Capitolo 5
"Musica preferita?" Chiesi mentre con gesti lenti spalmavo con il pennello morbido il colore su una grande tela stesa in orizzontale su una cattedra adibita a piedistallo.
Lui non pensò nemmeno un secondo alla domanda, rispose con certezza come se avesse le idee chiarissime o come se avesse risposto centinaia di volte a quel tipo di domande.
"Mi piace quasi tutta tranne la tecno, l’Rnb e il Jazz."
"Sono d’accordo con te per le prime due, ma confesso di non saperne abbastanza sul Jazz per poterlo disprezzare. Elimino dalla mia lista anche il Reggae e il rap."
"Secondo me il Jazz è un po’ soporifero, ma il Reggae non è tanto male."
Mi strinsi nelle spalle.
"Come disse un tizio di cui non ricordo il nome: De gustibus non est disputandum." Sorrise muovendo il suo pennello tinto di verde scuro sulla tela, per dipingere le ombre sulle fronde degli alberi.
Da un po’ continuavamo quella sorta di botta e risposta per conoscerci meglio. Scoprii che era pigro, anche se non era ancora ai miei livelli.
Eireen era la sua unica sorella ed erano tanto diversi caratterialmente, quasi quanto fisicamente erano simili.
Aveva avuto un cane durante le elementari, poi un gatto e al momento non aveva altri animali in casa.
Disse che comunque la loro assenza, abituato com’era ad avere la loro compagnia, non era molto piacevole.
Gli spiegai che, a causa della mia asma il mio apparato respiratorio aveva diversi problemi.
Il pelo di animale e i pollini primaverili, erano probabilmente due miei acerrimi nemici.
Un vero peccato, considerando che tutto sommato gli animali mi piacevano.
Al di là delle poesie romantiche, amava leggere un po’ di tutto come me, anche se non andava matto per i romanzi estremamente sdolcinati.
Gli piacevano i romanzi di avventura, di azione e thriller e aveva una specie di venerazione per Poe, specialmente per i suoi racconti del terrore.
"Ti sembrerà blasfemo, ma non ho mai letto nessun racconto del terrore di Poe." Confessai senza guardarlo in viso. Non ne avevo bisogno, sapevo che era sconcertato.
"Cosa? Puoi dirlo forte, certo che sei blasfema!" Scherzò lui.
Io sorrisi lievemente. "È tanto grave?"
"Non irreparabile, ti presto io una raccolta. Leggine un paio la sera, da sola, altrimenti rovini tutto l’effetto."
Aggrottai la fronte pensierosa.
Sinceramente non credevo che quelle di Poe fossero delle storie tanto spaventose da incutere inquietudine. Mi limitai a ringraziarlo, senza fare commenti.
"E tu invece? Non mi hai detto che genere preferisci di poesia e cosa leggi."
Continuò.
La sala dell’Auditorium non accoglieva solo noi due, ma un gruppo di gente di circa una ventina di persone, più gli addetti un po’ più adulti.
Il brusio generale copriva le nostre voci.
"Mi piace la poesia medievale, i trovatori e…Non lo so. Mi affascina." Con un sorriso enigmatico mi fissò.
Era impossibile scoprire cosa stesse pensando, a meno che non me l’avesse confessato.
Il suo sguardo e il suo viso erano impassibili.
"Triste e felice me ne partirò
se mai la vedo l’amore lontano." Recitò. Non ebbi bisogno di chiedergli di chi si trattasse, perché già lo sapevo.
Jaufré Rudel.
Solo non riuscivo a capire come un ragazzo della sua età potesse conoscerla, e per di più a memoria.
La cosa mi affascinava e mi spaventava al tempo stesso.
"Non ci credo, la conosci! Questo ti fa guadagnare un sacco di punti!" Esclamai cambiando pennello ed iniziando a colorare il cielo notturno di un blu talmente scuro da sembrare quasi nero.
"Ehi, un momento, non si era parlato di punti!"
"Troppo tardi." Commentai sorridendo.
Guardai con la coda dell’occhio l’espressione di Robert e lo vidi, dopotutto, piuttosto sereno.
