Capitolo 18 (da revisionare)
Serafine si chiese quanto tempo fosse passato.
Alla fine, dopo qualche minuto, lei e i suoi amici erano riusciti a slegare i loro polsi, tagliando le corde con un pezzo di ferro appuntito che spuntava da una delle sbarre della cella.
Il carceriere era ancora addormentato sulla sedia e, per di più, russava.
Il tempo sembrava non passasse mai. Sicuramente era arrivata la sera e il freddo si era intensificato con il passare delle ore.
I quattro ragazzi avevano ceduto alla stanchezza, addormentandosi di botto, nonostante il freddo gelido giungesse fin nelle ossa.
Serafine fu la prima a cadere in un sonno profondo e i suoi sogni furono popolati dalla ormai familiare voce di donna che la chiamava, contorti corridoi bui e da accecanti fiammate blu elettrico.
Fu quando nel sogno sentì un ruggito acuto e dolorante di un animale che si svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi azzurri pieni di confusione.
Sospirò, cercando di calmarsi, mentre il petto le si abbassava e alzava velocemente.
Si passò entrambe le mani sul viso, cercando di tenersi sveglia.
Con quel movimento qualcosa le scivolò di dosso: una coperta.
Era piuttosto grezza, sembrava dello stesso materiale usato per fare i sacchi di farina.
Era già all'interno della cella, quando erano arrivati, in un angolo buio, completamente impolverata, e non l'avevano notata.
Sera sfiorò la coperta con una mano. Ecco perché non aveva avuto freddo.
Ma chi...
Nell'angolo opposto, Bahryus, ancora dormiente, si mosse appena, e tremò dal freddo.
La ragazza lo guardò per un po' e sorrise.
Era così carino quando dormiva.
I capelli rossi erano scompigliati, dandogli un'aria stranamente ribelle, completamente diverso da come in realtà era, le ali erano ripiegate dietro la schiena e le ginocchia portate all'altezza del petto lo facevano sembrare un bambino.
Serafine continuò ad osservarlo, come si osserverebbe un meraviglioso quadro in un museo.
Pensandoci, Serafine si rese conto di non averlo mai guardato bene.
Nonostante avessero passato tutta la loro infanzia insieme.
Non si era resa conto, per esempio, che anche quando dormiva era solito muovere appena le labbra, come se volesse sorridere. E che, quando sorrideva, gli si formavano delle piccole fossette ai lati della bocca, rendendolo adorabile.
Bahryus era il suo migliore amico fin da quando era nata.
Insieme avevano passato parte della loro vita, giocando e scherzando, insieme a Shaida e Kaspar.
Non sapeva perché, ma tutte le volte che parlava con lui o anche semplicemente gli era vicina, sentiva una strana sensazione di felicità.
Una sensazione che le illuminava gli occhi, la rendeva attiva, una sensazione che partiva dall'interno, come se volesse esplodere.
Una sensazione che partiva dal cuore.
Bahryus era il suo migliore amico...
Però...
Un luccichio attirò la sua attenzione. Una brillante lucina azzurra, si posizionò all'entrata della cella, trascinando a fatica un oggetto lungo e lucente.
«Luce!» esclamò Serafine scostandosi di dosso la coperta e girandosi verso le sbarre di ferro, avvicinandosi e inginocchiandosi per arrivare meglio alla Ninfa.
Sporse la mano per afferrare la corda che Luce sorreggeva a fatica, per evitare che si stancasse troppo.
Il medaglione di sua madre sembrava brillare di luce propria, con le ombre che evidenziavano le ali piumate in rilievo.
La ragazza sospirò confortata, mettendoselo al collo.
Luce, una volta liberata dal peso che aveva dovuto portare per ben cinquanta scale, passò le sbarre, attraverso cui passava con facilità, e si gettò addosso a Serafine, ansimando.
«Sono felice che tu sia qui!» disse prendendo la Ninfa in mano, parlando piano per non farsi sentire dal carceriere.
Nel frattempo, Bahryus, Shaida e Kaspar si svegliarono, aprendo gli occhi e notando immediatamente la luce emessa dalla creaturina.
