diventati ogni giorno più duri da sostenere, il mio corpo non ne vuole sapere di adattarsi agli sforzi e, anzi, li rigetta con una violenza inaudita. Tutti gli altri soldati sopportano in silenzio, con una stoicità che ai miei occhi appare inumana, mentre io non posso fare a meno di essere un libro aperto; il dolore si riflette senza riserve nei miei occhi, nei lividi e nei tagli che dipingono con rudezza la mia pelle, e persino nella mia voce, arrochita dai pianti che non ho il coraggio di versare.
Per un attimo alzo gli occhi al cielo plumbeo e mi domando cosa penserebbe Niadh di me se mi potesse vedere ridotta in questo stato. Non sarebbe di certo orgoglioso, magari sarebbe persino adirato all'idea che non abbia saputo essere alla sua altezza. Mia madre rimarrebbe inorridita alla vista del mio aspetto, così come le mie sorelle. Forse non riuscirebbero nemmeno a riconoscermi.
E Cael?
Cosa vede nel guscio vuoto che sono diventata?
Se prima aveva qualche speranza nei miei confronti, ora di certo le ha esaurite del tutto.
Con un sospiro scosto un lembo della tenda che fa da infermeria, arricciando il naso quando l'odore pungente di spirito raggiunge le mie narici. Lo spazio, abbastanza ampio, è interamente occupato da rudimentali giacigli di pagliericcio, alcuni dei quali sono occupati da soldati privi di sensi.
"Ancora qui, Daghan?".
Con una smorfia, che avrebbe voluto essere un sorriso, volgo lo sguardo al fondo della tenda dove Blain, il dottore del campo, sta trafficando con alcune garze.
"La fortuna non pare essere dalla mia parte..." sospiro affranta, lasciandomi ricadere sul primo giaciglio libero che incontro.
L'uomo sorride ampiamente sotto i folti baffi color cioccolato, abbandonando quello che stava facendo precedentemente per avvicinarsi a me.
"Cos'è successo questa volta?" domanda, inginocchiandosi alla mia altezza e prendendo ad osservarmi il volto con sguardo analitico.
"Credo di essermi giocato una caviglia" affermo, allungando la gamba destra in modo tale che Blain possa controllarla.
Alle mie parole il dottore si allunga immediatamente a togliermi lo stivale, procurandomi una fitta di dolore tale, che mi fa salire nuovamente le lacrime agli occhi. Pur di non urlare sono costretta a digrignare i denti e a stringere saldamente i pugni, mentre Blain mi toglie anche le pesanti calze di lana rivelando la caviglia gonfia ed arrossata.
Con molta delicatezza il dottore ruota il mio piede, esaminandolo da diverse angolazioni e contemporaneamente scuotendo il capo in un modo che non mi rassicura affatto.
"Allora?" domando, con ancora i denti stretti in una morsa d'acciaio.
"Buona diagnosi, Ehir, ma non completamente esatta. La caviglia non si è rotta, fortunatamente, ma solo fratturata. Dovrai rimanere al riposo per almeno una settimana" sentenzia Blain, alzando finalmente lo sguardo su di me.
Un sospiro a metà tra il sollevato e lo sconfortato sibila attraverso le mie labbra screpolate. Mentre il dottore si alza per andare a recuperare delle garze pulite, non posso fare a meno di pensare a quanto Cael si adirerà quando scoprirà come mi sono ridotta.
Per qualche minuto la tenda cala nel silenzio, dato che non ho né la forza né la voglia di assecondare i tentativi di Blain di intrattenere una conversazione con me. Improvvisamente poi sento uno dei lembi della tenda spostarsi con un fruscio.
"Blain..." un rantolo strozzato è l'ultima cosa che riesco a sentire, prima che un tonfo sordo riempia l'aria attorno a noi.
Con il sangue che si ghiaccia all'istante nelle vene mi volto di scatto verso l'entrata della tenda, ai piedi della quale sta un corpo privo di sensi, accasciato scompostamente su se stesso. Senza poterne fare a meno scatto in piedi con l'idea di andare a soccorrere l'uomo, ma la mia caviglia non è dello stesso avviso dato che collassa violentemente, facendo cadere a terra anche me.
Un'imprecazione assai colorita fuoriesce dalle mie labbra, mentre mi allungo a stringere tra le mani la caviglia che pulsa all'impazzata, riaccendendo nuovamente quel dolore insopportabile provato poco fa.
Sono ancora a terra con gli occhi serrati dal dolore, quando sento Blain affrettarsi per andare a soccorrere l'uomo svenuto mentre un'altra persona entra nella tenda. Inaspettatamente, dopo qualche istante, sento delle braccia afferrarmi da sotto le ascelle e aiutarmi a sdraiarmi nuovamente sul giaciglio.
