[ Lacrime ]

I passi si seguivano veloci, così veloci da tenere il ritmo con i suoi pensieri. Come aveva potuto perdere il controllo in quella maniera? Chi le aveva detto di potersi concedere il lusso di essere così scellerata da far rischiare alla madre ogni cosa per ottenere così poco. I rimorsi le attanagliarono lo stomaco al punto che la strada del ritorno iniziò a sembrarle interminabile, decise allora di tagliare parte del tragitto attraverso i sotterranei di Windmore. Non appena ne ebbe l'opportunità, quasi senza che il mondo se ne accorgesse, si trovò a scendere rapida una stretta rampa di scale che finiva in una piccola porta di legno chiusa da un lucchetto. Pochi giorni dopo aver scoperto l'esistenza dei sotterranei nella periferia imparò anche ad aprire i lucchetti che li bloccavano, la procedura era semplice eppure, almeno per i primi tempi, le richiese un discreto allenamento. Adesso non le occorrevano più di una manciata di secondi e di un piccolo pezzetto di ferro che si era fabbricata da sola. Quel giorno gliene bastarono solo tre, come il tempo che normalmente si impiega per mescolare lo zucchero negli infusi. Una volta entrata e richiusa la porta alle spalle il buio completo la avvolse. Le ci volle del tempo per far abituare gli occhi all'oscurità ma, al contrario delle sue passeggiate notturne alla radura, nei sotterranei preferiva non procedere fino a quando non sarebbe stata in grado di identificarne le pareti. Era praticamente certa di non essere l'unica ad utilizzarli per spostarsi più velocemente nella periferia ed era anche certa di non essere così stupida da voler incontrare qualcuno lì sotto.

I sotterranei si diramavano in svariati canali in tutte le direzioni. Un groviglio di strade scavate sotto terra di cui Dyra aveva tracciato una mappa abbastanza precisa. Nel buio la mente corse alle trappole che la mattina aveva piazzato ai confini della radura. Il clima era soleggiato e asciutto così aveva deciso di utilizzare tre trappole semplici e di collegare le restanti per realizzarne una complessa per la selvaggina più grande.

Ogni volta che piazzava quel genere di trappole portava con sé un coltello a lama lunga perché difficilmente le lamiere risultavano letali per un a preda di grandi dimensioni. La maggior parte delle volte erano appena sufficienti ad immobilizzarla, sarebbe poi stato suo compito finire l'animale che vi era rimasto catturato.

Percorse tutto il sotterraneo correndo ma cercando di limitare i rumori. In quel tragitto realizzò che avrebbe voluto qualcuno con cui confidarsi, qualcuno a cui raccontare quanto era appena successo, qualcuno che assomigliasse ad un amico. Non era mai stata capace di farsi degli amici, era estremamente diffidente e di rado stringeva legami con le persone. Non amava lasciare che qualcuno si avvicinasse troppo a lei, che la costringesse ad affezionarsi. Portava da sempre la convinzione che in un modo o nell'altro tutti se ne sarebbero andati della sua vita e che era inutile fingere per un breve lasso di tempo che non fosse così. Se in quel mondo era certa di qualcosa era proprio di questo, da lei si andava soltanto via.

Non le piaceva piangere e per questo non si permetteva di farlo neanche nei sotterranei dove nessuno avrebbe potuto vederla. I suoi occhi non conoscevano lacrime ma l'anima ogni tanto cadeva a pezzi, ogni tanto dentro faceva male dappertutto.

Fu così che riemergendo a un centinaio di metri da casa, mentre si lasciava l'uscita del sotterraneo alle spalle si asciugò le lacrime che non era stata capace di versare, le asciugò e proseguì nella direzione del sole che calava.

Quando rientrò in casa la madre non era ancora arrivata, malgrado la strada da percorrere fosse molto più corta il peso del carrello la rallentava. Per un attimo si sentì male al pensiero di averla lasciata da sola con quel carico, ma poi, preparando l'acqua per la zuppa, riuscì a scacciare il pensiero dalla mente. Il rumore delle piccole ruote metalliche che si avvicinavano le riempì il cuore di gioia, la tavola era stata apparecchiata con cura e la zuppa, ormai quasi pronta, bolliva rumorosamente nella pentola. Quando Giselle aprì la porta Dyra si stava ripulendo il maglione dalle schegge di legno che le erano rimaste addosso mentre accendeva il camino. Le due si guardarono per un attimo poi Giselle distolse lo sguardo e iniziò a trasportare i pesanti sacchi giù nella cantina. Quando ebbe finito con la biancheria il pasto era ormai pronto in tavola ma la donna non accennava a voler mangiare. Aspettò finché le fu possibile poi Dyra, ancora una volta, ruppe il silenzio.

