Capitolo 4
La sua stretta sul mio braccio era decisa, ma non dolorosa.
Robert mi portò lontano da lì, avrei potuto dire lontano dalla scena del crimine. Poi, quando gli sbruffoni furono lontani dalla nostra vista, ci fermammo vicino al muro dell'edificio.
I suoi occhi color cioccolato si fissarono nei miei blu, scrutandomi nel profondo come per assicurarsi che fossi tutta intera.
"Tutto a posto?" Mi chiese dopo qualche secondo.
Il cuore ancora mi batteva nel petto furiosamente, ma sì...era tutto a posto.
"Sto bene." Gli assicurai.
Mi lasciai sfuggire un colpo di tosse e lui subito si pulì l'inalatore sui jeans. Me lo porse gentilmente.
"Ecco tieni."
Si aspettava forse che inspirassi, ma non ne avevo tutto questo bisogno.
Mi bastava poco per avere problemi di respirazione, ma guardarlo contrastare l'idiozia di quei ragazzi, poco prima, mi aveva permesso di calmarmi un po'.
Osservai quell'oggetto tanto importante per me, poi me lo infilai nella tasca dei jeans e guardai il ragazzo.
"Non avresti dovuto metterti contro quelli. L'hai passata liscia per oggi, ma mi dispiacerebbe se ti prendessero di mira. Non credo ne sia valsa la pena."
Scosse le spalle, poi sorrise.
Fu la prima volta che glielo vedevo fare e non fu niente male.
Denti bianchi, perfetti come quelli della sorella.
Tutti così in famiglia?
"Io credo che ne sia valsa la pena. Non è giusto che ti tormentino così."
"Lo fanno con tutti."
"Non è giusto comunque!"
Annuii come per confermare la sua affermazione, ma il mio sguardo vagava oltre le sue spalle.
"Dov'è Eireen?" Mi pentii subito di quella mia domanda, per paura di essere parsa troppo indiscreta.
Con quello che era successo quella mattina, ovvero, visto il comportamento di lui, temetti potesse innervosirsi e dirmi di farmi gli affari miei. Ma non lo fece.
"Ancora in mensa. Le si è avvicinato un tizio...voleva parlare. Me ne sono andato principalmente per quello."
"Beh, tua sorella già ha successo tra i maschi. Non mi stupisce, è una bella ragazza e poi è una novità. Le novità affascinano molto in questo posto."
Mi scrutò a lungo, soppesando le mie parole come se ognuna di esse avesse potuto avere un'importanza stratosferica.
"Affascinano anche te?" Chiese in un sussurro.
Era una maschera pallida di serietà, come una statua di cera, di avorio o di perfetto e liscio marmo bianco.
"Sono vaccinata contro le novità ormai." Risposi con una scrollata di spalle.
"Sono abituata a diffidare di questo genere di cose, perché si corre troppo il rischio di credere in stereotipi e pregiudizi. Il gossip è qualcosa che attrae, ma che è meglio evitare. Tu e tua sorella siete ciò di cui per giorni gli studenti hanno parlato, è normale che i maschietti mangino Eireen con gli occhi, no?"
"Immagino di sì." Concluse lui.
Non aggiunsi che probabilmente le ragazze si mangiavano anche lui con gli occhi, perché mi sembrava alquanto inopportuno, ma fui quasi sul punto di farlo.
La bellezza era qualcosa che andava ammessa e Robert Paige era bello. Punto e basta.
Indossava una maglia nera, dalle maniche lunghe, abbastanza stretta da mettere in risalto il fisico atletico e le spalle proporzionate.
La linea dei muscoli delle braccia e del torace spiccavano in rilievo sotto la stoffa, senza sembrare troppo eccessivi.
Non era un fisico da palestrato, ma era in forma. Magro e asciutto, senza necessariamente essere ossuto.
I jeans erano chiari e stretti in vita da una cintura di pelle marrone. Un'occhiata un po' più in basso rivelava che terminavano con un paio di comunissime scarpe da ginnastica.
Non intravidi nessuna griffa famosa, nessun marchio che potesse suggerirmi che Robert teneva estremamente al suo look da spendere una pazzia in abiti firmati. Non credevo ne avesse bisogno.
"Ho detto che me ne sono andato principalmente per l'assalto del ragazzo a Eireen...ma c'è un altro motivo." Continuò Robert.
"Quale?"
Si strinse nelle spalle, come se lottasse contro se stesso per trovare le parole adatte.
"Ti ho vista in mensa, che mangiavi da sola. Guardarti mi ha fatto pensare a questa mattina...A come ti ho trattato. Sono stato scorbutico e volevo...Volevo solo chiederti scusa."
Possibile che degli occhi potessero essere tanto magnetici?
Senza rendermene conto lo stavo fissando nelle iridi castane imbambolata come un'idiota.
