Capitolo 1

Mi ricordo benissimo l'attimo in cui aprii gli occhi.

Mi svegliai dentro una specie di tenda.

Ero ancora mezza addormentata, mi girava la testa, ma riconoscevo ciò che stavo fissando: era l'interno di una tenda.

Ero dentro di essa, avvolta in un sacco a pelo grigio e verde.

Ero come un bruco nel suo bozzolo: il mio corpo e le mie braccia erano dentro di esso, solo la mia testa sbucava fuori.

Mi sentivo in trappola.

Appena realizzai la situazione iniziai ad avere paura.

"Dove sono?"

Mi ricordavo alla perfezione il giorno precedente: dopo aver fatto i compiti dalla mia amica Dinah, ero tornata a casa e mi ero fiondata nel mio letto a dormire, in camera mia.

Che cazzo ci facevo all'interno di una tenda? In un sacco a pelo? Chissà dove?

Riuscii a liberarmi e ad uscire da quel sacco spesso e piumoso all' interno.

Tirai su la cerniera della tenda e uscii.

Una luce accecante mi fer8 gli occhi, che naturalmente chiusi all'istante.

Non appena mi ci abituai, li riaprii e iniziai a studiare ciò che mi circondava.

Sembrava una sala.

Davanti a me, a destra, c'era un enorme televisore plasma, un lungo divano di pelle bianca e un tavolino di vetro.

A sinistra un muretto di marmo nero, dove al di là del quale c'era una cucina, e delle porte ampie, che davano ad altre stanze.

Dietro al divano c'erano delle porte-finestre, che partivano dalla cucina e che proseguivano per tutto il perimetro dei due ambienti.

Oltre quelle finestre scorsi del verde; ciò voleva dire che probabilmente c'era un giardino o qualcosa di simile.

Mi girai indietro, dal luogo da cui ero uscita.

Era una tenda verde, con sopra scritto il mio nome: "Camila".

Di fianco a essa ce n'erano altre sei, messe perfettamente i fila e ancora chiuse.

"Cosa cazzo sta succedendo?" pensai "Dove mi trovo?"

Ero nel panico.

Non ero più a casa mia, a Miami, con mia madre, mio padre e la mia sorellina Sofi.

Sembrava la casa delle bambole di un maniaco.

Ero disorientata, stordita, confusa e impaurita.

Guardai cosa avevo addosso, e per fortuna erano gli stessi vestiti che avevo indossato il giorno prima: la mia t-shirt di Stussy e la mia gonna nera.

Incrociai le braccia e iniziai a muovere la gamba destra freneticamente, preoccupata.

Cosa dovevo fare? Che ci facevo in quel posto? Chi mi ci aveva portato?

Dopo un paio di minuti vidi una delle tende muoversi.

Mi si gelò il sangue nelle vene.

"C'è qualcun altro in queste tende? E cosa più importante: chi?"

Era l'ultima tenda, quella più lontano dalla mia.

Dopo quasi cinque minuti si aprì rumorosamente, e uscì una ragazza, a carponi.

Quando si alzò in piedi, notai che era alta, magra, con una silhouette molto sexy.

Indossava la t-shirt di una band che non conoscevo, una felpa lunga che le copriva il sedere, dei jeans neri di pelle attillati e delle Vans dello stesso colore.

Si guardò intorno e, alla fine, si girò verso di me, scostando dal viso una ciocca della sua chioma folta e nera.

La guardai negli occhi.

Il suo sguardo non trasudava neanche un' emozione.

Era neutra, tranquilla, seria.

I suoi occhi erano di un verde meraviglioso, ma freddi come una lastra di ghiaccio.

Mi squadrò da capo a piedi, con la testa leggermente piegata da un lato.

Mi sentivo a disagio.

"Che cos' ha da guardare questa?"

Dopo avermi guardata per bene, tornò con lo sguardo sui miei occhi, rimase a fissarmi per altri tre secondi e si incamminò verso il divano.

Mi passò accanto a un metro di distanza, riuscendo a farmi percepire il suo profumo intenso.

Non disse niente.

Nè un "chi sei?", né un "dove siamo?", né un  "cosa cazzo ci facciamo qui?".

Dopo qualche minuto iniziò a muoversi un' altra tenda.

