Capitolo 28 - Artemis


Il futuro Haredias di Knephas era come un angelo, quando addormentato. Smisi di respirare per paura di svegliarlo; volevo guardarlo e capire come mettere a tacere quella immensa soddisfazione che sentivo sbocciarmi nel petto. Un raggio di sole s'infrangeva di taglio sui suoi capelli neri e gli sfiorava uno zigomo leggermente arrossato.

Cercai di immaginarlo su una tela, sperai di riuscire a bilanciare quel contrasto perfetto e la trasparenza della sua pelle; la morbidezza delle sue labbra appena schiuse...

Un incubo, bello come un sogno. Il sangue di Brianna tornò a scorrermi davanti agli occhi. Tutto quello che era accaduto la scorsa notte mi sembrò imbarazzante e senza senso.

Comunque, in ogni caso. Sceglierei te, Artemis.

Feci un respiro più profondo degli altri e Noah aprì di colpo gli occhi. Si mise seduto deglutendo, poi mi rivolse uno sguardo stralunato.

«Buongiorno.» Impallidì. Un sorriso mi curvò la bocca. Scattò dritto verso il bagno. Mentre lo sentivo vomitare, misi i piedi a terra, indossai una vestaglia di satin rosa che giaceva sullo schienale della sedia di fronte, e mi avviai per raggiungerlo. Volevo gustarmi la scena. Mi appoggiai sulla cornice della porta, Noah era piegato verso la vasca senza riuscire a prendere fiato.

«Buongiorno, fulgido futuro di Knephas

I suoi occhi viola mi lanciarono uno sguardo implorante. Aprì l'acqua e la lasciò scorrere, sembrava assecondare i suoi movimenti e facilitargli il compito di bagnarsi il viso.

«Buongiorno, non direi.» Meg era affacciata dietro di me, fissò Noah accigliata. «Si può sapere che cosa è successo?»

«La prima volta di Noah, che tenerezza.»

Lo sguardo di Meg si fece severo. «Artemis.»

La mia voce si fece più acida. «Non è abituato all'astinenza del veleno.»

I suoi occhi si rivolsero al principe con pietà. «E chi lo ha morso?»

Noah si girò verso di me con sdegno. «Potresti anche ringraziarmi, per aver assorbito il tuo demenziale tormento.» Mi avvicinai a lui e sorrisi.

«Demenziale tormento, mi piace.»

Noah scosse la testa poi tornò a fissare la vasca. Un conato lo piegò in due ancora una volta. Megumi si tirò su le maniche della giacca blu e mi guardò.

«Ha assorbito il tuo malessere?»

Noah rispose prima di me. «Esatto, e me ne sto pentendo.» Un altro conato lo fece piegare. Stringeva il bordo della vasca e non riusciva a riprendere fiato. La nausea lo stava annientando completamente. Quando lo vidi vacillare provai pietà; mi avvicinai e gli tenni ferma la fronte.

«Ti passerà a breve, non preoccuparti.» Noah fece per afferrarmi un polso io gli parlai all'orecchio. «Non ti azzardare a riversarmelo addosso.» Meg ci fissava in silenzio. Già immaginavo tutte le domande che si stava facendo. «Respira e cerca di calmarti.» Lo mollai e lui si appoggiò al bordo della vasca. Si sciacquò il viso e la bocca, poi si lasciò cadere a terra con la schiena appoggiata sul marmo, che rivestiva l'esterno della vasca. I suoi capelli spettinati e gli occhi al limite delle lacrime erano una visione confortante. Un piccolo risarcimento al dolore che mi aveva inflitto.

Louise entrò in bagno trafelata. «Artemis, dimmi che stai bene.» Il suo sguardo passò di colpo da me a Noah.

«Sì, sto bene.»

«Noah?»

Lui alzò i suoi occhioni viola verso di lei. Erano lucidi e arrossati. «Ciao.»

Louise mi fissò stralunata. La bocca piegata in giù e le sopracciglia scure aggrottate. Infilò le mani nelle tasche del giubbotto imbottito fucsia. «Che significa questo?» Con un cenno del capo indicò me e Noah e lì capii l'equivoco.

«Non è come pensi.»

Noah appoggiò la testa sulla mia coscia. Era pallidissimo e le ciocche nere mezze bagnate gli si incollavano ai lati delle tempie.

«È peggio di come pensi» disse. Me lo scrollai di dosso e si raddrizzò.

«Che cazzo, ma vuoi tacere?» Arricciò il naso, ma per una volta non obiettò al mio vocabolario. Meg prese Louise sotto braccio, ancora intenta a far viaggiare lo sguardo tra me e Noah.

«Andiamo di là. Parliamo con calma.»

Mi avviai per il corridoio e, strada facendo, cercai il mio kindjal. Noah mi raggiunse barcollante. Mi sporsi per intercettare Megumi.

«Hai trovato un pugnale qui fuori?» La naphi si avvicinò di cinque passi, corredati da altrettanti ticchettii dei suoi tacchi sul parquet. Aprì un cassetto e tirò fuori l'arma. «Questo?»

Me la porse e l'afferrai. «Sì, grazie.» Proseguimmo per il corridoio fino a entrare nella sua cucina. Noah si buttò su una sedia e si tenne la testa con le mani. Meg afferrò una caraffa di caffè americano e quattro tazze di vetro. Le posò davanti a me.

«Bevete, credo che ne abbiate bisogno.»

«Decisamente. Grazie.» Mi accomodai accanto a Noah, ma lasciando una sedia vuota tra di noi. Louise si sedette sul piano di lavoro dell'isola che occupava il centro della cucina, fissava il pugnale con occhi feriti. Non glielo avevo mostrato. Mi ero vergognato a morte di spiegarle le circostanze in cui ero riuscito nel miracolo. O forse erano quelle gemme incastonate, di un colore identico agli occhi di Noah, a farmi arrossire.

«È bellissimo, dove lo hai preso?» disse Lou.

Noah alzò la testa mentre Meg gli versava il caffè. «Grazie.» Poi si rivolse a Louise. «Lo ha creato da solo.»

Lou spostò l'attenzione su di me, quasi impaurita.

«Da quando sai farlo?»

Alzai le spalle e strinsi la tazza di caffè fumante tra i palmi delle mani. «Non so se riuscirei a rifarlo.» Sorseggiai e mi ustionai la punta della lingua. «Ahia!» Noah ridacchiò e i suoi occhi sorrisero tra le ciglia nerissime. Io lo gelai con lo sguardo. Meg afferrò la sedia che divideva me e il principe e la spostò verso l'isola, a un passo dalle gambe penzolanti di Louise. Si sedette e, con le braccia incrociate, ci scrutò.

«Voi due adesso ci raccontate tutto.»

«Non c'è niente da dire» fece Noah, accavallando le gambe e portandosi i capelli indietro. Poi prese la tazza e ci poggiò le labbra sopra premendole leggermente verso il bordo. Restò così per qualche secondo e io non riuscii a non fissare la sua bocca vellutata premere sulla trasparenza del vetro appannato. Mi morsi la lingua dalla frustrazione. Dovevo andare al Mandy's e farmi una sana scopata. Dovevo. Affondai il viso nella tazza di caffè fumante e iniziai a soffiarci sopra.

