2. Che la guerra abbia inizio
Con passo leggero attraverso il corridoio, facendo ben attenzione a non far cadere a terra la cera della candela che ho in mano. Tutta la casa è ormai avvolta nel buio della notte, senza le luci delle candele a rischiararla. Siamo tornati da poco dalla festa, ma tutti sembrano già essere caduti nel torpore del sonno. Arrivata davanti alla porta della camera di Niadh rimango per un attimo con la mano sospesa a mezz'aria, indecisa se bussare oppure no.
E se stesse già dormendo?
Pensando che sia meglio non svegliarlo all'improvviso, poggio una mano sulla maniglia e l'abbasso lentamente. Pregando che la porta non mi tradisca con qualche cigolio, apro solo uno spiraglio e tiro un sospiro di sollievo nel vedere la flebile luce di un lume di candela ancora acceso.
"Meave lo so che sei tu, entra pure" sento dire la voce di Niadh da dentro alla stanza.
Felice che sia ancora sveglio, apro completamente la porta per poi richiudermela immediatamente dopo alle spalle. Come avevo già intuito prima, nella stanza vi è un'unica candela accesa, poggiata sul comodino accanto al letto.
"Allora, com'è stato il tuo ritorno in società? Traumatico?" domando arrampicandomi sul letto di Niadh, dopo aver posato la mia candela vicino all'altra.
"Niente di tanto terrificante" dice sorridendo Niadh mentre si sistema contro la testiera del letto. "Tu piuttosto?".
Al sentire la domanda di mio fratello un leggero fremito mi corre su per la spina dorsale, ma cerco di non badarci convincendomi che Niadh non si stia riferendo a me e al comandante Rian, come invece temo.
"Me, dici? Per me è stata una noiosissima festa di gala come qualunque altra" rispondo dissimulando indifferenza, mentre con lo sguardo vago per la stanza.
"Meave Daghan, pensi forse che io sia un fesso? Ho notato perfettamente il modo in cui guardavi Cael, per non parlare poi di lui" prorompe Niadh ghignando divertito.
Mio malgrado mi ritrovo ad arrossire dalla testa ai piedi. "Non so di cosa tu stia parlando. Io e il comandante Rian ci conosciamo appena e non provare ad insinuare cose che non sono vere" dico con ormai l'acqua alla gola, cercando disperatamente un modo per uscire da questa situazione.
"Sorellina spero tu stia scherzando. Non sono né cieco, né stupido e conosco alla perfezione sia te che Cael. Tra voi c'è stato qualcosa di strano e non provare a negarlo" mi fa notare lui con fare risoluto, calcando particolarmente sulle ultime parole nel vedere il mio tentativo di dissentire.
Ormai certa di non poter più fare nulla, mi rassegno portandomi le mani in grembo e cominciando a torturarmi un labbro con i denti: è uno dei vizi peggiori che ho.
"Cael è un bravo ragazzo, ha la mia stessa età e l'ho conosciuto all'accademia militare. Abbiamo fatto carriera insieme nella stessa divisone dell'esercito" comincia a raccontare Niadh all'improvviso, catturando inevitabilmente la mia attenzione.
"Stai forse cercando di rassicurarmi?" domando, aggrottando le sopracciglia al sentire una nota calma e tranquillizzante nella sua voce.
"No, Meave. Sto solo dicendo che se questa sera Cael ti avesse per caso fatto una buona impressione e tu volessi rivederlo, io sarei pienamente d'accordo" risponde con fare bonario Niadh, poggiandomi addirittura una mano sulla spalla.
In imbarazzo come mai nella mia vita esclamo : "Niadh! L'ho appena conosciuto e tu già pensi a delle uscite?".
Nel sentire la mia voce stridula a causa dell'imbarazzo e nel notare le mie guance ormai rosso acceso, Niadh comincia a ridere beccandosi in cambio una spintarella da parte mia.
"Va bene, va bene, la smetto di torturarti" acconsente Niadh cessando lentamente di ridere.
Io in risposta annuisco seriamente, per poi tornare a torcermi le mani in grembo con ancora in testa il ricordo degli occhi color giada del comandante fissi su di me.
"Quindi il comandante Rian non è fidanzato..." osservo ad alta voce, aspettando solo che Niadh abbocchi all'amo.