Gli ultimi due si erano addormentati l'uno vicino all'altra e, nel sonno, Shaida aveva appoggiato la testa sulla spalla di Kaspar.
Quando i due si svegliarono e si resero conto della loro posizione, si allontanarono immediatamente, leggermente imbarazzati.
«Luce? Come...?» farfugliò Bahryus ancora insonnolito, avvicinandosi a Serafine e alla Ninfa, seguito dalla sorella e dall'amico.
Luce, ripresasi dalla fatica, si risollevò in volo e sorrise contenta alla vista degli altri ragazzi.
«Che bello? Siete tutti vivi! Sono così felice che non mi avete lasciata sola!»
Anche gli Alati erano felici che la Ninfa stava bene e, soprattutto, che l'Ophix era nuovamente nelle loro mani.
«Devi farci uscire di qui» disse Serafine alla Ninfa, che assunse una espressione confusa.
«Devi prendere le chiavi» spiegò la ragazza sporgendo un braccio fuori dalla cella e indicando il carceriere che dormiva, a qualche meteo da loro.
«Sono appese alla cintura.»
La Ninfa annuì convinta, anche se convinta non lo era per niente.
Uscì nuovamente passando attraverso le sbarre, e si diresse volando verso l'uomo appisolato.
L'Alato era seduto scompostamente sulla sedia, le gambe tese e il braccio penzoloni, con la bottiglia di vino che toccava il pavimento, completamente vuota.
Preso un respiro profondo, Luce si avvicinò al mazzo di chiavi e cercò, il più piano possibile, di staccare il gancio che lo teneva legato alla cintura dell'Alato.
Dopo vari tentativi, riuscì a separare l'anello che teneva il mazzo dalla cintura dell'uomo, le chiavi caddero a terra con un clangore piuttosto forte.
A Luce finì il cuore in gola.
L'Alato aprì a malapena gli occhi, per poi richiuderli nuovamente e muoversi appena.
La Ninfa tirò un sospiro di sollievo.
Afferrò l'anello che reggeva le chiavi e lo sollevò a fatica.
"Oggi si fa sollevamento pesi..." pensò mentre, sbuffando, si dirigeva nuovamente verso la cella dove i giovani Alati l'attendevano.
Mentre volava, le chiavi sbattevano tra di loro, provocando un rumoroso suono metallico, che Luce temeva avrebbe potuto svegliare l'uomo che faceva da guardia ai prigionieri.
Dopo minuti che sembrarono ore, Luce riuscì a raggiungere il posto dove i ragazzi erano rinchiusi.
Kaspar prese le chiavi dalla Ninfa e, silenziosamente, cercò la chiave esatta per aprire la cella, mentre gli altri tre ringraziavano Luce che, orgogliosa, si gustava il suo momento di gloria.
Dopo poco, Kaspar trovò la chiave che fece scattare la serratura.
Quella si aprì con un rumore assordante di metallo arrugginito, e la porta a sbarre cigolò in modo fastidioso.
Per un attimo, i ragazzi temettero veramente che il carceriere si svegliasse. Ma questo non avvenne.
«Forse è morto...» bisbigliò Kaspar, mentre osservavano l'Alato russare.
Con la chiave urtò le sbarre di ferro della cella, e il rumore rimbombò per qualche secondo.
Niente. Era completamente andato.
«Meglio per noi.»
Senza perdere tempo, i ragazzi si avvicinarono alla cella di fronte a loro, quella dove Edulis Boletus e gli altri gnomi erano imprigionati.
L'anziano essere era seduto a terra, con la testa penzoloni, cercando di dormire, e quando sentì dei passi avvicinarsi, tirò su il capo e si illuminò non appena vide i ragazzi.
«Non importa. Andate!» disse quando i giovani cominciarono a cercare la chiave per aprire la cella, «Pensate prima al vostro villaggio e alla Regina. Noi tanto vi aspettiamo qui!»