Mi ripresi dal mio stato di torpore momentaneo e sorrisi.
"Ehi, non è vero che mi hai trattato male."
"Sì che è vero."
"Ma non mi sono accorta di nulla!" Mentii.
Inclinò la testa di lato, facendomi scioccamente venire in mente lo strano modo che hanno i cuccioli di cane di guardare qualcosa che li interessava particolarmente. O qualcosa che non riuscivano a comprendere.
Ero quasi sicura che il nostro caso si avvicinasse di più al secondo paragone. Il suo sguardo era accusatorio, come se sapesse perfettamente che stavo mentendo.
Non resistetti.
"D'accordo, me ne sono accorta, ma non mi sono offesa. Ho solo riflettuto un po' sul perché ce l'avessi con me." Ammisi.
Lui scosse la testa. "Non ce l'avevo affatto con te. È solo che non sono una persona molto adattabile e l'idea del trasloco ancora non mi...non mi va giù, ecco."
"Infatti non c'è bisogno che tu ti giustifichi con me, perché capisco che possa essere difficile."
"Non avevo comunque alcun diritto di trattarti così, tu che ci hai prestato gli appunti e che sei stata tanto gentile. Quindi ti prego, accetta le mie scuse."
Aveva un sopracciglio inarcato in un'espressione che comunicava attesa.
Oltre al suo discorso fatto ai bulli, poco prima, era la prima volta che sentivo la sua voce tanto viva e partecipativa.
La calma che mostrava sempre aveva qualcosa di sbagliato, lo avevo notato subito, ma non ero stata in grado di comprendere cosa fosse.
In quel momento capii cosa intendevo per sbagliato.
Quel suo modo di fare tanto pacato, comunicava solo stanchezza, non tranquillità.
Sembrava fiaccato e spossato, senza la forza di muoversi troppo velocemente o gridare.
"Scuse accettate!" Mormorai.
"Ora ho la coscienza quasi a posto." Sorrise.
Non domandai cosa fosse quel quasi, per non esagerare sul serio nel farmi gli affari suoi.
Le nuvole che tingevano quasi l'intero cielo di grigio si fecero da parte per qualche istante, per permettere ad un audace raggio di sole di raggiungere la scuola e con essa di scaldare anche noi, poveri diavoli.
Sorrisi nel sentire la carezza piacevole di quel calore e mi sgranchii le ossa della schiena stiracchiandomi. Al contrario, Robert si coprì repentinamente gli occhi con una mano e rimase così finché un'altra nuvola grigia non coprì del tutto il raggio.
Lo aveva colpito in pieno viso, certo, ma non mi era parso tanto splendente e intenso da costringerlo a coprirsi gli occhi.
Una mia occhiata troppo curiosa lo fece scrollare le spalle.
"Il sole mi da fastidio."
Spiegò semplicemente Robert.
Pensai che il pallore fosse indice di quel suo problema, ma non volli indagare.
"Che lezioni hai oggi?" Chiesi per sviare un po' il discorso.
Quando non si aveva nulla da dire c'erano due cose perfette da tirare in campo: il tempo e la scuola.
"Da questo pomeriggio comincia il progetto teatro. Ho firmato per partecipare. Pensavo che se proprio devo prender parte a qualcosa meglio scegliere secondo i gusti personali."
Mi sembrava più che giusto. Avrebbero messo in scena Sogno di una notte di mezz'estate.
"Ti piace Shakespeare?" Chiesi incuriosita.
"Mi piace, sì. Forse delle sue opere teatrali si è parlato all'infinito fino al vomito, ma i sonetti! I sonetti sono incredibili!"
Mi sembrava di trovarmi di fronte ad un ragazzino che parlava di calcio, entusiasta per i goal di testa di uno e di quelli di punta di quell'altro.
L'unica differenza che mai nessun ragazzo di diciassette anni mi aveva parlato di poesia con quella luce negli occhi.
"E chi interpreterai, Oberon? Il magnifico re degli Elfi?"
Ridacchiò, un suono cristallino e melodioso nell'aria piena di schiamazzi giovanili.
Il cortile si stava pian piano riempiendo di adolescenti intenti in spintoni e corse e ragazzine impegnate in chiacchiere e risolini.
Un classico.
"No, io non recito. Ho firmato per poter dare una mano nella preparazione."
Mi fermai di colpo, rendendomi conto tutt'un tratto che ci stavamo muovendo. Avevamo inconsciamente cominciato a camminare lentamente lungo il cortile della scuola, fiancheggiando i muri, ma non me n'ero proprio accorta.
Ero stata così concentrata sulla nostra conversazione, che lo avevo seguito a ruota senza prestarvi attenzione.
"Davvero? Anche io sono nel gruppo! Anche volendo nella recitazione sono una frana, non so mentire."