«Artemis, anche tu niente da dire?» Non feci in tempo a connettere il cervello che Meg mi afferrò il polso.

«Meg, che cavolo!» Per un pelo non mi si rovesciò tutto addosso. I suoi occhi erano su Noah.

«Aprite orecchie e bocca, ragazzini, perché dovete spiegarmi questo.» Mi aprì il palmo della mano e mostrò la sottile cicatrice che lo segnava. Louise mi guardò affranta e spaventata.

«Ma che hai fatto?»

«Nulla.» La mia voce era roca dall'acido che mi stava risalendo in gola.

Meg si rivolse a lei e io mi liberai dalla sua presa. «Nulla... se nulla può essere definito un patto di sangue con l'erede al trono di Knephas» disse. Guardai Noah e i suoi occhi resero l'evidenza ancora più reale e spietata, poi subito si tuffarono nella tazza che stringeva in mano.

Louise si aggrappò al bordo del top di quarzo nero con forza. Le sue nocche si fecero bianche. «Cosa?» Per un momento ebbi paura di una sua reazione violenta. Le sorrisi cercando una sicurezza che non avevo.

«Niente di grave, non preoccuparti.»

I suoi occhi si rivolsero a Noah. «Sei davvero knephaniano?»

Risposi per lui. «Solo per metà, ma basta a renderlo detestabile.» Gesticolai con troppa enfasi e macchiai il raso della vestaglia di caffè. Sentii ridacchiare il principe e lo sorpresi abbozzare un sorriso malizioso. «Lo sei, detestabile.» Lui scosse la testa e alzò il sopracciglio con sufficienza.

Louise era seria. «Artemis, dimmi che è uno scherzo. Questa confidenza, tu e lui nel letto... con quella vestaglia.» Guardai i suoi occhi verdi soffermarsi sul mio outfit. Non risposi. «È di Meg e... non so che dire. Non è come pensi.»

«Avete davvero fatto un patto di sangue?» Lou mi fissò e io tirai su le spalle. Cercai una risposta sensata e finii per mordermi il labbro. «State insieme? Parla!»

«Sì» disse Noah. Mi girai verso di lui di scatto.

«No. Non stiamo insieme!»

Lui fece un respiro e posò la tazza di caffè sul tavolo. «Sì, abbiamo fatto un patto

«Un patto che può considerarsi concluso» puntualizzai stringendo il caffè in mano e picchiettando con le unghie sul vetro.

Gli occhi di Noah guardarono un alone sulla sua maglia. «Non si conclude un patto di sangue.»

«Invece sì. Non ho più niente da dirti, Noah.»

Prese la sedia da sotto le sue chiappe regali e l'avvicinò a me. Rimasi a stringere la tazza con i gomiti stretti alle costole mentre il suo viso era a pochi centimetri dalla mia spalla. Il suo sguardo calmo contrastava con il turbamento che avevo nel petto.

«Ah, sì? Non hai più niente da dirmi? Ti ho salvato la pelle e ti ho fatto da balia per tutta la notte.» Mi schiacciai contro lo schienale e gli fissai le vene delle mani, come se quei centimetri in più potessero schermare le mie emozioni.

«Nessuno te lo ha chiesto.»

«Non abbiamo ancora trovato la spada.»

I miei occhi si alzarono nei suoi. «Te la troverai da solo, principe.» Noah continuò a fissarmi immobile. Nello stomaco il formicolio era diventato insopportabile, sbottai. «Non guardarmi così. Mi avevi promesso che non mi avresti più manipolato, che non mi avresti più pressato per farmi trasformare.» Il tono della mia voce fu più lamentoso di quanto volessi.

Il corpo di Noah seguì il suo sguardo e si girò verso il mio lato, la sua mano destra si aggrappò allo schienale della sedia e la manica della giacca gli scoprì il polso. Il bracciale d'oro luccicava alla luce che filtrava dalla finestra accanto a lui.

«Quante volte devo dirti che Eurias ti avrebbe ucciso se non l'avessi fatto?»

Guardai gli sguardi dubbiosi e interessati di Louise e Meg. Abbassai il tono della voce. «Puoi ripeterlo allo stremo, ma non cambierà le cose. Ho chiuso con te.» Lui si girò verso le ragazze, forse rendendosi conto di quanto fosse imbarazzante litigare di fronte a loro. Tornò composto sulla sua sedia in silenzio. Stavo sudando, mi tolsi la vestaglia di Meg e rimasi a torso nudo e mutande. Mi mangiai le mani... Louise mi puntò il dito contro.

«Ma cosa è successo? Cosa sono quelle ferite?»

«I morsi, ormai lo sai...»

«Non sono morsi.»

D'istinto mi toccai il collo e notai che le ferite di Meg erano ormai sparite, ma quelle inferte da Noah ancora erano lì dove le avevo lasciate. Lo guardai per sapere come muovermi, ma Louise mi diede un calcio al ginocchio per attirare la mia attenzione.

«Non è nulla» minimizzai, poi cercai Noah e lo vidi abbassare lo sguardo.

«Ragazzi, spiegateci cosa è successo, perché state insieme e come vi siete ridotti così.»

«Gli servo per trovare la spada di Ashberg.»

Lo sguardo di Noah si accigliò verso di me. «Non è più così, e lo sai bene. Ora è tutto diverso.»

Louise fece lo stesso rivolgendosi a Megumi. «Ma stanno insieme?» Lei si strinse nelle spalle guardando me e Noah come due esemplari da studiare.

Uno stivaletto del principe mi colpì uno stinco. «Non vuoi dirglielo?» sussurrò.

«Dirci cosa?»

Alla domanda di Louise mi lanciò un ultimo sguardo di disapprovazione, poi rispose. «Che potrebbe essere l'erede che Eurias sta cercando.»

Lei ridacchiò «Artemis? Ma dai, su.» I miei occhi incrociarono quelli di Meg, erano seri e preoccupati.

«Voi lo sottovalutate.» La voce di Noah mi fece girare dalla sua parte. «Se lo conosceste davvero, sapreste che non sarebbe così assurdo.» Abbassai lo sguardo mentre nel petto mi sbocciava una punta di orgoglio malsano.

«Lo conosci meglio di me?» fece Louise.

«A quanto pare sì.» La voce di Noah era una sentenza. Lui non mi conosceva, lui mi leggeva dentro, ed era imbarazzante anche solo pensarlo. Ma anche eccitante. Nei suoi occhi sembrava quasi che io potessi essere chiunque. Chiunque migliore di quello che mi reputavo. Meg mi lanciò un'occhiata rapida e sospettosa, poi tornò al principe.

«Sei serio?»

«Sì. Potrebbe esserlo lui, come Fabian Ashtide.»

«Per l'ombra di Zafir! Nathan è come un angelo.» Lou sorrise e io la gelai con gli occhi. Posai la tazza sul tavolo.