<< Se non iniziamo a mangiare subito la zuppa finirà con il freddarsi. >>

Giselle guardandola come si guarda un estraneo rispose di non aver per nulla fame ed aggiunse:

<< ad ogni modo, se vuoi, puoi mangiare anche la mia. >>

Dyra pensò che tutto questo fosse ridicolo, sapeva che non era solo colpa di quello che era accaduto nel pomeriggio in piazza. Erano ormai mesi che Giselle diventava più fredda ogni giorno, quasi distaccata. Entrambe conoscevano la vera ragione ma nessuna delle due sembrava volerlo ammettere. Era la Guerra. La ragione di tutto era la guerra.

La ragazza aveva compiuto nell'invero i sedici anni di età. Ciò la rendeva una delle reclute che, con l'arrivo dell'autunno, avrebbero dovuto lasciare la periferia per recarsi nell'Accademia di addestramento della Quarta Terra di cui Windmore era la capitale. Questo era quanto deciso dagli Stati Generali otto anni prima, durante l'autunno dello scoppio della Grande Guerra. Ognuna delle Dieci Terre del continente dell' Est era tenuta a rispettare la legge dell'addestramento accademico. Gli Stati Generali, posti al centro del continente e circondati dalle Dieci Terre, fungevano da garante affinché nessuno evitasse l'arruolamento obbligatorio. Ogni anno, poco dopo la vendemmia di fine estate, veniva indetto nelle capitali un Censimento di tutti i ragazzi e le ragazze sedicenni presenti sul territorio. Le reclute, una volta identificate, venivano sottoposte ad una visita medica che consisteva in test fisici e psicologici. Gli idonei, infine, sarebbero stati scortati alla stazione e fatti salire su treni che li avrebbero condotti alle rispettive accademie. Tanti si improvvisavano malati durante la visita ma i test studiati appositamente per il Censimento ed i dottori inviati dagli Stati Generali non faticavano ad individuarli e a comunicare, con massima urgenza, il nominativo e la nota di demerito all'Accademia alla quale la recluta era destinata. Se desideravi iniziare il tuo addestramento in un modo veramente stupido che ti si sarebbe ritorto contro, quello era proprio il modo perfetto per iniziare. Era chiaro, da sempre, non puoi ingannare gli Stati Generali.

Dyra si affrettò a ripulire la tavola e a coprire il piatto di zuppa della madre in caso cambiasse idea quando i morsi della fame si sarebbero fatti sentire. Controllato il camino, senza avvisare, uscì sul portico dove i vecchi stivali la stavano aspettando. Prima di andare si ricordò della trappola complessa e avvolse con destrezza il coltello da caccia in un panno bianco per poi infilarselo negli stivali che neanche si deformarono per quanto erano grandi.

Il cielo era ancora illuminato dalle ultime luci del tramonto quando la ragazza imboccò il sentiero accanto al fiumiciattolo. Quella sera era uscita in anticipo e per questo procedeva spedita grazie alla buona visibilità. Arrivata nei pressi delle trappole semplici le ultime luci del giorno si erano ormai diradate lasciando il posto alla luna che illuminava d'argento tutta la radura. Un morso alla gola la assalì quando vide che nessuna delle tre era scattata. Si diresse allora verso i confini del bosco per controllare il sistema complesso di trappole. Già da lontano capì che qualcosa vi era rimasto imprigionato. Un giovane cinghiale aveva fatto scattare il meccanismo. Era gravemente ferito ma era ancora vivo.

Non è stato affatto facile imparare a finire gli animali di grossa taglia che catturava. Le prime volte non avendone il coraggio li lasciava scappare nel bosco dove poi sarebbero morti per le ferite giorni dopo. Per questo motivo non utilizzava molto spesso trappole complesse, ma soltanto quando le scorte di cibo iniziavano a scarseggiare.

La madre del piccolo cinghiale poteva trovarsi ancora nelle vicinanze e vedendola accanto al figlio ferito la avrebbe caricata fino ad ucciderla. Decise che non fosse saggio indugiare oltre.

Estrasse con decisione il coltello dallo stivale e lo liberò dal panno. Evitò di guardare la preda negli occhi sapendo che se lo avesse fatto non sarebbe più stata in grado di ucciderla. Per un secondo la lama brillò alla luce chiara della luna, subito dopo si conficcò rapida nel torace della bestia. Nella quiete della notte si levò un breve grugnito poi tutto sprofondò in un silenzio fittissimo.