Il vecchio sorrise agli Alati che ricambiarono e senza perdere tempo, Serafine si diresse verso la porta che conduceva all'altra parte delle prigioni, la aprì e si precipitò dentro, seguita dai suoi amici.
Prima delle celle, ci si trovava dentro una piccola stanza, ancora meno illuminata della precedente, che fungeva da piccola armeria.
Alla sinistra, appese ad uno scaffale, c'erano una serie di pesanti armi contundenti e da taglio piuttosto nuove e le lame emanavano flebili bagliori.
Il gruppo passò oltre, ritrovandosi finalmente nella seconda parte delle prigioni.
Nel mentre i ragazzi mettevano piede all'interno della stanza, la porta principale della prigione di aprì. Un soldato-scheletro mise piede nella stanza e la prima cosa che notò fu il carceriere che "sbrigava il suo lavoro" comodamente stravaccato sulla sedia, nel bel mezzo di una dormita, accompagnato da una lunga bottiglia di vino vuota.
Stava per sgridarlo quando con la coda dell'occhio notò una cella aperta. La stessa cella in cui erano stati rinchiusi i ragazzini che il Tiranno aveva ordinato di portare nella Sala del Trono.
«Ma come...?» gridò.
L'urlo fece balzare dalla sedia il carceriere, che tra il sorpreso e lo spaventato, fissò il soldato che nel frattempo lo aveva afferrato per il colletto e aveva indicato la cella.
«Li hai lasciati andare?»
«I-io? Certo che no! Ho t-tenuto la chiave qui tutto il...»
L'Alato portò una mano alla cintura e rimase pietrificato nello scoprire che non c'era nessun mazzo di chiavi.
«Non è possibile...» cercò di giustificarsi, mentre la guardia lo lasciava andare.
Il grido del soldato aveva attirato anche l'attenzione di Luce, che si nascose in un angolo in alto della stanza, e dei ragazzi, che immediatamente si guardarono a vicenda cercando di trovare un'idea per scappare.
La prima cosa che venne in mente a Serafine fu quella di chiudere la porta che li separava dalla stanza in cui la guardia e il carceriere stavano discutendo.
Il rumore dei cardini e la porta che si chiudeva con un botto fece girare la testa alla guardia, che subito estrasse la spada che aveva alla cintola e si avvicinò di corsa verso di loro, mentre il carceriere correva via per avvertire il comandante che i Guardiani stavano scappando.
Il mostro cercò di aprire la porta con calci e spallate, ma senza successo: i ragazzi avevano bloccato l'entrata con una spada presa dall'armeria.
I quattro si guardarono preoccupati. La porta era in ferro, ma era piuttosto arrugginita, e non avrebbe retto a lungo.
«Che facciamo?» domandò Shaida mentre il soldato dava un'ennesima spallata.
Nessuno aveva idea di cosa fare.
Bahryus cominciò a guardarsi intorno e l'occhio gli cadde immediatamente all'armeria.
«Spostati» intimò a Kaspar afferrando la prima cosa che gli capitò di prendere.
In pochi secondi, il biondo tolse la spada che teneva bloccata la porta e si spostò di lato, insieme a Shaida e Serafine. Il soldato riuscì immediatamente a spalancare la porta, ma non ebbe la possibilità di rendersi conto di nulla, che un mazzafrusto gli finì in testa.
La guardia cadde a terra e prima di toccare il suolo si era tramutata in un mucchietto di polvere.
Serafine lo aveva già visto fare ad uno dei soldati-scheletro che il figlio del Tiranno aveva pugnalato, tempo prima. Gli altri tre, invece, rimasero impietriti da quella scena.
Ci fu silenzio per un po'. Bahryus , con ancora l'arma in mano, guardava il punto in cui l'essere si era dissolto, incapace di credere a quello che aveva appena fatto.
Anche gli altri tre lo guardavano esterrefatti.
«...bel colpo» riuscì solo a dire Kaspar, mentre le altre due erano rimaste con la bocca aperta per lo stupore.
«Mi dispiace...» si scusò il ragazzo rivolgendosi al mucchietto di polvere a terra.
