Capitolo 41 - Noah
Volare nei cieli bui di Knephas mi diede la sensazione di respirare di nuovo. La distesa di talios che tappezzava gran parte del suolo vibrava al mio passaggio, animata dalla mia nuova dirompente energia. Il potere di Artemis mi scorreva nelle vene insieme a quella consapevolezza di non avere più limiti invalicabili. Avrei voluto piombare a palazzo e fare una strage. Prendere Fabian e pugnalarlo allo stesso modo in cui aveva fatto con Artemis, ma la ragione mi spingeva a ricordare che se si fosse rifiutato di ucciderlo, lui stesso avrebbe fatto quella fine. O uno dei suoi Legati.
Ora avevo qualcosa da perdere. Le parole di Kikilia mi rimbombavano in testa come l'eco di un incubo. La paura di perdere Artemis mi strisciava ancora addosso e faceva avviluppare il mio faad shadari ben oltre il mio avambraccio.
Avevo qualcosa da perdere, e qualcosa per cui lottare.
Virai a nord, lì dove ero stato quell'unica volta in cui ero uscito dal palazzo. Lì dove il talios finiva per essere sommerso da dune di sabbia fine e vellutata. Le sorvolai, mentre l'arrivo della notte affievoliva la luce delle pietre a ogni mia virata. Il villaggio di Gahde era molto più grande di quanto ricordassi, un brulicare di creature affollava le sue strade piene di tende e casupole dai toni variopinti. Mi si curvò la bocca a immaginare il commento che avrebbe fatto Artemis, vedendo tutto quel colore in un luogo quasi senza luce.
Mi mancava. Da quando eravamo usciti dalla cella non mi aveva rivolto la parola. Si era chiuso nella sua stanza e il suo dolore mi aveva ferito così tanto da non aver avuto il coraggio di provare a parlargli.
Mi lasciai la vibrante Gahde alle spalle e virai verso la cima di un monte aguzzo e aspro; così inospitale, che chiunque avrebbe desistito dal valicarlo a piedi. Mi alzai di quota sfiorando quelle poche nuvole che fluttuavano cupe, l'adrenalina mi fece battere il cuore molto più forte mentre superavo la cima più alta. La fonte era ciò che mi aveva concesso la vita, e ora si stagliava davanti al mio sguardo. Una distesa d'acqua ritmicamente increspata dal vento, come uno specchio sinuoso a propagare la luce soffusa del fondale di talios. Sembrava un occhio nel buio e immaginai di farci immergere Artemis.
No, non puoi volere un futuro da Cavaliere per lui. Non potevo condannarlo a uccidere per vivere per sempre, ma l'idea di perderlo mi annichiliva.
Sorvolai la fonte e atterrai accanto a un'abitazione. L'unica, in quella zona inaccessibile e dimenticata da tutti. Il suono dell'incudine sul metallo accompagnava un forte odore di fiamme e zolfo, propagato a zaffate dalle tende pregiate che adornavano ogni varco tra un ambiente e l'altro. Entrai e presi uno dei datteri caramellati lasciati sul tavolino all'ingresso, quasi rasoterra e immerso da cuscini di seta color vino e oro. Ne masticai metà mentre lo sferragliare del fabbro che era al lavoro si faceva più intenso. Scostai un'altra tenda e il viso stretto e aguzzo di Tenab impallidì tra le fiamme davanti a sé.
«Altezza. Siete voi?» balbettò inchinandosi, ma senza smettere di fissarmi negli occhi. Ingoiai ciò che restava del dattero.
«Mastro Tenab, pensavate fossi una leggenda?» Lo guardai dalla testa ai piedi e gli sfilai l'arma che aveva tra le mani. «Eppure mi avete forgiato una spada, qualche anno fa.» I suoi occhi dalla sclera scura si rivolsero in basso, mentre la esaminavo.
«Sono onorato di avervi qui. Mi spiace farmi trovare nel pieno del lavoro.»
C'era l'odore di Artemis in quella spada e il mio cuore iniziò a correre dalla rabbia. Era bella, bellissima. Il metallo scuro si intrecciava all'oro in un intricato disegno floreale. Apparentemente baphtias, ma del tutto knephaniana; come ormai Eurias aveva reso ogni cosa a Kiridia.
«Meravigliosa, ma temo che ci sia stato un errore.» Gettai la spada nel grande calderone incandescente accanto a me e l'artigiano trasalì stringendosi i lunghi capelli neri.
