Capitolo 6
All’inizio l’ansia che la sera prima era stata lieve e aveva costituito solo un dubbio per me, si moltiplicò fino a farmi sudare le mani, quando vidi Robert entrare in classe assieme alla sorella.
Mi lanciò uno sguardo profondo e mi salutò, diversamente da quello che avevo immaginato.
Posò la cartella nel banco dietro a quello mio e di Faith, che sarebbe rimasta a casa anche quel giorno, poi si avvicinò, probabilmente per parlarmi.
Mi mossi andandogli incontro, così da incontrarci a metà strada.
Lo guardai imbarazzata, senza sapere bene cosa dire.
Aprii la bocca per cominciare a rifilargli le mie scuse, ma lui mi precedette.
"Perdonami per la seconda volta."
Mormorò con un sospiro che mi fece sorridere come un’idiota.
Sorpresa o euforia?
Non lo sapevo neppure io.
"Questa volta tocca a me scusarmi. Sono io la colpevole."
"E di che? Non è colpa tua se sono un brontolone lunatico." Parlava di lui come molti giovani avrebbero definito un vecchio antipatico.
Scossi la testa, in parte dispiaciuta per quello che provava e in parte felice perché non ce l’aveva con me.
Nella tasca posteriore dei jeans tenevo i due segnalibri.
Li presi e glieli porsi.
"Li ho visti e li ho comprati perché pensavo potessero interessarti. Spero solo che tu non li abbia già."
Li guardò con un’espressione indecifrabile. Non disse niente e io cominciai a temere che non gliene fregasse un accidenti del mio regalo, ma inaspettatamente il suo volto si distese in un ampio sorriso.
"Perché li hai presi?" Chiese.
"Per scusarmi."
"Non ce n’era bisogno…Sono splendidi. Grazie."
"Allora non ce li hai ancora?"
Scosse la testa, continuando a sorridere.
"Sono appena agli inizi come collezionista. Ne ho solo cento."
Avrei voluto esclamare con sarcasmo 'Solo cento?', ma oltre le sue spalle vidi avvicinarsi Eireen. I suoi movimenti erano aggraziati come se ad ogni passo levitasse.
Era bellissima.
"Ciao Jackie!" Esclamò con entusiasmo.
Era davvero l’opposto del fratello. Allegra, solare e sempre gentile.
Era chiaro che non era lei ad avere problemi di socializzazione tra i due.
La salutai con un cenno del capo e un sorriso.
"Che succede di interessante?" Chiese, poi vide i segnalibri.
"Oh, wow! Te li ha regalati lei?"
Il fratello annuì.
"Sono davvero molto belli. E cos’ha fatto mio fratello di tanto meritevole da guadagnarsi questo regalo?"
Mi strinsi nelle spalle e la mia timidezza mi costrinse ad arrossire.
Comandava lei, punto e basta.
"Cos’ho fatto io semmai." Mormorai.
"L’ho fatto arrabbiare."
"Non è vero, non mi sono arrabbiato." Intervenne Robert, prontamente.
"Mio fratello si arrabbia sempre per ogni scemenza. È fatto così." Spiegò Eireen.
Vidi il ragazzo lievemente a disagio, ma non tornò di cattivo umore. Mi fece piacere sapere che i segnalibri lo avevano calmato.
Pochi minuti dopo mi porse la raccolta di storie del terrore di Poe, come mi aveva promesso.
Non pensavo se ne fosse ricordato.
Quando quella sera fui a casa lo lessi con scetticismo, da sola, nella mia stanza.
Le pagine del libro erano illuminate solo dalla luce gialla della lampada sul mio comodino.
Al di là di ogni mia aspettativa, non dormii bene.
Il racconto del gatto nero mi aveva inquietato l’animo, anche se avevo pensato che non sarebbe mai successo.
Anche se non lo avevo mai realmente preso in considerazione e letto, alla fine Poe cominciò a catturare incredibilmente la mia attenzione.
Era stupefacente come uno scrittore potesse creare emozioni così palpabili solo con carta e penna.
Era come se il suo inchiostro fosse stato fatto di inquietudine, di apprensione e di ansia.
Ecco perché si chiamavano storie del terrore e probabilmente non avrei dovuto dubitare della loro efficacia.
A pranzo presi l’abitudine di mangiare sempre con loro, dato che Faith mangiava quasi ogni giorno con i suoi amici.
Mi aveva chiesto ancora se mi andava di unirmi a loro, ma non mi piacevano un granché. Non che avessero ancora fatto nulla di sbagliato, ma riconoscevo a pelle le persone con cui probabilmente non sarei andata d’accordo.