«Cosa stai insinuando? Che io invece potrei andare bene come Haredias?» Lei tirò i lati della bocca e alzò le sopracciglia, poi ispirò.

«Beh, Artemis, Nathan è la cosa meno oscura che io abbia mai visto.»

Noah mi posò una mano sul ginocchio. «Lo devi accettare. Potresti esserlo, ed è per questo che devi trovare la spada con me. Ti coprirò nel frattempo.» I suoi occhi erano un tacito e bellissimo ricatto. Mi scansai accavallando le gambe nel verso opposto.

«Non se ne parla. Non voglio più vederti.» Poi ripresi in mano la tazza. «Un momento... nel frattempo di cosa

Noah prese la caraffa e si versò altro caffè. «Che capiamo se davvero sei l'erede.» Piegai la testa da un lato e lo guardai spingendomi la lingua sul palato. Ero così irritato che la tazza iniziò a fumarmi tra le mani, ma quella vena sul suo collo candido... Cazzo!

«Artemis...» Noah fu più veloce della voce di Meg e me la strappò dalle mani; strinse i denti dal dolore. La poggiò sul tavolo e io incrociai le braccia.

«E sentiamo, come dovrei capirlo? Vuoi bere il mio sangue, farci un pentacolo e dargli fuoco per vedere se esce qualche demonio?»

Louise strozzò una risata e Noah sorrise. Lo vidi raffreddare la mia tazza di caffè con il ghiaccio delle sue mani, poi me la rimise tra le dita. Un gesto così dolce e premuroso che mi fece sentire in difetto.

«Pensavo più a passare le notti a Kiridia.»

Sorseggiai il caffè, era della temperatura ideale. Deglutii mentre lo stomaco mi si stringeva. «A fare cosa di preciso?»

Noah sorrise e io maledissi i miei pensieri torbidi. Fece quel sorriso composto ma ambiguo che mi faceva andare il sangue al cervello. «Quello che vuoi.» Feci un bel respiro e mi abbandonai allo schienale della sedia. Meg ci fissava preoccupata, mentre Louise ci studiava attentamente.

«Io non capisco, come è iniziata questa cosa tra di voi?»

Posai la tazza e mi rinfilai la vestaglia di raso, poi accavallai le gambe nel modo meno elegante possibile. Il mio piede nudo penzolava a ritmo con la mia insofferenza. «Non c'è nessuna cosa, Louise.» Dovevo essere davvero ridicolo, perché Noah trattenne una risata nel guardarmi. Risata che fu spenta dal vedere Athos strusciarglisi sulle caviglie. «Hai un cazzo di serpente carnivoro e hai paura di un gatto?»

Guardò Meg, in difficoltà. «Non ho paura dei gatti, è solo che non ne ho mai toccato uno.» Noah s'irrigidì mentre io afferravo Athos e lo posavo sul suo grembo. Il micio si acciambellò sulle sue cosce.

«Problema risolto.» Noah cominciò ad accarezzare Athos con una cautela imbarazzante per un potente principe demoniaco. Il gatto fece un miagolio e lui gli sorrise in un modo dolcissimo. Qualcosa di sbagliato mi si sciolse nel petto. Dovevo andare al Mandy's. Dovevo trovare Liah.

«Insomma, come è iniziata questa cosa? Di qualunque natura sia...» Appena mi girai trovai gli occhi assassini di Louise. Ero certo che mi avrebbe sommerso di domande, una volta tornati in Divisione.

«Ero ferito e lui mi ha guarito. Tutto qui.» Sperai che Noah non rivelasse il vero motivo per cui ero andato a cercarlo. Lui mi fissò senza perdere del tutto la dolcezza che aveva rivolto ad Athos. Non avrebbe parlato, ma avrebbe di sicuro voluto qualcosa in cambio. Infatti...

«Devi passare del tempo a Kiridia, Artemis. Se sei l'erede, qualcosa cambierà in te, comincerai ad avere dei segnali. La spada ti chiamerà, almeno così dice Eurias.» Sbuffai. «La notte starò lì, ma di giorno dovrò trovare un posto sicuro. Uno che lui e mio padre non immaginerebbero mai.»

Se fossi stato l'erede, avremmo governato insieme? O lui sarebbe sparito a Knephas? Qualcosa di me voleva saperlo. Il suo sguardo non si staccava da me. Io deviai il mio verso la tazza di caffè, ormai vuota, per un secondo. Quando tornai a Noah, nulla era cambiato. I suoi occhi erano due gemme viola e brillanti. E maledettamente ingannevoli.

«Non pensare di poter stare nella Divisione 7.»

«Non so dove stare.»

«Puoi restare qui.»

Il broncio di finta esitazione che divenne la bocca di Noah mi fece perdere il controllo. Non era possibile dirgli no? Non gli era mai capitato di non ottenere ciò che desiderava? Bastava uno sguardo, un piccolo sfarfallio di quelle belle ciglia nere per spalancargli ogni cosa. Strinsi le labbra e mi scagliai contro Meg. «Megumi, ti prego.»

I suoi occhi puntarono il principe. «Non mi fido di te, Brightvale. Ma penso che ormai sia troppo tardi per tirarvi fuori da questo disastro. Puoi restare qui, ti terrò d'occhio. Ma devi proteggere Artemis, non voglio più vedere un graffio su di lui.»

I suoi lineamenti algidi e perfetti evidenziarono tutta la sua natura sovrannaturale. Megumi incuteva soggezione.

«Non voglio che mi protegga, non voglio nemmeno respirare la sua stessa aria» dissi tra me e me. Ad alta voce.

«Lo proteggerò, non gli accadrà nulla. Lo giuro.» Noah mi ignorò e io inveii contro il suo profilo elegante.

«Non credergli, le sue promesse non valgono nulla.» Dopo aver costatato che Meg non mi stava affatto ascoltando, tornai a Noah e serrai le labbra. Le strinsi così forte che mi imbronciai. Lui mi lanciò una fugace occhiata e fece un respiro profondo.

«I membri della Corte non giurano mai» disse Meg. Lo sguardo del principe tornò a lei.

«I membri della Corte non si legano ai bapthias. Eppure...»

I nostri occhi s'incrociarono e il mio cuore si inceppò. Avrei voluto piangere e scalpitare.

«Cosa comporta questo legame?» chiese Louise.

«Nulla, è solo un giuramento d'onore» risposi con voce caustica.

«È come se fossimo sposati.»

Mi girai verso Noah. «Cosa?»

Lui sorseggiò il caffè, poi mi guardò. «Vale solo a Knephas, tranquillo. E a Kiridia.»

Mi avvicinai a lui e lo fissai. «Stai scherzando?» Lui restò immobile. «E poi, a Kiridia non ci sono matrimoni.»

«Ora sì, non tutti hanno più il bonding» fece lui. Poggiò la tazza sul tavolo e si toccò il bracciale. «Dovevo dimostrarti lealtà, mi è venuto in mente solo quello. Pensavo che conoscessi le usanze della Corte.»

Come avevo fatto a essere così stupido, e cieco?