I ciuffi che gli cadevano sulla fronte gli incorniciavano gli occhi concentrati sulla tela.
"Risulto troppo indiscreta…" Tentai.
"Se ti chiedessi perché tu e la tua famiglia vi siete trasferiti?" Scosse la testa.
"Mio padre ha ricevuto un’offerta di lavoro che ha accettato. Tutto qui. Un classico." Già, un classico davvero.
"È per questo che sei triste?"
Mi fissò, con la mano che stringeva il pennello improvvisamente ferma a mezz’aria, a pochi centimetri dalla superficie dipinta della tela.
"Io non sono triste. Sono solo pensieroso." Borbottò, quasi infastidito.
"D’accordo." Evitati di proseguire.
Sembrava che l’argomento lo facesse stare peggio, perciò non volli continuare con quel tipo di domande.
Pensai a come sviare la conversazione a qualcosa di più piacevole, ma avevo esaurito le domande.
"Oltre a leggere cosa fai nel tuo tempo libero?" Chiesi banalmente.
Lui si strinse nelle spalle, ma non sorrise come aveva fatto poco prima.
"Colleziono segnalibri." Lo disse senza la minima soddisfazione.
Impassibile.
Espressi il mio entusiasmo per quel suo Hobby, ma dopo mantenemmo un silenzio tombale per qualche minuto. Era qualcosa di imbarazzante e di spiacevole, come se per colpa mia si fosse rovinata un’atmosfera serena e tranquilla.
In effetti, era proprio così.
Perché avevo voluto intristirlo di più? Perché semplicemente non ero capace di farmi i cavoli miei?
Gli ultimi dieci minuti della prima ora di lavoro furono quasi insopportabili, durante i quali io e Robert ci limitammo a parlarci quando dovevamo passarci un colore o un pennello.
Tentai un paio di volte di continuare la conversazione, ma le sue risposte si limitarono a dei monosillabi poco interessati e il nostro discorso finì lì.
Quando la campanella suonò tuffò il pennello in un barattolo colmo d’acqua. Lo sciacquò con cura, poi lo rimise al suo posto.
Si asciugò le mani bagnate sui jeans e mi guardò seriamente.
"Non mi fermo per la seconda ora. Devo…devo andare." Disse.
"D’accordo. Ci vediamo." Mormorai, ma invece di rispondere con entusiasmo 'Certo, sì, ci becchiamo in giro!', si voltò, si avvicinò alla professoressa per avvertirla della situazione e uscì senza nemmeno salutarmi.
Con il cuore in gola e il morale sottoterra trascorsi il resto di quell’ora a dipingere per conto mio il resto del fondale e intanto a domandarmi che cosa avessi fatto di tanto male.
Avevo esagerato nel farmi i fatti suoi, certo.
Avevo toccato un nervo scoperto con la questione del trasloco, ma non lo avevo fatto per farlo tornare triste.
Sconsolata pensai e ripensai a come chiedergli scusa, a come fargli capire che farlo soffrire non era stata mia intenzione.
Aspettai la fine delle lezioni pomeridiane, poi mi incamminai verso casa nell’ambiente che lentamente si stava convertendo ai colori autunnali. Le foglie degli alberi stavano cominciando a tingersi di giallo e a cadere.
Camminando lentamente su un marciapiede continuai ad emettere inconsapevolmente frequenti sospiri di sconforto, fino a che non mi trovai di fronte alla vetrina di una libreria.
Oltre alla biblioteca era uno dei miei posti preferiti e uno dei negozi che frequentavo di più.
Rimasi a fissare i libri esposti alla ricerca di qualcosa di interessante, anche se percorrevo quella strada tutti i giorni e sapevo ormai a memoria cosa c’era.
Era così per me. Avevo una dipendenza per le librerie, potevo passarci delle ore senza stancarmi mai.
Fui sul punto di entrare, ma mi bloccai. Ne valeva la pena?
Avevo intenzione di comprare qualcosa?
Avevo le idee precise su un libro che volevo oppure volevo solo dare un’occhiata?
Non sapevo cosa fare.
Rimasi in attesa per qualche istante, soppesando ogni opzione, poi estrassi dalla tasca il mio cellulare e chiamai mia madre, per avvertirla che avrei fatto un po’ tardi.
