Capitolo 39 - Noah




Ciondolavo lungo la linea tratteggiata della vecchia pista d'atterraggio, come aveva fatto Artemis in preda all'astinenza. La droga che mi stava tormentando non aveva antidoto, e mi si era insinuata nelle vene poco a poco con l'inganno. Forse non sarebbe bastata una vita immortale per disintossicarsene.

Il vento forte mi spingeva il collo della giacca di pelle contro la gola e mi tirava indietro i capelli; mi invitava a guardare ogni traccia del sangue di Artemis che ancora solcava l'asfalto. Sangue sparso, come una firma su una tela immensa di dolore e sofferenza. Rimasto lì per far sì che io lo trovassi in una sera in cui avrei fatto ogni cosa più stupida, pur di sentirmi vicino a quel baphtias senza vederlo.

Non avrei saputo cosa dirgli, come guardarlo. Avrei voluto toccarlo, ma senza ferirlo. Era meglio barcollare su una linea tratteggiata con il suo volto in lacrime stampato in testa. Con il mio nome sulla sua bocca a soffiarmi nelle orecchie, e il suo sapore a mozzarmi i respiri. Ero parte di quel dipinto, del suo dolore, del suo amore. Ero parte di lui e questa consapevolezza mi faceva sentire come se l'anima non mi appartenesse più. Faceva paura accettare di non avere più un pezzo di me. Un vuoto che avrei potuto colmare, facendo mio quel cuore che lui forse mi avrebbe donato. Ma per quanto?

Ogni giorno con lui sarebbe stato uno in meno in cui poterlo vivere. Il tempo mi sfuggiva tra le dita quando ero con Artemis; e mai, in tutta la mia vita, mi era sembrato di averne così poco. Ma se avessi trovato Dramidia... Se lui avesse voluto...

Alzai lo sguardo e la sagoma di Megumi mi apparve come un elegante fantasma vestito di bianco, pronto a portami via. Socchiusi gli occhi quando, tra la sua chioma nera, notai dei capelli biondo rame confondersi nel vento. Le ciocche uscivano come fili di bronzo dal cappuccio nero della figura slanciata che le camminava dietro; appena uscì dalla traiettoria di Meg, riconobbi il viso androgino e delicato di Eurias. La mantella pesante che indossava seguì la tramontana e rivelò un elaborato corsetto grigio broccato. Un paio di pantaloni scuri e scivolati mascheravano degli stivaletti stringati, forse rubati a qualche dandy di epoca vittoriana prima di avergli strappato la vita.

Accelerai i passi e guardai la naphi. Il suo viso era teso, quasi sconvolto. «Cosa succede?» dissi, raggiungendola. «Perché lui è qui?»

Megumi mi prese la mano e mi impedì di allontanarmi dal Primo Cavaliere. «Devi ascoltarlo, Noah. È importante.»

Eurias si tolse il cappuccio dando in pasto i suoi capelli al vento. Mi rivolse un inchino composto e mi scrutò dalla testa ai piedi, soffermandosi sugli strappi dei miei jeans.

«Mi aspettavo un'accoglienza più calorosa, ma mi accontenterò.» I suoi occhi castani s'incupirono, qualcosa lo preoccupava.

«Cosa vuoi?» La mia voce uscì aspra e carica di rabbia.

«Farti un favore.»

Mi girai e tornai a seguire la linea tratteggiata con lo stomaco serrato.

«Torna da mio padre, e tienilo lontano da me finché non trovo Dramidia.» Megumi mi sbarrò la strada.

«Artemis è in pericolo.»

Mi girai e guardai Eurias. Il suo viso algido era turbato da un'insolita irrequietezza.

«Tuo padre vuole Fabian. Lo vuole stanotte.» Lo guardai senza capire cosa mi fossi perso. «Ha aperto un portale per Knephas, è lui l'erede.»

Il sangue mi si gelò nelle vene ricoprendomi le mani di cristalli di ghiaccio.

«Cosa c'entra Artemis?»

Eurias si inumidì le labbra rosee ed eleganti. «Lo sai cosa accade, quando si entra ufficialmente nella Corte. E il sangue del futuro Aklèimas dei Guardiani è di buon auspicio.»

Il sangue di quella fata che avevo ucciso ancora bagnava le pagine delle poesie che tenevo in tasca. Ebbi il flash di quando trovai il libro di Hikmet sul pavimento della cella. Nello stesso punto da cui la donna mi raccontava la leggenda della spada di Ashberg per calmarmi. Avevo ancora le mani sporche del suo sangue, quando capii che quel libricino era tutto ciò che rimaneva di lei.