Mi rivolsi a Meg. «Tu lo sapevi?»

Lei poggiò le mani sulle cosce, in maniera elegante e composta. «Quando ho capito che non avevi realizzato la gravità di quello che avevi fatto, ho deciso di tacere.»

Mi alzai in piedi e iniziai a fare avanti e indietro davanti a loro. «Grandioso.» Poi mi girai verso il principe. «Voglio il divorzio, Noah. Adesso.»

Lui ridacchiò. «Non funziona proprio così.»

Mi fermai e analizzai la cosa con un minimò di lucidità. La mia bocca si tese in un mezzo sorriso che non aveva nulla di buono.

«Quindi se tu diventassi Haredias, io sarei il tuo... principe consorte

Il sorriso di Noah si smorzò. «Smettila di pensarci. Fai finta di nulla.»

Era così. Potenzialmente metà Knephas era mia. In che guaio mi ero cacciato? Il sangue mi stava per far scoppiare il cuore. Lo sentivo battere così forte che mi veniva difficile anche parlare. Fissai i suoi occhi viola per qualche secondo prima di tirare fuori la voce. «È così. Non mi dire che non ci avevi pensato...» Noah tacque. «Allora non potevi dire a Eurias, gentilmente, di non uccidere tuo marito? Invece di torturarmi?»

«Non doveva vederti. È stato più sicuro.»

Louise mi afferrò per un braccio e mi fece voltare. «Si può sapere cosa è successo l'altra notte?»

Noah prese la parola mentre io non riuscivo a staccare gli occhi da lui. Avrei voluto ucciderlo. Staccare i petali neri della sua bellezza uno a uno e poi mangiarli, o bruciarli. «Abbiamo incontrato Eurias, e ho spinto Artemis a trasformarsi in Fabian per depistarlo.» Bruciarli, senza dubbio.

«Spinto, non è la parola giusta.» La mia voce suonò come una minaccia.

Noah si alzò e i suoi occhi furono una manciata di centimetri sotto ai miei. «Ti ho toccato, baciato, fatto arrendere a me, fino a poterti manipolare.» Quel baciato aveva un'enfasi sulla sua bocca, che mi riverberò nel petto come un pugno a una campana scordata. «Ti ho messo in mano la spada che ho forgiato con il mio sangue e quello della prima baphtias che ho ucciso, poi ti ho ordinato di togliere la vita alla mia amante. E lo rifarei. Perché non c'era altro modo di salvarti.» I miei occhi erano lucidi e il cuore aveva iniziato di nuovo a battermi in quel modo scoordinato della scorsa notte. Respirai per calmarmi. «Sei contento ora? O devo fornire altri dettagli?»

Non riuscivo a parlare e non avevo il coraggio di guardare Louise. Noah era ferito, lo leggevo nei suoi occhi improvvisamente cupi, e questo mi distruggeva ancora di più. Volevo solo poterlo odiare in eterno, senza rimorso.

«È vero?» Louise si mise tra di noi e Noah rivolse a lei la sua attenzione.

«Ho dovuto scegliere: o lui o la mia amante. Ho scelto di salvare lui, a ogni prezzo.» Abbassai gli occhi. Quella verità rendeva tutto il mio dolore uno sciocco capriccio. Forse Noah non si rendeva conto di cosa aveva fatto, oppure aveva davvero voluto salvarmi a ogni costo. Mi chiesi quali violenze avesse subito nella sua vita a Knephas per dare la priorità a certe soluzioni. Timidamente alzai lo sguardo sul suo viso. Era rivolto a me. «Ora tutti i sospetti della Corte sono su Fabian. Eurias mi coprirà e, se siamo abbastanza discreti, nessuno si accorgerà di te a Kiridia.»

«Kiridia è abitata? Pensavo di aver capito male, prima.» Louise era sconvolta.

Noah annuì. «Sì, i Cavalieri l'hanno ricostruita dopo la guerra.» Lou mi fissò con un'espressione che avrei definito di delusione.

«Tu lo sapevi e non mi hai detto nulla?»

La guardai colpevole e annuii. «Lui dovrebbe sposare la principessa di Kiridia.» Poi mi rivolsi a Noah; tutto quadrava. «Ecco perché mi hai incastrato con l'inganno... non volevi sposarla!»

Noah sbuffò. «Non dire sciocchezze.» Poi tornò a sedersi. «E comunque la principessa Jubelai è molto bella.»

«L'hai vista?»

Il suo sorriso si fece soddisfatto «Sì, e ha un segreto.»

Mi avvicinai a lui. «Quale?» Il suo sorriso si tinse di sicurezza.

«Più di uno, in realtà. Potrebbe essere un'alleata.» I nostri occhi si fissarono scossi da una scintilla di euforia. Durò solo un secondo perché tornai nella mia bolla d'ira.

«Bene, allora tanti auguri e figli maschi. Io non ti servo più.»

Noah mi afferrò la mano, in quel modo dolce che mi confondeva sempre. «Invece ho bisogno di te.» Non avrei più ceduto ai suoi trucchetti. «Dobbiamo scoprire se sei l'erede.»

«Per cosa? Per sostituirti? Io non ci vengo a governare Knephas al posto tuo» dissi scuotendo l'indice davanti al suo viso.

Noah mollò la presa. «Sei la persona meno giudiziosa e ambiziosa che io abbia mai visto.»

Io quasi serrai i denti. «E tu la più arrogante e incosciente.»

Noah sorrise. «Su questo ci assomigliamo. Ricorda che quello che voleva farsi ammazzare dal mio Primo Cavaliere per orgoglio sei tu.»

Lo presi per il collo della maglia e lui continuò a fissarmi con lo sguardo provocatorio. Per un istante non seppi dove mettere le mani, il mio cervello cercava il kindjal, ma tutto il resto voleva altro. Meg mi tirò indietro e ci divise.

«Basta!»

Noah si sistemò la maglia e si appoggiò al tavolo alle sue spalle. Meg mi spinse a guardarla. «Devi sapere se sei l'erede, Artemis. Se lo sei troveremo una soluzione, ma ora devi provare a fare come dice lui.» Mi sembrava un incubo, ora era dalla sua parte? Cercai sostegno in Lou, ma lei mi fece segno che fosse l'unica cosa da fare.

Noah incalzò. «Passeremo le notti a Kiridia, nessuno se ne accorgerà. Posso riportarti indietro prima che qui faccia giorno.»

Sbuffai. «Non c'è modo di non vederti mai più?» Poi supplicai alla mia sinistra. «Meg, ci sarà un modo per sciogliere questa cosa! O no?»

Noah ridacchiò e i miei occhi saettarono nei suoi.

«Ci sono due cose a cui non potrai mai sfuggire: il destino e me.» Arrossii violentemente ricordando frammenti indecenti delle scorse ore. «Lo hai detto tu, stanotte.» Ingoiai il mio stesso cuore impazzito mentre altri ricordi mi affioravano alla mente.

«Ero sotto effetto di una droga, Mr. Sceglierei Comunque Te

Noah sbiancò e si rigirò l'anello sul dito.