Il fatto che mi imbarazzi parlare del comandante Rian non significa di certo che io non lo voglia fare in assoluto. Alzando gli occhi riesco a notare il ghigno malizioso sul volto di Niadh e quasi non lo sto per spingere nuovamente, quando si decide a rispondere alla mia domanda.
"Esattamente. A causa del suo caratteraccio con le dame non è uno degli scapoli più ambiti del Regno, ma sono certo che le ragazze facciano la fila anche solo per parlare con lui. Ritieniti quindi fortunata che ti abbia rivolto la parola e che ti abbia perfino concesso un ballo, non lo avevo mai visto tanto interessato ad una dama".
Mi lascio involontariamente scappare un sorriso ed un lieve sospiro, prima di ricompormi imponendomi di smetterla di comportarmi come una sciocca.
"E così il comandante Rian non si concede tanto facilmente... Be', sul fatto del caratteraccio ti debbo dare ragione, il rimprovero che mi ha fatto non è stato affatto di mio gradimento" rispondo io, corrucciando le sopracciglia al ricordo dell'aspro commento fatto dal comandante.
Niadh annuisce appena quando termino di parlare, per poi passarsi una mano tra i folti capelli biondo cenere.
"Sì, quando sei scomparsa all'improvviso dalla sala da ballo Cael è venuto a raccontarmi della vostra conversazione. Mi è sembrato alquanto turbato" dice con noncuranza, nonostante nel suo sguardo riesca a cogliere perfettamente una scintilla di furbizia.
Ormai certa che Niadh mi voglia indurre a domandargli qualcosa in particolare, decido di stare al suo gioco.
"E di grazia, cosa ti avrebbe detto esattamente il comandante?" domando con un sorriso beffardo in volto, spostando lo sguardo sul volto del mio fratellone.
A questo punto lui alza il capo e con un sorriso malizioso che gli fa risplendere le iridi ambrate risponde : "Cael mi ha detto che se non te ne fossi andata via in quel modo sarebbe stato felice di chiederti un altro ballo. Mi ha rivelato di essere rimasto piacevolmente stupito dai tuoi modi di fare".
Il mio cuore comincia a battere sempre più veloce, quasi avessi nuovamente gli occhi del comandante fissi nei miei. A quanto pare il comandante Cael non è poi così freddo e primitivo come invece mi sono convinta a credere.
"Ora, sorellina, se non ti dispiace vorrei dormire, la gamba comincia a darmi alcuni dolori" dice Niadh, posandomi un veloce bacio sulla fronte;
So perfettamente che non mi sta congedando a causa dei suoi malanni, ma solo perché ha portato a termina con successo il suo piano. Annuisco e scendo velocemente dal letto, per poi afferrare la mia candela ormai dimezzata.
Dopo aver dato la buonanotte a Niadh torno velocemente nella mia stanza e mi metto sotto alle coperte, completamente assorta nei miei pensieri. Mentre soffio sulla candela e la stanza piomba nel buio, continuo a rimuginare su quello che mi ha detto Niadh poco fa, domandandomi cosa debba pensare del comandante Rian. Sentendo già le palpebre pesanti decido di abbandonare queste riflessioni, addentrandomi così in un agitato dormiveglia.
~•~
Mi stropiccio per l'ennesima volta gli occhi, sentendoli pesanti ed irritati; a causa di uno strano presentimento questa notte non sono riuscita a chiudere occhio. Scuotendo appena il capo per ridestarmi riprendo a spazzolare il manto color grigio scuro di Finnech, passando poi ad intrecciargli la criniera. Posata la striglia nel mobiletto degli attrezzi, mi concedo un attimo di tempo per accarezzare il mio stallone, godendomi la rassicurante sensazione del suo manto setoso sotto alle mie dita.
Finnech mi è stato donato da mio padre all'età di undici anni, quando lui era solo un indifeso puledrino ed io arrivavo a stento ad accarezzargli la criniera. Da quel momento in poi la mia passione per l'equitazione si è fatta sempre più grande, tanto che ora andare a cavallo è una delle poche attività a cui amo realmente dedicarmi.