Futuro Aklèimas e futuro Haredias. Io e Artemis eravamo entrambi in trappola.

Il ghiaccio mi freddò il petto. L'aria mi si bloccò nei polmoni. Eurias si avvicinò a me tanto da poter distinguere le pagliuzze dorate nei suoi occhi nocciola. «Ti ho giurato fedeltà, Noah. E anche se non approvo, voglio darti la possibilità che io non ho avuto» disse. Il tormento nel suo sguardo rese tutto doloroso e reale. Il giovane violoncellista innamorato era dentro di lui. Me lo immaginai in una vasca piena di spine e sangue ad attendere l'impossibile. Il cuore mi si accavallò nel petto e iniziò una corsa spietata. «Hai ancora tempo per salvarlo. O il suo sangue forgerà la spada del tuo rivale al trono.»

Guardai Meg e i suoi occhi spauriti.

«Dove è?» le chiesi con la voce che tremava. «Dov'è Artemis?»

«Chiamo Louise.» Meg prese il telefono.

«Devo andare, manco da troppo tempo.» Eurias si sollevò la manica e accarezzò il faad shadari al suo polso. Una luce rosata illuminò la pista. «Tu non mi hai visto» disse guardandomi. Mi avvicinai a lui e gli strinsi la nuca. Le nostre fronti aderirono e così anche i nostri sguardi. Riconobbi un frammento del dolore che mi scavava il petto nelle sue iridi calde.

«Grazie» gli dissi, poi lo lasciai sparire nel portale.

***

Aprii la finestra della camera di Artemis e mi guardai intorno; era tutto un disastro, ma di lui nemmeno l'ombra. Louise era pallida, quando mi vide si alzò di scatto dal letto.

«Finalmente sei qui.»

«Dov'è Artemis?»

«Ti stava cercando, per avvertirti di Fabian. Ma a quanto pare non ti ha trovato.» Aprii la porta del bagno, poi la sbattei con violenza. Non era nemmeno lì. Agitai l'aria con un gesto nervoso e la coperta si riversò a terra dal bordo del letto. Mi girai e frugai tra i fogli sparsi sulla sua scrivania. Volantini, annotazioni, e poi eccolo... un mio ritratto abbozzato, tra i mille schizzi di Fabian. Mi strinsi il faad shadari al polso e il ghiaccio quasi inglobò le mie dita al bracciale. Il mio cuore sembrava battere su un punteruolo affilato che mi irrigidiva la schiena, e il suo martellare era un dolore che mi mozzava il fiato. Lou mi afferrò per un braccio e mi strinse le spalle.

«Calmati.» I suoi occhi verdi volevano trasmettere una sicurezza che le vedevo scivolare via un respiro mozzato alla volta.

«No. Non mi calmo.» Sospirai. «Non dovevi lasciarlo solo al Mandy's.»

«E tu non dovevi scappare da lui. Non se questo amore che hai negli occhi è reale.» Restai in silenzio. Lei si strinse su se stessa e Kadir mi si avvinghiò a una gamba per farmi calmare. «Se è ancora lì, Meg lo troverà.» Louise guardò il telefono con apprensione. Artemis non rispondeva ai suoi messaggi. All'improvviso suonò e glielo strappai dalle mani. «Dimmi che è lui.»

Lessi il messaggio accanto a una foto di Artemis.

Palazzo luce. Aiuto.

Fissai Louise impietrito. «Dove è Fabian?»

«Al Palazzo della Luce. L'Atrèias l'ha portato in un posto sicuro. Aramis non lo troverà.»

«A quanto pare l'ha già trovato.» Mollai il telefono a Louise e uscii di corsa, imboccai le scale e lei mi seguì.

«Dove vai?»

Gli sguardi di diversi ragazzi si posarono su di me. Gli occhi blu di Elinor mi intercettarono in mezzo alle urla che scuotevano la stanza.

«Tu, principe maledetto. Ridammi mio fratello.» Mi afferrò per la giacca e io la lasciai fare. Riconobbi in lei gli stessi occhi disegnati da Artemis miliardi di volte.

Zachary e un baphtias dai capelli rasati la raggiunsero e la staccarono da me. Io la riafferrai per le spalle.

«E tu aiutami ad arrivare al Palazzo della Luce.»

«Che gioco stai facendo?» disse affilando gli occhi blu.

«Fabian è lì, Aramis lo sta per andare a prendere.»

«È al sicuro, voi knephaniani non potete raggiungerlo» rispose lei.

«Ma Artemis sì.»

Elinor lanciò uno sguardo a Zachary, erano entrambi così nervosi che stentavo a rimanere lucido.