Perciò passavo la pausa mensa assieme ai fratelli Paige, li guardavo come al solito mangiare pochissimo e assieme a loro il più delle volte contrastavo le prese in giro del gruppo di bulli appostati fuori dalla mensa.
Cominciammo a frequentarci di più tutti e tre, ma tra i due quello con cui andavo più d’accordo era sicuramente Robert, non perché Eireen non mi piacesse, solo che avevamo meno cose in comune.
Passò un mese senza che me accorgessi nemmeno.
Era piacevole la loro compagnia.
Durante il progetto teatro io e Robert continuavamo a dipingere fondali, come se nella vita ci bastasse quello per poter essere sereni.
Era divertente ed ogni volta non facevamo altro che colorare paesaggi e chiacchierare, come se sulla faccia della terra fossimo stati le ultime due persone rimaste e conoscere tutto di noi fosse importantissimo.
Confessai a Robert la mia passione per le fragole e lui mi disse che quando dormiva borbottava nel sonno.
Erano cose stupide da raccontarsi, ma fu così che imparammo a conoscerci bene.
I suoi sbalzi di umore non cessarono mai, ma almeno sapevo come prenderlo e come riuscire a tirarlo su di morale. Lo portai persino a fare un giretto in città, per mostrargli la mia libreria di fiducia.
Senza che nemmeno me ne rendessi conto, la sua presenza nella mia vita divenne qualcosa di perfettamente normale, come se lui ed Eireen ci fossero sempre stati, e la sua compagnia divenne qualcosa di fondamentale per il mio umore.
Io che ero tanto schiva e timida e che a stento riuscivo a considerare amici i miei compagni di corso da circa quattro anni, in poco tempo pensai a loro due come tali.
Non avrei mai immaginato che quello sarebbe stato il minimo.
Il bello doveva ancora arrivare.
Il repentino cambiamento del mio rapporto con Robert avvenne in Auditorium. Probabilmente non accadde tutto in una volta, ma in quell’istante me ne resi davvero conto. Stavamo terminando l’ultimo pannello in legno, che sarebbe stato un fondale, ovviamente, quando capii cose a cui non avevo nemmeno pensato.
"Ne avrà una trentina, è una mania!"
Stava dicendo Robert, armeggiando con il pennello. Parlava di sua madre e dei suoi foulard.
"Di mia madre non so proprio cosa dirti. Le piace l’arte moderna." Borbottai.
Lui mi fissò e ridacchiò.
"Ed è una brutta cosa?"
Mi grattai il naso.
"No, ma dipende dai quadri. L’arte moderna per me non ha molto senso, ma mi basta che i colori siano ben disposti perché mi piacciano. Non mi va se appende in salotto un quadro fatto di lattine usate."
"Come mi hai detto tu una volta: De gustibus non est disputandum."
"Chi ti ha dato il permesso di utilizzare le mie stesse frasi contro di me!" Ribattei falsamente indignata, pensando in realtà quando fosse carino quando sorrideva.
"Devo però ammettere che sono d’accordo con te per quanto riguarda i colori. Non si può certo vedere arte in qualsiasi forma!" Disse.
Poi mi guardò attentamente il viso.
Un formicolio caldo mi percorse la spina dorsale e scese fino allo stomaco, in profondità.
Era la voragine del suo sguardo a farmi sentire tanto vulnerabile.
Di certo era così.
Quando lo vidi trattenere a stento una smorfia di divertimento capii che non stava proprio guardando me, bensì una mia guancia.
Me la sfiorai preoccupata.
"Che c’è?"
Lui scosse la testa, finalmente ridendo di gusto e la sua risata mi fece rabbrividire.
Era carezzevole e palpabile come la seta più morbida.
"Aspetta qui un secondo." Mi ordinò, allontanandosi subito dopo.
Io feci come mi aveva detto, fino a che non lo vidi tornare con un fazzoletto di carta inumidito con l’acqua.
"Stà ferma, ti sei sporcata un po’ di verde la guancia quando ti sei grattata il naso." Disse, ancora ridacchiando.
Quando mi afferrò il mento per tenermi il viso fermo, un calore intenso mi fece ardere le guance.
Fu qualcosa che avevo provato ancora, quando mi ero trovata a disagio a causa della mia timidezza, ma non era esattamente la stessa cosa.
Non mi sentivo a disagio, bensì estremamente bene, come se quel suo tocco fresco potesse proteggermi da qualsiasi cosa.
Stupido, vero?
Con l’altra mano avvicinò il fazzoletto alla mia guancia e mi pulì via il colore dalla pelle.
Quello che mi affascinò di più fu il suo sguardo estremamente attento ad ogni suoi gesto, mentre mi sfiorava come se fossi fatta di vetro e quindi come se fossi stata estremamente fragile.