Distogliendomi dai miei pensieri sello velocemente lo stallone, per poi fermarmi improvvisamente, attirata dalla mia figura riflessa in un vecchio specchio crepato finito qui per caso. Con un sorriso passo una mano sulla lunga ed elaborata treccia che la mia cameriera ha realizzato per me, per poi passare ad osservare la mia consueta tenuta da equitazione composta da stivali di cuoio marrone al ginocchio, pantaloni e camicia da uomo verdi e bianca. Col tempo questo si è rivelato essere l'abbigliamento con cui mi trovo più a mio agio, nonostante la mamma ritenga disdicevole per una ragazza vestirsi con abiti maschili.
Abbandonando anche il riflesso nello specchio, mi do uno slancio e salgo in groppa a Finnech, che comincia a muoversi al ritmo di un tranquillo passo. Finché sono nei giardini della villa decido di mantenere quest'andatura, in modo da poter ammirare la splendida giornata di inizio autunno che vi è oggi. Sono appena uscita dalle stalle quando in lontananza sento un forte rumore di zoccoli che colpiscono il terreno. Corrucciando le sopracciglia penso che sia strano che qualcuno passi di qui, in piena campagna, a quest'ora della mattina.
Curiosa incito Finnech che comincia a trottare gaiamente, sicuramente godendosi i tiepidi raggi del sole. Davanti a me ho ancora la villa ad impedirmi la vista di ciò che succede oltre i cancelli, ma riesco comunque a sentire i cavalli avvicinarsi sempre di più, tanto da sembrare che vengano proprio in questa direzione. Improvvisamente due forti squilli di tromba distruggono in mille pezzi la placida quiete che oggi sembrava coprire come un velo la casa.
Al sentire quell'inconfondibile suono sbarro improvvisamente gli occhi, riconoscendolo all'istante. Questo suono è lo stesso che mi ha svegliata per più volte nei passati cinque anni e l'ultima volta che l'ho udito è stato quando i soldati hanno riportato a casa Niadh ferito.
Le trombe dell'esercito.
Prima che me ne possa accorgere ho già dato il comando a Finnech, che parte al galoppo come un fulmine. Con ormai la visuale libera dall'ostacolo della villa, riesco a vedere tre uomini a cavallo fermi davanti ai cancelli di ferro battuto e, poco avanti a loro, la mia famiglia al completo. L'uomo dei tre in posizione leggermente più avanzata rispetto agli altri ha un'aria seria e truce e stringe nella mano destra una pergamena.
Attirati sicuramente dal rumore degli zoccoli di Finnech tutti si voltano verso di me, smettendo così di parlare tra loro. A poca distanza dal capannello di persone faccio rallentare Finnech e, come sempre, scendo al volo mentre lo stallone è ancora in movimento.
"Che è successo?" domando con un lieve fiatone con un'espressione certamente stralunata in volto.
Notando il modo truce in cui l'uomo a cavallo sta osservando i miei vestiti quasi non mi viene voglia di inveirgli contro, ma riesco a contenermi sapendo che non è il momento adatto per fare una cosa del genere.
"Meave, tesoro" Talulla sussurra le parole, quasi avesse paura di alzare la voce, mentre Aislinn mi prende per la mano e mi avvicina a sé.
Non sapendo minimamente cosa stia accadendo continuo a guardarmi attorno spaesata, fino a quando il mio sguardo non ricade sui volti di Niadh e dei miei genitori. La mamma ed il papà hanno entrambi i volti scuri ed inespressivi, mentre Niadh sfoggia una di quelle espressioni fiere e dure, di quelle che usava solo quando parlava con i suoi soldati. Spalanco gli occhi nell'intendere improvvisamente cosa si possa nascondere dietro a questa scenata.
"Signori Daghan".
Mi volto verso l'uomo sentendo la sua voce bassa e tonante spezzare il silenzio. Rabbrividisco al percepire la serietà che permea il tono dell'uomo e sono sempre più certa che quello che ho pensato corrisponda alla realtà.
"Gli eserciti del Regno di Paarick hanno invaso i nostri territori e hanno decimato fino all'osso le nostre risorse belliche".
Al sentire le parole dell'uomo chiudo pesantemente le palpebre e stringo i pugni.
Sapevo che un giorno o l'altro sarebbe accaduto.