"La capacità di mentire a volte rappresenta un ottimo motivo per farlo." Mormorò pensieroso, con aria saggia e lo sguardo perso in lontananza.
"Quindi...Beh, mi sembra di aver capito che ti piace la poesia." Dissi ancora, stranamente desiderosa di saperne di più sul suo conto.
Volevo anche assicurarmi di aver capito bene.
Aveva davvero detto le parole sonetti e meravigliosi?
"Sì, mi piace."
"Quali autori? Ci deve pur essere qualcuno che ti piace particolarmente."
Scrollò le spalle come per dire che nemmeno lui sapeva bene come rispondermi, poi però assunse un'espressione pensierosa e rimase in silenzio per un paio di secondi.
"Mi piace un po' tutta la poesia, quella che mi capita di leggere, ma mi affascina quella romantica." Rispose.
"Insomma, tutto ciò che riguarda struggimento, mistero, ombra e illusione?"
"Esattamente. Per quanto riguarda gli autori vediamo se indovini..."
"Oh, no, non sono molto ferrata in questo genere. Non so se..."
"Prova! È un gioco che mi faceva mia madre da piccolo. Anche a lei piacciono i romantici." Lo guardai. Il suo viso era allegro, così diverso da quella mattina. Non potei però non notare che le sue occhiaie non erano meno marcate e dietro il velo di entusiasmo negli occhi, si nascondeva qualcosa.
Avevo come l'impressione che fosse lo spettro di una profonda tristezza, ma non ne conoscevo il motivo.
Lo accontentai.
"Vediamo, citerò una frase di un autore tedesco, di uno inglese, di uno francese e di uno italiano. Fammi vedere come te la cavi."
"Spara."
Decretai, facendolo piacevolmente ridacchiare.
"Iniziamo: 'si avvicina il delirio e adesca
via, nulla più gli resiste.
il battito della vita si ferma,
ogni senso s'intorpidisce.' "
"Mh, allegro."
Commentai, quasi per guadagnare tempo.
Che vergogna non mi veniva in mente nessun autore...Cominciavamo bene!
"Non lo so..." Mormorai, imbarazzata.
"Novalis. Non ti preoccupare se non li indovini, è solo un gioco." Disse lui semplicemente.
Novalis!
Non lo avevo riconosciuto, eppure lo avevamo fatto alla fine dell'anno precedente.
"Vai con il prossimo." Borbottai già lievemente innervosita.
Non mi andava di non saper rispondere a delle domande di poesia tanto semplici.
Era un oltraggio a quegli autori che tanto amavo!
"Prova con questo autore inglese:
'in quali abissi o in quali cieli
accese il fuoco dei tuoi occhi?
sopra quali ali osa slanciarsi?
e quale mano afferra il fuoco?' "
Socchiusi gli occhi per pensare.
Avevo già sentito quei versi e, curiosamente, mi veniva in mente una tigre nell'udirli.
Immediatamente qualcosa nella mia testa scattò e io ricordai il primo verso della poesia: Tigre! Tigre! Divampante fulgore...
"È Blake! William Blake!" Risposi con nessuna incertezza.
Lui probabilmente seppe che non avevo bisogno di conferma, perché si limitò a sorridere e a continuare il suo gioco.
Trascorremmo così il resto della pausa pranzo.
Indovinai solo l'autore italiano, quando Robert mi recitò solennemente un tratto del delirio di Ermengarda di Manzoni.
Per quanto riguardava l'autore francese, non avrei comunque saputo dirgli niente perché non conoscevo poesie francesi.
Mi recitò comunque un passo di una poesia davvero triste di un certo André Chénier.
Mi resi conto che dopotutto non ero poi tanto esperta di poesia come pensavo.
Quando Eireen uscì dalla mensa ci incontrò nel cortile immersi nelle chiacchiere.
Mi sembrò di vederla stupita della nostra vicinanza, ma nascose in fretta l'incredulità e mi venne incontro con un sorriso.
Ci disse di essere felice di essersi liberata del ragazzo che l'aveva intrattenuta, poi al suono della campana scomparve per prender parte alle lezioni di chimica.
Non ci avrebbe fatto compagnia in Auditorium per dipingere, perché non amava molto i lavori creativi.
La prospettiva di passare altre due ore assieme a Robert era stranamente confortante, come se ormai sapessi che con lui potevo sentirmi a mio agio.
Ora che ero a conoscenza della sua passione per la poesia sapevo che potevo parlare con lui anche dei miei interessi.
Non mi era capitato mai con nessuno, a parte con Faith, con la quale però non ne discutevo poi molto.
Entrammo a scuola a passo sostenuto, io felice di prender parte ai lavori per la preparazione della recita e lui in silenzio, con la sua solita espressione pensierosa negli occhi stanchi.
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