Luce aveva osservato tutta la scena ed era traumatizzata dalla "morte" dell'Alato-scheletro, ma anche sorpresa per ciò che aveva appena fatto Bahryus.
Lo stesso Bahryus che, al palazzo degli Elfi, si lamentava del fatto che le spade erano troppo pesanti da tenere sollevate e che riusciva, chissà come, a inciampare nei suoi stessi piedi anche quando era fermo.
Davvero, quel Bahryus, aveva avuto il coraggio di colpire un soldato ben addestrato con quella forza? Non ci credeva.
E non ci credeva nemmeno lui stesso, che non era neanche capace di uccidere un ragno. Sicuramente non avrebbe mai fatto una cosa del genere, ma in quel momento aveva sentito una scarica di adrenalina scorrergli nelle vene che gli aveva dato quel briciolo di coraggio che gli mancava.
«Meno male che dormiva...» disse Shaida riscuotendosi dallo stupore e guardando oltre la porta di ferro, verso il punto in cui, poco prima, il carceriere russava pesantemente.
«A questo punto non ci vorrà molto prima che arrivino altre guardie. Dobbiamo muoverci.»
Il gruppo entrò all'interno del corridoio in cui erano situate una trentina di celle. Il corridoio poi si divideva verso destra e verso sinistra, e anche lì c'erano altre gabbie, da un lato e dall' altro degli androni. In tutto saranno state un centinaio di celle, tutte piene di prigionieri, Alati, gnomi, fate, elfi, folletti, ...
Non ce l'avrebbero mai fatta a liberare tutti.
"In ogni caso, dobbiamo provarci" pensò Serafine. Doveva trovare zia Ortensia, doveva assicurarsi che stesse bene.
I ragazzi proseguirono velocemente per le celle, guardando da destra a sinistra, mentre i prigionieri li scrutavano, non sapendo se chi avevano davanti fosse amico o nemico.
«Sera!»
Serafine si fermò di colpo. Quella voce le era molto familiare. Così dolcemente familiare...
Si voltò verso una delle celle.
«Zia!»
***
Nel frattempo, Dalila e Kai camminavano per i lunghi corridoi del castello.
Kai li conosceva molto bene: aveva passato parte della sua infanzia tra quelle mura, osservando le armature poste vicino le pareti e immaginando combattimenti eroici tra di esse.
Giocava da solo. Non c'era nessuno con cui passare del tempo, con cui divertirsi, con cui parlare. Era sempre stato solo.
La Regina Wharia era solita passare del tempo con lui, qualche volta, ma gli impegni reali la assillavano a tal punto da doverlo lasciare nel bel mezzo del divertimento.
Il piccolo Kai sapeva che non era colpa della Regina, della donna che lo aveva accolto a braccia aperte e che gli aveva permesso una casa, ma avrebbe desiderato un po' più di attenzione.
I cortigiani non avevano tempo per lui, che non era e mai sarebbe stato l'erede al trono, e molti di essi lo evitavano.
Inizialmente non capiva il perché, ma una volta cresciuto comprese, e molto bene: lui non era che il figlio dell'uomo che aveva minacciato la distruzione del Regno, che aveva causato carestie e aveva procurato morti di innocenti. Lui era il figlio del Tiranno e avrebbe dovuto seguire le orme del padre.
Era questo che tutti pensavano di lui.
E se solo lo avessero trattato come un bambino normale, magari la storia sarebbe andata diversamente...
Poi c'erano i Guardiani. Quando divenne abbastanza grande per comprendere a pieno la storia del Regno, a Kai venne raccontato il giorno in cui i cinque Alati sconfissero il Tiranno.
Finse di accettare la fine di Dhort.
Ma in realtà li odiava. Odiava quegli Alati che avevano ucciso suo padre, pensava che se non fosse stato per loro lui non sarebbe stato solo.
Forse sarebbe stato meglio che il Tiranno avesse distrutto Aahor...
Apprendere la magia non è poi così complicato, se si posseggono le qualità per farlo.
La tua mente deve essere libera da qualsiasi pensiero, tranne per quello che vuoi ottenere.