Intorno a me il silenzio si fa sempre più teso, esattamente come nel momento prima che il boia cali la scure. Accanto a me sento Talulla respirare pesantemente, mentre Aislinn sobbalza appena sulle ultime parole dell'uomo.
"L'Alto Consiglio ha dichiarato il codice di massima allerta. Tutte le famiglie sono dovute a mandare al campo d'addestramento più vicino il proprio componente maschio più giovane. Senza alcuna eccezione. Se la norma non verrà rispettata, la pena sarà la reclusione a vita nelle carceri di Arghalan".
L'ascia del boia è calata.
Riapro immediatamente gli occhi pensando che questo sia solo un brutto sogno, che io sia ancora stesa nel mio letto e che nulla di tutto ciò stia accadendo. Mentre accanto a me sento già Aislinn cominciare a piangere sommessamente, porto lo sguardo su Niadh. Il volto di mio fratello è serio e nei suoi occhi non leggo nessuna paura, ma io sono certa che è solo per il momento se il guerriero dentro di lui ha preso il sopravvento. Presto non rimarrà altro che il suo lato umano, quello fragile e debole, quello ferito e che ha bisogno di protezione.
L'uomo a cavallo tende la mano verso mio fratello, che con fare risoluto raddrizza la schiena e comincia ad andargli incontro. Mentre Niadh muove i primi passi riesco a vedere nostro padre col capo chino e nostra madre con le mani premute contro il volto, a non lasciar trapelare le lacrime che vi corrono sopra.
Non permetterò che Niadh vada a morire, che venga mandato come un agnello al macello; devo provare a fermarlo, devo almeno tentare di fare qualcosa. È questa l'unica cosa che riesco a pensare mentre mi sottraggo alla presa di Aislinn e mi sposto davanti all'uomo a cavallo, tra lui e Niadh.
"Signore, mio fratello ha combattuto valorosamente per questo Regno ed ora non è più nelle condizioni di farlo. La prego, ci deve essere un modo!" esclamo con un impercettibile nodo alla gola, mentre mi volto ad osservare alternativamente Niadh e l'uomo a cavallo.
Improvvisamente mi sento stringere per il polso così, stupita, mi volto trovando alle mie spalle un Niadh assai cupo e preoccupato; ecco già le prime crepe nella sua corazza.
"Meave, resta fuori da questa faccenda" sibila mio fratello costringendomi, a spostarmi.
Con sguardo allibito osservo Niadh afferrare la pergamena che il soldato gli porge, per poi voltarsi verso di me con fare contrito.
"Comandante Daghan, domani mattina al campo d'addestramento di Fia. Le consiglierei inoltre di insegnare le buone maniere a sua sorella" sputa quasi l'uomo a cavallo, osservandomi con un cipiglio di superiorità.
Con uno scatto fulmineo mi volto verso di lui, assottigliando lo sguardo e trattenendomi a stento dal fare qualcosa di disdicevole.
"E lei, signorina, se ci tiene tanto a fare qualcosa, vestita così potrebbe venire lei stessa a combattere al posto di suo fratello" dice l'uomo ghignando e scatenando l'ilarità degli altri due compari, che fino ad ora hanno fatto unicamente da muti ascoltatori.
Indignata ho già aperto bocca per rispondere, quando l'uomo tira le redini del suo cavallo e parte al galoppo verso la campagna, sparendo dalla mia vista poco dopo. Non sapendo più cosa dire né fare, mi volto verso la mia famiglia, in cerca di un qualsiasi tipo d'appoggio. Quando mi volto, tuttavia, tutti stanno già tornando all'interno della villa, senza curarsi minimamente di me. Solo Niadh è rimasto fermo a qualche passo da me, con la mano destra stretta attorno al bastone e la sinistra attorno alla convocazione di guerra.
"Niadh, io..." dico avvicinandomi velocemente a lui e stringendogli una spalla come a confortarlo.
Alle mie parole Niadh alza di scatto il capo, zittendomi con l'intensità del suo sguardo. "Meave, promettimi che non cercherai di fermarmi, promettimi che resterai fuori da questa storia" prorompe a questo punto con una serietà che non avevo mai nemmeno lontanamente visto in lui.
Spaventata a morte dalle parole di mio fratello, che hanno il retrogusto amaro di un addio, non so fare altro che rimanere ferma ed in silenzio.