Era la terzultima e, quando si aprì, uscì fuori un bel ragazzo, con i capelli ricci e leggermente lunghi.

Era spaesato anche lui.

Appena uscì dalla sua gabbia iniziò a guardarsi intorno.

Non appena il suo sguardo si posò su di me, sgranò gli occhi.

<< Un'altra forma di vita! >> esclamò.

Sorrisi. Sembrava divertente.

<< Eh sì! Sai dove ci troviamo? >> chiesi.

Scosse la testa.

<< No. Non so neanche come ci sono finito in quel sacco a pelo, in quella tenda, in questo strano posto... >> rispose.

<< Neanche io >>

Guardò le altre tende.

<< Secondo te ci saranno alte persone là dentro? >> domandò, indicandole.

<< Non lo so, ma molto probabilmente sì >>

<< Io sono Harold >> si presentò, porgendomi la mano e un sorriso smagliante a 32 denti.

<< Camila. >>

<< Quella laggiù chi è? >> mi domandò, sussurrando.

<< Un'altra che è uscita da una di queste tende >> risposi usando il suo stesso tono di voce.

Mi girai verso di lei, e la beccai a guardarmi.

Il suo sguardo era fisso su di me.

Prima mi guardava negli occhi, poi scendeva per tutta la schiena fino ad arrivare al culo e tornava su.

Lo faceva come se fosse normale fissare una sconosciuta, senza vergogna e senza pudore.

Nei successivi dieci minuti si aprirono anche le altre quattro tende, dalle quali uscirono altri due ragazzi e due ragazze. Tutti quanti erano nelle nostre stesse condizioni.

Io mi misi in disparte.

C'era un grande chiacchiericcio e a me dava molta noia. Sono una persona piuttosto taciturna.

Harold si mise a fare conoscenza con tutti, mentre io mi allontanai e mi misi a sedere sul bracciolo del divano.

Anche la ragazza dietro di me rimase fuori dal fare conoscenza con gli altri sventurati.

Le domande che sentivo di più erano "Dove siamo?" e "Chi ci ha portato qui?".

Quelle domande alla fine ebbero una risposta.

<< Salve a tutti voi, e ben svegliati! >> disse una voce che riempì tutta la stanza e fece zittire tutti.

"Da dove veniva?"

<< So che vi state facendo tante domande in questo momento, e io risponderò a tutte. Prima di tutto, io sono Finn, un dottore psicologo e laureato in scienze sociali, anche dette scienze umane, e voi mi sentite grazie a un piccolo autoparlante messo nella sala, presente in ogni stanza. Vi trovate in una normale casa, in un luogo di cui non possiamo rivelarvi il nome, e non potrete uscire per 365 giorni.>>

Dopo l'ultima frase si innalzò un grande borbottio.

<< Abbiamo preso sette persone, tre ragazzi e quattro ragazze. Voi. Vi abbiamo messi a vivere nella stessa casa per un periodo prolungato per un esperimento sociale, che verrà ripreso 24 su 24 da tante piccole telecamere nascoste in tutte le stanze e mandato in televisione >>

Ero davvero sconvolta.

<<C-cosa?>> balbettai.

<< Abbiamo avuto il permesso dal governo per fare questo, e ovviamente anche dai vostri genitori, se no vi avrebbero dati per scomparsi e avrebbero fatto partire la polizia a cercarvi. >> continuò << Vi abbiamo scelto in base al luogo in cui vivete, la vostra situazione sociale e scolastica, il vostro orientamento sessuale, il vostro orientamento religioso e in base al vostro stile di vita. >>

<< E noi cosa dobbiamo fare qui? >> domandò un ragazzo.

<< Voi dovete vivere in questa casa, così come vivreste le vostre vite, come se nulla di questo fosse accaduto. Comportatevi normalmente, poi ci saranno anche occasioni di divertirsi, ma intanto vivete e organizzatevi insieme. I vostri vestiti sono in delle valigie nella camera delle assegnazioni, dove scoprirete con chi starete in camera. Tutte le altre informazioni le troverete spostandovi in giro per la casa, scritto in pezzi di carta, in cucina e in tutte le altre stanze >>

Ci fu un attimo di silenzio, e alla fine se ne andò.

<< Buona fortuna a tutti.>>

Fu l'ultima cosa che gli sentimmo dire.

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