«Quella serpe» disse lui.

«Devo salvarlo.» Elinor mi guardò confusa. «Dobbiamo salvarli» mi corressi, guardando Zach. Presi il telefono dalle mani di Louise e gli mostrai il messaggio di Artemis; feci lo stesso con Elinor e Kikilia. «Sbrighiamoci o sarà troppo tardi per entrambi.»

Guardai di nuovo Zachary, i suoi occhi dorati erano sconvolti.

«Perché dovrei crederti?» disse.

«Perché se non lo farai lo rimpiangerai per il resto della tua vita.» Lui mi fissò e io lo implorai. «Apri un portale. Ti prego, non costringermi a essere più rude.»

«Cosa vuoi realmente?» mi chiese. Il battito del suo cuore correva a ritmo con quello di Elinor, una sensazione familiare che mi gelò il sangue nelle vene.

«Artemis verrà ucciso da Fabian, se non lo fermiamo.»

Lo sguardo confuso di Zach si diresse a Elinor e poi a Kikilia.

«Tu e Artemis?» disse quest'ultima, stupita.

Louise strattonò Zach. «Sbrigatevi. Vi spiegheremo tutto dopo.»

Gli occhi d'ambra del Guardiano mi fissarono un'ultima volta. Mi sentii nudo e vulnerabile, come se potesse leggere il dolore e il tormento che stavo provando in quell'istante.

«Tenetevi a me.» Fu un attimo, e mi ritrovai tra alte colonne di cristallo verde acqua. Elinor mi tenne stretto per un braccio mentre si guardava intorno. Un rumore sordo di passi rapidi riecheggiò dai piani inferiori, Zachary mi fece segno di seguirlo. Avanzammo lungo un corridoio, poi imboccammo una rampa di scale, molto meno luminosa e pomposa rispetto al resto del palazzo. I passi si tramutarono in un vociare concitato. Le porte ornamentali furono sostituite da altre corazzate, a quel punto realizzai di essere nelle prigioni.

«Sono scappati?» chiese una guardia ad altri suoi compagni, tutti cinti da armature di catene dorate.

«Nathan!» Zachary si fece spazio tra la folla e sbirciò dentro ogni cella. Elinor fece lo stesso. Solo qualche passo e il respiro mi si mozzò. L'aura di Artemis mi strisciò sotto pelle e mi fece scavalcare ogni guardia. Corsi fino all'ultima cella del corridoio, mentre l'eco dei battiti rapidi e deboli del suo cuore si faceva più vicino. Li avrei riconosciuti tra mille.

Il sangue mi bagnò gli anfibi, appena varcai la porta. Un urlo mi si strozzò in gola. «No!» Artemis era a terra, riverso su un fianco, mentre una profonda ferita sull'addome inondava ogni cosa di un rosso cupo e denso. «No.» I suoi occhi scuri erano vitrei e fissi sulle sue dita, aperte e abbandonate di fronte a lui. Erano ferite, ustionate. Il suo dolore mi brucio sulla pelle appena lo sfiorai. Lo afferrai per il viso e gli scostai capelli insanguinati dalle guance. Lo strinsi a me e mi concentrai sul battito che a malapena riuscivo a percepire. Provai ad arrestare l'emorragia con il mio potere ma lo avvertii estremamente attenuato e difficile da controllare. Assorbii il suo dolore e il suo viso divenne più rilassato. I suoi occhi scuri ripresero espressività.

«Cosa cavolo...» Elinor varcò la soglia della cella e si mise le mani sulla bocca. Zachary entrò e si precipitò accanto a me e Artemis.

«Cosa mi state facendo?» gli dissi con rabbia.

«Nulla.»

«Non riesco a guarirlo. I miei poteri non funzionano.» Mi girò la testa dalla paura di essere inerme proprio quando avevo bisogno della mia forza. Strinsi Artemis ancora più forte, ma per quanto mi sforzassi, ciò che ottenevo era un briciolo delle mie normali possibilità.

«È il principe, prendetelo!» La voce delle guardie mi fece girare. Guardai Zachary con il terrore a mozzarmi il respiro.

«La cella è schermata. Portalo fuori. Sbrigati.»

«Le guardie?»

Eileen mi fissò. «Tu pensa a scappare.»

Mi alzai e corsi fuori. Mentre Zachary, Kikilia ed Elinor distraevano le guardie dall'acciuffarmi. Man mano che mi allontanavo, il peso di Artemis si faceva meno greve e i miei poteri aumentavano. Non ero ancora in salvo, ma il suo respiro era così flebile che mi fermai.