«Altezza, il Primo Cavaliere—» Afferrai il knephaniano per la gola e gli impedii di respirare. Il panico nelle sue iridi buie fu evidente.
«Il Primo Cavaliere è al mio servizio ora.» Creai una bolla di vuoto intorno a noi e il rumore sparì. L'espressione di Tenab fu di terrore assoluto. Lo lasciai in pace e il mio sguardo cadde sulla boccetta di sangue sul tavolo accanto a noi. L'afferrai e riconobbi l'odore di Artemis.
«Mi hanno commissionato una spada...» disse il fabbro. Mi rigirai la boccetta tra le dita, c'erano ancora un paio di dita di sangue al suo interno.
«E una spada forgerai.» Presi una ciotola vuota e un pugnale dal tavolo accanto a noi. «Per me.» Ricalcai con la lama la vecchia ferita che avevo tracciato nel giuramento con Artemis, non visibile ma indelebile nei miei ricordi, poi lasciai che il mio sangue riempisse il fondo della ciotola. «Ardente e tagliente. Drammatica e appariscente. Deve essere l'arma più bella che tu abbia mai forgiato.»
***
Il metallo rosato di Destiny brillava tra le mie mani riflettendo le luci soffuse del bagno di Meg. Ero immerso nella vasca, con la camicia a galleggiare e un braccio a penzoloni fuori dal bordo. Inclinai l'arma e lasciai scorrere un rivolo d'acqua sulla sua lama intarsiata di cristallo. Ne assecondò la perfezione della superficie, di una brillantezza rara, evidenziando il rovo di spine e la rosa finemente cesellati nel metallo. Dal cuore dell'arma emergeva il talios, con i suoi bagliori rosati e la sua trasparenza. La luce si fece più forte assecondando le mie emozioni.
Il sorriso che mi solcò il viso pesò così tanto sul mio cuore da soffocarlo. Ogni pensiero che mi ricordava Artemis mi uccideva lentamente, da quando non ci parlavamo.
«Dunque sei tu, il bandito che ha rubato la spada del principe.»
Girai senza fretta lo sguardo verso Meg, appoggiata alla cornice della porta. Mi fissava compiaciuta in una vestaglia di raso a fiori, stretta in vita.
«C'è solo un principe a Knephas, e sono io.» Meg si avvicinò e si accovacciò accanto alla vasca. «Non potevo lasciargli brandire un'arma con il sangue del mio Legato.»
Oscillai Destiny per intercettare tutta la luce della stanza.
«È bellissima.»
«È per Artemis.»
«Dovresti chiarirti con lui, non regalargli una spada.» Meg si sporse per guardare meglio l'arma. «Ha qualcosa di insolito.» Sorrisi e puntai la lama controluce. Lei la guardò e impallidì. «Non ha ombra. Come è possibile?»
Lessi la frase incisa accanto a un'ansa del rovo intagliato.
«Illumina ma non fa ombra, arde ma non brucia.»
«Poetico» disse lei.
«Drammatico e tragico, in pieno stile Knephas.» Sospirai.
Megumi accennò una risata. «L'hai presa bene, vedo.»
Fissai apatico la spada tra le mie mani.
«Non sa che esiste, ma già le ha dato un nome: Destiny.»
«Non ho mai visto una spada nuziale con certe caratteristiche.» Meg afferrò l'elsa e continuò a giocare con il suo non creare ombra.
«Non è un dono di nozze qualsiasi. Ricordi la storia del figlio di Ashberg?» La naphi mi fissò.
«Non avrai...» Abbassai lo sguardo sugli intarsi di cristallo.
«Dentro questa spada c'è parte di me. Sono stato alla fonte. Non è solo un dono di nozze, è stata forgiata per proteggere Artemis. Se la terrà con sé, sarà al sicuro.»
Megumi si accigliò.
«Eurias lo sa?»
«No, e non deve saperlo.»
Con un sorriso rassegnato mi tirò indietro i capelli bagnati dalla fronte. Un gesto dolce che in qualche modo mi imbarazzava sempre.
«Ami così tanto Artemis...» disse ricalcando il profilo del mio orecchio ingioiellato.
«Non lo so, siamo Legati. Forse è un amore obbligato.»
Lei scosse la testa e la piegò di lato.
«Non è vero. Lo ami. Perché per tenerlo con te gli stai dando il potere di distruggerti.» La guardai e sospirai. «Lo avresti fatto anche senza quel marchio a brillarti sulla schiena.» La verità delle sue parole mi strinse lo stomaco.