L'animale aveva già perso molto sangue e quando Dyra lo infilò nel sacco da caccia questo restò pressoché pulito. Si mosse verso il fiume trascinando la preda. Una volta arrivata sciacquò con cura le mani e la lama prima di riavvolgerla nel panno e ricalarla negli stivali. La visione del sangue sulla pelle era la cosa che più la disgustava in assoluto nonché il suo incubo ricorrente. In quei momenti era grata all'oscurità della notte che limitava la percezione visiva del rosso corposo sul rosa delicato della sua pelle. Si alzò in piedi e con una presa salda afferrò il sacco. Di lì a poco avrebbe portato il cinghiale al signor Isac, il macellaio più vicino a casa sua.

Isac era un buon uomo che conosceva l'importanza di non fare domande e aveva la furbizia di capire quando un affare si muoveva a suo vantaggio. Ogni volta che la ragazza si presentava a casa sua con una preda egli si limitava a prenderla in consegna e ad iniziare la lavorazione della carne senza troppe domande. Il giorno seguente Dyra sarebbe passata nuovamente dal macellaio e avrebbe ricevuto metà della carne che si era ottenuta dalla lavorazione, l'altra metà sarebbe invece stata messa in vendita nel negozio. Era quasi a due terzi del tragitto che la divideva da casa quando sentì il bisogno di fermarsi a riposare per qualche secondo su un tronco al lato del sentiero. La spalla le faceva male per lo sforzo e le mani iniziavano ad allenare la presa sulla sacca.

Mentre cercava di recuperare le energie avvertì alcuni metri dietro di lei un fruscio provenire in direzione del bosco. Il silenzio che seguì le fece tranquillizzare e allo stesso tempo scartare l'ipotesi che i cinghiali avessero fiutato l'odore della preda che stava trasportando. Quando pensò di essersi riposata abbastanza si rimise il sacco in spalla, che le sembrò perfino più pesante, e ricominciò a camminare.

Procedette per alcuni passi poi qualcosa la fece inorridire, aveva sentito un respiro, qualcuno aveva appena respirato dietro di lei. Non fece in tempo a voltarsi che fu scaraventata a terra. L'esile corpo cozzò contro il terreno sollevando un tonfo al quale seguì un secondo più piccolo provocato dal cinghiale nel sacco. Non capiva cosa stesse accadendo, né perché fosse caduta sulla schiena. Sapeva solo che non sarebbe dovuta trovarsi lì ed un'orrenda sensazione di pericolo le risalì lungo la spina dorsale sino al collo. Il tentativo di rimettersi in piedi venne bloccato da qualcuno che la ricostrinse a terra. Ora la sagoma se ne stava a cavalcioni sopra di lei mentre tentava di baciarle il collo. Il contatto delle labbra sulla sua pelle le fece salire il vomito e con esso tornò parte della lucidità persa. Un rumore metallico spezzò la monotonia dei grugniti affannati, era il rumore della fibbia dei pantaloni e fu proprio questo a darle la definitiva certezza di quello che stava accadendo. Con tutte le energie che aveva in corpo si liberò dalla presa e scattò in piedi scivolando su un fianco. In una frazione di secondo aveva recuperato il coltello dallo stivale e stava per liberarlo dal panno quando si risentì gettare a terra. Questa volta cadde frontalmente e l'atterraggio le provocò molto più dolore del precedente. Stringeva ancora nella mano destra il coltello che nella caduta si era sfoderato. Avrebbe voluto vomitare, si sentiva sporca e fragile. Per la prima volta nella sua vita gridò aiuto con tutto il fiato che aveva in gola.

Al levarsi del grido disperato l'uomo la voltò per tapparle la bocca con il palmo della mano, in quel momento accade, per la seconda volta nella stessa notte il coltello si conficcò nella carne.

Un altro grido fece risuonare il sentiero ma questa volta non fu Dyra a gridare. Estrasse il coltello dal fianco del suo aggressore che barcollando si gettò nella foresta dove vi scomparve. Dyra non lo seguì, né tantomeno provò a rialzarsi. Non si chiese chi fosse né come avesse fatto a non sentirlo arrivare. Semplicemente se ne rimase distesa come era stata lasciata con gli occhi fissi nel cielo stellato. Il coltello ancora stretto nel pugno che non accennava a lasciarlo, le guance rigate da infinite lacrime silenziose che da tempo stavano aspettando il loro momento quando il loro momento era appena arrivato.


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