"Affare fatto, principessa?" mi incalza nuovamente, questa volta con più dolcezza ed utilizzando le stesse parole che usava quando ero più piccola.
Per un attimo osservo la mano tesa di mio fratello, poi alzo il volto in modo da osservare i suoi occhi ambrati; quegli stessi occhi che hanno visto gli orrori della guerra più e più volte, che hanno perfino avuto la possibilità di veder per pochi attimi la morte in pieno volto, ma che poi sono sempre riusciti a tornare da me. Nella testa le parole del soldato continuano a ripetersi come un'eco.
E lei, signorina, se ci tiene tanto a fare qualcosa, vestita così potrebbe venire lei stessa a combattere al posto di suo fratello.
"Affare fatto" dico stringendo a mia volta la mano di Niadh. Prima di poter sciogliere la presa sulla sua mano, il mio fratellone mi attira a sé e mi racchiude in un forte abbraccio.
"Sono o non sono tornato sempre durante tutti questi anni? Meave, ti giuro che lo farò anche questa volta, lo farò per te" mi sussurra nell'orecchio Niadh, mentre io mi stringo ancora di più cercando di imprimermi nella mente il suo profumo.
Quando ci stacchiamo, Niadh non ha la forza necessaria di guardarmi ancora negli occhi, così si limita a voltarsi e ad andarsene.
Hai già fatto abbastanza per me fratellone.
Questa volta sarò io quella a dover promettere di tornare.
Afferro le briglie di Finnech, che è rimasto dietro di noi per tutto questo tempo, e mi volto per un'ultima volta verso Niadh che proprio ora sta scomparendo dietro alla porta.
~•~
Sento l'orologio nel corridoio scoccare la mezzanotte e dentro di me qualcosa sobbalza.
È arrivato il momento.
Prendendo un grosso respiro mi tolgo le lenzuola di dosso e scendo velocemente dal letto, cercando a tentoni i fiammiferi sul comodino. Dopo aver acceso con qualche difficoltà la candela di riserva che questo pomeriggio ho portato in camera, mi faccio strada fino alla toeletta.
Per tutta la giornata sono rimasta in passeggiata con Finnech, pensando intanto al modo in cui avrei dovuto agire affinché il mio piano andasse a buon termine. Il momento più difficile di tutti è stato durante la cena, quando ogni membro della famiglia era con il capo chino sul proprio piatto e pensavano a quanto sarebbe stato difficile lascia andare via Niadh in quel modo.
Io, nel frattempo, mi guardavo attorno cercando di imprimermi nella mente quanti più particolari possibili. Gli occhi cerulei di Aislinn, praticamente identici ai miei, la strana sfumatura rossiccia dei capelli di Talulla, la curva arcuata del naso della mamma, la forma delle mani di nostro padre e la voce di Niadh.
Velocemente poggio la candela sulla toeletta e mi siedo sullo sgabello imbottito, fissando contemporaneamente gli occhi sul mio riflesso. Con mano tremante mi allungo ad aprire il cofanetto d'avorio poggiato in un angolo. Non appena sollevo il coperchio, le lame argentate scintillano alla luce della candela. Dicendomi che è meglio non pensarci troppo, le afferro, per poi chiudere con uno scatto quasi rabbioso il coperchio del cofanetto. Con le forbici sospese a mezz'aria osservo per un'ultima volta le lunghe onde che i miei capelli formano, prima di strizzare gli occhi e prendere un ultimo profondo respiro.
Lo sto facendo per Niadh, perché possa essere orgoglioso di me.
Il suono delle lame che si chiudono sulla prima ciocca di capelli mi sembra il più atroce che io abbia mai sentito. Con leggero timore mi arrischio a sbirciare leggermente il riflesso nello specchio; dove prima c'era una ciocca di capelli lunga fino ai fianchi ora ve n'è una che mi sfiora a malapena la guancia. Facendomi forza taglio anche la seconda ciocca, arrivando a sobbalzare unicamente quando i capelli cadono a terra in una fitta pioggia dorata. Ora più calma e sicura continuo a tagliare, senza fermarmi più e con alcuna esitazione, fino a che le ciocche non mi arrivano tutte fin sotto agli zigomi.
