Capitolo 15

Il comandante Ghiarf e il suo gruppo di orchi erano diretti al castello di Dhort, di ritorno dalle Terre del Nord.
Erano scampati per un pelo ad un attacco da parte degli Elfi. Quei maledetti. Quando il Tiranno avrebbe finalmente conquistato il potere gliela avrebbe fatta pagare, a quegli esseri dalle orecchie a punta. Li avrebbe massacrati uno ad uno. Per ultimo avrebbe ucciso il Re, quel ragazzino. Avrebbe assistito all'estinzione del suo regno per poi morire. Si, proprio così avrebbe fatto...
Appena arrivati nelle campagne che circondavano la città di Aahor, Ghiarf fiutò qualcosa.
Il capo degli orchi scese dal suo enorme lupo, atterrando sul terreno innevato. Si inginocchiò, sfiorando la neve immacolata.
Chiuse gli occhi, si concentrò e inspirò ancora. Sentiva un odore strano. Un odore forte, potente, sarebbe stato capace di riconoscerlo dovunque. Spalancò gli occhi.
«Sì...» disse con un ghigno che fece scoprire le sue zanne e tendere le sue numerose cicatrici sul volto.
Si alzò in piedi, rimontò sul suo lupo e intimò al suo gruppo di orchi:
«Torniamo indietro! Dhort sarà felice quando arriverrmo con i Guardiani!» e, spronando il grosso lupo a girarsi, continuò a fiutare l'aria per seguire la traccia.
Una traccia lasciata dall'odore inconfondibile di magia.

***

«L'esercito della Regina era composto dai guerrieri migliori del Regno. Non c'erano soltanto Alati, anche elfi, streghe, maghi... Tutti quelli capaci di difendere Aahor si erano messi al servizio di Sua Maestà. Io e i vostri genitori non eravamo neanche lontanamente all'altezza dei guerrieri che erano considerati i più forti del Regno.
Dhort era diventato il prediletto della Regina, tanto da essere nominato capo delle guardie reali. Il suo era un desiderio morboso del potere. Non voleva solo essere coperto di onore, voleva comandare sul Regno. Ovviamente, la Regina non lo avrebbe mai permesso. Tutti, persino lei, conoscevano abbastanza bene Dhort per immaginare cosa sarebbe successo se lui fosse salito al trono. Ma più il tempo passava, più lui ne diventava ossessionato.
Era disposto a tutto... persino a vendere la sua stessa anima, pur di ottenere ciò che voleva.
E così fece. Utilizzò la Magia, per avere la chiave che lo avrebbe portato a diventare non solo Sovrano di Aahor, ma del mondo intero. Credetemi, ragazzi, con la magia non c'è da scherzare.
Dal fuoco di un drago vulcanico fece forgiare un amuleto.
Con quello, ottenne ciò che desiderava: una magia così forte da permettergli di diventare potente. Molto potente.
Con quell'amuleto divenne praticamente invincibile. Spodestò la Regina, sottomise tutta la città e tutti i villaggi di Aahor. Tutte le creature dovettero sottostare al suo volere.
Voi siete fortunati, non eravate ancora nati. Non potete immaginare cosa voglia dire non vedere più la luce del sole, non vedere più un singolo filo d'erba o un fiore. La gente era in miseria, si moriva perché non si possedeva nemmeno un briciolo di pane.
E Dhort voleva andare oltre. Sarebbe stato capace di ottenere addirittura l'immortalità. Ma non accadde, fortunatamente.
Tutto l'esercito era ancora sotto il suo potere. Pensate, alcuni lo sostenevano davvero. Era stato promesso loro una parte del potere, e quegli stolti ci credevano.
I vostri genitori e io decidemmo di intervenire. Cercammo di dimostrargli la nostra fedeltà. Volevamo che si convincesse che di noi poteva fidarsi. E quando ci riuscimmo, gli tendemmo un agguato.
Lo catturammo, rubandogli l'amuleto, gli tagliammo le ali e ci assicurammo che non sarebbe più potuto tornare.
Fu la Regina Wharia in persona a seppellirlo in una tomba protetta dalla magia e a rinchiuderlo in una stanza anch'essa magica.
Soltanto noi e la Regina eravamo a conoscenza del luogo da cui Dhort non sarebbe più uscito.
E la Regina ci ringraziò, insieme a tutto il Regno. Ci proclamò Guardiani e Protettori di Aahor.
Ma per noi non significava granchè. L'importante era che il nostro mondo era salvo.
Poi, in gran segreto, Sua Altezza ci convocò al suo cospetto. A ciascuno di noi consegnò un medaglione. Questi medaglioni vennero chiamati Ophix. Ogni Ophix possedeva una parte del potere contenuto nell'amuleto di Dhort.
Certo, l'amuleto aveva ancora della magia al suo interno, ma in maniera molto ridotta.
La Regina ci diede il compito di custodirli fino alla fine della nostra vita e anche di mantenere il segreto.
Dopo di che, lasciammo Aahor e ritornammo alle nostre città natali.
Io e i tuoi genitori eravamo cresciuti insieme a Yaahr, Serafine. I tuoi genitori si erano sempre piaciuti, e non ci volle molto prima che si sposassero. Erano molto innamorati, questo si notava.
Io, invece, mi sposai con la ragazza più bella del villaggio. E tu, Kaspar, tu assomigli tanto alla mia Leila...» sospirò ricordandosi della moglie.
«Per qualche tempo vivemmo tranquilli.»
«Naturalmente, non ci volle molto perché quelli che sostenevano Dhort venissero a sapere che noi avevamo ciò che mancava al Tiranno per ritornare in vita.
Io fui il primo ad andarmene e mi dispiace ancora, per questo.
Kimber e Gyon, invece, vollero vivere ancora al villaggio.
Ma, quando la situazione cominciò a farsi più pericolosa, i tuoi genitori preferirono lasciarti da tua zia, Serafine. Stare con loro sarebbe stato rischioso, e tu eri troppo piccola per capire.
Anche i tuoi genitori, Dalila, cercarono di tenervi al sicuro, te e tuo fratello.
Sfortunatamente, per loro non c'è stato niente da fare...»