«Mi avevi detto che non avremmo ricordato nulla.»

«Ti avevo specificato che avrei detto tante cazzate.» I nostri sguardi puntarono sul pavimento. L'imbarazzo era troppo per incrociare quelli di Lou e Meg.

Quest'ultima intervenne. «Insomma, che dovete fare? Noah starà qui da me e la notte andrete a Kiridia?» Lui mi guardò speranzoso. Cedetti, dovevo scoprire la verità.

«E sia. Ci vediamo stasera.» Poi, con fare teatrale, enfatizzai i miei movimenti con la vestaglia e, sotto lo sguardo divertito di Noah, lasciai la cucina. Dovevo darmi una ripulita.

***

Mi guardavo intorno con avidità, anche sbattere le palpebre mi sembrava una perdita di tempo di fronte alla meraviglia che avevo davanti. Il prato di Kiridia era pieno di boccioli iridescenti e i fiori già schiusi catturavano la luce delle due stelle assorbendone sempre di più man mano che la notte faceva il suo ingresso. Il cielo era una tavolozza di rosa, ed era così variegata da ritrovarmi incapace di dare un nome a tutte quelle sfumature. Mi sentivo come se avessi un buco nel petto e qualcuno stesse irraggiando il mio cuore di luce.

Noah lo percepiva. Se ne stava accanto a me a fissarmi con una certa soddisfazione, il suono dei suoi sospiri si mischiava a quello del vento e mi rilassava. Non avrei voluto stare lì con lui, ma in realtà non mi sarei spostato di un millimetro per il resto dei miei giorni. Affondai le mani nell'erba, era tiepida e soffice; profumava di un ricordo perduto e sepolto dal tempo. Accanto a me era appoggiato il mio zaino, semi-aperto, dal quale sbucavano merendine e un album da disegno con una manciata di pastelli a olio consumati; non avevo calcolato che non mi sarebbe stato possibile neanche staccare lo sguardo dal panorama che mi circondava.

Ero a Kiridia. Nemmeno i miei genitori e i miei nonni ci avevano mai messo piede, e io ero lì. E per quanto odiassi Noah, era stato lui a portarmici. Per evitare di scoppiare in un pianto inconsolabile, mi concentrai sullo stuzzicare la ferita sulla clavicola. Prudeva ed era abbastanza dolorosa da distrarmi da tutti quei pensieri.

La voce di Noah rovinò tutto.

«Smettila di grattarti le ferite, le stai riaprendo.» Mi abbassò la mano con un gesto risoluto, io mi ritirai.

«Fatti i fatti tuoi.» Una guerra mi consumava, Noah a Kiridia era diverso e ancora più incline a farmi uscire fuori di testa. I suoi poteri erano visibilmente accentuati e la sua energia molto più vivida. La sua bellezza era ancora più dolorosa, non sapevo come facesse a essere così ammaliante in mezzo all'assoluta perfezione.

Ero uno stupido a pensare che fosse colpa di Kiridia, nella mia mente avevo ancora i flash della testa di Noah spiaccicata sul cuscino; di quando lo stavo disegnando con il dito mentre lui mi osservava in silenzio. Ci eravamo fatti un discorso lungo e complicato, ma solo nelle nostre teste. In realtà non avevamo detto che una manciata di parole senza senso.

Piegò la testa da un lato per cogliere il bacio della luce di Ramis e Zafir; le sue guance si tinsero di rosa, mentre i suoi occhi vibravano di un viola ancora più limpido e screziato di indaco. I capelli, così neri che nemmeno due stelle avrebbero potuto scaldarli, si confondevano con le ombre proiettate sull'albero dietro di lui. Le ombre. Due, come le facce di una stessa medaglia. Mi guardai alle spalle, due lunghissimi Artemis riparavano il prato dalla luce del tramonto per poi incontrarsi sotto di me. Era come stare in quattro. Io a contemplare la mia musa angelica, mentre l'altro controllava che quel demone non mi ferisse di nuovo.

Illumini ma non fai ombra, ardi ma non bruci.

Il cuore mi accelerò a ripensare a quelle parole. Chissà se le ricordava, se avevano avuto senso o se erano state solo una deriva del suo essere poetico. Mi ritrovai le unghie sporche di sangue. Tirai fuori un fazzoletto usato dalla tasca e mi pulii. Noah mi fissò con lo sguardo da maestrino.

«A cosa stai pensando? Ti stai massacrando.» S'inginocchiò per avvicinarsi a me e mi scostò la scollatura della blusa chiara, ormai graffiata di sangue. «Lasciami guarire le ferite. Hai ancora troppo veleno in circolo, ci metteranno secoli a sparire.»

«Dicono che io sia sempre velenoso.»

«Infatti finirai per ucciderti da solo.»

Cercai la ferita di Meg sul collo e non la trovai.

«Dove è il morso?»

«L'ho guarito ieri sera, quando ti sei addormentato. Anche quello al polso. Stavi imbrattando tutte le lenzuola. Certo che sei sveglio, te ne sei accorto solo ora?»

Feci una smorfia. «Ho avuto leggermente la testa altrove.»

«Tu sei sempre altrove, Artemis.» Noah sorrise e io abbassai lo sguardo. «Chissà che qui tu non possa trovare pace.» Si sfilò i due anelli che indossava e li mise in tasca. «Avvicinati.»

Mi tolsi il giubbetto di jeans e mi sfilai la blusa. Il suo sguardo mi scrutava, non riuscii a guardarlo negli occhi. Iniziò posando un palmo sulla mia clavicola destra. Era caldo e piacevole.

Ripensai ai segni dei morsi che mi aveva guarito in precedenza. «Perché non l'hai fatto quando ero sveglio?» La sua energia era rilassante e tiepida. Noah guardava il punto in cui stava agendo con attenzione.

«Avevo paura.»

«Di cosa?»

Noah esitò. «So quello che senti, sono consapevole che quello che ho fatto avrà delle conseguenze.» Strinsi il labbro tra i denti quando posò la mano sulla seconda ferita. Mi tagliava le ultime due costole e bruciava tantissimo. Il principe alleviò la pressione prima di cominciare ad agire. «Ti fanno così male, perché non lo hai detto prima?»

«Ero impegnato a disprezzarti.»

«Non avevo dubbi.» Si scostò una ciocca di capelli che gli cadeva sugli occhi e passò all'altra ferita. «Non chiedi mai nulla tu. Nemmeno la sera al Mandy's chiedesti aiuto. Neanche quella dopo, dove eri ridotto malissimo.»

«Tra me, Nathan e gli altri, non corre buon sangue.» Sospirai e deglutii. «Mi odiano.»

«Non ti capiscono. Anzi, sei tu a non volere che ti capiscano. E so anche perché.»

Alzai il sopracciglio. «Sentiamo.» La ciocca gli cadde di nuovo sugli occhi, ma Noah non si fermò. La sua energia violetta continuo a rigenerarmi la pelle. Gliela scostai io, con un gesto goffo che lo fece sorridere.