Curiosa osservo la persona che mi guarda dal riflesso dello specchio, dicendomi che sembra diversa: appare più forte e coraggiosa, capace di fare tutto quello che vuole. Con questo pensiero a darmi forza afferro il nastro nero che avevo già preparato e vi lego tutti i capelli sul retro del capo, imitando una pettinatura che ho più volte visto indosso a molti dei compagni d'armi di mio fratello. Ora che non ho più i miei lunghi capelli dorati ad ingentilirmi il volto, nello specchio vedo il riflesso di un ragazzino pallido e magro molto simile nei lineamenti al fratello maggiore.
Non indugiando oltre mi alzo dalla toeletta e apro l'armadio, afferrando i vestiti che questo pomeriggio ho rubato dall'armeria. Velocemente mi libero della lunga ed ingombrante camicia da notte di cotone bianco e pizzo, ed indosso i pantaloni neri con i rinforzi di cuoio e la casacca larga anch'essa nera. Per assicurarmi che nessuna delle mie forme femminili fosse visibile mi sono assicurata di prendere solo vestiti larghi e, prima di mettermi al letto, attorno al seno mi sono arrotolata saldamente una lunga garza bianca. Dopo essermi inginocchiata a terra mi allungo e alla cieca agguanto gli stivali da sotto al letto, per poi infilarli e rimettermi rapidamente in piedi.
Con un leggero nodo alla gola afferro la candela e il libro che ho appositamente sistemato sul comodino, per poi stringermelo al petto in cerca di un qualche conforto. Alla fioca luce della candela lancio uno sguardo alla ormai consunta copertina foderata di pelle color smeraldo, carezzando con lo sguardo il titolo in lettere dorate "Oltre la scogliera". Questo è il libro che io e Niadh preferiamo leggere insieme, da quella sera di cinque anni fa in cui cominciammo a sfogliarne le pagine.
Con pochi passi mi approssimo alla porta e, dopo aver lanciato un ultimo malinconico sguardo alla mia stanza, esco in corridoio. Mi chiudo la porta alle spalle e sto per scendere al piano inferiore, quando il mio sguardo viene inevitabilmente catturato dalla porta chiusa della stanza di Niadh. Una lacrima rotola silenziosa e solitaria sulla mia guancia, mentre mi costringo a distogliere lo sguardo e a dirigermi verso lo scalone in mogano.
Nessuno sentirà la mia mancanza.
Mia madre avrà finalmente una famiglia perfetta senza alcuna figlia che la metta continuamente in imbarazzo.
Talulla ed Aislinn vivranno felici e contente con i loro mariti, entrambi esonerati dalla leva militare.
Niadh si troverà una bella moglie e avrà tanti bellissimi bambini e nostro padre continuerà con il suo florido commercio di armi.
Per quanto riguarda me, non so cosa mi potrà accadere, ma mi basta sapere di aver salvato la vita di Niadh per continuare a vivere, in un modo o nell'altro.
Scendo velocemente le scale e mi dirigo nell'ala est della casa, quella in cui non mi addentro quasi mai e che contiene l'armeria e l'ufficio di mio padre. I corridoi sono bui e la casa silenziosa, nessuno si aspetta che io sia ancora sveglia, pronta per intraprendere il mio folle viaggio. Cercando di fare meno rumore possibile apro i battenti della porta dell'armeria e per un attimo rimango ferma sulla soglia, stupefatta dalla grandezza di questa stanza in cui non entro da moltissimi anni.
La prima ed ultima volta che entrai qui avevo all'incirca dieci anni e lo feci solo perché spinta dalla mia irrefrenabile necessità di sapere. Come quella volta nove anni fa mi ritrovo senza fiato davanti a tante spade ed armature, a tal punto che sono quasi tentata di voltarmi e tornare a nascondermi sotto alle coperte.
Prendendo un grosso respiro, mi faccio forza ed entro nella stanza, chiudendomi il portone alle spalle cercando di fare meno rumore possibile. Dopo aver poggiato il libro e la candela su un tavolo prendo a guardarmi attorno, ora con fare più incuriosito che intimorito. In ogni direzione volga lo sguardo trovo armi ed armature di ogni genere, dagli archi, alle spade, alle asce, fino alle mazze chiodate. Questa è la stanza in cui nostro padre conserva tutti i pezzi più pregiati e a lui più cari e dove, inoltre, Niadh conservava la sua attrezzatura quando faceva parte dell'esercito.