Non ci si può, certo, teletrasportare da un luogo all'altro oppure curare le proprie ferite o porre fine alla morte. Quelle sono cose per esseri superiori, come alcuni draghi o gli unicorni e i pegasi.
Si possono fare cose più semplici, però: se si vuole soffocare un topo, per esempio, ci si deve concentrare sulla vittima, mantenere il contatto visivo e cominciare a pensare all'aria che si respira. Immaginare i polmoni che si contraggono, la gola che si chiude e l'aria non passa più.
Il topo comincia ad agonizzare. Ci si concentra ancora di più e il topo perde le speranze, mentre ancora cerca di liberarsi da quella forza esterna. Il topo cade a terra... e non si muove.
Tutto in un minuto.
Ci volle un minuto solo per Kai ad apprendere come utilizzare la magia e anni per migliorarla sempre di più.
Doveva essere pronto per quando il grande giorno sarebbe arrivato. Aveva consultato decine e decine di libri, interrogato anziani riguardo l'antica profezia e aveva capito.
Era lui ad essere destinato a risvegliare il Tiranno.
E il Solstizio d'Estate sarebbe stato il momento adatto.
Quella volta, Kai avrebbe fatto la scelta giusta: stare dalla parte del potere.
«Tuo padre mette i brividi. »
Dalila interruppe i pensieri dell'Alato al suo fianco, mentre entrambi si fermavano davanti ad una finestra nel bel mezzo di un corridoio.
La sera era ormai calata e una pallida luna piena aleggiava per il cielo, coperto di stelle luminose.
«Presto ci farai l'abitudine. E anche lui dovrà abituarsi a te... anche perché non te ne andrai presto, da qui» disse Kai sorridendo alla ragazza che lo guardava con occhi adoranti.
«E come fai ad esserne così sicuro?» domandò la ragazza con un sorriso.
«Beh, quando mio padre sarà a tutti gli effetti Re, io diventerò il suo erede al trono... e avrò bisogno di una regina.»
Kai sorrise dolcemente allo sguardo che la ragazza assunse.
Sì. Dalila era l'unica che lo amava veramente.
Non che suo padre non gli volesse bene. In realtà, da quando lo aveva liberato dalla sua prigionia, il Tiranno non lo aveva neanche ringraziato.
Il giovane pensava che, una volta riuniti, lui e suo padre avrebbero potuto instaurare un qualche tipo di rapporto, però...
Dalila, invece, non nascondeva i suoi sentimenti. E sapeva che era la ragazza perfetta per lui.
«Dici davvero?» sussurrò lei, la voce emozionata e gli occhi che brillavano.
Ma Kai non ebbe il tempo di risponderle, perché in quel momento, una guardia gli corse incontro in fretta e furia, seguito da un Alato dalle ali e il pizzetto nero, paonazzo in volto e dall'aria barcollante.
«Signore...»
L'uomo si bloccò, incapace di continuare. Sembrava ubriaco.
«Sono scappati, signore» terminò la guardia.
Lui e il carceriere tremarono dalla paura all'espressione che il comandante assunse.
I ragazzini erano scappati. E probabilmente con loro anche tutti gli altri prigionieri, Regina compresa. Non potevano permettere di lasciarli andare via.
«Devono essere ancora qui. Mandate tutti i soldati e gli orchi che avete a perquisire ogni singolo angolo del castello. E questa volta non potete sbagliare: uccidete chiunque incontrare Sulla vostra strada. Per quanto riguarda i due Guardiani...portateli da mio padre.»
«Sì, signore.»
***************
Per la scena iniziale ho smielato e sclerato allo stesso tempo.
Io, che sono l'autrice.
Nella seconda parte ho voluto dare più spazio a Kai, perché...cavolo, è dal terzo capitolo che aspettava il suo momento! Merita un po' più di voce in capitolo il ragazzo! (...capitolo...capitolo...ho detto troppe volte capitolo)
By the way... quale personaggio odiate di più?
(Ipotizzo che non sarà Dhort...perché non è mai il cattivo principale ad essere il più odiato)
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