Royt si fermò un attimo, per asciugarsi una piccola lacrima che aveva incominciato a scendere sul suo volto.
E rivoltosi a Serafine disse:
«Sai, tuo padre... mi aveva dato questo...» si alzò dalla sedia sulla quale era stato seduto fino a quel momento.
Si avvicinò ad un vecchio mobile, scheggiato per via degli anni, e da un cassetto estrasse un piccolo scrigno di metallo, tutto decorato.
Tornò al tavolo, attorno al quale erano seduti i ragazzi, e lo aprì. Dal suo interno, estrasse un medaglione.
Come quello di Serafine e Dalila, anch'esso era di oro, rotondo, come unica differenza aveva l'incisione di una specie di stella, solo con tre punte.
Royt porse il medaglione alla ragazza.
«Tuo padre lo affidò a me prima di... beh...», esitò.
«Grazie, signore.»
Serafine si limitò a ringraziare l'Alato, osservando ammaliata l'Ophix di suo padre.
Subito dopo, Royt si portò le mani al collo e si tolse una collana con un secondo medaglione.
«E questo...» disse mostrandolo ai ragazzi, «È il mio.»
Il simbolo della fiamma inciso sopra riluceva sotto la flebile luce della lanterna.
«Questo, voglio che lo tenga tu» disse il Guardiano tendendo la mano verso Kaspar, seduto accanto a lui.
Il ragazzo lo prese titubante.
Sapeva il rischio che, non solo lui, ma anche i suoi amici avrebbero corso ad avere più Ophix con loro.
Già era stato rischioso arrivare fin lì con un solo medaglione, adesso che ne avevano quattro la situazione non avrebbe fatto altro che complicarsi.
Comunque, prese la collana che il padre gli porgeva.
«Cosa fanno? Che tipo di magia c'è dentro?» disse.
«Non lo so. Nessuno di noi lo sapeva. La Regina ha preferito non dircelo, per evitare che potessimo usare i medaglioni per i nostri scopi...»
«Ma sa almeno come distruggerli? Come distruggere l'amuleto?» intervenne Serafine.
«L'amuleto è protetto dalla magia, così come gli Ophix. L'amuleto non può essere distrutto, se non gettandolo nel fuoco dello stesso drago che ne ha permesso la forgiatura
«Quindi, in pratica, è impossibile.»
«Non è detto...» disse Royt, «Ogni cosa, in questo mondo, ha un inizio e una fine...»

Shaida sbadigliò.
Soltanto in quel momento Serafine si rese conto di quanto era stanca.
Avevano volato per tutto il giorno ed erano scampati alle sirene, un po' di tregua se la meritavano.
La neve aveva smesso di cadere, ma la nebbia persisteva ancora.
Royt invitò i ragazzi a riposarsi per qualche ora.
Sera cercò Luce con lo sguardo.
La trovò sulla stessa pianta su cui si era poggiata, che dormiva come un ghiro. Forse russava, anche. (ma nessuno la sentì. Sorry, BertyStefano, avevo promesso di non dirlo più🤣)

Alla fine, cercarono di sistemarsi come meglio potevano, chi sul divano, chi per terra con delle coperte.
Kaspar e Royt rimasero svegli ancora per un po', parlando del più e del meno, per recuperare il tempo che non avevano trascorso insieme.