A passi lenti mi avvicino alla grande teca di vetro davanti a me, fermandomi a pochi passi da essa con fare quasi riverenziale; dentro alla teca luccica a malapena alla fiamma della candela l'armatura di mio fratello Niadh. Il pettorale, di una pregiatissima lega metallica, è finemente inciso con il motivo di una spada avvolta da rampicanti d'edera, il nostro stemma di famiglia, che poi si inerpicano fino alla spalle e alla vita in intricate volute. La maglia metallica si intravede appena sotto alle componenti più spesse, tirate a lucido e rimaste inutilizzate da quasi due anni.
Niadh ha sempre odiato gli elmi e per questo non ve n'è alcuno a completare l'armatura, ma in compenso vi è una splendida e pregiatissima spada; mentre la lama rimane classica e letale nella sua semplicità, l'elsa realizzata in avorio è ricoperta completamente dagli stessi disegni d'edera presenti sul pettorale.
Domandandomi quasi se sia giusto fare una cosa del genere, allungo una mano verso la teca, per poi ritrarla all'improvviso, pensando che sarebbe da imprudenti indossare l'armatura di Niadh, dato che qualcuno dei soldati potrebbe riconoscerla. Lanciando un ultimo sguardo ammirato alla teca, mi allontano dirigendomi sul fondo della sala ricoperta interamente di mogano scuro.
Passando accanto a rastrelliere intere di lance e giavellotti, arrivo davanti ad un'altra teca di vetro, questa contenente un'armatura molto più modesta. Mio padre la fece creare dai suoi più fidati fabbri diversi anni fa per un ragazzo molto giovane, che sarebbe entrato in società di lì a poco. Per uno strano motivo il ragazzo sembrò non rimanere soddisfatto dalla fattura dell'oggetto e lo rimandò indietro. Fortunatamente mio padre amava particolarmente questo pezzo e decise di tenerlo con sé e di esporlo in questa stanza insieme agli altri suoi tesori.
Portando una mano alla teca ne apro lo sportello, in modo da poter osservare meglio il suo contenuto. L'armatura non è certamente spettacolare come quella di Niadh, ma è pur sempre realizzata e decorata alla perfezione ed in più dovrebbe essere della mia misura. Alzandomi leggermente sulle punte dei piedi spoglio per intero il manichino e poggio il tutto sul pavimento, accorgendomi solo ora di quanto sia pesante. Per prima cosa indosso la maglia metallica, poi comincio ad allacciare i gambali, i guanti metallici e le protezioni per braccia e spalle.
Sentendo già un notevole aumento di peso, afferro da terra anche il pettorale osservandolo per qualche secondo; nel centro esatto vi è il disegno di un lupo rampante che stringe nelle zanne una rosa. Sorrido al constatare quanto sia strano e allo stesso tempo bello questo simbolo ed arrivo anche a pensare che quel ragazzo sia stato uno stupido a non acquistare questa armatura. Dopo aver infilato senza qualche difficoltà anche quest'ultima parte dell'armatura, mi allungo per afferrare lo scudo rotondo e la lunga spada con l'impugnatura di ossidiana.
Ora che sono completamente vestita, comincio a muovere prima le spalle e le braccia e poi le gambe, cercando di abituarmi agli indumenti estranei che indosso e soprattutto al loro peso; indossare quest'armatura equivale quasi al portare un sacco pieno di sassi in spalla. Lanciando uno sguardo alla candela noto che si è quasi esaurita del tutto, così comincio a camminare con qualche difficoltà verso la porta della stanza. Mentre muovo i primi passi mi accorgo immediatamente del cozzare metallico che l'armatura produce e della difficoltà che mi costa camminare correttamente.
Arrivata ormai al tavolo dove ho lasciato la candela, infilo la spada nel fodero che ho alla vita e mi allaccio lo scudo al braccio, per poi afferrare il libro e fissarmi anch'esso alla cintura. Con uno sbuffo spazientito cerco più volte di afferrare la candela ma i guanti di metallo rendono i miei movimenti impacciati e mi impediscono di muovere le dita come dovrei. Avendo l'estremo timore che qualcuno si possa svegliare, lascio la candela dove si trova e alla cieca esco dalla stanza, decidendo di fare affidamento unicamente sulla mia memoria e sul mio senso dell'orientamento.