Quando ebbe finito allontanò da me il fazzoletto, ma non la mano che mi stringeva il mento.
I suoi occhi si spostarono fino ad incontrare i miei e il mio cuore prese a battere più velocemente.
Fu allora che, per l’ennesima volta, il suo sguardo si spense.
Si intristì.
Si scostò da me, lasciandomi con il respiro affannoso per l’emozione, come se avessi appena corso.
Se fossi stata un po’ più turbata avrei avuto bisogno dell’inalatore.
Non volevo che se ne andasse, volevo che continuasse a sfiorarmi e a trattarmi come un secondo prima, come se fossi stata preziosa ed importante.
Chinò il capo come se fosse scoraggiato, ma gli posai una mano sulla guancia fresca per impedirgli di girarsi.
Lo costrinsi a guardarmi.
"Perché sei triste? Dimmelo, ti prego…"
Lo supplicai in un sussurro.
Non c’era pericolo che qualcuno notasse quello che ci stava succedendo. Il brusio era troppo forte e tutti erano troppo occupati a fare altro.
Robert aveva forse attirato tanto l’attenzione i primi giorni, ma ormai la sua presenza era parte dell’arredamento.
Scosse la testa, sempre con il palmo della mia mano posato delicatamente sul viso.
"Tu non puoi capire." Decretò con una punta di durezza nella voce e nello sguardo.
"Aiutami a capire."
Rimase zitto per più di una ventina di minuti, durante i quali il suo sguardo si fece sempre più triste e la mia pelle a contatto con la sua, quasi bruciante.
"Già qualcuno mi ha guardato così, tempo fa, e mi ha fatto solo soffrire." Disse poi, con un sospiro tremante.
"Io non ti farei mai soffrire." Replicai, senza nemmeno rifletterci sopra.
Fu come se la mia voce fosse uscita dalle labbra autonomamente e come se non avessi il minimo controllo sulla mia mente.
Volevo solo sapere chi lo aveva fatto star male e dare un volto al suo dolore, per poterlo visualizzare e odiare.
"Probabilmente lo faresti senza volerlo."
Allontanò il volto dal mio tocco, non con aria disgustata o infastidita, bensì troppo sconfortato per lasciarsi accarezzare da me.
Mi rivolse un sorriso amaro.
"Prima che tu possa dire qualcosa e chiedermi scusa o prima che possa farlo io, voglio chiarire che non sono arrabbiato con te. Spero solo che non lo sia tu."
"Non sono arrabbiata. Solo dispiaciuta."
"Ne vale la pena?"
Per lui era solo una domanda retorica, la cui risposta doveva essere no. Anche per me era una domanda retorica, la cui risposta era sì.
Questione di punti di vista.
"Quando mi hai aiutato con Seth e il suo gruppo anche io ti ho detto che non valeva la pena di farlo, ma tu hai dissentito. Beh, ora sono io che non sono d’accordo. Credo davvero valga la pena di essere dispiaciuta per te, se tu stai male."
"Non sto male."
"Queste sono solo stupidaggini!"
Il tono della mia voce e il turpiloquio lo fecero trasalire.
Era confortante sapere che anche io potevo risultare minacciosa.
"Io lo so che c’è qualcosa che ti turba e questo turba anche me…Perché è questo che significa essere amici. Significa condividere le emozioni e darsi una mano a vicenda."
Non rispose, ma notai che il suo respiro si era fatto più irregolare, come se stesse per scoppiare il lacrime.
Non pianse, ma secondo me ci andò molto vicino.
Quella sera, nel mio letto riflettei su quello che era successo quel pomeriggio.
Sentivo ancora sul mio viso la morbidezza delle mani di Robert.
Il suo tocco mi aveva sconvolto tanto non perché lo avessi ritenuto fastidioso, ma perché non avevo voluto che quel contatto cessasse.
Non mi era mai successo prima, di provare delle emozioni del genere, ma sapevo per sentito dire che quello sfarfallio nello stomaco, quel calore intenso e quell’euforia erano sintomi ben precisi.
Molti poeti e scrittori avevano riempito pagine di riflessioni su quel sentimento.
Per Jaufré Rudel era lontano, per Dante era platonico e perfino spirituale, per Jacopo Ortis di Foscolo e per Werther di Goethe era intenso e struggente.
E per me cos’era l’amore veramente?
Non lo sapevo, perché lo stavo sperimentando per la prima volta sulla mia pelle.
Una cosa era certa. Se a vedere Robert ridotto così non desideravo altro che cancellare la sua tristezza con un bacio, se avrei fatto qualsiasi cosa per farlo star meglio…Non poteva essere altro che amore.
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