Quando spalanco gli occhi per ringraziare il mio benefattore, per poco non sento il cuore fermare la sua corsa nel petto. Gli occhi di Cael sono fissi nei miei e continuano a divorarmi con quella loro feroce voracità, degna del più affamato degli sciacalli.
"La ringrazio, comandante" esordisco, con voce più ferma di quanto mi sarei aspettata.
L'uomo si limita a fare un lieve cenno con il capo, prima di rivolgere tutte le sue attenzioni all'uomo che Blain ha appena adagiato sul giaciglio alla mia sinistra. Dato che sia il comandante che il dottore sono chini sul soldato, non riesco a cogliere molto dei suoi tratti, se non qualche ciuffo di capelli chiarissimi. Osservando per qualche istante quella capigliatura biancastra, riesco a capire che l'uomo svenuto non è altri che il tenente Mickal, il braccio destro del comandante Rian.
"Cosa gli è successo?" domanda il dottore armeggiando freneticamente sul corpo privo di sensi.
"Non lo so. Il suo cavallo lo ha riportato qui all'accampamento mezzo svenuto. È via da ieri pomeriggio e doveva essere nei dintorni per il suo turno di guardia" sospira il comandante e nella sua voce percepisco una vena umanitaria tanto forte da sorprendermi.
Sapevo che Cael ed il tenente passavano molto tempo insieme, ma non pensavo che il comandante gli volesse tanto bene, arrivando persino a preoccuparsi per lui.
Improvvisamente sento Mickal prendere a lamentarsi pesantemente, grugnendo e sibilando per il dolore; non ho potuto vedere di che natura siano le sue ferite, ma sicuramente devono essere parecchio gravi.
"Mickal, non ti muovere!" esclama Blain e riesco a vederlo mentre tenta di bloccare il tenente sul giaciglio.
"Comandante, andate a prendere dello spirito e delle bende. Sbrigatevi!" continua poi con un velo di preoccupazione nella voce, che mi fa salire un brivido ghiacciato lungo la spina dorsale.
Vedo Cael annuire con sicurezza per poi allontanarsi verso la fine della tenda, lasciandomi così la possibilità di guardare finalmente il volto del tenente. Quando lo faccio per poco non riesco a bloccare il conato di vomito che mi brucia le pareti dell'esofago, costringendomi a voltarmi immediatamente dall'altra parte.
L'immagine del volto sfigurato del tenete mi lampeggia dietro alle palpebre senza sosta, come se vi ci fosse impressa al di dietro, in un marchio che non ha la possibilità di essere cancellato. Le gote di Mickal sono completamente coperte di escoriazioni e bruciature sanguinolente, così come i suoi avambracci, continuamente percorsi da terribili spasmi muscolari.
È stato solo per un attimo, ma il dolore lampeggiante che ho letto nelle iridi color mercurio del tenente mi rimarrà impressa nella memoria a vita. Non avevo mai visto una sofferenza tanto viva e pulsante sul volto di qualcuno, nemmeno quando mio fratello tornò dalla guerra senza una gamba.
"Ehir! Muoviti e vieni ad aiutarmi!" esclama Blain all'improvviso, sottraendomi bruscamente alla campana di vetro che ero riuscita a crearmi attorno.
L'idea di vedere di nuovo quel volto deturpato dal dolore mi fa rabbrividire dalla testa ai piedi, ma non posso non aiutare il tenente. Con un sforzo non indifferente mi volto alla mia sinistra e mi metto in ginocchio accanto a Mickal, cercando di guardarlo il meno possibile in volto.
"Cosa devo fare?" domando con un filo di voce tremante, mentre il comandante Rian ritorna al capezzale con una bottiglia e delle bende tra le mani.
"Afferralo per i bicipiti e tienilo stretto, deve rimanere fermo mentre lo disinfetto" dice guardandomi di sfuggita negli occhi, per poi voltarsi verso Cael che gli porge l'occorrente "Voi, capitano, tenetelo per le gambe e non lo fate scalciare".
Velocemente mi protendo sul corpo del tenente e lo afferro saldamente per i bicipiti muscolosi, sobbalzando sul posto quando una delle sue mani artiglia selvaggiamente la mia. Disorientata osservo prima le nostre mani sovrapposte, poi passo inevitabilmente a guardare cosa si agita negli occhi di Mickal.
Dentro quelle iridi grigie e brillanti come metallo fuso leggo una muta preghiera, che, tuttavia, nella mia mente riecheggia senza sosta, con una forza che mi fa venire voglia di massaggiarmi le tempie; il tenente Mickal mi sta chiedendo di aiutarlo a sopportare tutto questo.