«Perché tu non vuoi essere come loro. Non vuoi essere un Discendente perfetto e giudizioso. La verità è che se non puoi avere il cuore di Fabian, preferisci essere odiato. Meglio il suo odio che diventare la brutta copia del suo Legato. Ti dà la sensazione di capire il perché lui non ti ami.»

Lo fissai inerme. La realtà non era mai stata così limpida e dolorosa. Noah passò all'ultimo graffio che avevo sulla mandibola e lo guarì con una carezza. Mi morsi di nuovo il labbro per reprimere i miei desideri. Subito distolse lo sguardo e riprese gli anelli dalla tasca.

Pensa a quello che ha fatto.

Mi risistemai la blusa. «È normale trattare in quel modo la gente, a Knephas?» Noah si appoggiò con la schiena contro l'albero. Presi una foglia caduta a terra dalla sua chioma e la accarezzai. Brillava come oro puro.

«Intendi...»

«Abusare di qualcuno, come hai fatto con me.» Noah tacque per qualche secondo, poi alzò lo sguardo.

«Sì, è abbastanza comune.» I suoi occhi si persero sulla foglia baciata dal tramonto. «Non avrei mai voluto farlo a te.»

Lo guardai, avevo bisogno di rivedere in lui quella crudeltà che me lo faceva odiare, oppure... sarei impazzito. «Ti rendi almeno conto di cosa hai fatto? Perché io non capisco cosa sia normale per te o meno. Non so mai quale è il tuo limite, Noah.»

Lui fece un respiro e incrociò le gambe. «Ne sono consapevole. Sapevo che ti avrei ferito, che mi avresti odiato, ma non volevo che morissi. E io quello so fare.» Le sue iridi viola si ripararono sotto le ciglia dalla luce di Ramis, in procinto di sparire alle mie spalle.

«Manipolare, ferire?» Tacque. Un silenzio lungo che mi fece riflettere. «Con lei anche...»

Noah tradì disagio, si strinse la giacca di pelle addosso. «No. Non lo so cosa facevo con lei. In realtà, non so come lo definiresti tu.»

Continuai a fissarlo e lui alzò lo sguardo nel mio.

«Prova a spiegarmelo.»

«Ogni mattina la spingevo a innamorarsi di me, o qualcosa di simile. Tra di noi sembrava tutto così vero che mi ero illuso che lo fosse.»

«Non lo era.» Le parole mi uscirono come un rimprovero.

Il suo sguardo si fece severo. «No, non lo era.» Noah prese il mio album da disegno e iniziò a sfogliarlo. Non lo fermai. Non aveva più senso nascondergli il mio mondo quando aveva imparato a leggermi l'anima.

«Lo so che non è importante, ma ti ho dato la mia spada perché non volevo che usassi il tuo kindjal per ucciderla.» Si soffermò sui ritratti di Fabian con la stessa nostalgia che si prova per qualcosa che si è perso per sempre. «Non voglio che tu abbia nulla che ti ricordi quella notte. Non l'ho fatto per punirti, anche se agli occhi di Eurias è stato così; lo scopo non era farti uccidere qualcuno con una spada forgiata con il sangue di un tuo simile.»

Dentro di me lo stomaco si era chiuso di colpo, era sempre più difficile separare il Noah che avevo davanti da quello che mi aveva usato come un burattino. «Consolatorio, dopo che mi hai messo le mani nei pantaloni per trasformarmi nella mia ossessione

«Non lo farò più.»

Incrociai le braccia. «Ci mancherebbe.»

Noah si fermò a un ritratto di Louise. «Non intendevo che avrei voluto rifarlo...»

Mi sentii le guance in fiamme. «Ok, cambiamo argomento?»

Noah girò ancora qualche pagina, poi ricordai i vari tentativi di rappresentarlo su carta e gli strappai l'album dalle mani.

«Dammi, hai già visto troppo.»

«Sono splendidi. È un peccato non mostrarli a tutti. Ma so che non lo farai.»

Mai e poi mai.

Aprii l'album in una pagina lontana dagli ultimi schizzi. La paura che uscisse qualche dettaglio di Noah era troppa.

Non voglio che tu abbia nulla che ti ricordi quella notte.

Presi i pastelli ma non riuscii a scegliere un soggetto. Non uno sensato, almeno. «Penso che sia l'immortalità il vostro problema. Date tutto per scontato, ogni cosa vi passa davanti agli occhi nel tempo di un sospiro. Niente e nessuno sarà mai davvero importante per voi.»

Noah fissò il foglio bianco in attesa di vedermi all'opera. «Ho vissuto solo diciotto anni, non so dirti se sia così.»

Chiusi l'album e lo posai sulle mie cosce. «Ma sai che tra un centinaio non ricorderai neanche lo sguardo di Brianna, tanto meno il mio mentre mi trasformavo in Nathan. Questo ti consola e ti legittima a fare tutto.»

Noah scosse la testa mentre nella sua espressione qualcosa s'incrinava. Tornai ai pastelli che avevo in mano, alcuni erano così consumati che rientravano in un pugno. Il mio sguardo vagò lungo i miei jeans a campana fino agli stivaletti con le stelle, che facevano così uno strano effetto tra i prati di Kiridia.

«Non è così. E l'immortalità della Corte è provvisoria.»

I miei occhi saettarono dalla punta argentata dei miei camperos a lui. «In che senso provvisoria?»

Noah esitò, forse si stava rendendo conto di aver rivelato un dettaglio chiave. «Dipende dai nostri poteri. I Cavalieri l'alimentano con le loro vittime, ma non sono invulnerabili. Un'arma come Dramidia può ucciderli, un altro Cavaliere più forte anche. È tutto un equilibro di energie.»

Lo incalzai avvicinandomi. «E tu?»

«Io sono immortale e invulnerabile, ma potrei non esserlo più, se non dovessi seguire la via che un Haredias deve seguire, o se deciderò di rinunciarci di mia spontanea volontà.»

«Puoi decidere di essere vulnerabile?»

Noah sfuggì al mio sguardo; inspirò e si strinse il polso adornato dal bracciale. «Lo sai perché morì il figlio di Ashberg?»

«Nessuno lo sa.»

«Morì per amore. Dopo essere cresciuto con l'ossessione di aver ucciso sua madre, capì che forse ci sarebbe stato un modo per proteggere un mortale. Forgiò una spada con il sangue del suo amato e ci intrappolò parte della sua immortalità. La spada avrebbe donato al suo sposo forza e longevità, ma avrebbe reso lui vulnerabile. Purtroppo, durante un attacco entrambi vennero uccisi.»

L'ultimo raggio di Ramis sparì in una lingua viola all'orizzonte. Viola, come gli occhi di Noah. «Questo non c'è scritto sui libri.»

«Immagino che nei libri di voi baphtias ci siano solo i lati cruenti della Corte. Non siamo solo quello. Non c'è solo buio a Knephas.»