Comincio a camminare nei corridoi lentamente, fermandomi per qualche secondo ogni qual volta il cozzare metallico dell'armatura diventa troppo forte. A piccoli passi continuo a percorrere il corridoio dell'ala est, mentre i miei occhi si abituano lentamente all'oscurità. Ora che il tutto mi risulta leggermente più facile aumento il passo, giungendo finalmente davanti allo scalone principale, quello antistante al portone d'entrata.
Tirando un sospiro di sollievo e ringraziando che nessuno si sia ancora svegliato mi dirigo, forse con troppo slancio, verso il portone. Purtroppo per me, non essendo abituata al peso dell'armatura, non so bilanciare alla perfezione i miei movimenti, così, mentre mi volto per un attimo verso lo scalone, vado a sbattere contro il tavolo nel mezzo dell'atrio.
Con sguardo terrorizzato osservo il tavolo cadere davanti a me, mandando sonoramente in frantumi il vaso di fiori posato sopra di esso. Per un secondo rimango completamente immobile, senza nemmeno respirare, pregando che per un qualche remoto caso nessuno abbia sentito il rumore di cocci spezzati. Udendo dei passi al piano di sopra e delle porte aprirsi, sbarro terrorizzata gli occhi e comincio a correre verso la porta. Non curandomi più del terribile cozzare metallico che l'armatura produce, mi immergo nel freddo della notte e corro senza sosta verso le scuderie, dove Finnech mi attende già sellato e con la bisaccia che ho preparato questo pomeriggio.
Mentre corro non mi volto mai alle mie spalle, per paura di vedere Niadh o mio padre inseguirmi, e, nonostante il peso dell'armatura mi stia facendo stancare notevolmente, cerco di non diminuire mai il passo. Con il respiro affannato e la testa che gira come una trottola spalanco le porte della stalla, spaventando Finnech che si issa sulle zampe posteriori e nitrisce possentemente. Alzando le braccia in aria lo afferro per le briglie e lo riporto a terra salendo velocemente sul suo dorso, mentre cerco di tranquillizzarlo con delle parole dolci, nonostante la voce mi tremi notevolmente. Controllando velocemente che tutto sia al suo posto, afferro il libro che fortunatamente è rimasto fissato alla cintura e lo infilo nella sacca attaccata alla sella di Finnech.
Dandogli un potente colpo di talloni, Finnech comincia a muoversi immediatamente al ritmo di un galoppo sfrenato. Tenendomi stretta alle briglie dello stallone prego di riuscire a superare i cancelli della villa senza essere fermata.
Non posso tirarmi indietro, ormai ho preso il mio destino in mano.
Cominciando a scorgere i cancelli di ferro battuto mi lascio sfuggire un respiro sollevato, prima di sentire il fiato mozzarmisi nuovamente in gola al vedere una figura in piedi sulla soglia del portone della villa.
Niadh.
Le lacrime cominciamo già a pizzicarmi gli occhi mentre distolgo lo sguardo da mio fratello, che nel frattempo ha preso ad urlare il mio nome a squarciagola.
"Meave! Meave, fermati! Meave torna indietro! Meave, se ti scoprono ti uccideranno, io non potrò fare nulla per salvarti!".
Lacrime roventi prendono a scendermi lungo le gote ghiacciate mentre sono ormai a pochi passi dal cancello. Alle mie spalle riesco a sentire Niadh cominciare a camminare nella mia direzione ed io mi impongo di non voltarmi e di continuare a tenere lo sguardo fisso davanti a me.
Se mi voltassi ora, non ce la farei mai ad andarmene.
Mi paro con un braccio il volto mentre ci scontriamo con i cancelli accostati, che si aprono sferragliando quando andiamo loro contro.
"Meave!".
L'ultima cosa che riesco a sentire è l'urlo di disperazione di Niadh, prima di immettermi nel sentiero che attraversa le viscere del bosco.
Lo sto facendo per te Niadh, lo sto facendo perché tu sia salvo e libero di vivere la vita che meriti.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top