«Tu c'eri quando Eurias e Caleb stavano insieme.» Meg si irrigidì. «Lui come era, prima del bonding?»
«Intendi, come era prima di perdere Caleb?»
Annuii.
«La loro è stata una storia sfortunata. Se avessero avuto più tempo, tutto sarebbe andato diversamente.» Meg deglutì e il rumore dell'acqua smossa dalle mie gambe evidenziò il silenzio che ci stava inghiottendo. La guardai, incitandola a continuare, e lei mi accontentò. «Si amavano, Noah. Si amavano così tanto che pensavano di poter cambiare tutto. Come Aramis e Jeremy. Come vi amate tu e Artemis.»
Sprofondai nella vasca. «Invece non è cambiato niente.»
«Invece è cambiato tutto. Non come speravano.» Meg si sedette sul bordo della vasca e mi ridiede Destiny. «L'erede che cerchi. Esiste perché Eurias lo ha salvato da morte certa. Il figlio di Caleb e della sorella della regina di Knephas.»
Fui io a irrigidirmi. «Cosa?»
«Non ebbe coraggio di ucciderlo. Era l'unica cosa che poteva fare per Caleb. Lo salvò, lo immerse nella fonte e lo restituì all'Élite. Non si seppe nulla, fecero di sicuro come per Elinor. Ormai nemmeno più gli Aklèimas sanno la verità.»
Guardai Meg mentre la paura tingeva ogni mia emozione di rosso sangue.
«Cosa fa impazzire di più? Un potere sconfinato o un amore indomabile?» Sospirai, poi mi immersi nell'acqua fino alla punta dei capelli per nascondere le lacrime che mi inondavano gli occhi, quando riemersi Meg mi accarezzò il viso. Mi persi nei suoi occhi neri, nel suo condividere il mio dolore. «Pensavo di poterlo tenere fuori da questa storia, invece ora non ho scelta. Non posso lasciare il trono a Fabian, ma ho paura. Ho paura che Eurias abbia ragione. Che finirà male. Non è questo che voglio per Artemis.»
«Quando cominci a desiderare il meglio per qualcosa, è da quel momento che inizi a perderla.» Mi girai per intercettare la voce di Eurias e lo trovai in tutto il suo delicato splendore appoggiato alla cornice della porta.
«Sarai contento, ora hai due eredi.»
Lui fece una smorfia e un gesto lascivo con la mano.
«Me ne bastava uno.» La sottile e semplice camicia azzurra che indossava lo faceva assomigliare a uno di quei modelli androgini delle riviste dell'Altrove. Meg era a disagio, il suo sguardo evitava il mio ogni volta che Eurias faceva la sua apparizione. L'attenzione del Primo Cavaliere si posò su Destiny. «Bella. Devo dire che il tuo restyling le ha donato parecchio.»
«Dove è Fabian?»
«A palazzo, dove dovresti stare tu.» Eurias si sedette sul bordo della vasca e accarezzò i lunghi capelli neri di Megumi con grazia. Tra di loro c'era qualcosa, ma non avevo voglia nemmeno di chiedergli cosa.
«Perché non hai fermato mio padre? Ha quasi ucciso il mio Legato» dissi, ed Eurias iniziò a intrecciare i capelli della naphi con fare malinconico.
«Ti ho avvertito e lo hai salvato. Ora devi riprenderti il tuo posto. Trovare quella dannata spada e mettere Fabian un passo indietro a te.» Eurias era calmo e se non fosse stato per il faad shadari a sbucare dalle maniche della camicia, mi sarebbe sembrato solo uno degli amanti che ogni tanto facevano visita a Meg.
«Perché non lo uccidi tu?»
I suoi occhi castani si alzarono nei miei. «Perché mi hai espressamente vietato di farlo.»
Ridacchiai. «Da quando esegui i miei ordini?»
«Da quando ti ho giurato fedeltà.» Eurias mi fissò. «Non mi inchinerò mai ai piedi di un Ashtide, Noah, ma ucciderlo non è la mossa più saggia, nella tua nuova situazione.»
Meg sospirò «Lo credo anche io.»
Guardai entrambi dubbioso. «Cosa dovrei fare?»
«Riprenditi il trono. Sposa la principessa Jubelai» disse Eurias.
«Ho un Legato.»
La bocca disegnata del Primo Cavaliere si curvò in su. «Loro non lo sanno.»
Mi accigliai. «Non rinuncerò ad Artemis.»
Eurias sciolse la treccia appena finita, afferrò una spazzola sul lavabo dietro di lui e cominciò a pettinare i capelli di Megumi.