Lo adagiai a terra, sul pavimento di mosaico dorato, e i suoi occhi mi fissarono con un accenno di sorriso. Posai una mano sulla sua ferita, poi chiusi le palpebre e mi concentrai.

«Resisti.»

«Guardami» sussurrò lui. «Guardami un'ultima volta.»

Aprii gli occhi e trovai quelli di Artemis a fissarmi. Le lacrime gli scorrevano sul viso. Non erano sue, ma mie.

«Prendimi, prendi tutto di me» sussurrai sfiorando le sue labbra. Lo baciai e la luce guaritrice scaturì più intensa dalle mie mani. «Ma resta.» Ricorsi a ogni potere che sentivo nelle vene e avvertii il sangue smettere di bagnarmi la mano a fiotti. Non era abbastanza, il respiro di Artemis era ormai ridotto a lievi sospiri irregolari. Il suo cuore si stava fermando poco sopra la mia mano e il mio era sul punto di frantumarsi. Desiderai di rinunciare alla mia immortalità, alla mia invulnerabilità, ma forse non sarebbe bastato solo volerlo. Era troppo tardi.

«Fermatevi. Lasciatelo fare.» Alzai lo sguardo e vidi Elinor trattenere le guardie. Accanto a lei c'erano l'Atrèias e l'Aklèimas. Li ignorai, avevo pochi istanti per salvare Artemis. I suoi occhi si chiusero e io gli tirai indietro i capelli dalla fronte. «Guardami. Ti prego, Artemis. Guardami.»

L'amore distrugge quando è disperato. Era tutta colpa mia.

Socchiuse le palpebre e mi guardò negli occhi. Fece per avvicinarsi.

«A Dramidia avrei chiesto tempo. Tutto il tempo in cui avrei potuto avere te» sussurrò. Gli occhi mi bruciarono. Artemis mi accarezzò il viso e mi spinse a sfiorargli le labbra. «Sei la cosa più dolorosa che abbia mai sentito, Noah Brightvale. E l'unica che valga la pena ricordare.»

Assaporò le mie lacrime e lo baciai. Lasciai cadere tutta la paura che mi tratteneva dal cedergli ogni pezzo del mio cuore e l'energia crebbe e si espanse dentro di me. Le voci intorno a noi sparirono, inglobate da una bolla che sentivo di poter controllare senza timore. L'adrenalina mi diede l'impressione che stessi per esplodere in qualcosa di molto più grande, il mio potere era una stella che avrebbe brillato a breve salvandoci o riducendoci in polvere. Gli occhi di Artemis si chiusero e io lo strinsi ancora più forte, mentre continuavo a nuotare in quell'abisso del vuoto che mi ero finora proibito.

«Ti farà impazzire. Non farlo» sussurrò stremato.

«Sono già pazzo. Ora e tra mille anni, sceglierei sempre te, Artemis Blackwood.»

Lo sentii sorridere sul mio collo, mentre liberavo ogni mia risorsa senza redini. La voglia di nutrirmi di quell'energia flebile, che stringevo tra le braccia, mi pulsava nelle vene come una condanna. La fame di energia vitale era forte, tanto da farmi ricordare dell'astinenza di Artemis come un capriccio. Era impossibile non desiderare di sentire battere il mio cuore con sempre più vigore, di controllare ogni atomo intorno a me senza sforzo. La voglia di prendere Dramidia e fare mia ogni cosa era l'ossigeno che avrei potuto respirare, se avessi resistito alla paura.

Mi stavo perdendo, e solo il terrore di vedere il fuoco di Artemis spegnersi mi tenne saldo alla realtà.

Illumini ma non fai ombra, ardi ma non bruci.

Mi concentrai sulla sua aura che volevo amplificare, piuttosto che rubare. Su Dramidia e sul desiderio di trovarla per darci un futuro senza limite; sul fatto che avrei potuto anche piegare l'universo, ma non avrei mai accettato di perdere Artemis.

Il vuoto creato intorno a noi moltiplicò quell'energia che mi scorreva dentro. Il ghiaccio ricoprì le mie mani, si diramò su quelle di Artemis e sul resto del suo corpo. Un'armatura che ormai non era solo mia, ma anche sua. Io ero suo. Lo avvertivo nel profondo, mentre la sua ferita guariva alleviando il dolore lancinante che mi tagliava il respiro. Il fuoco del suo elemento mi scaldò il sangue. Lasciai cadere la bolla di vuoto e crollai a terra esausto; Artemis avvinghiato a me. Il faad shadari ancora brillava incandescente al mio avambraccio, mentre il cuore che batteva tra le mie braccia era tutt'uno col mio, ma non avevo più paura di ascoltarlo.

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