E io non mi tirerò indietro.
Mentre Blain stappa la bottiglia di spirito, io fisso saldamente i miei occhi in quelli del tenente e stringo forte la presa sulle sue braccia, questa volta, però, cercando di trasmettergli tutta la sicurezza di cui sono capace.
L'urlo che si alza nella tenda, quando lo spirito si infrange sulle ferite del tenente, potrebbe mandare in frantumi migliaia di specchi e finestre con la sua intensità. Nonostante la vista del sangue che ribolle a contatto con l'alcool mi mandi in subbuglio lo stomaco, non smetto mai di guardare il tenente negli occhi, neanche quando sono chiusi.
Le braccia e le gambe di Mickal si muovono senza sosta, nel vano tentativo di sottrarsi a questa tremenda tortura, e più di una volta ho paura di non riuscire a trattenerlo. Cael al mio fianco, invece, non pare avere alcuna difficoltà e segue la scena con sguardo impassibile, nonostante qualcosa sul fondo delle sue iridi si stia agitando senza sosta.
Quando Blain termina di versare lo spirito sulle ferite e noi possiamo finalmente lasciare la presa, il tenente è già svenuto da qualche minuto. Solo ora mi concedo di spezzare il legame che si era creato tra i nostri sguardi, sottraendomi così anche alla vista di tanta sofferenza.
Con un sospiro ricado seduta sul mio giaciglio, seguita inaspettatamente anche dal comandante Rian, che si piega su stesso, prendendosi la testa tra le mani. Per qualche attimo rimango immobile ad osservarlo, preoccupata e incuriosita allo stesso tempo da questo suo atteggiamento tanto inusuale; suppongo che, ora che il tenente non può più vederci, il comandante abbia liberato quei demoni che si agitavano sul fondo delle sue iridi ghiacciate poco fa.
Titubante, temendo quasi di essere ripresa o respinta, poggio una mano sulla spalla del comandante. Al mio tocco l'uomo pare riprendersi all'istante, volgendo immediatamente il capo nella mia direzione con un'espressione indecifrabile in volto.
"Cosa c'è, Daghan?"
Nella voce di Cael non c'è disprezzo o fastidio, ma solo una stanchezza immensa, come se un macigno pesasse da molto tempo sulle sue spalle e lui non riuscisse più a sostenerne il peso. Vorrei rispondergli, dirgli qualche parola di conforto, ma le mie labbra paiono sigillate tra di loro. La mia attenzione è completamente catturata da quelle due schegge di giada che mi osservano fermamente, trafiggendomi il cuore senza sosta.
"Il tenente si riprenderà..." esalo infine, non riuscendo nemmeno a capire il perché abbia sprecato questa occasione per dire una cosa tanto stupida e banale.
Il comandante accenna quello che dovrebbe essere un sorriso e mi lascia una sonora pacca sulla spalla.
"Anche se a questo punto non so quanto possa essere sicuro allontanarsi dall'accampamento, ti consiglierei di andare al lago per darti una sciacquata. Gli altri si stanno ancora allenando e nessuno dovrebbe venire a darti fastidio" dice poi il comandante, scandagliando il mio volto coperto di polvere e sudore rappreso.
Per un attimo abbasso lo sguardo sulle mie mani sudice di fango e di chissà quali altri porcherie, e mi convinco che quello del comandante è un consiglio da cogliere senza riserve.
"Forse avete ragione, comandante. Grazie del consiglio" dico, abbozzando un sorriso di gratitudine.
L'uomo in risposta, stupendomi del tutto, sorride apertamente, come l'ho visto fare solo quella sera al ballo quando incontrò mio fratello Niadh.
"Il mio non era un consiglio, Daghan. Era un ordine".
Senza nemmeno conoscerne il motivo sorrido a mia volta, sentendo qualcosa esplodermi nel petto, inondandomi di un calore surreale. Prima che arrossisca come una quindicenne, mi affretto ad alzarmi dal giaciglio e ad indossare, anche se con qualche difficoltà, le calze di lana e gli stivali. La caviglia pulsa ancora, ma, dopo aver visto il dolore sul volto del tenente, le mie ferite mi sembrano solo degli innocui graffi.
Trascinandomi leggermente mi dirigo verso l'uscita della tenda, non prima però di aver rivolto un ultimo sguardo a Mickal, ripromettendomi di venirlo a trovare il prima possibile. Sto ormai scostando un lembo della tenda, quando la voce roca del comandante mi gela sul posto.