«Trova Dramidia prima di tuo padre, sposa Jubelai; dalle potere, lei non brama altro. Dai una carica importante a Fabian. Fatti amici i suoi Legati. E prepara un secondo diadema di talios per il tuo principe consorte.» Lo fissai in silenzio. Dove era la fregatura? «Avrai tutti ai tuoi piedi, Noah, come è sempre stato. Nessuno avrà da ridire. Avrai tutto quello che desideri.»
«E tu?» chiesi.
Eurias alzò lo sguardo. «Sarò onorato di continuare a guidare i Cavalieri per te.» Ci guardammo per qualche secondo, non si sarebbe accontentato solo di quello.
***
Quando dipingeva, Artemis teneva sempre un pennello stretto tra i denti e uno tra le dita, aggrottava le sopracciglia e si avvicinava alla tela come se cercasse di scorgere qualche dettaglio nascosto. Era perso nel suo mondo; stracci a terra, cuscini rovesciati e una marea di pittura a macchiargli guance e avambracci. Quasi sempre, di colpo, cambiava idea su qualcosa e lo vedevi animarsi di una febbre che lo spingeva a mescolare una miriade di colori. A quel punto, afferrava il pennello dalla bocca e raccoglieva i capelli in una rosa di trecce e ciocche mosse dietro la nuca. Si metteva a lavorare, sguardo attento e fiato sospeso, fino a che un sospiro faceva affiorare la luce nei suoi occhi. Si fermava e sorrideva, poi mordeva quella sua felicità tra le labbra. Sembrava che l'unico mondo che gli piacesse fosse quello nella sua testa. Solo Kiridia gli aveva strappato la stessa serenità. Era bello osservarlo di nascosto, avrei voluto farmi tela in quegli istanti lì, solo per riassaporare il piacere dei suoi occhi soddisfatti su di me.
Il suo sorriso quella sera non sbocciò, Artemis restò immobile a fissare il ritratto che mi raffigurava; le sue dita sfioravano l'oro che mi striava le guance con un gesto teso e trattenuto. Mentre il suo dolore mi scavava il cuore, mi chiesi se avessi davvero l'eterea bellezza di quel giovane del dipinto.
Lo sguardo mi cadde sulle ciocche spettinate di Artemis, che uscivano dal raccolto e gli accarezzavano la nuca. Immaginai il mio naso a sfiorare ogni curva delle sue spalle, e lui si toccò quel punto. Si girò verso di me e io restai immobile dietro la finestra; la sua immagine si fece nitida con lo svanire del mio respiro sul vetro gelido. Il suo cuore accelerò appena ci guardammo.
Spalancai la finestra ed entrai in camera; lui fece per andarsene, poi ci ripensò e tornò al dipinto con la tensione di chi sta per perdere una battaglia con se stesso. Il rumore dei miei passi si sovrapponeva ai battiti del suo cuore, ancora troppo lontani per far sparire quella nostalgia che mi graffiava la pelle. Mi avvicinai, intinsi il dito nel miele, appoggiato sulla cassettiera, accanto alla tavolozza di colori, poi sporcai le labbra del mio gemello sulla tela. Artemis mi bloccò il polso.
«Che fai? Era perfetto.»
«Ma io non sono perfetto» dissi, e lui mollò la presa. Fissò il dipinto piegando la testa di lato. Il desiderio di accarezzare la sua pelle mi stringeva la gola. «Perdonami. Non avrei dovuto lasciarti quella sera, quando ti sei trasformato. Quello che provi, che proviamo... è così forte che ho avuto paura.» Artemis non fece una piega, i suoi occhi verdi fissavano la tela in silenzio. «Non riesco a smettere di aver paura da quando ti conosco.» Seguii il suo profilo spigoloso; le sue labbra morbide, strette tra i denti bianchi. Abbassò il viso e mi avvicinai. «Ho il terrore di perderti. Ho timore che tutto finisca male... e mi manchi.» Restò immobile, mentre le sue emozioni mi appannavano la vista; le sue iridi si fecero scure. «Mi manchi, Artemis. Come l'aria. E ti prego...» fece per andarsene, «non andare via. Resto in silenzio, se me lo chiedi, ma ti prego non uscire da quella porta. Ho bisogno di guardarti.» Si voltò e i suoi occhi mi riempirono il cuore di colpo. Mi avvicinai e alzai una mano verso i suoi capelli; rimase immobile, mentre sfilavo il pennello dal raccolto e le sue ciocche scure cadevano sulla schiena. «Ho bisogno di sentirti. L'odio che mi riservi è una carezza in confronto al silenzio di non averti intorno.»