Gesticolai enfatizzando il mio sdegno. «Ah, giusto, avete il talios a brillarvi sotto le chiappe.» Ormai era quasi buio, Noah accese un fuoco che iniziò a fluttuare sopra l'erba facendone dondolare i fili con dolcezza. Rivolsi gli occhi allo specchio d'acqua lontano solo pochi metri da noi. Il vento ne increspava la superficie, tinta d'indaco dal cielo. «Non so come fate a vivere senza la luce di una stella. Ogni posto ha bisogno di luce, altrimenti è solo vuoto.»

«Come fate a essere così ottusi?» Fissai Noah con sospetto mentre faceva per afferrarmi il viso. Glielo permisi. «Chiudi gli occhi e guarda.»

Sorrisi. «È un controsenso, ma so che a voi poeti piacciono.» Il suo calore mi incendiava le vene, ma era inutile combattere. Lo avrebbe percepito comunque, come il battito rapido del mio cuore che mi rendeva instabile. Noah cercò di controllare un sorriso e con i pollici mi spinse a chiudere le palpebre.

«Chiudi gli occhi e guarda. Guarda l'acqua di quel lago e dimmi che l'hai vista più bella di così.» Mi afferrò le mani e le guidò sul suo viso. I suoi tratti scolpiti e la sua pelle mi accarezzarono. Finii per sfuggire alla sua guida e mi strofinai una delle sue onde setose tra le dita. «Guardami e dimmi che non sapresti disegnarmi senza una luce ad accecarti. Dimmelo, perché non ci credo.» Le mie mani scesero e incontrarono le sue labbra ancora intente a parlare. Soffici e rosa come erano ormai incise nei miei desideri più nascosti. «Non posso credere che non vorresti disegnarmi così, al buio; che non ci riusciresti. Hai gli occhi chiusi, ma scommetto che non hai mai avuto un'immagine così vivida davanti.» Mi fermai sul suo collo, sul pulsare rapido e caldo del suo sangue tra i palmi. La pelle mi bruciava dal bisogno di proseguire su quella strada. «La luce fa solo annegare ciò che l'anima vede con chiarezza, Artemis. E tu sei un artista, il tuo cuore ci vede benissimo.»

Il suo respiro era un canto che mi chiamava. Resistetti ai miei impulsi e aprii le palpebre; trovai i suoi occhi a fissarmi con lo stesso tormento che mi attanagliava lo stomaco. Le sue guance brillavano, i suoi capelli brillavano...

«Oddio.» Sobbalzai. Tante piccole lucine si erano annidate sulle mie mani e su parte del viso di Noah come polvere di stelle.

Lui rise e se le scrollò di dosso. «Tranquillo, sono luminae.»

Quelle piccole lucciole volavano come sospese nell'aria; seguivano un qualcosa di astratto, ma allo stesso tempo reale. Nel muoversi avevano una logica tutta loro che non riuscivo a decifrare. «Ne abbiamo nella Serra dei Ricordi. Ma queste sono... un'altra cosa.»

Noah si scaldò le mani sul fuoco. «Di che si tratta?» Io intanto cercavo di toccare le luminae. Queste sembravano giocare a nascondino. Forse capivano che le stessi studiando.

«Una serra dove teniamo le specie botaniche salvate da Kiridia.»

«Non credo avrà più molto senso, quando scopriranno tutto questo.»

La gola mi si serrò, non avrei mai voluto condividere tutto questo con l'Élite. Roteai il dito simulando una danza, e le luminae iniziarono a seguire il movimento in una giostra di luce. «È incredibile...»

Noah sorrise. «Se vuoi puoi piangere.»

Tornai serio e spensi quel sorriso ebete che si era impossessato di me. «Non ci penso proprio.»

Noah stringeva il labbro inferiore tra i denti, quando si accorse del mio sguardo su di lui parlò. «Qui è tutto estremizzato. La natura ti legge dentro, ti asseconda. È un po' come sentirsi il cuore in un pugno. Devo trattenermi.»

Fermai il carosello di luminae smettendo di gesticolare. «Cosa devi trattenere?»

«Le ombre, le emozioni...»

Ridacchiai. «Quel fumo fritto che ti balla intorno quando ti incazzi?»

Sorrise scuotendo la testa. «Sai rendere banale ogni cosa.»

Mi accucciai davanti al fuoco e ci immersi le dita. Non mi bruciava. «Il poeta maledetto sei tu, io sono l'artista.» Mi resi conto che era la prima volta che osavo toccare delle fiamme non create da me. «Come funzionano le ombre?»

Noah guardò il cielo, di un viola cupo e senza traccia di stelle. Tutta la luce era lì vicino a noi, come se fossimo gli astri a illuminare la volta scura sopra le nostre teste. Era strano, sembrava che avessero capovolto l'universo. Ma era bello, da quella prospettiva il nostro ruolo appariva meno insignificante rispetto alla Terra. «Non lo so. Per Knephas è un'essenza, ma penso che sia solo un effetto collaterale del dominare luce e vuoto. Forse riesco a... togliere luce.»

«Prova a liberarle.»

Noah esitò. «Le luminae ne sono spaventate. Scappano e si agitano.»

Alzai le sopracciglia. «Devi per forza incazzarti per farle uscire?»

«No, a Knephas non le incateno mai. Lì non abbiamo ombre definite, quindi non abbiamo questo preconcetto di associarle a qualcosa di pericoloso. Altrove è diverso.»

Mi accigliai alla luce delle fiamme. «Non avete ombre?»

Noah scosse la testa e si rannicchiò un ginocchio al petto. «Non c'è una luce diretta, il talios è un po' ovunque intorno a noi. Varia la sua intensità tra notte e giorno, se di giorno si può parlare.»

«Ah ecco... Per questo sobbalzi quando ne vedi una.»

Noah mi rivolse uno sguardo tagliente. «Non sobbalzo.»

«Non avete lampade?»

«Al buio ci vediamo benissimo. Agli schiavi non knephaniani basta il talios.»

Mi voltai per averlo perfettamente di fronte a me. «Fallo piano. Rilasciale.» Noah mi guardò perplesso, ma tentato. Dopo qualche secondo vidi un riccio di oscurità schermare parte delle fiamme come inchiostro; le luminae scapparono creando un vuoto intorno a noi. Toccai l'avambraccio del principe. «Fermo. Fai piano, lascia che le studino.»

«Le odiano.» Un gruppetto di lucine si avventurò e toccò una delle spirali oscure, poi si ritirò subito. Altre tentarono, ma rimasero ferme a pochi centimetri, in attesa.

«Vedi? Ci stanno giocando. Prova a rincorrerle.» Noah allentò il cipiglio e si rilassò; le ombre gli fluttuarono intorno come raggi di un sole nero. Una mi sfiorò la guancia. Era impalpabile ma riuscivo ad avvertirla come sua. Era l'energia di Noah resa visibile. Le luminae iniziarono a sfiorarle e a danzare con loro in spire di luce e buio.

Noah sorrise senza filtri, come non aveva mai fatto prima. «Non è possibile.»

«Dovresti smetterla di sentirti diverso da ogni cosa.»