***

Il corridoio buio, le pareti nere, la voce che continuava a chiamarla insistentemente.
Quella donna, che prima le sussurrava di andare da lei, ora parlava più forte, sembrava più vicina.
Serafine accelerò il passo.
Girò un angolo.
Un'altra voce, questa volta maschile, si sovrappose alla voce della donna.
"Serafine! Torna indietro!"
Le era familiare...
Ma in quel momento non ricordava a chi appartenesse...
Non...

Un forte bussare e una voce cavernosa fecero svegliare Sera di soprassalto.
«APRITE LA PORTA! NEL NOME DEL RE!»
Spalancò gli occhi spaventata e ancora confusa.
Quanto tempo era passato?
Cosa stava succedendo?
Anche i suoi amici si erano svegliati e ora si guardavano sbigottiti, senza sapere che fare.
«Che succede?» domandò Dalila spostando lo sguardo da un ragazzo all'altro, spaventata.
Bahryus si alzò dal pavimento dove aveva sistemato delle coperte e si diresse verso l'unica finestra della stanza.
Guardò attraverso il vetro, cercando di esporsi il meno possibile.
«Sono orchi...» disse e si girò verso Royt, che nel frattempo era entrato nella stanza.
Non appena sentì pronunciare il nome delle creature, l'Alato assunse un'aria preoccupata.
«Dovete andarvene» disse dirigendosi verso una piccola porta che inizialmente nessuno aveva notato.
Un altro colpo alla porta fece quasi tremare le pareti. Era un miracolo che i cardini reggessero ancora.
Luce, che aveva continuato a dormire beatamente sulla pianta, ruzzolò giù dalla foglia e cominciò a girare spaventata intorno al tavolo.
Poi si andò a nascondere nella borsa di Serafine.
"Preferisco essere schiacciata" pensò.

Royt aprì la porticina, rivelando una scala a chiocciola che scendeva verso il basso.
Non si riusciva a vederne la fine.
«Forza, entrate. Vi troverete alla cascata che si affaccia su Aahor...»
«E tu?» chiese Kaspar. Non voleva lasciare il padre, proprio ora che lo aveva conosciuto.
«Io non vengo, vi rallenterei solamente. Voi andate!»
Detto questo, spinse i ragazzi all'interno della porta e loro cominciarono a scendere la scalinata, facendo attenzione a non cadere.
Prima che Serafine entrasse attraverso il passaggio, Royt la prese per un braccio.
«Tenete nascosti gli Ophix. Non devono vederli!»
Dopo di ché, la lasciò andare e chiuse la porta.
Mentre scendeva le scale, Sera nascose uno dei medaglioni nella borsa.
Non fece in tempo a togliersi di dosso l'altro, che andò a sbattere contro Shaida, che immediatamente le intimò di rimanere in silenzio.
Il passaggio segreto passava attraverso le pareti.
In quel momento si trovavano esattamente in direzione dell'ingresso del piano inferiore.
Si sentì un colpo fortissimo, poi il rumore di un oggetto pesante che cadeva a terra.
Attraverso un piccolo foro nella parete, Serafine riuscì a sbirciare fuori, per vedere cosa stava succedendo.
Gli orchi avevano sfondato la porta, che era caduta a terra.
Un grandissimo orco varcò la soglia della porta.
Era enorme, dovette piegarsi per riuscire ad entrare, rimanendo piegato per evitare di sbattere al soffitto.
Aveva la pelle verde, le orecchie a punta e i denti così grandi e affilati che i quattro canini gli fuoriuscivano dalla bocca. Il suo volto era coperto da cicatrici, rendendolo ancora più brutto e spaventoso.
L'orco Ghiarf annusò l'aria, alla ricerca di qualcosa.
«Sono qui...» disse con voce cavernosa.
Ai ragazzi saltò il cuore in gola.
Dalila si lasciò scappare un gemito di terrore e Bahryus le tappò la bocca prima che urlasse.
Ma all'orco era bastato quel piccolo suono per attirare la sua attenzione.