Artemis mi fissò.
«Non ti odio, e lo sai.»
«Vorrei tanto che lo facessi.»
«Perché?»
«Perché Eurias dice che quando cominci a desiderare il meglio per qualcuno, a quel punto inizi a perderlo. E io vorrei il meglio per te.» Deglutì e i suoi occhi si velarono di lacrime. «Vorrei non avere il rimpianto di averti trascinato in una trappola mortale, ma il mio amore è egoista. Ti voglio con me, voglio tenerti stretto per l'eternità.» Mi rigirai tra le dita una ciocca dei suoi capelli e inspirai il profumo di pittura e miele che emanava la sua pelle. «Ti amo come se dovessi morire domani... come se non avessi scelta.» Trattenne il fiato e le sue labbra si fecero lontane un solo sospiro dalle mie. «Ma io potrei scegliere. Potrei spegnere ogni mia emozione e accertarmi che il nostro amore non finisca in tragedia come quello tra Caleb ed Eurias...» Il battito del mio cuore si incastrò al suo mentre tremavo, a un soffio dal baciarlo. «Ma finisco sempre per scegliere te.» Lasciai scivolare le mie labbra sulle sue, acciuffai un bacio e sfiorai il suo naso con il mio.
«Hai scelto Dramidia.»
«Scelgo ogni cosa stupida e insensata che possa regalarti anche solo un respiro in più sulla mia bocca, Artemis Blackwood.»
Lui restò in apnea e mi infilò una mano tra i capelli. Mi fissò con il cuore in tempesta mentre tendevo la pelle della sua nuca con le dita gelide.
«E se non volessi vivere per sempre?»
«Ti prenderai tutta la mia eternità e la trascinerai con te all'inferno.»
«Come sei drammatico» disse sorridendo. Accompagnai una ciocca di capelli dietro il suo orecchio, del quale percorsi con un dito l'ornamento appuntito.
«Drammatico e tragico, in pieno stile Knephas.» Mi soffermai sull'orecchino a chiave e sorrisi.
«Se diventi Haredias il bonding si spezzerà.»
«Non si spezzerà, perché quel potere è già dentro di me. Non lo percepisci?» Le dita di Artemis si posarono sul mio petto e io le strinsi. «Quell'energia aliena che ti scorre nelle vene. Io la tua la sento, e mi dà forza. È stata la tua essenza a rendermi semplice lasciarmi andare. Non sarei mai riuscito a salvarti altrimenti. Il mio potere è anche il tuo, Artemis. E se avrò Dramidia potrai scegliere tu il nostro destino.»
«Lo sento e mi fa paura.»
«Non è vero. Ti fa paura non riuscire a temerlo.» L'angolo della sua bocca lottò per non sollevarsi. Nel mio stomaco vibrava la stessa eccitazione che vedevo brillare nei suoi occhi.
«Come puoi dirlo?»
«Alla fonte mi sei apparso come sempre, ma tu mi hai visto come un Haredias.»
Artemis sorrise malizioso e intinse il dito nel barattolo del miele, poi sporcò anche il mento del ritratto.
«Lo sai perché ti amo, Noah?» I suoi occhi incontrarono i miei. Il suo dito zuccherino percorse le mie labbra e io lo succhiai.
«Perché?»
«Perché non sono perfetto, ma quando mi guardi non vorrei essere diverso.» I miei occhi furono sul punto di traboccare. Artemis mi accarezzò la mandibola e mi baciò. Lo strinsi a me, feci scorrere le mani lungo il suo corpo fino a trovare la pelle rovente dei suoi fianchi. Mi afferrò la nuca e mi trascinò dietro di sé fino a sbattere contro la cassettiera. La tavolozza di colori si rovesciò, ma il rumore che fece fu simile a un sibilo. Ci staccammo dal nostro bacio e davanti a noi trovammo Kadir, ricoperto di pittura colorata, che tentava di assaggiarla con la lingua biforcuta.
«Scusa, ma sei sempre lì sotto...» disse Artemis. Il Jerah mi sibilò che era la terza tavolozza che gli faceva cadere addosso quella settimana e io ridacchiai.
Il mio Legato mi guardò di sottecchi. «Davvero lo capisci quando sibila?» Annuii e mi riavvicinai alle sue labbra.
«Non sarai perfetto, ma sei fatto per me.»
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