Mi lanciò un'occhiata divertita. «Senti da che pulpito.» Si sdraiò a terra e io rimasi seduto a fissarlo mentre si divertiva a punzecchiare un gruppo di luminae con un ricciolo d'ombra.

«Questo posto ti appartiene tanto quanto Knephas.»

Le luminae si posarono sul suo naso e Noah le scacciò con un'ombra. «Sento di non appartenere a nulla.»

Mi strinsi le ginocchia al petto. «Non è così. Puoi scegliere. Vorrei poterlo fare anche io.» Lui si girò su un fianco e mi guardò.

«Se tu fossi l'erede e trovassi Dramidia, potresti scegliere.» Le spire si placarono e piano piano si adagiarono accanto a lui. Le guardò per un secondo soddisfatto. Mi ricordava Peter Pan quando finalmente aveva ritrovato la sua ombra. «Potresti anche scegliere di essere umano.»

Un brivido mi tolse il fiato. Avrei davvero avuto il coraggio di farlo? Cosa ne sarebbe stato di me, solo e senza radici sparso per l'Altrove?

«Ricordi proprio tutto della scorsa notte?» dissi, scacciando la paura.

Noah trattenne un sorriso guardando il cielo. «Credo di sì.»

«Vorrei essere umano, ma non so se ne avrei il coraggio. Ho paura delle cose irreversibili. E ora che sono qui, ne ho la piena certezza. Tutto questo...» Indicai il paesaggio intorno a me. «Mi sento come se...»

«Ti si spezzasse il cuore. Come se ti fosse mancato da sempre.» Noah mi guardò. «Per me è lo stesso. E mi spaventa.»

Mi sdraiai accanto a lui roteando i mozziconi di pastelli nella mano destra. Il fuoco faceva emergere i lineamenti di Noah indurendoli leggermente, la paura gli si leggeva negli occhi. Era in bilico.

«A che punto è il tuo album delle emozioni?» dissi a voce bassa.

Sorrise con amarezza e la fossetta sulla sua guancia fece capolino. «Lo stai riempiendo alla grande. Forse anche troppo.»

Deglutii e mi sostenni il capo con un braccio per guardarlo meglio. «Ti interrogo: questa che stai provando ora, come la chiameresti?»

Noah si concentrò su una delle rose ricamate sul mio giubbotto e ne ricalcò i petali.

«Incertezza.»

La mia bocca si curvò un po' troppo. «Vedi, allora sto imparando a decifrarti.» Noah mi aveva avvertito che le mie emozioni si sarebbero amplificate, e io in quell'istante mi sentivo incosciente. Avrei voluto sporgermi un po' di più e baciarlo. Togliergli ogni pensiero e assaporare ogni emozione dalle sue labbra. Avrei voluto disegnarlo e renderlo l'opera su cui tutti avrebbero sospirato. Quel desiderio mi incendiò le vene. Sentii qualcosa cambiare nel pugno che avevo chiuso, ma non ebbi il coraggio di guardare. Riposi i pastelli in tasca con il cuore che correva all'impazzata. Mi sedetti e toccai le fiamme del falò. Ero parte integrante del loro crepitio. «Intendevi questo con ardi, ma non bruci

Noah sorrise a labbra chiuse, come ogni volta che mi perdevo in pensieri e tiravo fuori qualche domanda insolita. «Anche. Il fuoco è la tua essenza, forse è l'unica cosa che ti dona pace.»

«La tua qual è?»

Tirò su le spalle. «Non credo di averne una in particolare. Sono meno Guardiano di quanto pensi.»

Lo guardai. «Credo sia l'acqua.» Lui mi fissò accigliato. «Le increspature dei laghi ti seguono, come se fossi la loro luna. E il ghiaccio ti protegge dagli altri e da te stesso.»

«Hai notato le increspature dei laghi?»

Annuii soddisfatto. «L'acqua segue una traiettoria strana quando ci sei tu. L'ho notato anche quando ho tirato lo sciacquone del bagno e mi tenevi la fronte.»

Noah fece una smorfia. «Non potevi fermarti alle increspature del lago?»

Io sorrisi. «Quale è il modo in cui ti viene più spontaneo difenderti?»

«Non ti piacerebbe saperlo.»

Non gli diedi scelta e rimasi immobile. «Dai, sono curioso.» Lui esitò, poi mi lanciò un'occhiata.

«Blocco il sangue delle mie vittime finché non muoiono.»

Mi finsi tranquillo e poco turbato. «Carino. Io strillo e lancio calci.» Noah rimase perplesso e guardò in basso. «E tecnicamente come lo fai?»

«Controllando l'acqua nel sangue.»

Schioccai la lingua. «Ecco la tua essenza!»

Cercò di mascherare l'euforia, ma gli occhi di Noah brillavano. Desiderava quella famosa serratura da aprire molto più di me.

Presi la coperta che mi ero portato e me la misi addosso. Poi mi accovacciai sopra lo zaino pieno di cibo e colori. Alcune luminae si adagiarono sulla mia mano. Sembravano una piccola abat-jour portatile. Sbadigliai.

«Anche la principessa Jubelai controlla l'acqua» disse Noah.

«Vedi, siete destinati.»

Mi strattonò e si infilò sotto la coperta con me. «Ma smettila.» Eravamo così vicini da sentire ognuno il calore dell'altro.

«Dove l'hai vista?»

«Non molto lontano da qui. Ha una strana usanza: si taglia gli arti e riempie le sue ferite con l'oro.»

Alzai le sopracciglia. «Una regina autolesionista è quello di cui il grande impero ha bisogno. Capisco perché ti stai affannando a cercare un sostituto.» Noah mi freddò con lo sguardo.

«Non so perché lo faccia, ma è come se avesse una doppia vita che nasconde alla Corte. Credo sia una sorta di ribelle.»

Pensai a Louise e alla sua attività clandestina. Al modo in cui aveva reagito nel pensare che tra me e Noah stesse nascendo qualcosa.

Eravamo sposati per Knephas. Avevo scordato questo dettaglio.

«Figo. Comunque questa cosa dell'oro è simile al kintsugi giapponese.»

Noah mi tirò indietro i capelli, portandoli dietro le spalle. «Che significato ha nell'Altrove?» I nostri occhi erano incatenati da una corda invisibile che tentava di tirarci l'uno contro l'altro.

«Io lo vedo come il poter creare qualcosa di bello da una disgrazia.»

«Chissà che non accada davvero» disse lui non smettendo di guardarmi. Poi sbadigliò, si avvicinò e posò la testa sul mio petto. Trattenni il fiato mentre lui si accoccolava su di me.

«Non sono un cuscino» borbottai.

«Invece lo sarai, tu hai lo zaino e il prato è umido.»

Il cuore mi batteva forte e arrossii all'idea che potesse sentirlo.

Smettila, lo sente ogni volta che sei nei paraggi.

Ripresi a respirare e iniziai ad accarezzare i capelli di Noah. Lui rimase in silenzio e chiuse gli occhi. Il suo respiro calmo piano piano mi contagiò.

«Illumini, ma non fai ombra. Cosa intendevi?»

Noah non mi rispose, dormiva già.

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