Si girò verso la parete che li divideva dai ragazzi e attese qualche altro rumore.
Il gruppo rimase immobile, cercando di respirare il più silenziosamente possibile.
Improvvisamente, l'orco drizzò le orecchie e si accigliò.
Con una velocità sovraumana, afferrò l'ascia che aveva legata dietro la schiena e la conficcò nella parete, mancando di poco il volto di Serafine.
Gli Alati si allontanarono immediatamente dalla parete, pregando che l'orco si fermasse.
Prima che il mostro potesse sferrare un altro colpo, un rumore proveniente dal piano di sopra fece voltare la testa a tutti gli orchi.
Alcuni si avvicinarono alla scala che portava al piano superiore, per vedere cosa avesse provocato quel rumore.
Pochi secondi dopo, un orco cominciò a gridare di dolore, per via di una cosa che gli si era appiccicata in faccia.
Era... una pianta? La "pianta velenosa" che Royt aveva proibito di toccare, ora infieriva contro una delle creature.
Guardando meglio, non sembrava più tanto una pianta: le lunghe foglie si erano unite, andando a formare delle braccia e delle gambe.
Era più piccola della faccia dell'orco, ma doveva essere molto dolorosa a giudicare dalle grida del mostro.
Tutti si agitarono, cercando di capire cosa fosse quell'essere.
Nel mentre, una freccia colpì un altro orco in mezzo alla fronte, uccidendolo.
A quanto pare Royt riusciva a vederci abbastanza per riuscire a colpire.
Dopo di quella, altre frecce cominciarono a saettare, una dopo l'altra, colpendo gli orchi.
Ghiarf era furioso.
«Branco di idioti! Smettetela di stare qui fermi! Salite e trovate quei Guardiani!»
Un paio di orchi, dei più grossi, cominciarono a salire le scale, senza badare alle frecce che si andavano conficcando nella carne.
Approfittando di quel momento di confusione i ragazzi si precipitarono giù per la scalinata a chiocciola, arrivando in una specie di sotterraneo.

Sembrava una grande tana scavata da una talpa gigante.
Alcune radici di piccoli tuberi penzolavano dalle pareti e dal soffitto, fatto di terra appiattita.
C'erano solamente una o due torce conficcate nel pavimento, anch'esso di terra, a permettere di camminare senza inciampare nelle pietre e nelle radici.
Dalila ne raccolse una e, insieme al gruppo, cominciò a seguire il corridoio fatto di terra battuta.
Royt aveva detto che il passaggio li avrebbe condotti direttamente all'esterno, vicino Aahor.
Lì, al centro della città, su una grande collina, si trovava il castello della Regina.

Camminarono per qualche chilometro, mentre le pareti cominciavano ad allargarsi fino a che lo spazio non divenne della grandezza di una grotta.
Finalmente, si trovarono davanti una luce forte: la luce del sole.
Si fiondarono fuori, venendo investiti immediatamente dai caldi raggi.
In effetti, il luogo da cui erano appena usciti era una specie di grotta, scavata sul fianco di una collinetta. Dietro di loro, in lontananza, intravidero le piccole casette del villaggio di Phoenix.
La nevicata era finita, la poca neve rimasta era ancora presente sull'erba, ma presto si sarebbe sciolta del tutto.
In lontananza, si poteva udire il suono di una cascata.
I ragazzi guardarono dritti davanti a loro.
Anche Luce emerse dalla borsa di cuoio.
Serafine le aveva gettato il medaglione in testa, che ora le girava in maniera inspiegabile.
Non appena vide quello che lei e i giovani Alati avevano davanti, però, si dimenticò di tutto.
Sotto di loro si estendeva una grandissima e bellissima città.
Al contrario dei piccoli villaggi, con giusto qualche casetta ad animare l'ambiente, quel paesaggio era coperto di case. Tantissime case, piccole e grandi, una vicino all'altra, che andavano a creare piccole stradine e vicoli.
Ma la cosa più meravigliosa era il castello.
Era gigantesco, alte torri andavano a rendere il palazzo ancora più maestoso di quello che in realtà era.
Doveva essere stato ancora più bello, ma adesso era scuro, le pareti sembravano opache e nere come il carbone.
In più, guardando verso l'alto, si potevano vedere delle grandi e scure nuvole rosse...
Erano finalmente arrivati ad Aahor.

***********************
FIUUUUUUUU!!!!! Ce l'abbiamo fatta!
Due anni per arrivare a questo punto. DUE!
Il capitolo è più corto degli altri ma le opzioni sono due: o scrivo capitolo corti ma pubblico prima, oppure scrivo capitoli più lunghi ma pubblico ogni...bho, due-tre settimane?
Voi cosa preferite?

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