Capitolo 5

BUIO

Il suono della sveglia richiamò la mia attenzione. 6.30. ma che cosa stava succedendo? Io mi ero addormentata da neanche cinque minuti.

<<Ciao Samantha>> una voce che non conoscevo mi chiamò.

<<Chi sei?>> gridai al vuoto.

<<Il tuo peggior incubo.>> e rise sonoramente.

<<Se sei il mio peggior incubo esci dalla penombra>> e continuai a fissare incantata il buio. Mi alzai dal letto e camminai verso l'oscurità.

<<Bene, vieni da me, vieni piccola Samantha>> la voce si faceva più vicina. I miei battiti acceleravano ad ogni passo. Sapevo che mi stavo avvicinando, passo dopo passo, alla mia morte. Il buio era sempre più vicino, ma il percorso sembrava durare un'eternità.

Rosso. Rosso era un colore, il colore che amavo, ma in quel momento il mio amato colore mi faceva paura. Intorno a me tutto rosso e vicino a me un corpo inanime.

<<Che cos'hai fatto Samantha?>> mi chiese un voce a me tanto cara. Vidi che il corpo aveva i capelli biondi corti. Marcus. Risposi:<<Mamma, non è colpa mia, non ho fatto niente.>>

Vedere il passato, un'altra volta la scritta mi apparve in modo prepotente, che oscurava con la sua lucentezza il paesaggio circostante.

Cambio scenario, una villa possente e imponente con le colonne dorate e le pareti bianche.

<<Margaret! Vieni subito qua!>> una voce femminile e molto autoritaria veniva dal giardino.

<<Ma mamma! Sto disegnando! Lasciami in pace!>> rispose secca una giovane voce, probabilmente Margaret. Seguii il suono e mi trovai sotto una grande quercia. Una matassa di capelli rossi raccolti in due trecce lunghe e una tela dominavano la scena. Decisi di girare intorno a quella esile figura. Saltai in aria. <<Scusa, ma tu chi sei?>> mi domandò la ragazza. Cosa potevo risponderle?

<<Ehm... uhm.. io sono Emily, tu?>> il suo volto era nascosto dalla tela.

<<Io sono Margaret, ma puoi chiamarmi Meggie. Che cosa ci fai a casa mia?>> alzò il viso verso di me e io urlai per lo spavento. Ero la copia perfetta di Margaret. Lei sorrise. <<Aspettavo il tuo arrivo, sai?>> mi disse. Io la guardai interrogativa, <<Sei la mia tutor, no?>> sorrise come se fosse la cosa più ovvia del mondo. <<certo>> sorrisi incerta. <<Ora ti porto nella stanza della...>>.

Ritorno al presente, la scritta sovrastava il panorama e il mio campo visivo era come annebbiato. La densa nebbia si dissolse, lasciandomi sola nella mia stanza, con il corpo di Marcus riverso per terra e mia madre che mi guardava come se fossi un'assassina.

<<Visto cosa si prova nell'essere rifiutati?>>

Mi svegliai ansimante e in preda allo spavento. Il mio battito cardiaco era accelerato. Era tutto così reale e vero. La mano che mi toccava la spalla, il volto di mia madre terrorizzato. Cercai di ristabilizzare il mio respiro inalando l'aria ed espirando forte. Mi alzai a sedere e mi misi il volto tra le mani aperte, sentendo il bagnato delle lacrime scorrere per i miei palmi. Coraggio. Forza. Erano le caratteristiche che in quel momento mi mancavano. Uno scatto verso l'alto. Passo dopo passo raggiunsi le scale, le scesi di corsa e accesi le luci della cucina. Piantai un urlo, portandomi la mano al petto.

<<Jake, che ci fai qua?>> domandai, con nella voce ancora il tetro essere della paura.

<<Bevo un the? Tu, invece? Brutto sogno?>> sorrise alzando la teiera fumante. Annuii e mi avvicinai di qualche passo. Indossava un paio di pantaloni da basket della adidas ed una canotta larga. La canotta nera mi ricordava il buio. Quel buio inquietante, che mi aveva perseguitato quella notte. Ancora due passi e avrei raggiunto il buio, avrei raggiunto l'incubo. Camminai come incantata verso un angolo buio. Jake mi afferrò i fianchi e mi tirò indietro, chiamandomi. Avevo gli occhi grigi, me lo sentivo. Quando ero sovrappensiero, oppure semplicemente triste, i miei occhi mutavano colore. Da azzurro cielo, ad azzurro ghiaccio, da verde acqua a grigio nuvola di temporale. Le nuvole erano il colore meno frequente. Il temporale dei miei occhi, del mio cielo personale, era veramente raro, ma veramente disastroso.

<<Emi? Emi? Va tutto bene?>> mi fece sedere vicino al bancone della cucina e mi fece passare vicino una tazza fumante. <<Bevi>> mi disse. Guardai incantata la tisana. Viola. Feci un sorso. Mirtillo, limone, lampone, mora e gelso. Zucchero. Ribes rosso. Mi ricordavo quando avevo mangiato per la prima volta il ribes rosso. Avevo cinque anni, ero in montagna con mio fratello e la zia Liz. Mamma e papà erano via, dicevano, per un viaggio di lavoro. Fragola. Sapore dolce e fruttato. Uva spina. Rosa canina. Profumo che inebriava le narici. Respiro vicino. No, non poteva esser la tisana il respiro vicino. Alzai lo sguardo di soppiatto e vidi che davanti a me era vuoto. Mani sulle spalle. Movimento circolare sulle spalle. Guardai indietro e sorrisi. <<Cosa hai sognato?>> mi chiese.

<<Una voce, mi chiamava, mi chiamava con il mio secondo nome, che praticamente nessuno sa. Mi diceva che era il mio peggior incubo. Poi ho visto un cadavere. Era Marcus. Mamma mi guardava terrorizzata. Poi di nuova i flash back come quando eravamo al Cafè Chantal, ma questa volta mi vedevano. E poi di nuovo nella mia stanza. Una mano sulla mia spalla. "visto cosa si prova ad essere rifiutati?">> ripresi fiato dopo tutto il monologo, fissando di nuovo la mia tazza. Aveva dei fiorellini e c'era scrtto il mio nome. Come aveva fatto a sapere che sarei arrivata. Passi. Passi veloci. Buio. Chiusi gli occhi. Rumori confusi. Buio e silenzio.

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