Non le dissi cosa mi avrebbe trattenuta e lei non me lo chiese.
Capiva molte cose al volo, mia madre. Era la forza dell’abitudine o forse ormai mi conosceva troppo bene per sapere che non ero per nulla immune al fascino delle librerie.
Quando entrai mi avvolse il profumo della carta stampata di recente e delle colle utilizzate per la loro creazione.
Era tutto così magico per me, come se quei negozi fossero il mio Paese delle Meraviglie e io un’Alice molto curiosa.
Vagai senza un vero e proprio obbiettivo, di scaffale in scaffale, guardando titoli e copertine.
Se qualcuno mi avesse detto che potevo prendere gratuitamente quello che volevo non mi sarebbe bastato un furgone per portare tutto a casa.
Non c’era nulla che mi interessava, o meglio, nulla attirò la mia attenzione più del solito, tanto da indurmi ad estrarre il portafoglio.
Fui molto tentata quando passai di fronte allo scaffale dei manuali, dove alcuni libri avrebbero potuto insegnarmi a scrivere, parlare, relazionarmi o a disegnare bene.
Sfogliai affascinata un libro sui cani, con una certa tristezza perché sapevo che probabilmente non avrei mai potuto avere un animale in casa. Maledetto asma!
Non presi nessun libro, alla fine, ma quando feci per avviarmi verso l’uscita mi venne in mente una cosa.
Volsi lo sguardo al bancone, dove Judith stava scrivendo qualcosa al computer, e guardai la superficie ricoperta da mucchietti diversi di segnalibri.
Cambiai rotta e mi avvicinai alla donna. Avrà avuto sì e no una settantina d’anni e sapeva riconoscere chiunque fosse entrato in quella libreria almeno due volte.
Aveva una memoria incredibile, una mente fresca e un corpo arzillo.
A volte pensavo fosse persino più attiva di me.
Non ci voleva poi molto.
"Ciao Jacqueline, come te la passi, cara? Non prendi niente?" Sorrisi, sia per Jacqueline che per cara.
Mi chiamava sempre così e non mi dispiaceva.
"Tutto bene…Volevo comprare un segnalibro." Mormorai guardandoli bene e tentando di pensarci con attenzione.
Robert aveva detto che li collezionava, perciò c’era il rischio di regalargli qualcosa che già aveva.
"Sei indecisa?"
Annuii pensierosa.
Scartai immediatamente l’idea di prendere segnalibri con immagini di quadri famosi.
Era più facile che Robert avesse quelli, ma mi soffermai su due segnalibri che mi parvero interessanti.
Il primo rappresentava la via lattea, un agglomerato luminoso di stelle, il secondo accoglieva una notte buia, con conifere dai profili scuri messe una accanto all’altra fino a formare una sorta di parete di alberi.
Sopra il bosco splendeva, enigmatica e solitaria, la luna, l’unica fonte di illuminazione di quel paesaggio.
Mi vennero in mente i gusti poetici di Robert.
Come avevo detto io amava tutto ciò che era struggimento, mistero, ombra e illusione.
"Prendo questi." Decisi.
Porsi i soldi a Judith, la salutai allegramente e mi diressi a casa, con il cuore un po’ più leggero.
Speravo che gli piacessero e che non li avesse già, ma se proprio non li avesse voluti accettare non sapevo cos’altro fare per farmi perdonare.
Non credevo che la mia fosse stata una grande offesa, ma mi sentivo comunque responsabile di averlo fatto sprofondare di nuovo nello sconforto.
Robert Paige aveva un problema e io ero stata così egoista da trattarlo con poco tatto.
Mi misi a letto pensando al giorno dopo.
Le lezioni non si prospettavano estremamente interessanti e il pomeriggio non avremmo avuto il progetto teatro, ma comunque c’era una certa aspettativa nel modo in cui mentalmente progettai tutto.
Ero emozionata e spaventata allo stesso tempo.
Incerta e dubbiosa, ci misi un po’ ad addormentarmi, ma quando ci riuscì, sognai Robert e i suoi occhi tristi.
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