"Ehir, con quella caviglia faresti meglio a prendere il mio cavallo. Lo stalliere ha portato Finnech a pascolare e la tua tenda sarebbe comunque troppo lontana per andarci a piedi. È legato qui fuori" lo dice con estrema calma, ma dando comunque alla sua voce un'inflessione perentoria.
Non è un consiglio, Daghan. È un ordine.
"Grazie, comandante" dico con il cuore in gola, voltandomi appena verso di lui.
~•~
L'acqua ghiacciata del laghetto mi morde la pelle nuda e coperta di lividi, facendomi rabbrividire sin nelle viscere. Con un sospiro mi crogiolo in questa sensazione, pensando a quanto sarebbe bello se l'acqua fosse solo poco più calda.
Attorno a me non sento alcun rumore, se non quello del cavallo del comandante che, di tanto in tanto, strattona i finimenti per raggiungere dei ciuffi d'erba da brucare. Riaprendo gli occhi mi volto ad osservare il muscoloso stallone dal manto grigio, domandandomi per l'ennesima volta perché il comandante sia stato tanto gentile nei miei confronti.
I criptici cambi d'umore e di comportamento di Cael mi fanno girare la testa come una trottola, non lasciandomi mai la possibilità di capire cosa si aggiri realmente nella sua testa. Non capisco se si comporti così perché influenzato dall'antica amicizia con Niadh o perché l'evanescente ricordo di Meave aleggia ancora sui suoi ricordi. Alcune volte arrivo addirittura a domandarmi se l'uomo veda la vera me negli occhi di Ehir, se abbia mai pensato di rivolgere le sue parole ad una persona che in teoria non dovrei essere.
Dicendomi che questi pensieri non faranno altro che aumentare ulteriormente la mia confusione, mi lascio distrarre dal paesaggio attorno a me. Il laghetto, dove solitamente i soldati vengono a lavarsi, si trova a qualche minuto a cavallo dall'accampamento, protetto alla vista da una cinta non troppo folta di querce e dalla parete di roccia alla sue spalle.
Questa è la prima volta in un mese che riesco a fare un bagno come si deve; per paura che qualcuno potesse vedermi, sono sempre stata costretta a lavarmi nella mia tenda con l'ausilio di uno scomodo catino d'acqua. Ora, però, tutto pare essere abbastanza tranquillo e, come anche il comandante mi ha assicurato, nessuno dovrebbe venire a disturbarmi. Per un attimo lancio uno sguardo veloce alla mia spada, che brilla ai raggi del sole poggiata ad un masso vicino alla riva.
Non si sa mai.
Dicendomi che è arrivata l'ora di lavarmi anche i capelli, mi porto una mano al capo e sciolgo la crocchia. La sensazione di sentire i capelli sfiorarmi a malapena il collo è ancora strana, ma mi ci sto lentamente abituando. Prendendo un bel respiro mi immergo completamente, godendo della sensazione di purificazione che l'acqua fredda mi dona.
Quando dopo qualche istante torno in superficie, mi metto in piedi ancora ad occhi chiusi. Per qualche istante rimango ferma così, lasciando che l'aria fresca mi ghiacci l'acqua addosso. Poi, decisa ad andare a prendere il pezzo di sapone che ho recuperato nella mia tenda prima di venire qui, apro gli occhi.
Un urlo mi muore in gola, mentre mi porto istintivamente le mani al petto e all'inguine, cercando di coprirmi più che posso. Sento il sangue ghiacciarmisi nelle vene, mentre una paura strisciante prende ad avvolgersi come una serpe attorno al mio stomaco. Tremo dalla testa ai piedi, non tanto per il freddo, quanto per l'intensità e lo stupore assoluto impressi negli occhi color zaffiro che mi osservano dalla riva opposta del laghetto.
Nioclas.
Tempismo perfetto.
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Zalveeee!!
Ecco qui il sesto capitolo! Ahia, a quanto pare ci sono alcuni problemini... tecnici.
Il caro Nicolas non è rinomato per il suo tempismo e ha visto qualcosa che non doveva decisamente vedere...
Nel prossimo capitolo (che ci tengo a specificare verrà pubblicato solo dopo che avrò aggiornato The Black Feather) scopriremo come farà la nostra Meave a destreggiarsi in questa situazione critica..
Detto questo buon anno a tutti!! (mi stavo quasi dimenticando... 😅) Vi ringrazio per essere stati dei lettori così cari e pazienti durante questo 2016, spero di riuscire a terminare la stesura di questa storia entro la fine del 2017, magari velocizzando un pochino anche gli aggiornamenti 🙈😅
Un 2017 pieno di gioie (dato che nel 2016 io non ne ho vista manco mezza) a tutti voi!!
Un beso,
Lady ❤
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